domenica 6 ottobre 2013

Un gioiello semisconosciuto nel cuore dell'Urbe San Marco evangelista

La Basilica di S. Marco Evangelista a Roma



L’interessante costruzione cristiana posizionata accanto al Palazzo Venezia è la semi sconosciuta Basilica di S. Marco Evangelista. Semi sconosciuta perché al di fuori dei più importanti circuiti turistici romani e seppur al centro di una serie di edifici di grande attrazione come l’Altare della Patria e lo stesso Palazzo Venezia, viene sistematicamente ignorata perche considerato ‘di secondo piano’ rispetto alle attrattive del Campidoglio o dei Fori Imperiali. Ciononostante viene commesso un grave errore da parte di coloro i quali ritengono attribuirgli un’importanza relativa. Sappiamo infatti che l’edificio, oltre ad essere uno dei pochissimi esempi di arte cristiana sorta ai tempi dell’imperatore Costantino, presenta elementi di grande interesse storico-artistico ed apporti di grandi artisti quali Antonio Canova, Melozzo da Forlì o Pietro da Cortona per citarne soltanto alcuni.
In base a specifici studi identificativi, la Basilica di San Marco può considerarsi frutto di una delle prime iniziative di istallazioni cultuali cristiane, tra cui quelle di papa Silvestro all’inizio del IV secolo che istituì sul Colle Oppio due edifici cultuali, intitolati a se stesso e al suo presbitero Equizio. Il pontefice Marco, vissuto soltanto otto mesi al soglio pontificio, chiamò col suo nome una basilica da lui avviata nei pressi della via Lata, l’attuale via del Corso che collega Piazza del Popolo a Piazza Venezia.

Egli ebbe il tempo di costruire due basiliche a Roma, una dentro e l'altra fuori delle mura della città, anche se si ipotizza che riuscì ad erigere soltanto quella in cui venne sepolto, oggi scomparsa, ma situata nell’area del cimitero di Balbina, tra le vie Appia ed Ardeatina.
L’area cultuale dell’odierna basilica di S. Marco venne inserita nel quartiere romano delle Pallacinae (un riferimento il cui significato è ancora avvolto nel mistero) e per capirne origine e significato sono stati necessari molteplici studi nonché alcuni lavori di ristrutturazione che hanno contribuito notevolmente, ed in maniera piuttosto fortuita ed inaspettata, a chiarirne molteplici aspetti. Tra il 1947 e il 1949 infatti, grazie ad alcuni lavori per l’eliminazione di umidità da parte del Genio Civile, venne asportata la pavimentazione di epoca gregoriana della navata centrale, rivelando l’antico impianto della basilica paleocristiana e le fondazioni altomedievali, assai diverse dall’originale impianto. Questo però, nonostante rappresenti uno straordinario elemento di scoperta legato all’accertamento dell’originale impianto planimetrico, rappresenta l’unica fonte di studio, in quanto gli scavi non furono adeguatamente documentati (pare non siano stati documentati affatto) ed oggi abbiamo a disposizione soltanto una esigua testimonianza fotografica realizzata da padre Antonio Ferrua SJ.

Tale documentazione però è riferibile quasi esclusivamente alla sistemazione effettuata dal Genio Civile (non troppo dissimile da quella ancora oggi visibile) e comunque riguardante uno stato dei lavori troppo avanzato per poter dare giudizi del tutto innovativi, fermo restando che le fotografie non forniscono nulla riguardo al contenuto dell’impianto stratigrafico che è andato definitivamente perduto. La scoperta venne pubblicata dallo stesso Ferrua, poi successivamente ripresi dal Krautheimer e dal Corbett, che elaborarono interessanti ricostruzioni cronologiche.


L’antica basilica infatti venne costruita al di sopra di strutture murarie pertinenti ad edifici datati tra il II e il III secolo d.C. La sua impostazione è tipica delle grandi strutture basilicali, costruita in opus vittatum (alternanza di tufelli con un maggior numero di filari di mattoni) e pavimentata in opus sectile, quindi rispettando i criteri dell’architettura e della decorazione romana di quel tempo. Pur vedendosi rispettare planimetricamente anche durante l’alto medioevo, l’impianto paleocristiano presentava due significative varianti architettoniche corrispondenti ai punti terminali delle navate laterali ma non all’altezza dell’abside, bensì nei pressi della facciata. La navata sinistra presentava un restringimento a circa due metri dalla facciata, mentre la navata destra inglobava una sorta di appendice quadrata con pavimento in mosaico ad una quota leggermente più bassa (circa sei cm) rispetto alla pavimentazione della navata centrale. Nonostante l’area presbiteriale fosse stata soltanto supposta grazie al ritrovamento di un gradino in marmo bianco attiguo ad un’area lastricata dello stesso materiale, si ritiene con buona sicurezza che le variazioni delle navate siano prossime all’ingresso e non all’area di culto vera e propria. 


La basilica di S. Marco Evangelista ha un’origine molto antica. Cosi come accertato la scorsa settimana, la sua fondazione risale all’epoca paleocristiana (intorno al V/VI secolo) come confermato da Ferrua e da Krautheimer. Avvenne un rialzamento di quota e la modifica dell’orientamento di 180 gradi, come dimostrato dalle tracce di una nuova pavimentazione in marmo bianco posta al di sopra dell’originario pavimento inopus sectile, corredato da una ‘solea’ in muratura estesa su gran parte della navata centrale. La muratura della seconda fase della basilica di S. Marco era formata dall’utilizzo soprattutto di mattoni risalente al VI secolo. Grazie alle tre campagne archeologiche condotte dall'ottobre del 1988 al febbraio 1990 dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali di Roma, è stato possibile chiarire le fasi di sovrapposizione delle strutture murarie.

Nell'area del sottoportico di epoca rinascimentale venne rinvenuta parte della primitiva abside di epoca paleocristiana, posizionata allo stesso livello della pavimentazione in opus sectile, le cui murature vennero realizzate in opera listata, simile a quelle cortine che venivano utilizzate tra la fine del III e l’inizio del IV secolo. Nella stessa area venne inoltre messo in evidenza un percorso stradale su cui si affaccia l'abside, che contribuisce in maniera determinante alla conoscenza della rete viaria antica della zona delle Pallacinae. Accanto all’abside, spostato sulla destra, venne rinvenuto un ambiente identificato come ‘battistero’ corredato di una piccola abside, ma particolarmente alterato dalla costruzione di un muro di fondazione del portico superiore. Nonostante questo, è rilevabile il perimetro della vasca cruciforme, corredata da canali di scolo ricavati nella pavimentazione marmorea e in un angolo è ancora visibile un tratto di rivestimento marmoreo parietale, posto al di sopra di uno strato di cocciopesto.


Successivamente l'area venne occupata da una serie di tombe di varia epoca, nonché da ossari moderni, che alterarono l’originale stratigrafia. Tra le varie sepolture rinvenute, due in particolare hanno suscitato l’interesse degli archeologi. Si tratta di due tombe, una coperta cappuccina e una a cassone, situate all’interno dell'alveo di un fognolo che correva parallelamente al corso stradale, le quali, hanno restituito materiale ceramico riconducibile al V-VI secolo. Di grande rilevanza sono le deposizioni rinvenute lungo il settore sud-est della strada che possono essere fatte risalire al XV secolo.
Le analisi murarie hanno rivelato che la prima fase dell’edificio di culto, che ricordiamo influenzata dalle preesistenze di epoca imperiale, fosse impostato in un’unica navata con abside che sfruttò per i lati lunghi di due muri paralleli pertinenti ad una precedente costruzione, debitamente adattati ma solo successivamente utilizzati come sostruzioni per la nuova basilica a tre navate.
Il ritrovamento di questo edificio non rappresenta un unicum tipologico. Questo infatti si può architettonicamente accostare a quello di S. Crisogono in Trastevere e S. Anastasia al Palatino.
La basilica attualmente visibile è in pratica l’impianto realizzato dal pontefice Gregorio IV (827-844), debitamente modificato dagli interventi del XVII e XVIII secolo, nonché dalle precedenti modifiche volute da papa Paolo II durante il XV secolo, in concomitanza con la costruzione di Palazzo Venezia che ne inglobò l’edificio di culto. Cosi come descritto dal secondo libro del Liber Pontificalis, prima di diventare pontefice Gregorio IV era stato il titolare della basilica di S. Marco all’epoca probabilmente diruta o comunque versante in pessime condizioni. Così si spiegherebbe la sua volontà di ricostruirla radicalmente e donarle uno splendido mosaico absidale e un ricco corredo.
L’attuale facciata è formata da una loggia per le benedizioni molto simile a quella delle basiliche di S. Pietro e S. Paolo e viene attribuita a Leon Battista Alberti (o al suo seguace Francesco del Borgo) che la edificò nel 1466.
Gli arredi interni sono riconducibili a varie tipologie ed epoche, anche se l’impostazione principale è chiaramente di gusto barocco.
Elegante è il soffitto ligneo con l’araldica di Paolo II e rappresenta l’unico esempio di soffittatura lignea quattrocentesca conservata a Roma insieme a quello della basilica di Santa Maria Maggiore.
Il mosaico dell’abside raffigura papa Gregorio IV  con l’aureola offerente il modello della basilica a Gesù, dinanzi a S. Marco.
Infine molto interessanti sono gli stucchi realizzati agli inizi del ‘700 da Carlo Monaldi raffiguranti  San Giacomo Maggiore che battezza ErmogeneSan Filippo che battezza l’eunuco, la Vocazione di san Matteo, l'Incredulità di s. TommasoSan Giacomo Minore e San Paolo e il mago


Gli scavi


Tratto da

"S. MARCO A PIAZZA VENEZIA: UNA BASILICA ROMANA DEL PERIODO COSTANTINIANO"
di MARGHERITA CECCHELLI

La politica edilizia relativa agli edifici di culto cristiani instaurata a Roma ad opera dell'imperatore Costantino è praticamente evincibile da un'attenta disamina dei dati offerti al riguardo nella biografia di papa Silvestro contenuta nel Liber Pontificalis romano. È pur vero che il numero delle costruzioni cultuali edificate nell'Urbe entro il 337 è in realtà molto più esiguo di quello dichiarato nella suddetta biografia, nella quale si vogliono attribuire all'imperatore tutte le iniziative che, a un di presso entro il 350, furono invece intraprese anche dai suoi diretti successori.
Comunque una serie di altre notizie ci mette in grado di legare agli effettivi committenti le opere edilizie da loro promosse e di distinguere di conseguenza gli edifici che in realtà vennero commissionati direttamente da Costantino e anche quelli la cui edificazione ebbe però comunque il suo assenso ed a volte il suo contributo.
Questa ricerca permette di renderci conto che in effetti le iniziative edilizie dell'imperatore in Roma, sebbene di alta qualità e significato, non furono poi numericamente consistenti, mentre fuori le mura dell'Urbe Costantino promosse le costruzioni martiriali che ebbero maggior celebrità e risonanza. Infatti proprio fuori le mura pensò di creare il suo mausoleo, connesso alla basilica martiriale dei SS. Pietro e Marcellino sulla via Labicana, che in un secondo momento destinò alla madre Elena.
Inoltre volle fondare le due basiliche dell'Ostiense e del Vaticano, sulle tombe degli apostoli Paolo e Pietro.
Dentro le mura la sua attività fu sensibilmente più limitata: fece costruire soltanto l'episcopio con la annessa basilica Salvatoris, appellata comunemente « costantiniana », corredata di battistero.
È chiaro che subito dopo la pace della Chiesa non si provvide solo all'edificazione del complesso episcopale, ma dovette anche esserci un programma edilizio che permettesse una migliore organizzazione della vita cristiana in aggiunta alle postazioni cultuali precedenti ormai ufficialmente riconoscibili nel tessuto urbano. Questo tipo di operazioni non fu dapprincipio senza ostacoli e comunque, per tutto il IV secolo, non sono numericamente consistenti le basiliche che vennero nuovamente fondate. Per questo, avere la fortuna di ritrovare un edificio di culto del periodo costantiniano entro l'ambito murario romano, che possa poi annoverarsi tra quelli ufficialmente istituiti e documentati dalle fonti, è occasione molto rara.
Due pontefici hanno allestito postazioni cultuali di nuova creazione che si debbono considerare, senza dubbio, come le prime iniziative ufficiali inerenti un programma di edilizia cristiana in Roma, in assenza del quale l'importanza di una sede episcopale sarebbe stata oltremodo sminuita. Esse si collocano cronologicamente sotto il pontificato di Silvestro e di Marco al tempo di Costantino. Silvestro (314-35) infatti istituì sul Colle Oppio due edifici cultuali, uno a suo nome, l'altro intitolato al suo presbitero Equizio; Marco (336) chiamò col suo nome una basilica da lui allestita presso la via Lata. È significativo come molte creazioni cultuali di quasi tutto il IV secolo assumano il nome dei pontefici che le istituirono. A questo proposito si potrebbe anche supporre che in un periodo ancora difficile per l'affermazione della religione cristiana, specialmente in contesto romano, si fossero in qualche modo volute tutelare le prime istituzioni ufficiali con la diretta copertura del nome dei pontefici in carica. Comunque essi erano coloro che di diritto dovevano dare l'assenso a tutte le nuove fondazioni e niente di più logico che queste fossero siglate dal loro nome. Così abbiamo edifici di culto a nome di Silvestro, di Marco, e poi di Giulio, di Liberio, di Damaso, pontefici coi quali il Cristianesimo permeò profondamente le zone più centrali dell'insediamento urbano. Quasi tutte queste chiese hanno lasciato tracce importanti del loro passato e soprattutto ancora molti problemi aperti da risolvere. Infatti sulle emergenze archeologiche inerenti le fondazioni di Silvestro non sono finora chiare, poiché la basilica altomedievale che le sostituì non sembra potersi riferire né al titulus Silvestri né a quello del suo presbitero Equizio. Quanto alla basilica Iulii poi, sembra impossibile si possa trovare un accordo circa la sua effettiva ubicazione presso le terme di Traiano, nelle cui vicinanze sorgeva. Non parliamo poi della basilica Liberiana, alla quale, secondo alcuni studiosi, nel V secolo, si sarebbe sostituita la fondazione sistina di S. Maria Maggiore, che, sempre e solo secondo un certo numero di studiosi, sarebbe stata costruita nello stesso luogo. E anche il titulus Damasi, poi S. Lorenzo in Damaso, di cui si vanno ritrovando le vestigia nell'area del cortile del palazzo della Cancelleria, pone notevoli problemi per la restituzione di alcune sue parti essenziali. Abbiamo tralasciato precisazioni sul titolo di Marco poiché, di recente, grosse novità sono intervenute al riguardo e proprio a queste si vuole qui fare riferimento. Marco è il penultimo pontefice del periodo costantiniano. Il suo pontificato fu breve, poiché durò solo 8 mesi dell'anno 336. Cionostante egli ebbe il tempo di costruire due « basiliche » in Roma, una dentro e l'altra fuori delle mura della città: fecit duas basilicas, unam via Ardeatina ubi requiescit et aliam in Urbe Roma, iuxta Pallacinis(...) 13. Molto probabilmente il pontefice, come vedremo, eresse a solo soltanto la basilica dove venne sepolto, che nonostante sia oggi perduta, doveva trovarsi nel sopraterra dell'area del cimitero di Balbina, ubicabile tra le memorie analoghe poste tra le vie Appia ed Ardeatina, ma originariamente pertinente ai centri posti sulla sinistra di questa ultima strada. È menzionata anche in una iscrizione relativa alla compera di un locum da parte di un certo Felix Faustinianus ubicato in Balbinis basilica... sub teglata, forse ad indicare l'atrio, parzialmente coperto, della basilica cimiteriale.
Per quanto riguarda la chiesa intramuranea essa è tuttora ubicabile nell'area dell'odierna basilica di S. Marco a piazza Venezia. Venne inserita nel quartiere romano delle Pallacinae, nome il cui significato non è stato a tutt'oggi affatto chiarito. Per altro esso risulta menzionato sia in fonti classiche che cristiane; riguardo a queste ultime in particolare, quando ci si riferisce appunto alla fondazione marciana o al propinquo monastero di S. Lorenzo. Tuttavia sinora non possiamo indicarne l'estensione e dobbiamo limitarci soltanto a constatare che S. Marco e S. Lorenzo ne costituivano gli edifici cristiani senza dubbio più importanti. La basilica quale oggi ci si presenta è ancora sostanzialmente l'edificio attribuibile all'intervento di Gregorio IV (827-844), nonostante le superfetazioni sei e settecentesche e le precedenti modifiche attuate al tempo di Paolo II (1464-1470) 18, quando si costruì il palazzo Venezia nel quale la nostra chiesa risultò inglobata. Gregorio IV era stato, prima di assurgere al pontificato, prete titolare della basilica di S. Marco e la chiesa, al suo tempo, doveva essere veramente in pessime condizioni: ob nimiam vetustatem crebro casura esse videbatur. Per queste ragioni egli volle ricostruirla dalle fondamenta, farla decorare a mosaico (il mosaico absidale da lui fatto eseguire è ancora a posto) e dotarla di un ricco corredo (Lib. Pont., II,74 s.). Questo intervento promosse una nuova storia di S. Marco, annullando totalmente le tracce monumentali precedenti. Cionostante la coerente continuità, per quanto riguarda l'ubicazione, le funzioni e la stessa intitolazione dell'edificio gregoriano nei confronti di quello di papa Marco, ha contribuito a mantener viva la memoria della basilica titolare paleocristiana. C'è poi chi ha anche pensato che Gregorio IV avesse compiuto un intervento non totale, ma soltanto parziale. Invece la sua basilica è un edificio del tutto nuovo. La prova definitiva si ebbe durante i lavori di bonifica dall'umidità fatti eseguire dal Genio Civile tra gli anni I947-I949 ed anche agli inizi di quelli '50. Allora venne rimosso il pavimento della navata centrale della chiesa gregoriana e tornò alla luce gran parte del corpo longitudinale della basilica paleocristiana. Nella stessa occasione furono viste le fondazioni altomedievali, in prevalenza a grossi blocchi di tufo, che documentarono inequivocabilmente, la totale novità dell'intervento di Gregorio IV. Purtroppo in quella occasione così propizia non furono eseguiti scavi attenti ed adeguati all'interesse che poteva suscitare l'area discoperta, e un vero e proprio sterro travolse gran parte delle prove della storia della basilica marciana. Dobbiamo solo alla pervicacia del P. Antonio Ferrua se un certo numero di dati ci è stato conservato, anche attraverso una serie di fotografie, che però non documentano le operazioni in atto sin dall'inizio, ma soltanto una fase avanzata dei lavori di bonifica e della successiva sistemazione da parte del Genio Civile dell'area allora venuta in luce. Ovvero niente di molto diverso da quello che siamo ancora in grado di vedere oggi. Comunque le prime pubblicazioni sul monumento ritrovato furono proprio quelle del P. Ferrua, cui seguirono le rilevazioni ed il contributo di Krautheimer e Corbett, compresi nel Corpus Basilicarum di Roma. Questi studi rappresentano due importanti contributi per la restituzione della storia della chiesa nelle sue fasi prima del rinnovamento gregoriano. Le divergenze sostanziali tra i due Studiosi riguardano alcune determinazioni cronologiche, ma per il resto bisogna segnalare un fondamentale accordo. Secondo la loro restituzione infatti la basilica di Marco fu costruita su di una serie di murature precedenti appartenenti a un edificio romano, che presenta parti di II e di 111 secolo. Essa ebbe tre navate, la sua cortina fu realizzata in opera listata di buona fattura, con pochi filari di tufelli rispetto a quelli di mattoni e il suo pavimento fu in opus sectile a disegno geometrico abbastanza regolare. Il suo orientamento, con l'abside a nord, fu identico a quello della basilica altomedievale, che sembrava pure riproporne perfettamente le proporzioni. La chiesa paleocristiana però presentava due strane anomalie alla terminazione delle navatelle, verso la facciata. La navata di sinistra infatti aveva un palese restringimento a m 2 dalla sua conclusione e la navata destra, proprio nella zona contigua alla parete di facciata, inglobava un'area quadrata con pavimento a mosaico a quota più bassa (cm. 6) rispetto a quello in opus sectile della navata centrale. Bisogna precisare che l'abside della chiesa non era stata individuata e la sua posizione a nord fu quindi solamente supposta. Questa opinione sembrava avvalorata dal fatto che esisteva a nord una zona lastricata di marmo bianco e rilevata di un gradino rispetto a quella pavimentata con opus sectile, che poteva essere considerata come area presbiteriale.
La basilica paleocristiana avrebbe avuto nel V secolo per il P. Ferrua, o nel VI per il Krautheimer, un rialzamento di quota di ca. m I e una inversione di orientamento di 180 gradi. Il fatto era chiaramente dimostrato da ampie tracce di una nuova pavimentazione in lastre di marmo bianco a ca. m I sopra quella in opus sectile e da una imponente solea in muratura che invase gran parte della navata centrale. Questa lunga struttura longitudinale, costituita da due bassi murelli, a un di presso paralleli e dipinti a finto marmo su entrambe le facce, si apriva a sud con due ali perpendicolari ai bracci lunghi, che arrivavano ad invadere anche la zona delle navate laterali e delimitavano l'area presbiteriale. La muratura di questa seconda fase della basilica di Marco era costituita in prevalenza da cortina laterizia, nella quale la malta, trattata con allisciatura a sottosquadro, poteva anche far pensare ad una determinazione cronologica di VI secolo.
Queste le fasi salienti della storia degli studi fino al nostro intervento dell'ottobre 1988.
L'occasione per rinnovare l'interesse è stata ancora una volta offerta dai lavori di bonifica dall'umidità che la Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali di Roma ha intrapreso nell'ambiente sottostante il portico rinascimentale della basilica gregoriana, che era ricoperta omogeneamente da un pavimento moderno. Pochi centimetri al di sotto della sua preparazione sono emerse subito una serie di strutture che hanno fatto sospendere i lavori per trasformare l'area in oggetto in un cantiere di scavo archeologico.
Tre campagne condotte tra l'ottobre 1988 e il febbraio 1990 hanno permesso di delineare una nuova storia delle fasi della basilica marciana.
Prima di tutto nell'area del sottoportico rinascimentale è venuta in luce la struttura dell'abside primitiva della chiesa paleocristiana, impostata ad una quota perfettamente coerente con la pavimentazione in opus sectile esistente sotto le navate dell'edificio gregoriano e costruita in buona opera listata molto simile alle cortine analoghe di fine III e IV secoli. L'area del sottoportico ha poi rilevato l'esistenza di un percorso stradale fino ad oggi sconosciuto sul quale l'abside aggetta, che ha andamento normale alla via Lata. Esso è di notevole importanza per il contributo alla conoscenza del sistema viario della zona delle Pallacinae. Sempre in questa area, alla destra dell'abside, è stata ritrovata parte di un ambiente battisteriale, corredato di absidiola, purtroppo sconvolto per l'inserimento del muro di fondazione del lato sinistro del portico superiore. Si ha comunque traccia del perimetro della vasca, che presenta una inconsueta forma a croce, con i suoi canali di deflusso e le impronte della pavimentazione a lastre di marmo bianco. In uno degli angoli della vasca medesima rimane ancora un tratto di rivestimento marmoreo della parete sopra uno strato di cocciopisto.
Per il resto l'area del sottoportico risultava occupata da una serie di tombe di vari periodi ed anche da grandi ossari moderni (il maggiore è proprio nell'area dell'abside) che hanno inficiato notevolmente la stratigrafia antica. Tra le sepolture alcune hanno notevole interesse, soprattutto per ciò che concerne due tombe, una coperta cappuccina e una a cassone, poste entro l'alveo di un fognolo che correva contiguo ad uno dei lati della strada che, da prime indagini sui materiali ceramici, potrebbero risalire al V-VI secolo. Interessante si è rivelata anche la serie di deposizioni lungo il settore sud-est della strada che possono, con tutta probabilità, ascriversi al periodo di Paolo II o di poco posteriore.
L'analisi poi delle strutture emerse durante lo sterro degli anni 40, ha dato altri risultati. Premettiamo che le indagini sono ben lungi dall'essere compiute. Tuttavia già nuove acquisizioni si sono ricavate da un saggio effettuato a ridosso di uno dei due muri (quello est) considerati fondazioni del colonnato della seconda chiesa marciana. I nuovi dati sembrano dover far ritenere che entrambi i muri non fossero stati costruiti in funzione del colonnato della seconda basilica, ma fossero relativi alle strutture precedenti l'edificio cristiano, che furono in parte abbattute e in parte utilizzate per l'allestimento della chiesa marciana. Un tale risultato però verrebbe a modificare profondamente quanto era stato supposto circa la pianta della prima basilica paleocristiana. Essa non dovrebbe più considerarsi un edificio a tre navate, ma una semplice aula absidata che usufruì, per i suoi due lati lunghi, di due muri paralleli di un precedente edificio, successivamente tagliati e - solo in una seconda fase - utilizzati quali sotruzioni dei colonnati di una nuova basilica, questa volta a tre navate. Si deve inoltre ritenere, soprattutto in base alla disposizione della solea, che la seconda chiesa mantenne lo stesso orientamento della prima e che solo il nuovo edificio di Gregorio IV ebbe l'abside a nord.
In conclusione la « basilica » intramuranea di Marco dovette essere una semplice aula absidata, ma soprattutto sarebbe stata un'aula in cui l'intervento del papa si ridusse soltanto alla zona absidale e ai muri di spalla che la collegavano alle strutture preesistenti. Quanto alla facciata, purtroppo non possiamo dire nulla poiché non è stata ancora trovata; comunque l'aula di papa Marco non sembrerebbe aver avuto, per logici rapporti proporzionali, la stessa lunghezza della seconda e della terza chiesa a tre navate. Ci auguriamo di avere la possibilità di compiere in futuro questa ed altre indagini, che possano chiarire ulteriormente la situazione fin qui delineata. Per queste si potrà tra l'altro offrire prove per una precisa definizione cronologica della seconda chiesa, che oscilla tra il V e il VI secolo, in base alle opinioni espresse negli studi sopracitati, ma la cui datazione, secondo il nostro parere, andrebbe ulteriormente abbassata. Così si dovrà chiarire anche la cronologia relativa all'instaurazione dell'impianto battesimale, che appare sicuramente non contemporaneo alla costruzione marciana. Infatti la vasca si addossa all'intonaco dipinto del muro di spalla destra dell'abside chiaramente utilizzato in precedenza a definire un ambiente di altra funzione. Del resto è noto che a Roma in periodo costantiniano funzionava il solo battistero dell'episcopio lateranense, che era stato fatto costruire anch'esso dall'imperatore, unitamente alla sede episcopale. Con tutta probabilità anche l'altro di S. Pietro fece parte del progetto costantiniano inerente il martyrium del Vaticano. Comunque nella città, prima del secolo V, non dovettero esistere battisteri oltre a quello del Laterano.
La scoperta dell'aula marciana ha senza dubbio dato un contributo alla conoscenza dei primi edifici di culto ufficiali dell'area intramuranea dell'Urbe. Già un ambiente tipologicamente molto simile al nostro era stato riconosciuto a S. Crisogono in Trastevere ed anche a S. Anastasia al Palatino. Purtroppo delle altre fondazioni cultuali del IV secolo, come si è detto, non si può ancora dire molto, poiché, non sono ancora state identificate. Certo è che si ha l'impressione che la grande edilizia cultuale dell'Urbe si venne sviluppando soprattutto nel V secolo e che l'impegno costruttivo al riguardo, per un lungo periodo dopo la Pace della Chiesa, abbia interessato piuttosto le sistemazioni dei grandi e meno grandi complessi martiriali dell'anello cimiteriale del suburbio. Tra le grandi « tappe » dell'edilizia cristiana entro Roma la rappresentatività del IV secolo a tutt'oggi non si impone. Così, dopo le numerose e significative manifestazioni del V secolo, bisognerà attendere il periodo carolingio per ritrovare notevoli espressioni architettoniche, fra le quali, senza dubbio, occorre anche annoverare la splendida ricostruzione gregoriana della nostra basilica di papa Marco.

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