mercoledì 21 agosto 2013

Traslazione delle reliquie di san Nicola il Taumaturgo da Mira a Bari nel 1087 9 (22) maggio 1a parte


“Traslazione del corpo di san Nicola”, miniatura tratta dal codice ‘Vite dei Santi’ (secondo quarto del XIII secolo), British Library, Londra


 
La Traslazione delle reliquie di S. Nicola è forse l'evento più notevole nella storia dello sviluppo del culto nicolaiano nel mondo. Ciò non significa, come molti erroneamente scrivono ancora oggi, che il culto di S. Nicola si è diffuso in Occidente grazie al trafugamento delle reliquie nel 1087 ad opera di 62 marinai baresi. Infatti, è vero esattamente il contrario: i marinai baresi scelsero le reliquie di S. Nicola per risollevare il prestigio religioso e commerciale della loro città proprio perché nell'XI secolo questo Santo godeva anche in Occidente di un primato nella venerazione dei fedeli. Indubbiamente, la Traslazione incrementò questa venerazione grazie al fatto che in Europa vigeva una specie di Commonwealth normanno. Gli antichi Vichinghi, con le loro ramificazioni, erano infatti di casa in Francia, in Inghilterra, nell'Italia Meridionale e nella Rus' di Kiev. Di conseguenza l'impresa dei Baresi fu conosciuta in Europa con la rapidità del vento. Alle due dettagliate relazioni baresi (di Niceforo e Giovanni Arcidiacono, entrambe del 1087-1088) si aggiunsero nel giro di una decina d'anni una rielaborazione francese ed una russa. Senza contare che quasi tutte le cronache e tutti gli annali di ogni paese riportarono la notizia. Tra il 1096 ed il 1099 anche i Veneziani e i Genovesi fecero una puntata a Mira, prelevando altre reliquie. Queste imprese però non ebbero la ripercussione internazionale che aveva avuto quella barese. In particolare i Veneziani più tardi cercarono di avallare il successo della spedizione affermando anch'essi di aver portato via S. Nicola. Certo è che questo evento non ebbe alcuna ripercussione nella vita dei Veneziani (non ci è pervenuta alcuna pergamena dei secoli XII e XIII che ne attesti la realtà). La traslazione barese, invece, ebbe un impatto straordinario sia a livello internazionale che locale (non solo dal punto di vista sociale e religioso, ma anche che documentario).
 
 
Gerardo Cioffari, o. p.
LA TRASLAZIONE DI S. NICOLA
NELLE FONTI LATINE DELL’XI SECOLO
E NELLE FONTI RUSSE
Conferenza tenuta al Pravoslavnyj Svjato-Tichonovskij Bogoslovskij Institut
Mosca, aprile 2003
ПЕРЕНЕСЕНИЕ МОЩЕЙ СВ. НИКОЛАЯ
В ЛАТИНСКИХ ИСТОЧНИКАХ 11ого ВЕКА
И В РУССКИХ РУКОПИСЬЯХ
Una delle più caratteristiche manifestazioni della religiosità medioevale è la venerazione delle reliquie dei santi, strettamente collegata ai pellegrinaggi. La diffusione però del fenomeno non va di pari passo col fondamento documentario, né con la precisione critica e cronologica dei dati[1]. Lo scopo dell’agiografo non era quello di informare e dare notizie storiche, bensì di offrire un esempio di vita cristiana da ammirare ed imitare. La maniera più ricorrente per dare prestigio alla propria città, nonché per ravvivare il culto di un santo, era quella di trasferirne le reliquie da un luogo all’altro, oppure di ritrovare le reliquie dopo un periodo di dimenticanza.
Il termine translatio sembra che sia stato usato per la prima volta da S. Ambrogio nel IV secolo. Nella mente dei primi cristiani il termine suggeriva l’esperienza di Enoch che, dopo aver tanto camminato con Dio, fu da questi rapito con sé (translato).
Sin dai primi tempi i cristiani avevano cura dei resti dei santi martiri, inizialmente come atto di omaggio verso un amico di Dio che aveva preferito la morte all’apostasia. Poco a poco questo atto di devozione si arricchì di risvolti nuovi, in particolare della convinzione che, come esistevano oggetti in grado di apportare mali, ve n’erano altri in grado di apportare il bene. Le reliquie, sia quelle dei martiri sia quelle dei confessori, cominciarono ad essere considerate portatrici di nascoste virtù e quindi in grado di operare miracoli.
1. S. Nicola e le traslazioni di reliquie nell’Occidente medioevale.
Nella Chiesa generalmente gli scrittori sacri mettevano in guardia da esagerazioni che rasentavano la superstizione. Ma questi richiami non riuscirono a fermare il movimento delle reliquie. Inventiones etranslationes cominciarono a moltiplicarsi, e non di rado si ricorreva ad un vero e proprio commercio, come alcuni vescovi di Benevento, che partivano per lunghi viaggi in Inghilterra allo scopo di piazzare alcune ossa di S. Bartolomeo[2].
Se in oriente lo spostamento del corpo di un santo era cosa comune già dalla fine del IV secolo, in occidente varie testimonianze indicano che si è stati molto reticenti a qualsiasi trasferimento, almeno fino al VII secolo. Nell’VIII secolo la mentalità cominciò a cambiare e nel IX non solo si ammetteva il trasferimento ma addirittura il furto.
Lo storico Eginardo, amico e biografo di Carlomagno, narra in versi la traslazione delle reliquie dei Santi Marcellino e Pietro da Roma a Saligenstadt nell’827. Si trovava nelle catacombe di Roma, quando si imbatté nel sarcofago di questi due santi. Appena espresse il suo desiderio di portare le reliquie con sé, il suo servo si diede da fare per forzare l’apertura e se ne impadronirono. Più tardi, lo stesso scrittore, nella sua Translatio Marcellini et Petri, non mostrava alcun rimorso per il furto, che gli appariva meritorio ai fini di incrementare la devozione dei due santi[3].
Senza voler ridurre il tutto a “politica”, va tenuto presente anche l’inquadratura storico-ideologica, cosa che viene messa in risalto specialmente dagli studiosi laici. Ad esempio, la traslazione di S. Marco a Venezia è stata inquadrata nella tensione sorta fra l’antico patriarcato di Aquileia e la nuova sede di Grado, vale a dire la nuova sede episcopale di Venezia. Nel sinodo di Mantova dell’827 vennero confermati i diritti di Aquileia, per cui la nascente potenza marinara dovette escogitare qualcosa che desse dignità e prestigio alla nuova sede. Ed anche l’inventio delle sue reliquie nel 109, poco dopo la ricostruzione della Basilica (1063) risponderebbe a questa logica[4].
Anche per la traslazione di S. Nicola si è tentata l’interpretazione “politica”, a partire da una congettura dello studioso tedesco W. Holtzmann[5], secondo il quale l’arcivescovo della traslazione Ursone avrebbe forse aderito allo scisma provocato dall’antipapa Wiberto, vescovo di Ravenna (Clemente III). Appropriatosi di questa ipotesi Giuseppe Praga[6], non resistette alla tentazione di farne un grosso studio il canonico Nitti di Vito[7]. Come giustamente rileva il Pertusi, tutti questi storici hanno “costruito un vero romanzo su questo punto”[8]. Tutto preso dal suo furore a favore dell’ortodossia romana, infatti, il Nitti ha alterato tutta la storia. Di Ursone, l’uomo di fiducia del Guiscardo, ne ha fatto il capo del partito bizantino barese. Elia diventa il restauratore del partito gregoriano e persino il metropolita di Kiev Efrem partecipa con la sua fedeltà a Roma alla ripresa gregoriana. Tutte distorsioni della verità che devono spingere gli interpreti dei fenomeni religiosi ad una maggiore prudenza nel collocarli nelle locali tensioni politiche e sociali.
Ad evitare resistenze negli ambienti avversi, vari autori di traslazioni ricorsero ad una giustificazione mediante sogni e visioni che attestassero come l’impresa fosse permessa o addirittura voluta da Dio o dal santo in questione. Qualche esempio illustrerà il concetto.
L’Historia Translationis S. Benedicti fu composta dal monaco Adrevaldo nel IX secolo. Ivi si narra che il corpo di S. Benedetto e S. Scolastica furono rubati da Montecassino alla fine del VII secolo (nel 672 o, secondo altri, nel 703) e portati al monastero di Fleury. La circostanza del furto è data dal saccheggio operato dai longobardi e dallo zelo di un sacerdote francese di passaggio, al quale Dio e S. Benedetto parlano in sogno indicandogli il luogo di sepoltura ed esortandolo a portare in salvo le reliquie. Le reliquie di S. Benedetto restarono a Fleury mentre quelle di S. Scolastica furono portate a Le Mans. La translatio fu possibile dunque anche grazie alle visioni in sogno dell’abate Mummolo e del clero di Le Mans[9].
Anche la Translatio S. Bartholomaei è legata ad una invasione, nel caso specifico di Saraceni. Trasferite da Martyropolis in Mesopotamia dall’imperatore Anastasio I (verso il 507), le reliquie erano finite miracolosamente nell’isola di Lipari, secondo narra Gregorio di Tours[10]. Secondo alcune fonti, queste isole furono saccheggiate dai Saraceni, i quali vollero per dispregio estrarre diverse reliquie, comprese quelle di S. Bartolomeo, e le dispersero in mare. Altre fonti dicono invece che il principe Sicardo di Benevento riuscì ad anticiparli ed a sottrarre le preziose reliquie grazie all’aiuto di marinai amalfitani, ed a portarle onorevolmente a Benevento ove furono reposte nella cattedrale di Santa Maria[11]. Nel suo Chronicon Sigeberto rapporta l’avvenimento all’831. Più correttamente Leone Ostiense parla dell’839 (terzo anno dell’abate Barsacio). L’imperatore Ottone III tuttavia diede ordine (983) di trasferire il corpo a Roma dove sull’isola Tiberina fu costruita una chiesa in onore dell’Apostolo. I Beneventani sostengono (e Leone Ostiense sembra aver loro creduto) che quando giunsero i messi imperiali essi consegnarono un altro corpo, per cui ancora oggi S. Bartolomeo si troverebbe non a Roma bensì pur sempre a Benevento.
Praticamente contemporanea fu la traslazione di S. Marco da Alessandria a Venezia. Il culto dell’Apostolo nella zona è attestato da Paolo Diacono, che addirittura lo considerava primo apostolo dei Veneti. Il documento chiave che ha dato adito alla letteratura marciana è il testamento di Giustiniano Particiaco dell’829, che contiene l’espressione De corpus vero beati Marci[12], attestante in qualche modo la presenza del Santo a Venezia. LaTranslatio vera e propria fu composta due secoli dopo nel contesto di analoghe narrazioni. Tenendo conto del dato di cui sopra, nonché del fatto che nel Martirologio di Beda S. Marco è considerato ancora ad Alessandria, si immagina che fu translato da alcuni mercanti veneziani verso l’827Un forte indizio negativo della storicità dell’evento è dato dall’assenza del nome Marco nella popolazione anteriormente all’anno Mille[13]. Dopo qualche esitazione, se riconoscere S. Nicola o S. Marco come patrono di Venezia, nel 1071 si optò per S. Marco a seguito, come sostiene una tardiva narrazione, dell’inventio del suo corpo nella Basilica (il Santo stesso, apparso ai fedeli, avrebbe indicato il luogo della sua reposizione). Come i Romani contestano ai Beneventani il corpo di S. Bartolomeo, così i cittadini di Reichenau contestano S. Marco ai Veneziani, essendo giunto a loro dire nella città nell’890.
Oltre un secolo dopo, cioè in pieno X secolo, si ha un’altra traslazione famosa, quella di S. Matteo da Paestum (come e quando vi giunse?) a Salerno (954). Nel 1080 ebbe luogo l’inventio delle reliquie, che spinse il Guiscardo a costruire una nuova cattedrale, consacrata dal papa Gregorio VII. Secondo lo studioso Francesco Spadafora, la lettera che questo pontefice, il 18 settembre 1080 scrisse a S. Alfano, allora arcivescovo di Salerno, per felicitarsi con lui per il ritrovamento del corpo di S. Matteo (Jaffé-Wattenbach, n. 5180), è un documento storico ineccepibile[14]. E indubbiamente il documento dimostra che c’è stata l’inventio e che il Guiscardo ha costruito la cattedrale. Da questo però a dire che l’inventio corrisponde alla scoperta del vero S. Matteo Apostolo che camminava per le strade della Galilea, ce ne corre. Nel nostro caso, infatti, ammesso che Matteo si trovasse effettivamente a Paestum, è molto improbabile che la reposizione del corpo nel 954 a Salerno sia stata poi dimenticata e poco più di un secolo dopo il corpo sia stato scoperto. E’ improbabile sia per l’importanza del Santo, apostolo ed evangelista, che di Salerno che era la potente capitale dell’omonimo principato, che quindi non aveva alcuna ragione a che per le tristi condizioni dell’epoca, fosse tenuto accuratamente nascosto.
In tutte queste narrazioni vi sono dei luoghi comuni agiografici ricorrenti: sogni, visioni, furti, sacerdoti che partecipano, miracoli che comprovano. Spesso c’è l’inventio, il ritrovamento dopo un periodo di dimenticanza e di abbandono. Il fatto stesso dei luoghi comuni tuttavia non deve indurre allo scetticismo, in quanto rientravano quasi nello stile narrativo. E’ necessario invece procedere alla critica storica prescindendo da essi e indagando sull’eventuale esistenza di comprobanti elementi esterni. In tal senso, fra le traslazioni medioevali la meglio documentata è certamente quella di S. Nicola da Mira a Bari.
La storia della traslazione delle reliquie di S. Nicola ci è pervenuta in un corpus di fonti molto ricco nel numero e nei generi letterari, oltre che particolarmente interessante a motivo dell’antichità delle fonti stesse, quasi tutte coeve o di poco posteriori all’avvenimento. L’avvenimento è stato descritto in vere e proprie narrazioni storiche, in testi liturgici, in annali di varie nazioni oltre che in numerosi atti privati conservati in pergamena nell’Archivio della Basilica di S. Nicola.
Le principali narrazioni storiche sono quattro: due baresi (totalmente originali), una francese ed una russa (in parte dipendenti dalle baresi, in parte con elementi originali). I testi liturgici nel mondo latino si riferiscono soprattutto all’ufficio, che per le letture utilizza le suddette fonti baresi. Più ricchi sono i testi liturgici russi, che oltre all’ufficio comprendono anche degli encomi. Il terzo genere letterario, quello degli annali, riguarda quasi tutte le nazioni europee. All’anno 1087 (talvolta con qualche variante) tutti riportano la traslazione di S. Nicola da Mira a Bari, magari ignorando l’ubicazione geografica di questa città. Gli atti privati si trovano ovviamente soltanto a Bari, nel ricco archivio di S. Nicola, di cui sono il direttore.
2. Il racconto di Niceforo Сказание Никифора (1088)
La narrazione di Niceforo è forse il primo testo che fu scritto per riferire le varie fasi della vicenda. L’autore potrebbe essere il protonotaio Nikiforus che stende parecchi atti nell’arco di tempo che va dal 1094 al 1108[15]. Con ogni probabilità fu scritto su incarico della intraprendente borghesia cittadina nostalgica del periodo d’oro appena trascorso e timorosa delle novità apportate dai normanni, i quali avevano privato la città del suo ruolo di capitale dell’Italia bizantina.
Solo due anni prima (1085) era morto Roberto il Guiscardo, il conquistatore normanno che nel 1071 aveva messo fine alla dominazione greco-bizantina nell’Italia meridionale (proprio con la conquista di Bari) e pochi mesi dopo alla dominazione mussulmana in Sicilia. La duchessa Sykelgaita, sua seconda moglie, era riuscita ad ottenere dai conti normanni il riconoscimento del figlio Ruggero Borsa come duca di Puglia. Insoddisfatto era rimasto però Boemondo, figlio della prima moglie del Guiscardo. Dopo forti contrasti ottenne dal fratello il possesso della metà meridionale della Puglia. E mentre Ruggero guardava a Salerno, Boemondo guardava verso l’Oriente, che insieme al padre aveva tentato di conquistare. Così, con Boemondo che si limitava ad amministrare Bari per mezzo di un suo vicario (catapano), la borghesia cittadina fremeva per mantenere il benessere che sembrava destinato a scomparire a causa della perdita del ruolo politico della città.
Il personaggio più rappresentativo di questa “classe politica”, intraprendente e desiderosa di non perdere i privilegi acquisiti durante la precedente dominazione, era il patrizio Curcorio, possibile variante per Gregorio. Fu proprio lui, nell’intento di fare conoscere il carattere laico ed imprenditoriale dell’impresa, ad incaricare Niceforo di stenderne la narrazione[16].
A parte qualche libertà agiografica, il racconto procede col ritmo del diario ed è veramente attendibile in quanto l’autore, che si definisce “clericus”, ebbe modo di apprendere i dettagli della vicenda direttamente dai naviganti e commercianti che compirono l’impresa.
Il suo racconto ci è pervenuto in tre redazioni, quella beneventana, quella vaticana e quella greca. La redazione beneventana[17] sembra essere quella originaria, in quanto rispetto alla vaticana presenta maggiori dettagli e soprattutto i nomi dei marinai con la loro disposizione sulle tre navi. Quella vaticana[18], edita dal Falconio, è praticamente la stessa, con l’omissione di parecchi dettagli. Quella greca[19] è vicina a quella vaticana, ma esprime sentimenti chiaramente antinormanni, cosa che non appare nelle altre due redazioni.
La struttura della recensione beneventana è la seguente:
  1. Prologo
  2. Viaggio commerciale ad Antiochia, dove ci sono anche i Veneziani
  3. Un greco e un francese perlustrano la zona e 47 marinai sbarcano (nomi)
  4. Discussione con i 4 monaci. I baresi dicono che Nicola è apparso al papa.
  5. I monaci sono bloccati. Miracolo dell’ampolla che cade e non si rompe.
  6. Monaco minacciato di spada. Un altro monaco rivela l’avvertimento di Nicola ai miresi (se non tornano in città dai monti, li abbandonerebbe presto).
  7. Matteo rompe il pavimento in corrispondenza del sarcofago.
  8. Matteo rompe la lastra ed il profumo giunge fino al mare.
  9. Matteo consegna ai 2 preti le reliquie, mentre i monaci si lamentano.
  10. Tornano alle navi con le reliquie trasportate dal prete Drogone.
  11. I miresi accorrono al porto. Gridano e singhiozzano.
  12. Furto delle reliquie e navigazione difficile tra Kekowa, Maestra, Patara e Perdicca. Restituzione e ricomposizione.
  13. Mare calmo. Toccano Marciano, Ceresano, Milo (uccellino che volteggia), Stafnu-Bonapolla, Geraca, Monemvasia, Metone, Sukea, S. Giorgio, Bari.
  14. Gioisci o Bari…; esortazione alla penitenza. Arrivo a Bari.
  15. Dissensi fra chi vuole il santo in cattedrale e chi è per una chiesa nuova.
  16. Le reliquie sono affidate all’abate Elia che le porta in S. Benedetto.
  17. Arriva l’arcivescovo Ursone. Scontro armato. Due morti.
  18. Il corpo è trasferito in S. Eustrazio. Elia dirige i lavori di costruzione.
  19. Miracoli (la notte dell’arrivo 47 persone). Il martedì, 9. Mercoledì 29.
  20. Giovedì: visione al venerabile monaco; venerdì: processione; sabato 11.
  21. Altri miracoli (solo recensione beneventana): scavatori sepolti, sanati da Camerino, Amalfi, Siponto.
Come si vede, a parte alcuni momenti a carattere agiografico-poetico (ampolla, sogni, uccellino), Niceforo segue un procedimento ispirato allo stile cronachistico, la cui attendibilità sostanziale è assoluta. Solo in qualche particolare di poco conto possono osservarsi delle discordanze dalle fonti esteriori. D’altra parte, garanzia di credibilità è anche la composizione precoce, vale a dire solo pochi mesi dopo l’avvenimento. Infatti, nel suo racconto si fa riferimento all’episcopato di Ursone come ancora non giunto al termine. Elia, eletto arcivescovo dopo la morte di Ursone (14 febbraio 1089) è detto soltanto abate. Per cui la composizione dell’opera va collocata nell’arco di tempo che va dal luglio 1087 (si parla infatti dell’inizio dei lavori di costruzione della chiesa) al 14 febbraio 1089. Dato però che l’analogo racconto di Giovanni Arcidiacono è una “risposta” a quello di Niceforo, è chiaro che il testo di Niceforo fu portato a termine negli ultimi mesi del 1087 o al massimo nei primi mesi del 1088.
Un discorso a parte va fatto dunque per i miracoli conclusivi, successivi alla costruzione della Basilica (si parla infatti di una chiesa grande e splendida già costruita). Ora, dato che fino al 1103 i documenti parlano di una chiesa aedificanda (in costruzione), e solo dal 1103 è detta constructa, tali miracoli possono essere stati aggiunti da Niceforo o un suo continuatore soltanto dopo il 1103.
3. Il racconto di Giovanni Arcidiacono (1088)
Considerando lo scontro armato per decidere della collocazione delle reliquie se in Cattedrale (chiesa dell’arcivescovo) oppure in una chiesa appositamente costruita, è comprensibile che al racconto commissionato da un partito venisse contrapposto il racconto della parte avversa. Così, come la borghesia cittadina aveva commissionato il racconto a Niceforo, subito l’arcivescovo Ursone commissionò la sua versione dei fatti a Giovanni Arcidiacono[20], l’uomo di punta della cultura barese della fine dell’XI secolo e capo, come arcidiacono, del capitolo, vale a dire del clero della città stabilmente al servizio della Cattedrale.
Questo scrittore, però, non si accontenta di contrapporsi a Niceforo. E’ consapevole che S. Nicola per la città di Bari è qualcosa di unico. Per cui presenta un prologo che è piuttosto un proclama universale di gioia cristiana: A tutte le chiese di Cristo annunciamo e rendiamo noto con questo nostro scritto i fatti meravigliosi, degni di lode e di venerazione, che Dio onnipotente si è degnato ai nostri giorni di mostrare ai mortali per i meriti del suo servo, il beatissimo Nicola: come cioè il suo sacratissimo corpo sia stato preso dalla metropoli di Mira e portato via dai Baresi per mare fino a Bari.
L’orgoglio dello scrittore sacro, che forse neppure sapeva delle chiese in Russia, si manifesta nell’osservazione che presso tutti i popoli e le regioni, ove si venera Cristo nostro Signore, sono a lui dedicate più chiese che agli altri santi…. Perciò i fedeli debbono festeggiare la ricorrenza della Traslazione con una gioia ed una frequenza non minori di quelle del giorno della sua commemorazione.
Ecco lo schema della sua narrazione:
  1. Prologo e committenza di Ursone
  2. Precedenti tentativi di furto delle reliquie
  3. I marinai pensano al furto ma sono dissuasi dalla presenza saracena a Mira
  4. Ad Antiochia scoprono i progetti dei veneziani e corrono a Mira
  5. Esplorazione. Raggiungono la chiesa e discutono con i monaci (ampolla)
  6. Inviati dal papa. Pronti a pagare. Blocco dei monaci.
  7. Matteo (fonte dell’autore) rompe il pavimento e porge le reliquie, alcuni sottraggono dei pezzetti. Ritorno alle navi, col prete Lupo che porta le reliquie
  8. Dissidio per la scelta della nave. Arrivo e lamento dei miresi.
  9. Difficile navigazione: Kekowa, Maestra, Macri. Reliquie restituite
  10. Prospera navigazione: sogno di Disigio, e uccellino.
  11. Ursone e Giovanni da Trani raggiungono Bari
  12. Lotta intestina fra i cittadini su dove collocare le reliquie
  13. Giunto l’arcivescovo (dopo!), permette che le reliquie siano depositate in S. Stefano costruita tre anni prima.
  14. Ursone affida le reliquie ad Elia e lo incarica della costruzione della Basilica
  15. “Gioisci dunque Bari di una gioia straordinaria, ma nel Signore”
  16. Miracoli dopo la traslazione: reliquie a S. Benedetto più di 30 guariti,
numerosissimi nei giorni successivi. Il paralitico di Ancona. Il sacerdote di Camerino con la gotta (“come egli stesso ci riferì”). Il fanciullino indemoniato di Amalfi. Il fanciullino e la bambina paralitici camminano quando i genitori delusi hanno già lasciato Bari.
Il testo di Giovanni Arcidiacono è dunque assolutamente indipendente da quello di Niceforo. Proprio per dare la versione ecclesiastica dei fatti egli ascoltò personalmente i protagonisti dell’impresa (es. Matteo) oltre che alcuni miracolati. Se Niceforo esalta l’impresa della cittadinanza barese, Giovanni ne esalta il significato religioso. Mentre il primo sottolinea lo scontro con l’arcivescovo, il secondo fa giungere l’arcivescovo dopo i tragici fatti. Il primo rileva la cura del popolo di non fare pervenire le reliquie nelle mani dell’Arcivescovo, il secondo dice che fu l’Arcivescovo ad affidare le reliquie all’abate Elia. Che però Giovanni conoscesse il testo di Niceforo si deduce non soltanto da tutta l’impostazione, ma anche da alcune omissioni (come la maggior parte delle tappe della navigazione) e l’omissione di diversi nomi. E’ evidente che non aveva alcuna intenzione di stare a ripetere cose che i Baresi ben conoscevano dalla precedente relazione.
Sia Niceforo che Giovanni ebbero una enorme diffusione in tutta l’Europa del tempo, e molti scrittori trassero dall’uno o dall’altro molto materiale per i loro lavori. Ad esempio, lo storico normanno Orderico Vitale circa 40 anni dopo, con pochi tagli, riprendeva quasi integralmente il testo di Giovanni[21]. Eccezionale fu la diffusione in Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, Svizzera e soprattutto in Francia. Lo strumento di tale diffusione è rappresentato da una specia di Commonwealth normanno che univa la Francia, l’Italia, l’Inghilterra, la Terra Santa e la Rus’ dei Variaghi. Per cui, come dice Giovanni (introducendo i miracoli dopo la traslazione), la fama, mossa da ali leggerissime, trasvolò sempre più lontano. I codici che riportano queste Historiae Translationis non sono ancora stati catalogati in modo definitivo. Quelli di cui io ho notizia, contenenti i testi integrali o parziali, sono più di cento.
4. Il compilatore franco-gerosolimitano (1095 circa)
Fra le fonti parzialmente indipendenti c’è quella cosiddetta “gerosolimitana”[22]. Alcuni studiosi, come Agostino Pertusi, la considerano una variante di Niceforo e quindi la classificano come una quarta redazione dello scrittore barese[23]. La tesi è più che legittima, considerando che nel Prologo l’autore si presenta come Niceforo e i primi tre capitoli sono presi quasi letteralmente da Niceforo. Tuttavia i capitoli 4-9 contengono interi testi di Giovanni Arcidiacono (tentativi di furto falliti e cronologia del Santo). Vari particolari nuovi dà poi l’autore a proposito del soggiorno ad Antiochia e la preparazione dello sbarco a Mira. Quindi riprende con il testo di Niceforo. L’appellativo di franco gli deriva da un particolare. Quando descrive il contrasto coi monaci, in prima fila non pone solo Matteo (come in Niceforo e Giovanni), ma un altro giovane guerriero, tale Alessandro, discendente da una famiglia della regione dell’Alvernia (cap. 20-23)Quindi riprende il testo di Niceforo, con qualche dettaglio in più in occasione dell’arrivo a Bari. Al cap. 37 è riportato anche il sogno del venerabile monaco sul futuro catapano della Puglia (S. Nicola), che presenta qualche analogia con lo Slovo russo. Infine, numerose sono le novità nei capitoli conclusivi che si soffermano prima sul Santo (capp. 38-40), poi sui miracoli (capp. 41-45).
5. Annali e cronache latine
Lo studioso americano Charles William Jones ha recentemente sottolineato il primato della traslazione di S. Nicola a bari dal punto di vista della ricchezza della documentazione: Translation of relics elicit documents to authenticate the event and to be read at public commemoration, … but no saint’s translation has been graced with such international documentation as Saint Nicholas’. Practically every western chronicler of the generation reported this event of 1087.[24]
A parte le Historiae di cui si è parlato, il mezzo più comune con cui l’uomo medioevale venne a conoscenza dell’impresa barese fu quello degli annali. Con qualche piccola variante, tra il 1087 ed il 1090 quasi tutti i cronisti riportarono la notizia, diffusa forse anche dal movimento verso l’Oriente messo su in occasione della Prima Crociata. Gli annali più antichi ad includere la traslazione di S. Nicola tra gli avvenimenti sono stati pubblicati quasi tutti nella grande raccolta dei Monumenta Germaniae Historica (MGH):
Annales Farfenses (661-1099), a. 1087 (MGH XI, p. 589)
Annales Lupi Protospatharii (855-1102), a. 1087 (MGH V, p. 62)
Annales Augustani (973-1104), a. 1087 (MGH III, p. 133)
Hugonis Floriacensis Liber (fino al 1108), a. 1087 (MGH IX, p. 392)
Annales Ottenburani (1040-1111), a. 1087 (MGH V, p. 8)
Sigeberti Gemblacensis Chronicon (381-1111), a. 1087 (MGH VI, pp. 365-366)
Anonymi Barensis Chronicon (604-1118), a. 1087 (RIS, V, p. 154)
Lamberti Audomarensis Chronicon (919-1120), a. 1087 (MGH V, p. 66)
Annales Leodienses continuatio (1055-1121), a. 1087 (MGH IV, p. 29)
Annales Rosenveldenses (1057-1130), a. 1087/1088 (MGH XVI, p. 101)
Annales Beneventani (759-1130), a. 1087 (MGH III, p. 182)
Auctarium Claustroneoburgense (1072-1134), a. 1090 (MGH IX, p. 628)
Chronicon Monasterii Casinensis (Pietro Diacono, 1075-1138), a. 1087 (MGH VII, p. 750)
Annalista Saxo (742-1139), a. 1087 (MGH VI, p. 724)
Auctarium Garstense (450-1139), a. 1094 (MGH IX, p. 568)
Annales Admuntenses (453-1139), a. 1094 (MGH IX, p. 576)
Annales Cavenses, a. 1087 (MGH III, p. 190)
Annales Sancti Jacobi, a. 1087 (MGH XVI, p. 639)
Ai dati cronachistici bisogna aggiungere una serie di elementi che si trovano in testi storici o biografici che non descrivono la traslazione barese, ma che vi fanno più o meno esplicito riferimento. Trattasi di una serie di testi legati a due grandi avvenimenti che ebbero luogo durante gli anni di costruzione della Basilica: il passaggio dei grandi cavalieri della prima crociata nell’ottobre del 1096 e il concilio di Bari nell’ottobre del 1098 (secondo il computo barese rispettivamente 1097 e 1099). I più importanti di questi non sono non soltanto coevi, ma hanno quale autore un testimone oculare. Così, ad esempio, Fulcherio di Chartres, autore della più importante storia della prima crociata, scrive:
Nos autem per mediam Campaniam et Apuliam euntes, pervenimus Barum, quae civitas optima, in maris margine sita est ; ibique ecclesia Sancti Nicolai fusis ad Deum precibus nostris, portum tunc adeuntes, sine mora transfretare putavimus[25]Testimone oculare fu anche quel Roberto Monaco autore dei Miracula(nei quali S. Nicola ha gran parte), ma che è più famose per un’altra opera sulla prima crociata[26]. Testimone oculare e parte in causa fu anche lo scrittore inglese Eadmer, segretario personale di S. Anselmo di Canterbury al concilio di Bari, un concilio tenutosi ante corpus beati Nicolai[27]Il segretario di S. Anselmo offre un quadro molto ricco della situazione della Basilica nel 1098, più di sfuggita nella prima Vita del Santo[28], più dettagliato nella seconda.
Sulla scia di Eadmer sostanziosi riferimenti alla traslazione barese contiene anche William of Malmesbury nella sua storia dei vescovi inglesi[29] e soprattutto Orderico Vitale nella sua Storia ecclesiastica[30]. Anzi, quest’ultimo riporta anche un episodio relativo al furto di una reliquia del Santo da Bari. Egli narra infatti che Stefano, un cantore di un monastero in costruzione presso Anjou, col permesso del superiore si recò a Bari, riuscendo a conquistarsi la simpatia e la fiducia di uno dei custodi dell’altare del Santo. Riuscì così a rubare il braccio di S. Nicola col quale si benedicevano i pellegrini e che non era stato riposto con le altre reliquie del Santo, ma era conservato in un reliquiario d’argento presso la tomba del Santo. La cosa fece scalpore e per totam Italiam et Siciliam famam volitavit. Stefano pervenne così a Venezia, senza però riuscire a mantenere il segreto. Eremperto, ex guerriero normanno fattosi monaco, scoprì la reliquia e se ne appropriò con la forza, donandola poi al monastero della Trinità. Un’altra reliquia (dente e pezzettini del sarcofago), sempre secondo Orderico Vitale, riuscì ad ottenere anche il normanno Guglielmo Pandolfo, ricco e famoso, giunto a Bari nel 1092.
In Inghilterra comunque la traslazione di S. Nicola doveva essere abbastanza nota non soltanto per i contatti con Bari di S. Anselmo di Canterbury e le relazioni degli storici suddetti, ma anche per un poemetto proveniente da un’abbazia del Sussex, fondata da Guglielmo il Conquistatore. Questo poemetto, che potremmo chiamarePianga il popolo di Grecia, narra in versi sinteticamente la storia della traslazione a Bari, con elementi che provengono da Niceforo[31].
6. Testi liturgici
Non sembra esistere un atto ufficiale di istituzione della festa della traslazione da parte del papa Urbano II. Con ogni probabilità non ci fu alcun atto in tal senso, lasciando la sua celebrazione all’iniziativa delle chiese locali. A quei tempi anche la canonizzazione dei Santi era ancora compito della Chiesa locale, come dimostra la canonizzazione del santo greco Nicola Pellegrino da parte della Chiesa di Trani. Che a Bari subito fosse istituita questa festa si evince da tutte le bolle papali, che al momento di specificare quando gli arcivescovi potevano indossare il pallio, oltre alla festa del 6 dicembre veniva indicata anche quella della traslazione del 9 maggio[32].
La mancanza di una istituzione ufficiale ed universale fece sì che ogni chiesa e soprattutto ogni monastero componessero uffici propri. Tali uffici mancano di solito di originalità, poiché si limitano ad applicare a Nicola il comune ufficio della traslazione delle reliquie, entrando nello specifico solo con le letture del Mattutino. A questo punto alcuni testi liturgici estraggono brani integrali da Niceforo o da Giovanni Arcidiacono, alcuni si limitano a sintetizzarli. Ovviamente dal punto di vista contenutistico non vi sono novità. Non vanno però dimenticati gli inni composti in onore di questa festa, e che parzialmente sono stati pubblicati da Clemens Blume e Guido M. Dreves[33]. In un responsorio Ad nocturnum si collega la traslazione alla santa manna:
Gemma beatorum / Nicolae, salus miserorum,
Inclite dux Christi, / dum transferri meruisti,
Dulcis odor manat, / tua virtus languida sanat[34].
Sempre all’ufficio del Notturno si riferisce un inno, in cui ancora più esplicito è l’aspetto miracoloso della manna:
Ex ipsius tumba manat / unctionis copia,
Quae infirmos omnes sanat / per eius suffragia,
Sanitati cedit morbus, / fugantur daemonia[35].
In un altro inno che si cantava alle Lodi si metteva in luce la provvidenzialità dell’evento traslazione, nonché la virtù taumaturgica del Santo:
Adest ejus translatio, / Qui in coeli palatio /Angelorum consortio /Fovetur et obsequio
De Myreis litoribus /Barae portatus navibus,/ Membra multorum morbida / dono Dei dat vivida[36].
Un altro inno è quasi una sintesi storica in versi secondo lo schema secondo il quale il primo versetto è recitato da tutto il coro: Gratias et laudes Deo / reddamus cum gaudio. Gli altri versetti, 2° e 2b, 3° e 3b, 4° e 4b rappresentano la contrapposizione fra la recita del coro di destra (2°) subito seguita da quella del coro di sinistra (2b) e così via.
2a - In hac festiva die, / cum Barenses Myreum / mare naufragando pervenere
2b – Ex his quidam in portu /remansere, munita / pars venit ecclesiam occurrentes
3a - Dicunt custodibus:/ nos orare venimus, Sepulchrum sancti praesulis / Nicolai
ostendite nobis
3b – Quod servi monstrantes / invadunt hos Barenses, / Fregerunt vas marmoreum, /
senserunt odorem Libani.
4a – Extraxerunt corpus sancti / veste presbyteri, / praetulerunt ad portum navigii.
4b – Tunc per aequor navigantes / Barim deponentes / ubi laudatur, / coelo canitur
Alleluja[37].
Come si può vedere, l’innografia liturgica riflette molto da vicino il ritmo delle rappresentazioni sacre medioevali, di cui Nicola, dopo Cristo e la Madonna, è incontrastato protagonista[38]. Anche se non sempre è facile determinare il rapporto di causa-effetto fra inno liturgico e rappresentazione sacra. E’ superfluo aggiungere che tutti gli antichi libri liturgici latini che riportano la festa della traslazione fanno riferimento unicamente a Bari come luogo di destinazione delle reliquie miresi.