giovedì 31 ottobre 2013

Sulle Sacre Scritture nella vita di Padre Zosima

  
Amici e maestri, ho sentito più volte, soprattutto negli ultimi tempi, che da noi i sacerdoti di Dio, soprattutto nelle zone di campagna, si lamentano ovunque del loro misero stipendio e delle loro umilianti condizioni di vita, e dichiarano, anche per mezzo della stampa (l’ho letto io stesso) di non essere più in grado di spiegare le Scritture al popolo, perché hanno pochi mezzi, e che se i luterani e gli eretici arrivassero a portar via il loro gregge, lo lascerebbero andare, perché, come dicono, hanno poche risorse. Signore Iddio! Che tu li benedica aumentando le loro risorse (perché il loro reclamo è giusto), ma in verità vi dico: se qualcuno è colpevole di questo, allora per metà siamo colpevoli noi stessi! Infatti, anche se non hanno tempo, anche se dicono giustamente di essere presi per tutto il tempo da attività e servizi, ma non sarà per tutto il tempo, perché, dopo tutto, avranno almeno un'ora libera in tutta la settimana per ricordare Dio. E poi non si lavora tutto l'anno. Che un sacerdote raccolga attorno a sé una volta alla settimana, in un’ora serale, anche solo i bambini, in un primo momento – poi i padri lo sapranno e incominceranno a venire anche loro. E non occorre costruire un palazzo per queste cose, basta accoglierli nella sua izba [casetta], non tema che gli si riempia di fango la casa, ci rimarranno solo un'ora. Apra questo libro e inizi a leggere senza parole difficili e senza presunzione, senza elevarsi al di sopra di loro, e con tenerezza e mitezza, felice di leggere con i fedeli, e che questi lo ascoltino e lo comprendano, con amore per le parole della lettura, che si fermi solo di rado per spiegare le parole che i più semplici non riescono a capire, e che non si preoccupi, tutti capiranno, tutto capisce il cuore ortodosso! Che legga la storia di Abramo e Sara, di Isacco e Rebecca, di come Giacobbe andò da Labano e lottò con il Signore in sogno e gli disse: "Questo posto è terribile", e questo rimarrà impresso nelle menti devote della gente più semplice. Che legga, soprattutto ai bambini, come i fratelli vendettero come schiavo Giuseppe, il caro ragazzo, sognatore e il grande profeta, e poi dissero al padre che una belva aveva divorato suo figlio, mostrandogli la sua veste insanguinata. Legga come poi i fratelli arrivarono in Egitto per comprare il pane, e Giuseppe, diventato già un grande dignitario, senza essere riconosciuto da loro, li tormentò, li accusò, imprigionò il fratello Beniamino, e tutto ciò pur amandoli ancora, "Vi voglio bene e per amore vi tormento". Infatti, per tutta la sua vita, si era costantemente ricordato di come l'avevano venduto ai mercanti là nella steppa ardente, vicino al pozzo, e di come lui, torcendosi le mani, piangeva e pregava i fratelli di non venderlo come schiavo in terra straniera. Ed ecco, rivedendoli dopo tanti anni, sentiva di nuovo per loro un amore immenso, ma li perseguitò e li fece soffrire, pur amandoli. Infine si allontanò da loro, non potendo sopportare il dolore nel suo cuore, si gettò sul letto e pianse. Poi si asciugò il volto, tornò da loro sereno e raggiante, ed esclamò: "Fratelli, io sono Giuseppe, vostro fratello". Vada ancora avanti, e legga come il vecchio Giacobbe si rallegrò nel sentire che il suo caro ragazzo era vivo, e come si trascinò fino in Egitto, abbandonando anche la patria, e come morì in terra straniera, dopo aver annunziato, per tutti i secoli dei secoli, la grande parola, che era rimasta misteriosamente chiusa nel suo cuore timido e mansueto tutta la vita, e cioè che dalla sua progenie, dalla stirpe di Giuda, sarebbe uscita la grande speranza del mondo, il pacificatore, il Salvatore! Padri e maestri, perdonatemi, e non vi adirate se parlo come un bambino di cose che già da molto conoscete, e che potete insegnare a me in modo cento più qualificato ed eloquente del mio. Io parlo così per entusiasmo, e perdonatemi se piango, ma amo questo libro! Che si metta a piangere anche lui, il sacerdote di Dio, e vedrà che i cuori di quelli che lo ascoltano gli risponderanno con un fremito. Basta un piccolo seme, un seme minuscolo: lo getti nell'anima dell'uomo semplice, e non morrà. Vivrà dentro di lui per tutta la vita, nascosto nel buio del suo cuore, in mezzo alla putredine dei suoi peccati, come un punto luminoso, come un grande richiamo.. E non c'è bisogno di spiegare molto, di insegnare molto, non ce n'è bisogno; capirà tutto facilmente. Credete forse che l'uomo comune non capisca? Provate a leggergli la storia, toccante e commovente, della bella Ester e dell’arrogante Vasti, o il meraviglioso racconto del profeta Giona nel ventre della balena. Non dimenticate di leggergli anche le parabole del Signore, soprattutto quelle del Vangelo secondo Luca (come ho fatto io), e poi dagli Atti degli Apostoli, la conversione di Saulo (quella è da leggere assolutamente, assolutamente!) E, infine, dalle Vite dei Santi, almeno la vita di Alessio, l'uomo di Dio, e della grande tra le grandi beate lottatrici, Maria l'Egiziaca, che vide Dio e portò Cristo in sé. Con queste storie semplici penetrerete nel suo cuore, e basterà un'ora la settimana, malgrado lo stipendio minuscolo, un'ora soltanto! E allora vedrà che il nostro popolo è misericordioso e riconoscente, e che lo ricompenserà cento volte; ricordandosi del suo zelo e delle sue parole commosse, lo aiuterà volentieri nel suo campo, lo aiuterà anche in casa, e lo rispetterà molto più di prima, ed ecco che così le sue condizioni di vita saranno subito migliori. È una cosa talmente semplice, che a volte si ha perfino paura di dirla, perché qualcuno si burlerà certo di noi, eppure è così vera! Chi non crede in Dio, non crederà neppure nel popolo di Dio. Chi, invece, ha creduto nel popolo di Dio, arriverà sicuramente a comprendere la santità, anche se prima non ci credeva affatto. Soltanto il popolo con la sua forza spirituale futura convertirà i nostri atei, che si sono staccati dalla loro terra natale. E che cos'è la parola di Cristo senza l'esempio? Guai al popolo, se gli manca la parola di Dio, perché la sua anima ha sete di questa parola e di ogni buona impressione.

 

Fëdor Mikhajlovich Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Seconda parte, Sesto libro, II. b

Ecclesiologia: Il rapporto d’Israele con Dio


Israele proprietà di Dio
Dopo aver presentato le diverse forme di manifestazione della chiesa nel VT, vediamo ora quali sono le caratteristiche del rapporto con Dio, dato che questo è il contenuto dell’alleanza. Un primo tema viene particolarmente marcato ed è tipico del linguaggio biblico antico. Esso si fonda su un duplice intervento di Dio, messo in luce dal Deuteronomio per la liberazione dall’Egitto e dal Deuteroisaia per quella da Babilonia. Addirittura in Isaia 43-45 vengono adoperati tre verbi tipici della teologia della creazione per esprimere l’azione di Dio verso Israele: creare, fare e formare. Questo sta ad indicare che Israele è creatura di Dio e che quindi gli appartiene a titolo unico. 
La stessa cosa si legge in Dt, dove l’accento viene posto sulla scelta di amore da parte di Dio. “Poiché tu sei un popolo consacrato a Jahvé tuo Dio; è te che Jahvé tuo Dio ha scelto per suo popolo, tra tutte le nazioni che sono sulla terra. Se Jahvé si è attaccato a voi e vi ha scelto, non è perché voi siate il più numeroso di tutti i popoli; infatti voi siete il meno numeroso dei popoli. Ma è a causa dell’amore per voi e del giuramento giurato ai vostri padri, che Jahvé vi ha fatto uscire con mano forte dalla casa di schiavitù” (Dt 7,6s.)
Questo rapporto con Dio assumerà gli accenti di un amore sponsale soprattutto nel testo del profeta Osea, ad indicare che questa proprietà non è tanto un possesso da padroni, quanto invece affettivo e pieno di misericordia.

Partner dell’alleanza
L’alleanza è il cuore della rivelazione biblica, su cui tutto è fondato e da cui tutto riceve significato, in ogni dimensione temporale, perché alla sua luce si legge il passato, si vive il presente e ci si apre al futuro. “Il sarò il tuo Dio, tu sarai il mio popolo” (Es 6,7). E in Dt si danno anche le finalità di questo patto. “Voi oggi state tutti al cospetto di Jahvé… per stipulare l’alleanza che oggi Jahvé, il tuo Dio, stringe con te, per fare di te oggi il suo popolo ed essere il tuo Dio” (Dt 29, 9-12). 
Tre verbi esprimono le modalità di questo rapporto di grazia, di amore e di benevolenza: conoscere, amare e hesed, come lealtà e solidarietà. “Solo voi io ho riconosciuto tra tutte le famiglie della terra” (Amos 3,2). Con la nuova alleanza, dice il Signore, “tutti mi conosceranno” (Ger 31,34). L’amore viene richiesto come atto fondamentale della fede d’Israele: “Amerai Jahvé, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze” (Dt 6,5). 
Questo amore appassionato viene espresso con il termine hesed ed accompagna tutta la storia d’Israele, ed è amore reciproco; viene da Dio, ma deve essere anche la risposta dell’uomo. “Io voglio l’amore (hesed) non il sacrificio, la conoscenza di Dio, non l’olocausto” (Os 6,6).

Il santuario di Dio
È molto facile vedere che il santuario non è un edificio, ma il popolo dell’alleanza, in mezzo al quale Dio abita. Due testi in particolare mettono in luce questa verità, il primo è dell’Esodo. “Io abiterò in mezzo ai figli d’Israele e sarò il loro Dio. Essi sapranno allora che sono io, Jahvé loro Dio, che li ho fatti uscire dal paese d’Egitto per dimorare tra essi, io Jahvé loro Dio” (Es 29, 45-46). Il secondo è quello famoso di Ezechiele che parla dell’alleanza eterna. “Concluderò con essi un’alleanza pacifica, sarà con essi un’alleanza eterna. Io li stabilirò e li moltiplicherò e stabilirò il mio santuario in mezzo ad essi per sempre. Porrò la mia dimora sopra di essi e sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Ez 37,26). 
Se il popolo è santuario di Dio in quanto popolo dell’alleanza, è tuttavia da notare che esso lo è in modo speciale nel servizio religioso, nel quale Dio manifesta i suoi progetti ed Israele si sforza a realizzarli. Inoltre mediante la preghiera Dio si rende presente e santifica il suo popolo, perdonandogli i peccati.

Missione d’Israele
Il popolo tra i popoli
È noto che si parla di Israele come popolo di Dio in opposizione ai pagani che non sono chiamati popolo. Tuttavia questa distinzione non impedisce che Israele esista per i popoli, perché la sua missione è il superamento del particolarismo e dell’individualismo per aprirsi all’universalismo teologico, legato alla elezione. Dio ha scelto Israele perché tra i popoli conservasse viva la sua fede, difendendola da tutti gli attacchi e da tutti i pericoli di assimilazione. Se da una parte c’era chiusura, dall’altra c’è stato anche un notevole contributo culturale degli altri popoli che hanno favorito lo sviluppo di Israele.
Il popolo mediatore
Il rapporto di Israele con gli altri popoli non si limita ad una contrapposizione o ad una presenza che indichi l’azione di Dio, ma mette in luce anche che Israele esiste per i popoli. L’elezione implica responsabilità verso gli altri; non è un privilegio, se non nel senso di una partecipazione agli altri di quanto Dio ha concesso. Così Israele manifesta ai popoli le grandi opere di Dio e mediante la sua fede rende presente Dio nel mondo e tra i popoli. Per questo, nella fede, diventa anche fonte di benedizione per gli altri popoli. In tale modo diventa mediatore regale, profetico e sacerdotale della salvezza, aprendo la linea di quella mediazione che sarà portata a compimento da Cristo.
L’universalismo della salvezza
La salvezza offerta a tutti è nella logica della fede di Israele che professa Dio creatore del mondo e quindi di tutte le realtà. Nel ricco vocabolario biblico questo universalismo è espresso in termini spesso contradditori come assoggettamento (salmi 2 e 72) o come incorporazione (Es 12,38) o come partecipazione al culto di Israele, come dice la preghiera di Salomone per la dedicazione del tempio. “Anche lo straniero che non è del tuo popolo, se viene da un paese lontano a causa del tuo Nome…, se viene a pregare in questo tempio, tu ascoltalo in cielo, dove abiti, esaudisci tutte e domande dello straniero affinché tutti i popoli della terra riconoscano il tuo Nome e ti temano come fa il tuo popolo Israele” (1Re 8,41s).
Il singolo nel tutto
La personalità corporativa
Si dovrebbero esaminare i rapporti tra individuo e collettività e le funzioni del singolo nella comunità, ma puntiamo la nostra attenzione sulla personalità corporativa, anche per il rilievo che ha in tutta la bibbia fino al compimento definitivo con Gesù Cristo. 
Due sono le cose da notare: la comunità, che non è la somma degli individui, può essere considerata come un grande-Io. E un singolo individuo può rappresentare la comunità che in lui è come personificata. Il caso esemplare viene dato dai salmi: l’io dei salmi comprende tutto Israele e il singolo Israelita (ad es. salmi 89 e 129). Ciò vale per il presente, ma anche per il passato, dove nelle figure dei patriarchi della Genesi è rappresentato l’intero popolo di Dio. E riguarda anche il futuro, dove un solo individuo compie la missione di Israele, come vediamo nei canti del servo di Dio del Deuteroisaia (49 e 53). Lo stesso vale per la figura del Figlio dell’Uomo del libro di Daniele c. 7.

Osservazioni  conclusive
Abbiamo trovato nella Ekklesia di Israele delle forme contingenti e provvisorie e delle strutture costitutive. Il rapporto fra di esse non è nella linea di una evoluzione omogenea, perché in fondo l’essenza iniziale resta, cioè l’alleanza e l’elezione. Nella pluralità delle forme è apparsa anche una contrapposizione dialettica, soprattutto tra individuo  e collettività: c’è una polarità positiva: l’individuo è scelto sempre per il bene della comunità. Infine, le istituzioni di Israele sono solo promessa o realtà? Sono questo e quello, perché l’azione della salvezza è iniziata realmente in Israele e ha trovato la sua realizzazione piena in Cristo; ma ci attende ancora la fase escatologica, quella definitiva della partecipazione alla resurrezione di Cristo.

Marino Qualizza


Ecclesiologia: Il rapporto d’Israele con Dio (Marino Qualizza)

Perché in chiesa si prega senza inginocchiarsi in tutte le domeniche e da Pasqua fino a Pentecoste?

 
Come è evidente dalle Sacre Scritture, ci si inchinava, ci si inginocchiava e si facevano prosternazioni durante la preghiera, anche nell'Antico Testamento. Il santo profeta e re Davide si riferisce al gesto di inchinarsi a Dio o nel suo tempio in molti salmi, per esempio: "prosterniamoci al Signore nei suoi santi" (Salmo 28:2), "Mi prosternerò nel tuo santo tempio, nel tuo timore"(Salmo 5:8), "Venite, adoriamo e prosterniamoci a lui "(Salmo 94:6), "Procediamo nei suoi tabernacoli, inchiniamoci nel luogo in cui i suoi piedi si sono posati" (Salmo 131:7), e così via.
Quanto al gesto di inginocchiarsi, è noto che il santo profeta Daniele, per esempio, per tre volte al giorno "si inginocchiava, pregava e rendeva grazie al suo Dio" (Dn 6,10). Anche le prosternazioni complete sono menzionate nei libri dell'Antico Testamento. Per esempio: i profeti Mosè ed Aronne pregarono Dio, dopo essersi prosternati "con la faccia a terra" (Numeri 16:22), di essere misericordioso verso i figli d'Israele che avevano peccato gravemente. Nel Nuovo Testamento, inoltre, l'abitudine di eseguire genuflessioni, prosternazioni e, naturalmente, inchini era stata conservata e aveva ancora un posto nel corso della vita terrena del nostro Signore Gesù Cristo, che ha santificato quest'usanza dell'Antico Testamento con il suo esempio, pregando in ginocchio e con la faccia a terra. Così, sappiamo dai Santi Vangeli che prima della sua passione, nel Giardino di Getsemani, egli "si inginocchiò e pregò" (Matteo 26:39), "cadde a terra e pregò" (Marco 14:35). E dopo l'ascensione del Signore, al tempo dei santi apostoli, questa usanza, di cui parlano anche le Sacre Scritture, rimase invariata. Per esempio, il santo protomartire e arcidiacono Stefano "si inginocchiò," e pregò per i suoi nemici che lo lapidavano (Atti 7:60); l'apostolo Pietro, prima di risuscitare Tabitha dai morti, "si inginocchiò e pregò" (Atti 9:40), ecc. E' un fatto indiscutibile che, come sotto i primi successori degli apostoli, così anche in periodi molto successivi dell'esistenza della Chiesa di Cristo, le genuflessioni, gli inchini e le prosternazioni fino a terra sono stati sempre impiegati dai veri credenti nelle preghiere domestiche e nei servizi divini. Nell'antichità, tra le altre attività corporee, inginocchiarsi era considerata la manifestazione esteriore di preghiera più gradita a Dio. Così, sant'Ambrogio di Milano dice: "Al di là di tutto il resto delle fatiche ascetiche, inginocchiarsi ha il potere di placare l'ira di Dio e di evocare la sua misericordia" (Libro VI, I sei giorni della Creazione, cap. 9).
I canoni relativi agli inchini e alle genuflessioniormai accettati dalla Chiesa ortodossa e che si trovano nei libri dei servizi divini, e in particolare nel Tipico della Chiesa, si osservano nei monasteri. Ma in generale, ai cristiani ortodossi laici pieni di zelo è permesso di pregare in ginocchio in chiesa e fare prosternazioni complete ogni volta che lo desiderano, con la sola eccezione dei momenti in cui si leggono il Vangelo, l'Apostolo, le letture dell'Antico Testamento, e i sei salmi e durante le prediche. La Santa Chiesa guarda a queste persone in modo amorevole, e non vincola i loro sentimenti di devozione. Tuttavia, le eccezioni per quanto riguarda la domenica, e i giorni tra Pasqua e Pentecoste, si applicano in generale a tutti. Secondo l'antica tradizione e una legge chiara della Chiesa, non ci si deve mettere in ginocchio in questi giorni. La radiosa solennità degli eventi che la Chiesa commemora per tutto il periodo da Pasqua a Pentecoste e alle domeniche preclude, in sé e per sé, ogni manifestazione esterna di dolore o di lamento dei propri peccati: poiché Gesù Cristo "avendo cancellato il documento dei nostri peccati... inchiodandolo alla sua Croce, e sconfitto i principati e le potenze, li ha sconfessati apertamente, trionfando su di loro" (Col 2,14-15), da allora "non esiste, pertanto, alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù" (Rm 8,1). Per questo motivo, è stata osservata nella Chiesa fin dai primi tempi, e indubbiamente tramandata dagli apostoli, la pratica per cui in tutti questi giorni, consacrati alla commemorazione della gloriosa vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte, si richiedeva compiere il servizio divino pubblico in modo lieto e con solennità, e in particolare senza inginocchiarsi, che è un segno del dolore e del pentimento per i propri peccati. Nel secondo secolo lo scrittore Tertulliano testimonia questa pratica: "Il giorno del Signore (cioè la domenica) riteniamo improprio digiunare o inginocchiarsi, e godiamo anche di questa libertà da Pasqua fino a Pentecoste" (Sulla corona, 3 cat.). San Pietro di Alessandria (III sec., cfr. il suo Canone XV nel Pedalion), e le Costituzioni Apostoliche (Libro II, cap. 59) dicono la stessa cosa.
In seguito, il Primo Concilio Ecumenico ha ritenuto necessario rendere questa abitudine giuridicamente vincolante con un canone speciale obbligatorio per tutta la Chiesa. Il canone del Concilio afferma: "Dal momento che ci sono alcune persone che si inginocchiano in chiesa la domenica e nei giorni della Pentecoste, con l'obiettivo di preservare l'uniformità in tutte le parrocchie, è sembrato migliore al santo Concilio che le preghiere siano offerte a Dio stando in piedi "(Canone XX).
Sottolineando questo canone, San Basilio il Grande spiega in questo modo le motivazioni e il significato della prassi consolidata: «Ci alziamo in preghiera il primo giorno della settimana, anche se non tutti ne conosciamo la ragione. Non solo ci serve a ricordarci che, una volta risorti dai morti insieme con Cristo, dobbiamo cercare le cose dall'alto, nel giorno della resurrezione di grazia che ci è dato, stando in piedi in preghiera, ma questo sembra anche servire in un certo modo come prefigurazione dell'era prevista. Perciò, essendo anche il punto di partenza dei giorni, anche se non il primo per Mosè, è stato tuttavia chiamato il primo. Si dice infatti: 'E fu sera e fu mattina: primo giorno' (Gen. 1:5), per il motivo che ritorna ancora e ancora. L'ottavo, quindi, è anche il primo, tanto più per quanto riguarda quel vero e proprio primo e ottavo giorno, che il Salmista ha menzionato in alcune delle introduzioni dei suoi salmi, per esporre lo stato di ciò che sarà dopo questo periodo di tempo, il giorno incessante, il giorno senza notte che segue, il giorno senza successore, l'era che non finisce mai e non invecchia. Necessariamente, quindi, la Chiesa insegna ai suoi figli ad adempiere ai loro obblighi di preghiera in questo giorno, stando in piedi, in modo da ricordare loro costantemente la vita immortale e di non far loro trascurare di fare provviste per il viaggio verso quel giorno. E ogni Pentecoste è un ricordo della risurrezione prevista nel tempo che verrà. Quel giorno, moltiplicato per sette, costituisce le sette settimane della santa Pentecoste. Iniziando dal primo giorno della settimana, si arriva nello stesso giorno... Le leggi della Chiesa ci hanno insegnato a preferire la postura eretta in preghiera, trasportando così la nostra mente, per così dire, come risultato di suggerimenti vividi e chiari, dal tempo presente alle cose a venire in futuro. E durante ogni momento in cui ci inginocchiamo e ci rialziamo di nuovo in piedi mostriamo di fatto con le nostre azioni che è stato a causa del peccato che siamo caduti a terra, e che attraverso la bontà di Colui che ci ha creati siamo richiamati al cielo ... "(Canone XCI di San Basilio il Grande). Le tre ben note preghiere in ginocchio della Pentecoste, composte da questo grande Padre della Chiesa, non sono quindi lette all'ora Terza, quando lo Spirito Santo discese sugli apostoli, né alla Liturgia di Pentecoste, ma dopo l'ingresso del Vespro, che è già parte del giorno successivo. Il santo Padre era determinato a non rompere l'antica consuetudine della Chiesa.
Nel Canone XC del Concilio trullano, organizzato in concomitanza con il sesto Concilio ecumenico, si legge: "Abbiamo ricevuto i canoni dei nostri Padri teofori che portano a non piegare le ginocchia alla domenica, quando onoriamo la risurrezione di Cristo. Dato che questa osservazione può non essere chiara per alcuni di noi, cerchiamo di chiarire ai fedeli che, dopo l'ingresso dei chierici nell'altare sacrificale, alla sera del sabato, che nessuno di loro pieghi le ginocchia fino a sera della domenica seguente, quando, in seguito all'ingresso dopo l'accensione delle luci, piegando di nuovo le ginocchia, ricominciamo a offrire le nostre preghiere al Signore. Infatti, in quanto ci è stato tramandato che la notte dopo il sabato è stata il precursore della risurrezione del nostro Salvatore, iniziamo i nostri inni a questo punto in un modo spirituale, terminando la festa con un passaggio dalle tenebre alla luce, in modo da poter quindi celebrare la resurrezione insieme per un giorno intero e una notte intera". Giovanni Zonaras, spiegando il canone, dice: "Vari canoni hanno stabilito di non inginocchiarsi la domenica o durante i cinquanta giorni della Pentecoste, e Basilio il Grande ha pure fornito le ragioni per le quali questo era vietato. Questo canone decreta solo per quanto riguarda la Domenica, e indica chiaramente da che ora e fino a che ora inginocchiarsi, e dice: 'Al sabato , dopo l'ingresso dei celebranti all'altare nel Vespro, nessuno può piegare il ginocchio fino al Vespro della domenica, quando, cioè, ancora una volta avviene l'ingresso dei celebranti: noi non lo trasgrediamo piegando il ginocchio e pregando in ginocchio da quel momento in poi. La notte del sabato è considerata la sera del giorno della risurrezione, che secondo le parole di questo canone dobbiamo passare nel canto dei salmi, portando la festa dalle tenebre alla luce, e in tal modo celebrare la resurrezione per tutta la notte e il giorno" (Libro dei Canoni con interpretazioni, p. 729).
Nel Tipico della Chiesa c'è un'istruzione riguardo a come il sacerdote deve avvicinarsi e baciare il Vangelo dopo averlo letto durante la Veglia notturna della risurrezione: "Non fate prosternazioni fino a terra, ma piccoli inchini, toccando il suolo con la mano. Alla domenica e alle feste del Signore e durante tutti i 50 giorni tra la Pasqua e la Pentecoste non si piegano le ginocchia" (Tipico, cap. 2).
Tuttavia, stare in piedi ai servizi divini alla domenica e nei giorni tra la Pasqua e la Pentecoste era il privilegio di coloro che erano in piena comunione con la Chiesa; i cosiddetti "penitenti" invece non erano dispensati dallo stare in ginocchio, anche in quei giorni.
Chiudiamo con queste parole del famoso interprete dei canoni ecclesiastici, Teodoro Balsamo, Patriarca di Antiochia: "Mantenete i decreti canonici, dovunque e comunque siano stati formulati, e non dite che ci sono contraddizioni tra loro, poiché lo Spirito tuttosanto li ha formulati tutti" (Interpretazione del Canone XC del Concilio trullano).

 


Da Orthodox Life, vol. 27, n. 3 (maggio-giugno 1977), pp 47-50.

mercoledì 30 ottobre 2013

Ecclesiologia di san Paolo

Seguendo, per il NT, le indicazioni di H. Schlier, possiamo presentare il ricco pensiero e le profonde riflessioni teologiche di san Paolo, in quattro punti: 1. I nomi della Chiesa. 2. Il mistero della Chiesa. 3. L’edificazione della Chiesa. 4 .I membri della Chiesa.
I nomi della Chiesa
Nella tradizione biblica il nome non è una designazione secondaria o parte di un elenco per avere una traccia, ma indica qualcosa di profondo, che mette in luce la realtà evocata dal nome. Cominciamo così con la prima designazione: Popolo di Dio ed ekklesìa. Il primo termine è adoperato due sole volte e in citazioni dall’AT, Rom 9,25s e 2Cor 6,16. La prima conclusione è che il popolo di Dio del VT si identifica con la Chiesa. Tuttavia a Paolo il termine non pare troppo pregnante ed allora gli preferisce quello di ekklesìa, desunto dall’AT greco, nel quale può esprimere con maggiore ricchezza il concetto di Popolo di Dio. In riferimento all’AT, dove si parla della comunità d’Israele –qahal- tradotta in greco come ekklesìa, si vuole esprimere che si tratta di realtà viva in riferimento a Dio Padre e al Signore Gesù Cristo 1 e 2Tes 1,1 e 1Tes 2,14.
La Chiesa di Cristo è la continuazione del popolo di Dio, Israele e nello stesso tempo, anche il suo compimento; in essa il popolo del VT è reso perfetto sino alla fine, 1Cor 10,5s. Questo popolo compare nelle singole comunità disseminate nel mondo, ma è un popolo solo e deve conservare l’unità come motivo di credibilità. È la raccomandazione costante dell’apostolo, Rom 12,3s, 14,1s e 1Cor 1,10s. “Nel concetto di ekklesìa si delineano chiaramente alcuni tratti caratteristici della Chiesa. Paolo la considera il popolo di Dio, già preparato in Israele e che ora, nei tempi finali, si trova concentrato in questo ‘Israele di Dio’ formato di giudei e di pagani. Esso compare ovunque, da Gerusalemme a Roma e fino in Spagna e ben presto in molti altri luoghi dell’ecumene, ma è sempre un unico popolo che si presenta come la santa convocazione e la santa adunanza, come la cittadinanza della colonia della città celeste sulla terra, la quale si raduna per compiere gli atti sacri e pubblici del culto” (Schlier 185).
La seconda designazione della Chiesa è ‘corpo di Cristo’. Sono due i modi di concepire questa attribuzione, e sono presenti in 1Cor12 e Rom 12, con la sola indicazione di ‘corpo’ e poi in Colossesi ed Efesini, Col 1,18.24 e 2,19; Ef 1,22s, 4,12.16, 5,23.30, dove si trova l’espressione completa ed indica il rapporto personale di Cristo con la Chiesa, in quanto in essa si trova lui in persona, come suo fondamento stabile ed imperituro. Nelle lettere 1Cor e Romani viene espresso un altro concetto, quello del rapporto dei fedeli fra di loro, come membra dello stesso corpo. Le due concezioni paoline si completano fra di loro, perché la Chiesa è il corpo che, mediante Cristo, unifica i credenti, chiamandoli ad unità. “Il popolo escatologico di Dio emerge sensibilmente nel corpo di Cristo che al mondo si sottrae pur esistendo per esso e desiderando incorporarsi per la sua salvezza. Nel corpo di Cristo esso si conserva e si rivela come popolo di Dio” (S. 191).
Il terzo concetto riguarda la Chiesa come tempio di Dio ed abitazione dello Spirito: “Non sapete che voi siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se qualcuno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui” 1Cor 3,16s. In conclusione la Chiesa è il tempio dello Spirito Santo, proprietà di Dio nell’umanità, ispirata dallo Spirito e fedele sua custode a vantaggio degli uomini, mediante la sua santità.
Il mistero della Chiesa
È la lettera agli Efesini che ci svela il mistero della Chiesa, collegandolo, già dal primo capitolo con il progetto della creazione riferito a Cristo. Nella storia questo mistero si svolge e compie nella pasqua di morte e resurrezione, per cui il mistero altro non è se non l’offerta di Cristo sulla croce e la nostra partecipazione alla resurrezione. Questo mistero, cioè questa partecipazione alla pasqua di Cristo, viene ora comunicato alla Chiesa che lo rende presente nella forza dello Spirito a vantaggio dell’umanità intera. Così si congiunge la creazione con la resurrezione, l’inizio con la fine, sempre in Cristo Gesù, in cui tutto si ricapitola, Ef 1,10.
L’edificazione della Chiesa
Diversi fattori contribuiscono alla edificazione della Chiesa. Il vangelo ed i segni che lo accompagnano, i servizi ministeriali e carismatici. Questi fattori sono tra loro collegati e contribuiscono alla piena realizzazione del progetto salvifico mediante la Chiesa.
Il vangelo viene presentato, nel vocabolario paolino, con diverse espressioni: è vangelo di Dio, Rom 1,1.9.16; testimonianza e parola di Dio 1Cor 2,1 e 14,36. Esso è affidato alla parola della predicazione che risuona nella voce dell’apostolo e fa presente l’appello di Dio, 1Tes 2,13. Con Cristo il vangelo apre alla salvezza in virtù dell’azione dello Spirito: “Poiché è a noi che Dio l’ha rivelata mediante lo Spirito…E noi ne parliamo non con un linguaggio insegnato dalla sapienza umana, ma con parole apprese dallo Spirito” 1Cor 2,10s.
L’azione dello Spirito si attua mediante le azioni sacramentali, a cominciare dal battesimo, mediante il quale i credenti vengono inseriti e resi partecipi del mistero totale della pasqua di morte e resurrezione, come realtà salvifica definitiva, Rom 6. Continua e viene confermato l’inserimento in Cristo mediante il ‘convito del Signore’, l’eucaristia. In 1Cor 10 e 11 Paolo specifica ed approfondisce la forza dell’eucaristia, come ‘cibo spirituale’ che ci dona la forza dello Spirito.
Il vangelo e le azioni sacramentali sono affidate al servizio dei ministri ed operatori, incaricati da Dio per la fruttuosa amministrazione sacramentale. La parola di Cristo rende i ministri suoi ambasciatori che agiscono in suo nome, 2Cor 5,20. A questo servizio è collegata l’opera della riconciliazione e l’annuncio e la presenza della ‘nuova creazione’ in Cristo, 2Cor 5,18s.
Accanto agli apostoli a cui è stato affidato il ministero della riconciliazione, ci sonno anche i profeti, perché la Chiesa “è edificata sul fondamento degli apostoli e dei profeti” del NT, secondo Ef 2,20. La presenza dei profeti indica che la comunità cristiana è carismatica, nel senso che vive sotto l’azione dello Spirito che la ispira per le scelte giuste e per il cammino nella santità. Ministeri e carismi dovranno essere sempre presenti nella Chiesa perché i credenti si aiutino ad ‘edificarsi a vicenda’ 1Tes 5,11. E non bisognerà mai dimenticare che tutti i ministeri ed i servizi vengono dallo stesso Cristo per promuovere l’edificazione del suo corpo, Ef 4, 11-16.
I membri della Chiesa
“Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo avete rivestito il Cristo…tutti voi non formate che un’unica cosa in Cristo” Gal 3,27. Essere in Cristo significa per l’apostolo avere ricevuto il dono di realizzarsi compiutamente e di orientare tutta l’esistenza in vista di Cristo e con Cristo. Ciò determina la nostra nuova appartenenza: siamo di Cristo Rom 5,5, generati ‘nello Spirito’ Rom 8,9. Questa generazione nello Spirito inserisce il credente nella straordinaria libertà dei figli di Dio, liberi dal peccato e dalla legge, dal mondo e dalle sue potenze, Rom 8,1s e Gal 4,1-8.
Nello svolgimento dello straordinario capitolo di Romani 8, vengono elencati gli effetti dell’essere in Cristo e dell’essere guidati dallo Spirito: si partecipa alla gloria del Cristo, si fa una esperienza straordinaria di lui, si vive nello Spirito e nella fede che significa consegnarsi totalmente a Dio, da cui si riceve vita dalla sua paternità. Questa fede si realizza nell’amore Gal 5,6, e si apre ed abbandona alla speranza, Ef 6,14.
In conclusione, la Chiesa viene edificata nei suoi membri che vivono la loro vita come dono e accolgono tutto con riconoscenza, aperti al mondo futuro, mistero che si svela nella fede.

Marino Qualizza


Ecclesiologia di san Paolo (Marino Qualizza)

Maria di Cleopa e le strane parentele di Gesù

Domanda: "La Vergine Maria aveva una sorella? Non era dunque l'unica figlia dei santi Gioacchino e Anna? Nel Vangelo di San Giovanni, si dice "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleopa e Maria di Magdala" (Gv 19,25).
Se lo scopo di Giovanni 19:25 fosse di fare una distinzione tra "la sorella di sua madre" e "Maria di Cleopa" ci sarebbe quasi certamente un altro "e" che li separa in greco, ma non c'è:
"ειστηκεισαν δε παρα τω σταυρω του ιησου η μητηρ αυτου και η αδελφη της μητρος αυτου μαρια η του κλωπα και μαρια η μαγδαληνη".
Non si trova alcun Padre della Chiesa che interpreti questo testo in senso diverso dal fatto che la sorella in questione è Maria di Cleopa.
Questa domanda ha un ruolo importante nella questione di chi sono i "fratelli del Signore", e se la Vergine Maria è stata sempre vergine, o se ha avuto altri figli da san Giuseppe.
Uno dei passaggi chiave usati dai protestanti che rifiutano la Tradizione della Chiesa su questo tema è Matteo 1:25: " E [Giuseppe] non la conobbe, finché ella ebbe partorito il suo figlio primogenito: ed egli lo chiamò Gesù".
Prima di tutto dobbiamo ricordare che la Bibbia non è stata scritta nelle nostre lingue. La parola tradotta "finché" in questo verso è la stessa parola tradotta " fino a" in Matteo 28:20: "...Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Se seguiamo la logica del ragionamento protestante nel primo capitolo di Matteo, dobbiamo concludere che Cristo non sarà più con noi dopo la fine del mondo. Inoltre, anche diciamo "Joe si è rifiutato di pentirsi fino al giorno della sua morte" noi ovviamente non intendiamo suggerire che si è pentito dopo la morte. Il punto di questo versetto è chiaro. Non lascia spazio per dubitare che Cristo non sia stato il risultato dei rapporti tra la Vergine Maria e san Giuseppe: semplicemente non dice nulla su quello che è successo da allora in poi, in un modo o nell'altro.
San Girolamo scrisse un trattato molto dettagliato su questo argomento che si può trovare in diverse traduzioni facilmente disponibili - si intitola " La verginità perpetua di Maria santissima". Non solo questa era la visione universale nella Chiesa primitiva, ma vi hanno creduto tutti i primi riformatori, come per esempio John Wesley.
In nessuna parte del NT si dice che la Vergine Maria e San Giuseppe siano mai andati oltre il fidanzamento. La Bibbia parla della "sposa" di San Giuseppe, anche quando "era incinta" (Luca 2:05 ), ma non menziona mai che dopo vi sia stato un matrimonio. Nella cultura ebraica, un fidanzamento dà a una coppia tutte le responsabilità del matrimonio, ma nessuno dei privilegi. Una volta promessa sposa, una donna poteva rompere il fidanzamento solo con un divorzio. Tuttavia, alla coppia non era permesso di avere rapporti coniugali fino a dopo la celebrazione pubblica del matrimonio.
I protestanti spesso assumono che la dottrina della verginità perpetua di Maria sia stata progettata per glorificare la Vergine Maria, e non Dio. Ma la dottrina in realtà è importante perché mette in luce l'unicità e la santità del Figlio. Si consideri il seguente versetto :
"Allora il Signore mi disse: questa porta sarà chiusa, non deve essere aperta, e nessuno entrerà per essa, perché il Signore, Dio d'Israele, vi è entrato, quindi deve essere chiusa". (Ezechiele 44:2).
Questo è sempre stato interpretato dai Padri della Chiesa come un riferimento tipologico alla Vergine Maria e all'Incarnazione. Se consideriamo che Dio ha preso carne dal grembo della Vergine, non è difficile immaginare che questo grembo sarebbe rimasto vergine. Se Dio non permette agli uomini di passare attraverso un cancello terrena perché Dio vi era entrato, quanto più questo sarebbe necessario quando si parla del grembo materno con cui Dio si è fatto uomo?
Perché allora la Vergine ha avuto bisogno di san Giuseppe? Tale domanda è valida anche se uno crede che abbia avuto altri figli più tardi - perché ha avuto bisogno di san Giuseppe per dare vita a Cristo? La risposta è ovvia: le vergini di regola non partoriscono, e Cristo sarebbe probabilmente cresciuto come orfano se fosse nato da una ragazza madre, perché lei sarebbe stata lapidata come adultera. Certamente Dio avrebbe potuto intervenire costantemente per proteggere lei e suo figlio, ma normalmente non è così che Dio opera nella storia.
Ma i protestanti obiettano: "Maria ha avuto altri figli. Giacomo si chiama il fratello del Signore I fratelli e le sorelle che sono venuti da Gesù mentre questi insegnava non sono cugini come affermano i cattolici, dato che non vi è alcuna parola greca per cugino..." In realtà c'è una parola greca per "cugino", ma non c'è una parola aramaica per "cugino", e questo è il linguaggio che Cristo e gli Apostoli parlavano. In aramaico (e anche in arabo), se si desidera fare riferimento proprio a un cugino, si dovrebbe dire "il figlio di mio zio" o "la figlia di mia zia". Ma tali circonlocuzioni non sono di uso quotidiano: se, per esempio, stai chiamando un cugino non dici: "Ehi, figlio di mio zio! Vieni qui!" Così, invece, in aramaico, la parola "fratello" o "sorella" può essere utilizzata in riferimento ai parenti.
È estremamente improbabile che la Vergine Maria abbia avuto un'altra sorella dagli stessi genitori, anche lei di nome Maria (Giovanni 19:25). E così chiaramente il termine "sorella" è usato in un senso più ampio. Che è anche molto interessante è che questa Maria, che non è la madre di Cristo, ma che capita essere la sorella della Vergine Maria, capita anche di avere dei figli con gli stessi nomi dei fratelli di Cristo. Vedi: Matteo 27:56, Marco 15:40, 16:1, Luca 24:10, Giovanni 19:25. La versione di Matteo ha Maria madre di Giacomo e di Giuseppe. Marco ha Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe. Giovanni ha "la madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa". Tutti i resoconti menzionano Maria Maddalena separatamente e Matteo cita la madre dei figli di Zebedeo (che non poteva essere sposata con Cleopa). Questo suggerisce che Maria di Cleopa, che è la sorella di Maria, è la madre di Giacomo e di Giuseppe, ecc.
L'apostolo Giacomo, il Figlio di Alfeo non è necessariamente lo stesso Giacomo il minore. Essi non sono collegati nei Vangeli, anche se è possibile questa connessione. Giacomo il minore era il figlio di Cleopa, ma, è possibile che "Cleopa" sia una variante di traslitterazione ellenizzata del nome aramaico "Chalphi" (Alfeo).
Poi abbiamo la testimonianza molto antica di Egesippo che afferma chiaramente che i fratelli del Signore sono i figli di Cleopa fratello di san Giuseppe e sua moglie Maria.
"Dopo il martirio di Giacomo e la conquista di Gerusalemme, che seguì immediatamente, si dice che quelli degli apostoli e dei discepoli del Signore che erano ancora in vita si siano riuniti da tutte le direzioni, con quelli che erano legati al Signore secondo la carne (perché per la maggior parte anche loro erano ancora vivi), a prendere consiglio su chi fosse degno di succedere a Giacomo. Il consenso di tutti scelse Simeone, figlio di Cleopa, di cui anche il Vangelo fa menzione [notate che i Vangeli elencano Simeone come uno dei fratelli del Signore], come degno del trono episcopale di quella chiesa. Egli era un cugino, come si dice, del Salvatore, perché Egesippo nota che Cleopa era fratello di Giuseppe" Eusebio, Storia ecclesiastica 3,11. (nota: Egesippo era un ebreo palestinese del secondo secolo. Eusebio conserva uno dei pochi frammenti rimasti delle sue opere, dal momento che aveva accesso alle grandi biblioteche di Cesarea e di Alessandria, i cui contenuti sono stati per lo più persi in seguito.
"Alcuni di questi eretici, invero, denunciarono Simeone figlio di Cleopa come membro della famiglia di Davide e come cristiano. E per queste accuse soffrì il martirio all'età di 120 anni, durante il regno di Traiano Cesare, quando Attico era proconsole in Siria. Ed avvenne, dice lo stesso autore, che, quando si fecero poi indagini su quelli che appartenevano alla tribù reale degli ebrei, gli accusatori stessi furono condannati per appartenenza ad essa. A ragione si potrebbe dire che Simeone era uno di quelli che in realtà hanno visto e sentito il Signore, a motivo della sua grande età, e anche perché la Scrittura nei Vangeli fa menzione di Maria [moglie] di Cleopa, che, come il nostro racconto ha già dimostrato, era suo padre. Lo stesso storico cita anche gli altri, della famiglia di uno dei famosi fratelli del Salvatore, di nome Giuda, come sopravvissuti fino a questo stesso regno, per la testimonianza che portavano alla fede di Cristo al tempo di Domiziano, come già registrato. Egli scrive ciò che segue: vennero, quindi, e presero la presidenza in ogni chiesa, come testimoni di Cristo, e come parenti del Signore. E dopo che fu stabilita una profonda pace in ogni chiesa rimasero fino al regno di Traiano Cesare: ovvero, fino a quando un discendente di uno zio del Signore, il citato Simeone figlio di Cleopa, fu accusato di varie eresie, e sottoposto ad accuse come il resto, e per la stessa causa, di fronte al legato Attico, e soffrendo tormenti per molti giorni, egli portò testimonianza a Cristo: in modo che tutti, compreso il legato si stupivano oltre misura che un uomo di 120 anni fosse in grado di sopportare tali tormenti. Infine fu condannato a essere crocifisso...." [S. Egesippo (morto nel 170 d.C.), Frammenti dai suoi cinque libri di commentari sugli atti della Chiesa, Ante-Nicene Fathers vol. 8, pag 762]

 

dal blog di padre John Whiteford, 9 ottobre 2013

martedì 29 ottobre 2013

L’Ortodossia e Halloween: come separare i fatti dalla finzione




“L’uomo non deve essere sconvolto per le bestemmie del diavolo, ma solo per i suoi peccati personali, e sperare nella misericordia infinita di Dio, perché dove la speranza in Dio è assente, è presente la coda del diavolo.”
– Anziano Paisios l’Athonita









 



Qui di seguito ci sono alcune citazioni di vari siti web cristiani ortodossi riguardo al “panico satanico” su Halloween, anche se tutti più o meno dicono la stessa cosa e offrono le stesse informazioni distorte:

“I cristiani ortodossi non possono partecipare a questo evento, a qualsiasi livello.”
“Halloween ha le sue radici nel paganesimo, e continua come una forma di culto idolatra di Satana, l’angelo della morte.”
“Il cristiano ortodosso deve capire che la partecipazione a queste pratiche, a qualsiasi livello, è un tradimento idolatra del nostro Dio e della nostra Santa Fede. Se infatti imitiamo i morti travestendoci o vagando nel buio, o chiedendo elemosine, allora abbiamo volutamente cercato la comunione con i morti, il cui Signore non è un Samhain celtico, ma è Satana il Maligno, che si erge contro Dio. Inoltre, se ci prestiamo al dialogo di “dolcetto o scherzetto”, la nostra offerta va a bambini innocenti, ma piuttosto a Samhain, il Signore della Morte che essi sono venuti a servire come imitatori dei morti, vagando nell’oscurità.”
“La festa di Halloween è la notte appropriata per la stregoneria, la chiromanzia, la divinazione, i giochi d’azzardo, il culto di Satana e la stregoneria del tardo Medioevo.”

“Fate attenzione: Halloween non è ciò che sembra! Le sue manifestazioni apparentemente innocenti rappresentano il ricordo di una celebrazione antica profondamente radicata nel paganesimo e nella demonologia e continua ad essere una forma di idolatria, in cui si venera Satana, l’angelo della morte!”.
“Da un punto di vista cristiano ortodosso, la partecipazione a queste pratiche a qualsiasi livello è idolatra, ed è un vero e proprio tradimento del nostro Dio e della nostra Santa Fede. Farlo travestendosi e andando in giro equivale a cercare volontariamente la comunione con i ‘morti’ il cui Signore è anche conosciuto come Satana, il Maligno, che si erge contro Dio. Oppure, partecipare sottomettendosi al dialogo di ‘dolcetto o scherzetto’ significa fare un’offerta, non a bambini innocenti, ma al signore della morte, che inconsapevolmente servono come rappresentanti dei ‘morti’. “
“Anche se Halloween fosse un divertimento buono, pulito, innocente, quale beneficio – spirituale, intellettuale o di altro tipo – porta a un cristiano?”

“Se partecipiamo all’attività rituale di imitare i morti e vagare nel buio chiedendo dolcetti oppure offrendoli ai bambini, abbiamo cercato volontariamente la comunione con i morti, il cui Signore non è Samhain, ma piuttosto Satana. È a Satana allora che questi scherzetti sono offerti, non ai bambini.”
“Halloween mina il fondamento stesso della Chiesa, che è stata fondata sul sangue dei martiri, che si erano rifiutati, dando la loro vita, di partecipare a qualsiasi forma di idolatria.”
 “La Santa Madre Chiesa deve prendere una posizione ferma nel contrastare ogni tipo di questi eventi (pagani). Cristo ci ha insegnato che Dio è il giudice di tutte le nostre azioni e convinzioni e che siamo o PER DIO o CONTRO DIO. Non c’è un approccio neutrale o del mezzo della strada.

“Credo che la questione di Halloween sia un esempio di una lotta più fondamentale tra l’Ortodossia e lo spirito laico del nostro tempo.”
“Questa deve essere la nostra Ortodossia, e credervi e testimoniarla significa diventare un vero e proprio ‘folle per Cristo.’ Non è mai stato più folle di quanto lo sia oggi essere un testimone ortodosso nel mondo secolare di oggi. E’ per questa testimonianza dunque che non partecipiamo a Halloween.”
“Halloween, come viene praticata, si compiace nell’irrilevanza del male spirituale.”

“È quel momento dell’anno in cui la società secolare in cui viviamo si sta preparando per la festa di Halloween. Molti non conoscono le sue radici spirituali e la sua storia, e perché essa contraddice gli insegnamenti della Chiesa.”
“I Santi Padri del primo millennio (un tempo in cui la Chiesa era unita e rigorosamente ortodossa) contrastarono questa festa pagana celtica con l’introduzione della festa di Tutti i Santi. È da questo termine che si è sviluppato il termine Halloween... Le persone che sono rimaste pagane e quindi anti-cristiane hanno reagito al tentativo della Chiesa di soppiantare la loro festa celebrando questa sera con accresciuto fervore.”
“Anche noi abbiamo bisogno di evitare qualsiasi tipo di festa o di celebrazione di Halloween e le decorazioni nelle nostre case. Se i nostri figli frequentano scuole che tengono tali feste, non importa quale sia il giorno, essi non vi devono partecipare”.
Ok, penso che avrete colto l’idea di come molti cristiani ortodossi purtroppo vedono Halloween. La cosa spiacevole è che questi fondano le loro convinzioni su un mucchio di informazioni distorte che non hanno alcun fondamento nei fatti. Se è così, sfido chiunque a presentare le prove storiche che Halloween è davvero una antica festa pagana che era celebrata con sacrifici umani a Satana (Samhain) e che onorava i demoni con ossequi. E queste sono solo alcune delle molteplici distorsioni rese popolari negli opuscoli “cristiani” dei fondamentalisti e dell’editore miliardario Jack Chick.
Questa campagna diffamatoria contro Halloween, che è divenuto un capro espiatorio tra i cristiani come manifestazione ultima di secolarismo e satanismo nella cultura contemporanea, risale solo a tempi piuttosto moderni, quando alcuni gruppi cristiani ricorsero a ogni tipo di racconto fantastico per contrastare l’emergente contro-cultura degli anni ‘60 e ‘70 che stava corrompendo la gioventù. Da allora i leader cristiani ci hanno stretto in una serie di sensi di colpa riguardo a una festa che prima di questa reazione estrema era per la maggior parte davvero innocua come qualsiasi altra festa, e non aveva alcun legame con rituali satanici. Era una festività culturale che, anche se a volte maliziosa, in realtà non rappresentava alcuna minaccia per la società fino a quando siamo stati costretti a credere che lo abbia fatto.
Il fatto è che anche io una volta ero contrario a Halloween per motivi religiosi, convinto dalla letteratura fondamentalista che fosse la “festa del diavolo”, una cospirazione di neopagani e satanisti per corrompere i nostri giovani. Più tardi, quando ho studiato a fondo la festa, sono arrivato a conclusioni diverse. Mi sono reso conto che nell’impurità e nel male del mio cuore egoista stavo scegliendo un nemico molto più facile da combattere, piuttosto che il nemico molto più difficile all’interno, il nemico del mio ego che vede facilmente lo scandalo altrove piuttosto che nell’impurità e negli scandali del mio cuore e della mia mente.
Come bambino nato e cresciuto a Boston, Halloween era una delle mie feste preferite, come per la maggior parte dei giovani americani. Era un momento divertente e innocente per guardare le trasmissioni speciali di Halloween in TV come “È il Grande Cocomero, Charlie Brown” e magari reagire con il mio ‘spaventometro’ ad alcuni film horror leggeri, intagliare le zucche e mangiare i semi tostati, ordinare una serie supplementare di libri di scuola che raccontavano storie di questa festa, travestirsi da personaggio preferito di cartone animato preferito o della cultura pop, fare una festa di Halloween a scuola con le caramelle, colorare immagini di streghe e vampiri e fantasmi che fanno parte del folklore che circonda la festa per domare i profondi timori che i bambini provano per loro, andare a chiedere dolcetti o scherzetti per il quartiere dandoci l’unica possibilità all’anno di soddisfare realmente i nostri vicini e di ricevere un dono amichevole di caramelle, e quando tornavamo ​​a casa ci mangiavamo le nostre caramelle dopo essere stati accuratamente controllati dai genitori. Ero un bambino degli anni ‘80, e primi segnali di paura della festa, che avevano avuto inizio negli anni ’60. stavano incominciando a diffondersi. Giravano voci che vicini malintenzionati mettevano lame di rasoio nelle mele e veleno nelle caramelle per farci del male. Naturalmente, di nessuna di queste voci si trovò l’origine, e questo è stato il primo mito di Halloween, senza fondamento nella realtà, a cui sono stato esposto. Quando la gente si rese conto che nessun crimine del genere era mai stato segnalato, controllavano ancora “tanto per essere sicuri”, dato che ora i media avevano dato ai pazzi un’idea di come ottenere copertura mediatica facendo del male a un bambino il giorno di Halloween. In realtà, questo è esattamente ciò che hanno provocato queste voci in alcuni casi non troppo gravi. L’innocenza e il divertimento furono lentamente ma inesorabilmente perduti.
Quando entrai negli anni della mia adolescenza continuai ad apprezzare Halloween in gran parte con le stesse modalità, ma lentamente smisi di chiedere dolcetti o scherzetti. Mi ricordo che qualche anno fui un po’ discolo a Halloween con i miei amici, ma era soprattutto all’interno della nostra cerchia, in cui facevamo battaglie a colpi di uova e panna montata per puro divertimento. Amavo ancora molto la festa e l’atmosfera che portava alla stagione autunnale, specialmente nel bel mezzo di un autunno del New England con la realtà della morte della natura che ci circondava. Come bambino con molte paure del soprannaturale, questo era un tempo in cui questi timori erano trattati in modo divertente e spiritoso e ciò mi aiutava a riflettere in modo più profondo sulle questioni soprannaturali.
Come la maggior parte della gioventù greca in America del mio tempo, il mio coinvolgimento nella Chiesa era limitato alla domenica e alle feste ecclesiastiche dove avevo servito come chierichetto fin dall’età di sette anni e, naturalmente, ho frequentato la scuola greca due volte alla settimana per sei anni. Dato che amavo le feste come Halloween (così come Natale e Pasqua), fin dalla giovane età ho voluto conoscere la storia dietro a queste feste per celebrarle a un livello più profondo. Questa sete di conoscenza mi ha portato in giovane età a contemplare questioni più profonde rispetto alla maggior parte dei miei coetanei. In effetti, la prima volta che ho aperto la mia Bibbia è stato dopo aver visto il film horror La settima profezia del 1988, interpretato da Demi Moore. Avevo dodici anni e questo era uno dei miei primi film vietati ai più piccoli, ma quando sono tornato a casa ho guardato con ansia nella Bibbia il libro dell’Apocalisse e da quel giorno difficilmente ho smesso di leggere la mia Bibbia.
La mia prima ricerca approfondita sulle origini di Halloween è venuta da un brutto voto nel corso di scienze sociali al settimo anno di scuola. Credo di avere avuto una “B” in un test e dato che volevo mantenere la mia “A” avevo chiesto al mio insegnante qualche credito in più. Dato che era un paio di settimane prima di Halloween il mio insegnante mi ha consigliato di scrivere un documento di due pagine sulle origini di Halloween. Ero di fatto entusiasta di questo incarico e ho iniziato a studiare le origini. Dopo aver letto tutti i libri sull’argomento della mia biblioteca scolastica, nonché gli articoli dell’Encyclopedia Britannica, ho scritto la mia ricerca e ricevuto la mia “A”. Ma questa è stata anche la prima l’assegnazione scolastica che abbia mai avuto, e per cui non solo mi sono emozionato, ma ho anche imparato molto.
Quando avevo circa diciotto anni sono stato coinvolto nella pastorale giovanile della mia diocesi (ora metropolia) e mi è stato chiesto di scrivere un articolo di insegnamento ai giovani su Halloween. A questo punto ero già esposto alla letteratura protestante che esponeva i “pericoli” di Halloween ed ero un po’ in conflitto sul modo di presentare tutte queste informazioni contraddittorie che, in sostanza, avevano cominciato a confondermi riguardo alla festa. Anche se mi sentivo tutto sommato positivo nei confronti della festa, mi sono sentito obbligato a reagire negativamente perché i giovani non fossero infestati dalle “lusinghe demoniache” di Halloween. Anche se ho cercato di essere un po’ moderato nel mio approccio, la mia moderazione era più sul lato negativo, e questo ha reso la maggior parte dei giovani scettici su quello che stavo insegnando, dato che non conoscevano le mie fonti letterarie e non vedevano nulla di male nella festa. Per loro, tutto quello che stavo facendo era privarli di un divertimento innocente e di un po’ di caramelle chiamandolo “demoniaco”. Se fossi stato al posto loro, sarei stato scettico anch’io, così capii pienamente il motivo per cui non riuscivano ad accettarlo.
La confusione che provai quel giorno mi ha spinto a fare ulteriori ricerche in materia, perché mi sembrava che tutte le reazioni negative nei confronti di Halloween fossero basate su miti e propaganda. Mi sembrava che Halloween, come la cultura pop, fosse utilizzata come capro espiatorio tra i cristiani per attribuire il fallimento delle nostre chiese alle “lusinghe demoniache” della società con un evento particolare o una persona, quando in realtà sono state la superficialità e l’irragionevolezza delle chiese che per molti aspetti hanno causato i veri mali che i cristiani dovrebbero temere ed evitare. E quando ho fatto la mia ricerca, ho capito quante menzogne mi erano state dette, e ho deplorato le bugie che avevo diffuso, concentrandomi su problemi che non erano affatto problemi, e coprendo invece i veri problemi.

L’iper-religiosità e Halloween
Quando sento i cristiani di oggi condannare Halloween come una festa demoniaca pieno di riti pagani e accusare tutti partecipanti alla festa di essere in combutta con Satana, di cui non c’è dubbio che fossero alleati anche nei loro anni più giovani, mi torna subito in mente l’iper-religiosità e l’immaturità degli ebrei del tempo nostro Signore Gesù. L’iper-religiosità e immaturità si basano su una paura impropria che tende a fare affidamento sulla superstizione e sulla tradizione umana per affrontare le questioni che riguardano la nostra vita quotidiana, e in cambio qualcosa di buono o addirittura divino potrebbe essere interpretato come maligno o di origine demoniaca. Questo è ciò di cui ha parlato Gesù quando ha accusato i maestri della legge di essere guide cieche che conducono i ciechi, che chiudono le porte del Regno dei Cieli su se stessi e a loro volta non permettono a nessuno di entrare.
Sembra come se fosse nella natura degli ebrei di seguire il sentiero della superstizione e della tradizione umana contro il sentiero chiaro della saggezza e dei comandamenti di Dio. Potrebbe essere questo il motivo per cui i figli di Israele fecero forgiare un vitello d’oro ai piedi del Monte Sinai? Potrebbe anche essere questo il motivo per cui il popolo di Israele abbandonò continuamente le vie di Dio cercando a modo suo di risolvere i propri problemi in tutto l’Antico Testamento? Potrebbero questi incidenti essere anche la fonte delle reazioni estreme degli ebrei e dei dottori della legge al tempo di Gesù, quando tendevano ad aggiungere leggi alla Legge e creare superstizioni per tenere la gente in linea perché Dio non punisse la loro malvagità?
Una reazione estrema comune agli insegnanti della legge iper-religiosi era quella di vedere il diavolo dove non c’era e di non vedere il diavolo dove si trovava. Questo è il motivo per cui accusarono Gesù stesso di essere un agente di Belzebù, principe dei demoni. Tali reazioni estreme iper-religiose si riflettevano sulla gente comune e ignorante, come si vede tra i discepoli di Gesù in Matteo 14, quando videro Gesù che camminava verso la loro barca sopra l’acqua, e ciò faceva si che si chiedessero se era un fantasma, e li faceva, come dice il Vangelo, urlare di paura. Paura, immaturità, iper-religiosità, estremismo e distorsione dei fatti vanno tutti di pari passo, come ci viene spesso insegnato non solo in tutta la Sacra Scrittura, ma anche negli scritti dei Padri della Chiesa.
Anche l’Occidente medievale, soprattutto dopo il Grande Scisma, è diventato una vittima di questa iper-religiosità che scaturisce da una volontaria ignoranza arrogante. Lo vediamo soprattutto durante il tempo delle Crociate e dell’Inquisizione. Le fondamenta degli Stati Uniti si basano su tale iper-religiosità portata dall’Europa, e da questa eventi come i processi alle streghe di Salem e la necessità di separare la Chiesa dallo Stato. In realtà, è l’iper-religiosità che è alla base della laicità dei nostri giorni e non la cultura pop o Halloween. La cultura pop e cose come Halloween, infatti, può essere riflessi della laicità, ma non sono la radice di tutti i mali della società come spesso sostengono certi leader cristiani.

Le origini di Halloween
Non voglio entrare in tutti i dettagli sulle origini di Halloween, per non essere accusato di diffondere io stesso menzogne ​​e propaganda satanica. Invito tutti ad intraprendere la propria onesta ricerca sull’argomento e giudicare da se stessi quali sono le vere origini della festa e separare i fatti dalla finzione. Considerate questo scritto solo come una guida per aiutarvi a pensare un po’ più a fondo sul tema.
Ad esempio, quando leggo tutta la propaganda ignorante riguardo a Halloween, il pensiero che mi viene in mente sono le varie accuse del governo romano fatte contro i primi cristiani. Questo è ciò che Plinio aveva in mente circa nel 110 d.C., quando egli chiama il cristianesimo una “superstizione portata a estremi stravaganti”. Allo stesso modo, lo storico romano Tacito lo definiva “una superstizione mortale”, e lo storico Svetonio chiamava i cristiani “una categoria di persone dedite a una nuova e maliziosa superstizione.” In questo contesto, la parola “superstizione” ha una connotazione leggermente diversa da quella che ha oggi: per i romani, designava qualcosa di estraneo e diverso - in senso negativo. Una credenza religiosa era valida solo nella misura in cui si poteva essere dimostrato che fosse antica e in linea con le antiche usanze; i nuovi insegnamenti erano guardati con diffidenza. È per questo motivo che l’accusa di “ateismo” fu mossa contro i cristiani, e quasi ogni volta che un disastro colpiva l’Impero si accusavano i cristiani di aver scontentato gli dei con il loro ateismo. A un livello più sociale e pratico, i cristiani erano visti con diffidenza in parte a causa della natura segreta e incompresa del loro culto. Parole come “festa dell’amore” e discorsi sul “mangiare la carne di Cristo” suonavano comprensibilmente sospetti ai pagani e i cristiani erano sospettati di cannibalismo, incesto, orge, e di ogni sorta di immoralità.
Sì, questi stessi pagani romani che inventavano queste menzogne ​​contro i cristiani inventavano anche menzogne ​​contro i loro avversari a nord – tra i quali gli antichi celti. Gli storici romani notarono come si fosse fatta una campagna di propaganda contro i celti, fondamentalmente per demonizzare i nemici, in modo da conquistarli in una guerra che divenne una campagna contro il “male”. Tale demonizzazione è ancora oggi comune, quindi non ci dovrebbe sorprendere che i romani l’avessero usata contro i celti. Purtroppo, la propaganda che descrive i “riti terribili” dei druidi, dei quali la propaganda contro Halloween fornisce i dettagli, fu usata solo dai Romani durante le loro campagne, e parla di riti così scandaloso che difficilmente possono essere visti come autentici. Quindi, c’è una netta mancanza di prove storiche o archeologiche che gli antichi druidi abbiano mai sacrificato qualcuno, per esempio. Anche la zucca è una pianta del nuovo mondo che non è mai cresciuta in Europa fino ai tempi moderni, e così non poteva essere usate dai druidi per fare lanterne. Ci sono zero prove che i druidi antichi o i loro fedeli si travestissero in costumi che nascondevano l’identità o che si impegnassero in forme di elemosina rituale al momento del raccolto. I collegamenti tra queste pratiche druidiche e quelle moderne di Halloween si basano su fonti romane antiche e sulla moderna propaganda fondamentalista.
Quello che sappiamo è che i morti erano onorati dai celti, non come figure temibili, ma come spiriti viventi dei propri cari e dei guardiani che detenevano le basi della sapienza della tribù. I riti dei druidi, quali che fossero, quindi, erano interessati al contatto con gli spiriti dei defunti, che erano visti come fonti di guida e di ispirazione, piuttosto che come fonti di terrore. E, naturalmente, c’erano probabilmente divinazione e altre pratiche pagane, ma queste erano comuni in tutto il mondo precedente alla diffusione del cristianesimo e in nessun modo possono spiegare l’assoluta condanna di Halloween nei nostri tempi. Prima e dopo l’arrivo del cristianesimo, l’inizio di novembre era il periodo in cui la gente in Europa occidentale e settentrionale finiva l’ultimo dei propri raccolti, macellava gli animali in eccesso (così gli animali sopravvissuti avrebbero avuto cibo a sufficienza per sopravvivere all’inverno), e teneva grandi feste. Invitavano i loro antenati a unirsi a loro, decoravano le tombe di famiglia, e raccontavano storie di fantasmi.
Per quanto riguarda l’orribile Samhain, secondo i consulenti dell’Ontario sulla tolleranza religiosa, in un saggio intitolato Il mito di Samhain: il Dio celtico dei morti, sia i neopagani che i cristiani hanno torto su questo argomento: “Ci sono alcune prove che esistesse davvero un personaggio oscuro, poco conosciuto di nome Samain o Sawan che ha svolto un ruolo molto secondario nella mitologia celtica. Era un mortale la cui principale pretesa di fama è che Balor dall’occhio malvagio gli aveva rubato la sua mucca magica. Egli è raramente menzionato nella mitologia celtica, la sua esistenza è poco conosciuti, anche tra gli storici della civiltà celtica.” Tuttavia, “...non c’è / non c’era un dio celtico dei morti.. Il grande dio Samhain sembra essere stato inventato nel XVIII secolo, come un dio dei morti, prima che gli antichi popoli celti e la loro religione siano stati studiati da storici e archeologi.” I dizionari principali di lingue celtiche non fanno menzione di alcuna divinità dal nome “Samhain”, mentre il Dizionario etimologico McBain della lingua gaelica dice che “Samhuinn” (l’ortografia gaelica scozzese) significa “marea sacra” (o ‘tempo sacro’), e che probabilmente veniva da radici che significano “fine dell’estate,” con una possibile derivazione dall’assemblea annuale a Tara ogni 1 novembre. Il Dizionario scolastico gaelico MacFarlane lo definisce semplicemente come “Hallowtide.” In altre parole, ciò che troviamo è che Samhain era semplicemente il capodanno celtico, proprio come il 1 settembre era il capodanno ortodosso/romano.
La verità sul dolcetto o scherzetto è ben lontana dalle immagini orribili “evocate” dai fondamentalisti. Piuttosto che un antico complotto satanico per uccidere o corrompere i bambini, la tradizione americana del dolcetto o scherzetto è principalmente una consuetudine moderna inventata da comuni, consigli scolastici e genitori negli anni ‘30 per mantenere i loro figli fuori dai guai. Le grandi paure dei dolcetti avvelenati tirate fuori ogni anno e sfruttate dal signor Chick sono, tuttavia, solo un’altra leggenda metropolitana, come indicato in precedenza. Quasi ogni esempio reale di dolci esplosivi di Halloween si è rivelato essere un complotto per l’omicidio di un parente, non un atto dannoso da parte di estranei.
Secondo il saggio di Tad Tuleja, “Trick or Treat: Pre-Texts and Contexts”, nell’antologia di Jack Santino, Halloween e altre festività della morte e della vita, il moderno dolcetto o scherzetto (soprattutto i bambini che vanno porta a porta, chiedendo caramelle) iniziò in un tempo piuttosto recente, come miscela di diverse influenze antiche e moderne. In vari momenti e luoghi nel Medioevo, si svilupparono usanze di mendicanti, poi di bambini, che chiedevano “dolci dell’anima” in occasione della festa cristiana del giorno dei morti il ​​2 novembre. Questo è anche noto come “souling”. Anche in epoca medievale un tale accattonaggio porta a porta ha avuto luogo durante il periodo natalizio, come si fa ancora in paesi ortodossi contemporanei come la Grecia. Shakespeare menziona la pratica nella sua commedia I due gentiluomini di Verona (1593), quando Speed accusa il suo padrone di “piagnucolare come un mendicante a Ognissanti.” Nel 1605, il tentativo abortito di Guy Fawkes di far saltare in aria il Parlamento inglese il 5 novembre, ha portato alla creazione del “Giorno di Guy Fawkes”, celebrato con la combustione di effigi di Fawkes nei falò e con bambini che si vestivano di stracci per mendicare soldi per i fuochi d’artificio. Nel corso dei decenni, questo si intrecciò completamente con le celebrazioni e i costumi di Ognissanti. Anche verso la metà del XIX secolo a New York, i bambini chiamati “straccioni” si vestivano in costumi e chiedevano monetine agli adulti nel Giorno del Ringraziamento. Anche il vandalismo iniziò a diffondersi nel XIX secolo in America durante la stagione del Ringraziamento tra i ragazzini che facevano scherzi. Con la crescente urbanizzazione e la povertà degli anni ‘30, gli adulti cominciarono a cercare modi di controllare il vandalismo precedentemente innocuo, ma ora sempre più costoso e pericoloso dei “ragazzi”. Comuni e città iniziarono a ad organizzare eventi di Halloween “sicuri” e i padroni di casa iniziarono a distribuire regalini ai bambini del vicinato in modo da distrarli dalla loro precedente anarchia. Gli straccioni scomparvero o cambiarono il loro periodo con la data di Halloween. Tuttavia, non vi è alcuna prova che il "souling" sia mai stato praticato in Nord America, dove il dolcetto o scherzetto può essersi sviluppato indipendente da qualsiasi precedente irlandese o britannico. Ruth Edna Kelley, nella sua storia della festa del 1919, Il libro di Hallowe’en, non fa alcuna menzione di elemosina rituale nel capitolo “Hallowe’en in America.” Kelley viveva a Lynn, Massachusetts, una città con circa 4.500 immigrati irlandesi, 1.900 immigrati inglesi e 700 immigrati scozzesi nel 1920. Le migliaia di cartoline di Halloween prodotti tra la fine del ventesimo secolo e gli anni ‘20 mostrano comunemente i bambini, ma non rappresentano alcun dolcetto o scherzetto. Il dolcetto o scherzetto non sembra essere diventato una pratica diffusa fino agli anni ‘30, con le prime apparizioni del termine negli Stati Uniti nel 1934. Il termine “dolcetto o scherzetto” apparve alla fine in stampa verso il 1939!
Quando spiego queste cose alla gente, mi viene spesso chiesto: “Com’è possibile che queste cose malvagie non avvengano, se tanti predicano che è così? Da dove prenderebbero i cristiani queste idee se non fossero realtà?” La risposta breve, naturalmente, è che i predicatori sono persone e (1) tutte le persone commettono errori, (2) alcune persone sono ignoranti, e (3) altri si limitano a dire bugie per paura o per altre ragioni. Naturalmente, quando dico queste cose non sto difendendo il paganesimo, ma solo la buona vecchia e semplice onestà. Per quanto ne so i druidi possono avere sacrificato bambini o fatto altre cose orribili, ma questo non è supportato da alcuna prova e anche se lo fosse non vi è ancora alcuna prova di rapporto reale tra quelle cose e tutto quello che facciamo il giorno di Halloween, e per questo motivo la propaganda contro Halloween e la ragione umana è malsana e impropria. Se alcuni decidono che Halloween non è una festa appropriata per loro, non c’è bisogno di “portare falsa testimonianza” (vale a dire, raccontare bugie) su Halloween, Neopagani, satanisti o peraltro su qualsiasi altro argomento religioso, al fine di prendere una decisione spirituale per se stessi, o per i propri figli – le uniche persone per le quali essi possono avere il diritto di prendere questa decisione.

La cristianizzazione del mito di una festa pagana
Vi è anche il mito che i cristiani abbiano condannato le feste pagane del 31 ottobre, sostituendole con la Vigilia di tutti i Santi (All Hallows Eve), il giorno prima della festa di Tutti i Santi in Occidente. Si è spesso registrato che nell’anno 601 d.C. Papa Gregorio I emanò un editto ormai famoso ai suoi missionari riguardo alle credenze indigene e ai costumi dei popoli che sperava di convertire. Piuttosto che cercare di cancellare costumi e credenze dei popoli indigeni, il papa insegnò ai suoi missionari a utilizzarli: se un gruppo di persone adoravano un albero, invece di tagliarlo, consigliava loro di consacrarlo a Cristo e permettere di continuare la sua venerazione. Anche se questo è vero, questo editto non è probabilmente il motivo per cui il 1 novembre è diventato la festa di Tutti i Santi in Occidente.
Sia la festa di Tutti i Santi e la festa di tutti i fedeli defunti si sono sviluppate nella vita della Chiesa in modo indipendente del paganesimo e da Halloween. Affrontiamo prima la festa di Tutti i Santi. Le origini esatte di questa festa sono incerte, anche se, dopo la legalizzazione del cristianesimo nel 313 d.C., una commemorazione comune dei santi, specialmente dei martiri, apparve in varie zone in tutta la Chiesa. Per esempio, in Oriente, la città di Edessa celebrava questa festa il 13 maggio, la Siria, il venerdì dopo Pasqua, e la città di Antiochia, la prima domenica dopo la Pentecoste. Entrambi Sant’Efrem. († 373) e San Giovanni Crisostomo († 407) attestano questo giorno di festa nella loro predicazione. Anche in Occidente, una commemorazione di tutti i santi era celebrata la prima domenica dopo la Pentecoste. Il motivo principale per la creazione di un giorno di festa comune era il desiderio di onorare il grande numero di martiri, in particolare durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (284-305), la peggiore e più ampia delle persecuzioni. Molto semplicemente, non c’erano abbastanza giorni dell’anno per un giorno di festa per ogni martire e molti di loro erano morti in gruppi. Un giorno di festa comune per tutti i Santi, quindi, sembrava più appropriato.
Nel 609, l’imperatore Foca diede il Pantheon di Roma a papa Bonifacio IV, che lo riconsacrò il 13 maggio sotto il titolo di Sancta Maria ad Martyres (o Santa Maria e tutti i martiri). Che il papa abbia scelto di proposito il 13 maggio a causa della data della celebrazione popolare già stabilita in Oriente o che si sia trattato solo di una fortunata coincidenza è una questione aperta al dibattito.
La designazione del 1 novembre come Festa di Tutti i Santi ha avuto luogo nel corso del tempo. Papa Gregorio III (731-741) ha dedicato un oratorio nell’originale Basilica di San Pietro in onore di tutti i Santi il 1 novembre, e questa data poi è divenuta la data ufficiale per la celebrazione della festa di Tutti i Santi a Roma. San Beda († 735) ha registrato la celebrazione di Tutti i Santi il ​​1 novembre in Inghilterra, e tale festa esisteva anche a Salisburgo, in Austria. Ado di Vienne († 875) racconta come Papa Gregorio IV chiese a re Luigi il Pio (778-840) a proclamare il 1 novembre come festa di Ognissanti in tutto l’Impero dei Franchi. Anche i sacramentari dei secoli IX e X pongono la festa di Tutti i Santi nel calendario liturgico il 1 novembre.
Secondo uno storico della Chiesa primitiva, Giovanni Beleth († 1165), papa Gregorio IV (827-844) aveva dichiarato ufficialmente il 1 novembre Festa di Tutti i Santi, trasferendola dal 13 maggio. Tuttavia, Sicardo da Cremona († 1215) scrisse che il Papa Gregorio VII (1073-1085), soppresse infine il 13 maggio e impose il 1 novembre come data per celebrare la festa di Tutti i Santi. In definitiva vediamo la Chiesa papale che istituisce un giorno liturgico di festa in onore dei Santi indipendentemente da qualsiasi influenza pagana. Particolari gruppi etnici hanno sviluppato una loro tradizione, che si è fusa con la celebrazione. Per questo motivo, i piccoli (e alcuni grandi) si travestono ancora con una varietà di costumi e fingono per una sera di essere fantasmi, streghe, vampiri, mostri, ninja, pirati e così via, senza alcun pensiero di paganesimo. Tuttavia, Ognissanti chiaramente nasce da una genuina devozione cristiana indipendente del paganesimo.

Conclusione
Mi chiedo oggi se il mio interesse per Halloween e le cose macabre provenga dalle mie radici nel New England. Dopo tutto, il New England ci ha dato maestri della letteratura gotica americana e dell’orrore come Edgar Allan Poe, Nathaniel Hawthorn, H. P. Lovecraft e Stephen King. La nostra storia nel New England è profondamente radicata nel folklore europeo, come è evidenziato nei processi alle streghe di Salem e di Boston e nelle storie di “vere” leggende di vampiri nel Rhode Island e nel Maine. I nostri racconti del paranormale sono diversi da quelli di qualsiasi altro luogo degli Stati Uniti, e ovunque si vada si è circondati da queste leggende. Anche se queste sono tutte cose interessanti che mi hanno reso orgoglioso di essere un cittadino del New England, penso che il mio amore per Halloween nasca un po’ più in profondità. I demoni, il male, la morte, la paura, il vizio, il dolore e la sofferenza esistono e sono una parte dell’esistenza umana. Come cristiani abbiamo le armi e le risposte per superare tutte queste cose, armi che vanno di pari passo con la speranza che la nostra fede ci porta. Lontano da questa realtà, non credo che Halloween mi piacerebbe tanto. È il collegamento tra la fede e la paura che è pure dietro a tutte le grandi storie classiche di mostri di cui sentiamo parlare a Halloween, come Dracula, Frankenstein, il Dr. Jekyll e Mr. Hyde, il Cavaliere senza testa, e così via, e in queste storie gotiche romanzate il vizio è sempre osteggiato e retrocesso mentre si promuovono la virtù e l’altruismo.
Come cristiano ortodosso, non voglio presentarmi come un sostenitore di Halloween in quanto non è una festa ortodossa che sento il bisogno di difendere. Il motivo per cui sto cercando di portare un di comprensione della verità su Halloween è perché, come cristiano ortodosso, credo che sia mio dovere di dire la verità e denunciare l’errore in uno spirito di amore e di attenzione, soprattutto quando altri ortodossi stanno diffondendo queste menzogne per ignoranza. Halloween è una parte della nostra società e soprattutto della vita dei nostri figli, ed è necessaria una risposta dal punto di vista cristiano ortodosso. Non aiuta la nostra testimonianza cristiana nel mondo il fatto di distorcere le informazioni per fa sembrare migliore il nostro messaggio. In realtà, avviene esattamente il contrario, e credo che quelli che sono in grado di scoprire la verità saranno giudicati per aver diffuso menzogne infondate. Non ci è stato dato uno spirito di paura, ma di potenza e di verità per essere al di sopra della propagazione degli errori. È la proclamazione della verità che porta libertà e rispetto, ed è un cuore puro che rende tutte le cose pure.





Di John Sanidopolulos – dal blog Mystagogy, 30 ottobre 2009

Le agapi - Le mense fraterne che accompagnavano l'Eucaristia nei primi secoli

 
 Le agapi (ἀγάπαι - nel Nuovo Testamento al plurale, Giuda 1:12 - da ἀγάπη = amore) erano monse fraterne, a scopo benefico (sociale), che accompagnavano la liturgia primitiva senza che avessero esse stesse alcun ruolo sacramentale. Fino alla metà del II secolo, erano organizzate prima della Liturgia, poi per motivi disciplinari e ascetici e sono state trasferite dopo la celebrazione eucaristica e verso la fine del IV secolo sono scomparse.
La loro storia sembra avere radici nella tradizione ebraica (come menzionano il Talmud, il Tipico della comunità di Qumran, Filone d'Alessandria, ecc) e sono state prese in consegna dai Santi Apostoli, come detto nella Scrittura (Atti 6, I Corinzi 11; Giuda 1, II Pietro 2), poi nella Didachè e in alcuni Padri apostolici: Ignazio il Teoforo, Ippolito di Roma e altri scrittori del III secolo. [1] Inoltre, la Scrittura mostra il pesante fardello che gravava sulle spalle degli Apostoli nell'organizzare questi pasti, e per questo la Chiesa ha istituito il rango dei diaconi - soprattutto per questo tipo di servizio.
Sappiamo che già nel primo secolo, le agapi erano diventate motivo di litigi e innovazioni, contrarie allo spirito cristiano in generale, ma soprattutto alle condizioni spirituali necessarie per la comunione ai santi Misteri. Pertanto, dalla metà del secolo II, le agapi si organizzavano dopo la Liturgia e per soli scopi di beneficenza. Nello stesso tempo si generalizzava l'idea della comunione fatta a digiuno, anche se la regola è stata ufficialmente fissata solo nel 393, al Sinodo di Ippona (e ripetutamente a Cartagine nel 419) - il che non esclude l'esistenza di eccezioni alla regola del digiuno, anche a quel tempo.
All'inizio del IV secolo i santi Padri avevano opinioni diverse sull'utilità delle agapi. La maggior parte era di parere negativo. Come prova, il Canone 28 del Concilio di Laodicea (364) le vieta. Sembra che esse siano continuate, dato che al tempo del Concilio in Trullo (691) - il Canone 74 è costretto a ripetere (più categoricamente) il divieto di Laodicea.
In Occidente le agapi sono continuate fino all'ottavo secolo, ma sono scomparse da sole, senza essere espressamente vietate.
Da quanto ritengono gli specialisti, la scomparsa definitiva delle agapi ha due motivi principali:
1. L'impossibilità di organizzare agapi nei giorni di domenica e di festa immediatamente dopo la Liturgia e accanto alla chiesa (soprattutto perché le chiese aumentavano e il numero dei chierici era più basso in ognuna di esse).
2. L'organizzazione di un sistema di supporto sociale più organizzato ed efficiente, senza che questo fosse legato strettamente alla liturgia e ai giorni festivi.
Dobbiamo menzionare che, soprattutto nel XX secolo, vi è stata (e vi è tuttora) in alcuni luoghi la tendenza a ripristinare l'abitudine delle agapi, ma più come una continuazione della comunione (κοινωνία) eucaristica, e non con scopo filantropico - perché così si vedeva il senso della vecchia agape, quindi con un significato profondamente spirituale e perfino mistico. Si deve tuttavia rilevare che, secondo la Chiesa, la comunione spirituale non può essere realizzata per mezzo di simili mense, ma solo per mezzo della comunione eucaristica dallo stesso calice. [2]
La visione distorta di cui parliamo nasce dall'idea che le vecchie agapi fossero più di una manifestazione di beneficenza. Questo è anche perché agape terminava con il "bacio della pace". Ma la verità è che il "bacio della pace" aveva luogo tra l'agape e l'Eucaristia, e alla fine è divenuto un elemento dell'Eucaristia (ovvero all'inizio della sua parte principale) e non dell'agape - cosa che che mostra il significato primario di questi baci fraterni.
Dobbiamo dunque riaffermare che le agapi non hanno mai avuto un ruolo sacramentale, ma puramente sociale e filantropico, legato alle necessità e alle possibilità delle prime comunità cristiane. [3]
Note
[1] Cfr. М. СКАБАЛАНОВИЧ, Толковый Типикон, Mosca, 1995, pp 49-54, 76-85. Un intero libro, di grande importanza, sull'agape è stato scritto da: П. СОКОЛОВ, Агапы или Вечери Любви в древнехристианском мире, Сергиев Посад, 1906, disponibile su http://www.krotov.info.
[2] Se fosse così, allora tutti i pasti dopo le riunioni e le preghiere ecumenicche avrebbero il senso di ripristinare la comunione liturgica e spirituale.
[3] Questo sottocapitolo è una sintesi dello studio di Padre Mikhail Zheltov, Агапа / / ПЭ, Vol. 1, pp 214-218.

Ieromonaco Petru (Pruteanu), „Liturghia Ortodoxă. Istorie şi actualitate”,
Casa editrice Sophia, Bucarest 2013, pp. 25-27.