Estratto da “La Regola di San Benedetto e le Regole dei Padri” di Salvatore Pricoco
Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Mondadori Editore
Per più di due secoli, dopo la morte di Benedetto, la Regola non sembra essere stata né largamente nota né diffusamente applicata. Dopo la distruzione di Montecassino ad opera dei Longobardi (577 ca.) e l'esodo dei monaci cassinesi non conosciamo fondazioni benedettine nell'Italia suburbicaria né altrove; non furono di osservanza benedettina i monasteri romani e quello stesso di sant'Andrea, nel quale condusse vita monastica Gregorio Magno. Fatta eccezione per le allusioni di Gregorio nei Dialogi, la prima menzione della Regola si legge in una lettera che Venerando, fondatore e abate del convento di Altaripa nell'Aquitania, inviò intorno al 610 - 630 al vescovo di Albi, Costanzo. Ma non fu da questo piccolo centro monastico della Francia meridionale che si avviò la fortuna della Regola. La conosce a Luxeuil Colombano, chene riecheggia all'inizio della sua Regola i precetti sull’obbedienza,sull’amore, sul silenzio, e nell’area dei monasteri colombaniani il testo benedettino sembra avere avuto il suo primo centro di propagazione lontano dall'Italia.
Un macroscopico iato geografico, dunque, e una lunga soluzione di continuità separano la redazione della Regola dalla sua prima, certa circolazione fuori del luogo di origine. Per tutto il VII secolo il codice benedettino è menzionato assieme ad altre Regole, come un testo al quale ispirarsi per trarne secondo la consuetudine della regula mixta suggestioni e precetti, ma senza farne il regolamento imperioso e univoco della vita conventuale; echi e accenni negli scritti agiografici o in qualche canone conciliare non bastano a provarne l'uso esclusivo nei monasteri franchi.
Nel secolo VIII la Regula Benedicti comincia a imporsi sulle altre. L'abbazia di Montecassino, che il bresciano Petronace, mandato con un drappello di monaci dal papa Gregorio II, prese a restaurare nel 717, diventa un grande centro di vita monastica, richiama personaggi anche di altissimo rango (come il franco Carlomanno, re abdicatario di Austrasia, o il duca longobardo Rachi) e intesse rapporti con altri importanti centri monastici europei. Nel 787 Carlo Magno visita l'abbazia e ha in mano un esemplare della Regola, del quale più tardi l’abate Teodemaro - un franco - gli invia una copia ad Aquisgrana. Quando la monarchia franca,con Carlo e poi con Ludovico il Pio, progetta di ridurre a unità legislativa tutti i monasteri dell'Impero, un patrizio visigoto, Benedetto abate di Aniane (747 ca.821), si fa attivissimo zelatore della riforma monastica, raccoglie quante più regole riesce a trovare nelle biblioteche dei monasteri e, confrontandole con quella di Benedetto, illustra la superiorità di questa rispetto a tutte le altre; infine impone l’osservanza benedettina nel concilio di abati da lui convocato ad Aquisgrana nell'817. Da allora, per secoli, l’Europa monastica sarà largamente benedettina.
A tanta fortuna concorsero, oltre che ragioni politiche, e in primo luogo l’avallo dei re franchi, anche altri fattori, come il supporto ideologico fornito dal secondo libro dei Dialoghi di Gregorio, e primi fra tutti i pregi intrinseci della Regola, la chiarezza del dettato, la struttura organica, la saggia moderazione dei precetti: le qualità, insomma, che la distinguevano sia dalle Regole orientali che da quella di Colombano, più disorganiche e assai più severe nella normativa sul digiuno, sugli obblighi liturgici,sulle altre adempienze ascetiche.
Alla prima storia delle fondazioni benedettine e della diffusione della Regola si lega, com'è ovvio, la storia del testo e della sua trasmissione manoscritta, trovandovi qualche spiegazione ma non la piena luce. La duplice distruzione dell’abbazia Cassinese, prima ad opera dei Longobardi, poi dei Musulmani, aiuta a spiegare ma non scioglie il paradosso per il quale i primi codici di un testo redatto in Italia provengono - lo vedremo meglio tra poco - dalla Francia settentrionale e dall'area anglosassone e sono databili a circa due secoli di distanza.
All'oscurità delle prime vicende si aggiunge il viluppo della successiva tradizione manoscritta, così intricato da avere indotto taluni editori della Regola a rinunciare a una compiuta ricostruzione stemmatica. Le difficoltà nascono sia dal numero imponente dei codici (più che doppio rispetto a quello di scritti agiografici come la Vita di sant’Antonio di Atanasio o la Storia Lausiaca di Palladio: testi la cui edizione resta di esemplare problematicità) e dai loro rapporti non sempre definibili con sufficiente certezza,sia dal carattere normativo dello scritto benedettino. Le regole monastiche sono «testi vivi», testi in evoluzione, soggetti, per gli scopi pratici a cui sono destinati, a essere modificati e a subire le aggiunte, i tagli, i mutamenti richiesti di volta in volta dalle necessità contingenti del cenobio. Studiosi autorevoli hanno perciò messo in dubbio la legittimità di applicare il tradizionale metodo ecdotico di eredità lachmanniana in uso per i classici e hanno sostenuto l’opportunità di verificare se quelli che negli scritti letterari vengono classificati come errori, omissioni, interpolazioni e utilizzati come varianti utili a raggruppare e classificare i codici manoscritti e a risalire il più possibile all’archetipo, non vadano invece considerati come i segni dell’evoluzione del testo monastico e dei suoi adeguamenti alle esigenze dell’ambiente.
La più organica e puntuale ricostruzione della trasmissione manoscritta della Regula Benedicti è stata compiuta da Ludwig Traube, in un lavoro comparso allo scadere del secolo scorso e salutato dagli studiosi come un esempio insigne della migliore tradizione filologica europea, anche se nei quasi cento anni che sono trascorsi dalla sua prima formulazione ad oggi non solo le sono state apportate in gran numero modifiche e precisazioni, ma non sono neanche mancati coloro che hanno rifiutato i risultati conclusivi dell'indagine e il suo stesso fondamento metodologico. Questi risultati, tuttavia, restano alla base delle moderne edizioni critiche della Regola, le quali sostanzialmente riproducono, a parte la normalizzazione ortografica e linguistica, il testo di A, cioè del codice sangallese la cui fondamentale importanza fu scoperta e dimostrata da Traube. Ulteriori acquisizioni ha fruttato l’ormai acclarata anteriorità della Regula Magistri, i cui codici, di molto anteriori ai primi manoscritti benedettini, sono testimoni utili per le parti comuni ai due testi.
Secondo le conclusioni di Traube, che esponiamo qui in breve e con le necessarie correzioni che le sono state apportate successivamente, i manoscritti della Regola vanno raggruppati in tre classi: la pura, l'interpolata e la contaminata. La classe “pura” deriva dal manoscritto che i monaci cassinesi - secondo il racconto di Paolo Diacono - avrebbero portato a Roma lasciando l'abbazia devastata dai Longobardi. Conservato e dimenticato nella biblioteca del Laterano, il manoscritto, o una sua copia, fu mandato a Cassino dal papa Zaccaria; più tardi, nell'883, allorché Cassino era minacciata dai Saraceni, fu trasferito a Teano e qui andò bruciato nell’incendio che devastò quel monastero. Ma prima che andasse perduto esso fu trascritto più volte. Un suo esemplare,verisimilmente opera di Paolo Diacono, fu spedito alla corte di Aquisgrana e conservato ad Aix-la-Chapelle; ne derivarono una copia due monaci di Reichenau, Grimalto e Tattone, i quali annotarono nel loro esemplare numerose varianti, tratte - essi spiegano in una lettera al bibliotecario della loro abbazia, Regimberto - da esemplari corretti da maestri moderni, de aliis regulis a modernis correctis magistris. La copia fu portata con ogni probabilità a San Gallo da Grimalto, che divenne abate di quel celebre monastero nell’841; su di essa fu esemplato quel Sangallensis 914 (A), il quale, perduti tutti gli antecedenti di cui abbiamo fatto cenno,resta il più antico dei codici della classe pura a noi pervenuti. Da esso discendono un gruppo di manoscritti di varia provenienza edi grande valore. Un altro gruppo mostra caratteristiche diverse e sembra derivare direttamente dal perduto codice cassinese (ma secondo altri studiosi discenderebbe anch’esso, pur lungo vie differenti, dal codice di Aquisgrana), ma attraverso apografi già variamente inquinati, e costituire una seconda sottoclasse della classe “pura”. Di tutti i codici di questa classe, del primo come del secondo gruppo, A resta di gran lunga il migliore.
All'inizio del VII secolo arriva da Roma in Aquitania, ad Altaripa, un esemplare della Regola derivante da un subarchetipo già interpolato, nel quale Venerando leggeva la medesima attribuzione della Regola a unBenedictus Romensis (cioè romano) che ritroviamo in un codice veronese del secolo VIII-IX, appartenente alla classe dei manoscritti interpolati, contraddistinti dalla mancanza dei versetti 40-50 nel Prologo, da numerose varianti e aggiunte, da una diversa facies linguistica. L’esemplare più antico è il codice Oxoniensis Hatton 48 (O), scritto all'inizio del secolo VIII nel monastero di Worchester. Sono questi codici della classe “interpolata” che prendono a circolare nel VII secolo in Gallia, dove ne troviamo gli estratti nellaRegula mixta di Donato (redatta intorno al 655-660), in Inghilterra, nella Germania inferiore. Non è dato dire con certezza per quali vie siano arrivati i primi esemplari, anche se non sono mancate a tale riguardo ipotesi accattivanti.
L’ultima classe, la “contaminata”, accoglie i codici nei quali il testo risulta costituito mediante un processo contaminatorio tra le classi precedenti. Vi rientra l'imponente massa dei manoscritti circolati dopo la riforma carolingia, accorpabili in gruppi regionali nei casi in cui se ne riesca a stabilire l'originaria provenienza. In alcuni casi i modi della contaminazione sono stati identificati con sicurezza; la gran parte dei codici presenta quello che è stato chiamato textus receptus, il testo, cioè, universalmente diffuso. Si tratta di centinaia di manoscritti, provenienti dalle più varie regioni europee e trasmessi lungo i secoli senza alcuna preoccupazione di correttezza testuale, fino all'opera di riconsiderazione e di riordino fatta nel 1439 da un monaco di Melk, Giovanni Schlittpacher, e alla prima edizione a stampa, uscita a Venezia nel 1489.
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