martedì 22 ottobre 2013

“GESŬ, FIGLIO DI DAVIDE, ABBI PIETĂ DI ME” (Lc 18, 38) Una preghiera per tutti i tempi: la preghiera del cuore




 
 Inizialmente era nostra intenzione postare questa tesi redatta nel 1993 dall'allora studente della pontificia facoltà teologica Teresianum di Roma a spezzoni e così abbiamo fatto per quattro volte, successivamente abbiamo ritenuto opportuno offrire l'intera tesi così come venne presentata per il conseguimento della licenza in teologia da Giuseppe Galliano che ne è l'autore e che ci ha autorizzati a rendere pubblico il suo lavoro.
Ma chi è oggi Giuseppe Galliano? 
 

PADRE  GIUSEPPE  GALLIANO

Giuseppe Galliano è nato a Palermo il 28 aprile 1959. Ha conseguito il diploma di Ragioniere presso l’Istituto Tecnico “F. Ferrara” della sua città, compiendo, subito dopo, una breve esperienza lavorativa.

In seguito alla partecipazione ad un ritiro carismatico a Pergusa, predicato da P. Matteo La Grua e da Don Serafino Falvo, ha deciso, non solo di intraprendere il cammino nello Spirito, ma di consacrarsi totalmente al Signore. Nel 1983 si è trasferito a Roma, entrando a far parte della Congregazione dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù. Ha pronunciato i voti il 1° ottobre 1987, giorno si S. Teresa di Lixieaus e, dopo aver conseguito il Baccalaureato in Filosofia e Teologia presso l’Università Pontificia Urbaniana (Propaganda Fide) e la Licenza in Teologia Spirituale presso il Teresianum di Roma, discutendo una tesi sulla preghiera del Cuore, è stato ordinato Presbitero il 23 novembre 1991, nella solennità di Cristo Re.
Il 27 ottobre 1993 ha dato inizio alla sua missione nella parrocchia dei SS. Pietro e Paolo in Oleggio (No), dove ora è vice parroco. Abbina questo ministero a quelli della predicazione e dell’animazione di gruppi carismatici. È assistente spirituale della Fraternità Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, che accoglie fratelli e sorelle appartenenti a gruppi presenti in Piemonte e in Lombardia e, ogni mese, celebra, a Oleggio (Parrocchia SS. Pietro e Paolo) e a Novara (Parrocchia di S. Antonio), due Eucarestie di Evangelizzazione con intercessione per i sofferenti che richiamano molte persone alla ricerca di un Dio vivo e vero capace di comunicare loro Amore, Speranza e Guarigione.


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                                Signore,
                                                       al tuo NOME dà gloria
                                              per la tua fedeltà,
                                              per la tua grazia.
                                                                                       (Sl 115, 1)







 










INDICE

INTRODUZIONE......................................................................................................4

Cap. I NELLA LINEA DELLE INTEGRAZIONI ............................................... 9

I. 1.  Nell’Induismo ...................................................................................................12
I. 2.  Nell’Islam..........................................................................................................13
I. 3.  Nel Buddismo ...................................................................................................14
I. 4.  Nella mentalità semitica....................................................................................15
I. 5.  Nel Cristianesimo..............................................................................................17
Cap.II LA PREGHIERA DI GESŬ NELLA TRADIZIONE............................21
II. 1.  I Padri del deserto: nascita dell’esicasmo.......................................................22
II. 2.  Gli autori sinaiti: Giovanni Climaco ed Esichio ............................................28
II. 3.  Simeone il Nuovo teologo e gli autori dell’XI/XIII secolo............................29
II. 4.  L’esicasmo attonita e la controversia palamitica............................................32
II. 5.  Dal XV secolo alla pubblicazione della Filocalia...........................................36
Cap. III TERMINOLOGIA, FORMULE E SIGNIFICATO.............................38
III. 1.  Cuore e preghiera...........................................................................................39
III. 2.  Formule..........................................................................................................43
III. 3.  Significato teologico della formula classica..................................................46
Cap. IV IL METODO............................................................................................55
IV. 1.  I metodi dei vari maestri...............................................................................56

2
IV. 2.  Un esercizio di preghiera...............................................................................64
IV. 3.  L’Ave Maria..................................................................................................71
Cap. V CONTESTO TEOLOGICO – SACRAMENTALE...............................74
V. 1.  Vita sacramentale...........................................................................................75
V. 2.  Il Battesimo ...................................................................................................76
V. 3.   L’Eucaristia...................................................................................................78
V. 4.  Preghiera e parola.......................................................................................... 80
Cap. VI  I FRUTTI DELLA PREGHIERA DEL CUORE.............................. .83
VI. 1.  In genere......................................................................................................  84
VI. 2.  Luce/Calore.................................................................................................  85
VI. 3.  Pace/Salute..................................................................................................  87
VI. 4.  Amore/Gioia................................................................................................ 90

CONCLUSIONE ..................................................................................................92

BIBLIOGRAFIA..................................................................................................97





3
INTRODUZIONE



Venite tutti quanti, monaci e laici insieme,
voi che siete zelanti perché avete trovato
il Regno di Dio che è dentro di voi  e il tesoro
nascosto nel campo del cuore, che è il dolce
Cristo Gesù!
Venite, affinché una volta liberato il vostroi
intelletto dalla prigionia nelle cose di
quaggiù e dal suo vagare, e purificato il cuore
delle passioni mediante l’incessante, tremenda
invocazione del Signore nostro Gesù Cristo,
siate unificati in voi stessi e, mediante
questa unificazione interiore, a Dio,
secondo l’invocazione che il Signore
ha fatto al Padre dicendo: Affinché siano uno,
come noi siamo uno (Gv 17, 22).

                                       (Nicodemo Aghiorita)









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Nel corso di questi ultimi anni sono stato attratto da una forma di preghiera molto diffusa nell’Oriente cristiano, conosciuta anche in Occidente per merito di maestri spirituali che, attraverso numerosi testi, la presentano, la spiegano e tentano di insegnarla: la cosiddetta “Preghiera di Gesù” o “Preghiera del cuore”.
L’ho scoperta grazie ad un incontro con un sacerdote che mi ha “iniziato” alla pratica. Questa piccola ricerca nasce dal desiderio di approfondire la tematica allo scopo di viverla meglio, con più consapevolezza, cosciente del fatto di quanto questa sia importante per il servizio del Signore e per l’interiorizzazione della sua Parola.


La Preghiera di Gesù  è nata dall’esigenza di arrivare ad uno stato di preghiera continua, sollecitati dall’invito del Cristo “di pregare senza stancarsi” (Lc 18, 1) nella parabola della vedova importuna, che ebbe ragione del giudice iniquo grazie all’insistenza dei suoi appelli, ripreso poi da S. Paolo nelle sue lettere: “pregate incessantemente” (1Ts 5, 17), “pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere e suppliche nello spirito” (Ef 6, 18), “perseverate nella preghiera e vegliate in essa”
(Col 4, 2), “ siate perseveranti nella preghiera” (Rm 12, 12).
La Preghiera del cuore è uno dei molti modi per giungervi, ma in concreto ha acquisito una tale influenza e popolarità nella Chiesa ortodossa che ha finito per essere identificata con la preghiera interiore in quanto tale.

5
Diversi la raccomandano come “via rapida” verso la preghiera incessante, come il modo migliore e più conveniente per concentrare l’attenzione e fissare la mente nel cuore.
Il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica ne sottolinea l’importanza e la necessità citando Evagrio Pontico e San Giovanni Crisostomo: “Non ci è stato comandato di lavorare, di vegliare e di digiunare continuamente, mentre la preghiera incessante è una legge per noi... Pregare è sempre possibile: il tempo del cristiano è quello di Cristo risorto, che è con noi  tutti i giorni (Mt 28, 20) quali che siano le tempeste. Il nostro tempo è nelle mani di Dio: è possibile anche al mercato o durante una passeggiata solitaria fare una frequente e fervorosa preghiera. Ĕ possibile pure nel vostro negozio, sia mentre comprate, sia mentre vendete o anche mentre cucinate. Pregare è una necessità vitale”1.
Infatti la preghiera di Gesù può essere recitata in qualunque momento e in qualsiasi posto. Può essere detta sull’autobus o mentre si lavora in giardino, quando si soffre d’insonnia, nei momenti di difficoltà o di tensione, quando altre forme di preghiera non sono possibili... da questo punto di vista è una preghiera particolarmente adatta alle tensioni del mondo moderno. Ĕ raccomandata ai religiosi e nello stesso tempo ai laici, qualunque sia la loro attività nel mondo, perché è una preghiera adatta ad ogni età della vita spirituale, dal livello più elementare a quello più elevato.
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1CATECHISMO della CHIESA CATTOLICA, Lib. Ed. Vat. , Roma 1992, p. 663-664
6
Probabilmente a causa di un rinnovato interesse per quello che giunge dall’Oriente e per l’esoterismo che si diffonde, ci si accosta sempre più numerosi alla Preghiera del cuore, spinti anche dal “desiderio di apprendere nuove forme e modi di concentrazione e di preghiera”2. Sono molti a subire il fascino dei tesori delle grandi religioni senza conoscere quello che è racchiuso nella tradizione cristiana, non sapendo che “la Chiesa ha un immenso patrimonio spirituale da offrire all’umanità in Cristo che si proclama la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Ĕ il cammino cristiano dell’incontro con Dio, alla preghiera, all’ascesi, alla scoperta del senso della vita”3.

Il presente lavoro si articola in sei punti. Parte da una breve comparazione tra le varie religioni asiatiche principali, dato che la Preghiera di Gesù si snoda sulla linea delle integrazioni.
Procede con un breve excursus storico per verificare come è stata vissuta la Preghiera nella tradizione della Chiesa, dove affonda le sue radici, il cammino fatto nel corso dei secoli.
In seguito vengono presi in considerazione i vari termini con i quali è conosciuta questa forma di preghiera, spiegandone il significato, esaminando anche le varie formule e in particolare quella tradizionale dal punto di vista biblico.
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2 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, n° 38.
3 Ivi.
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Si danno poi le norme elementari e i principi base che regolano il comportamento dell’orante e alcuni metodi comunemente accettati.
Per non cadere nella stessa disillusione del pellegrino russo che tutti invitavano a pregare, parlandogli dell’importanza e dei frutti della preghiera “Ma nessuno spiegava come vivere di preghiera... sul modo di arrivarci, neppure un accenno”4, è stato inserito un esercizio di preghiera esemplificativo.
Si arriva così al cuore... della Preghiera del cuore, approfondendo il fondamento e la prospettiva teologica e sacramentale dell’invocazione del nome: Battesimo, Eucaristia, Parola di Dio.
Al termine si fissa l’attenzione su alcuni segni che appaiono nella vita del contemplativo e sui frutti che ne conseguono: Luce, Calore,Pace, Salute, Amore, Gioia...Vita in Cristo.







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4RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO, Rusconi, Milano 1973, p. 26.
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CAPITOLO I
NELLA LINEA DELLE INTEGRAZIONI

I. 1.   Nell’Induismo
I. 2.   Nell’Islam
I. 3.   Nel Buddismo
I. 4.   Nella mentalità semitica
I. 5.   Nel Cristianesimo



Ogni infelicità degli uomini
                                              deriva da una sola cosa:
                                              non saper stare in silenzio
                                              in una camera.
                                                                                         (B. Pascal)

                                             La nostra difficile epoca
                                             ha uno speciale bisogno
                                            della preghiera.
                                                             (Giovanni Paolo II)
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“Credo che aprirci alle grandi tradizioni asiatiche, sia per noi un’occasione meravigliosa per capire meglio la potenzialità delle nostre tradizioni, perché da un punto di vista naturale, quelle asiatiche sono andate molto più in profondità delle nostre. Il poter combinare le tecniche naturali, le grazie e le altre cose che si sono manifestate in Asia con la libertà cristiana del Vangelo, dovrebbe come minimo condurci tutti a quella libertà piena e trascendente che è al di là delle mere differenze culturali, degli elementi esteriori, del semplice questo o quello”1.
Le tradizioni orientali ci presentano esperienze mistiche analoghe a quelle vissute in ambito cristiano. L’occidente cristiano ritiene dono di Dio ciò che l’uomo orientale consegue in virtù del proprio impegno contemplativo.
Alla base esiste una diversa concezione e una diversa esperienza di Dio. Per il cristiano, Dio è il rivelatore trascendente; per i seguaci delle grandi religione asiatiche è l’ineffabile immanente. Il cristiano ha a che fare con un Dio che lo trascende e gli si rivela; l’orientale con una Presenza che pervade il proprio essere nella sua più profonda sorgente e che sfugge ad ogni comprensione.
La mistica cristiana quindi accentua il ruolo di Dio nei processi spirituali, fino a considerarlo preponderante o esclusivo. D’altra parte la passività umana di fronte all’azione divina è, in ottica superiore, eccezionale attività, lavoro appunto. L’uomo raggiunge la sua piena statura, solo, se fluisce in lui la vita divina, a immagine del
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1 T. MERTON, Diario Asiatico, Garzanti, Milano 1975, p. 308
10
quale è stato creato; solo se, come un terreno fertile, assicura al germe divino della parola il suo pieno sviluppo.
L’enfatizzazione del ruolo di Dio nell’esperienza mistica non è però dovuta unicamente alla particolare esperienza che di lui ha il cristiano, ma anche al fatto di aver poco approfondito, rispetto alle grandi tradizioni orientali, le impensabili e insondabili attitudini contemplative dell’uomo.
Con semplicità Teofane il recluso ricorda che “Non otterrai nulla soltanto con i tuoi sforzi, ma Dio non ti darà nulla se non lavorerai con tutte le tue forze”2; questa legge non conosce eccezioni.
Swami Siddhesvarananda, che ha attentamente studiato il rapporto tra mistica cristiana e mistica asiatica, con particolare riferimento a San Giovanni della Croce, osserva a proposito della grazia “Talvolta si sente dire che gli Indù considerano lo stato di unione con Dio come un semplice effetto della volontà ottenuto quasi automaticamente in virtù di quella specie di ginnastica chiamata Yoga.
Ciò è un grave errore. Il metodo yoga è solo un mezzo purificatore... Ĕ indubbio che nessun meccanismo mentale, per quanto perfezionato, può raggiungere Dio. Come potrebbe l’illimitato, l’aldilà dei sensi, il senza misura, entrare nel quadro limitato dei nostri apparati di apprendimento?Nessuno di questi strumenti psichici può in se stesso essere apportatore del messaggio divino. Come voi, noi diciamo che solo la grazia di Dio ci permette di conoscerlo.
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2 CARITONE DI VALAMO, L’arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 36
11
Le facoltà mentali non intervengono; è proprio quando esse sono in stato di riposo che la verità viene loro rivelata”3.
L’invocazione del nome di Gesù, fulcro di questa preghiera, è una forma caratteristica di interpretazione fra il contenuto teologico, espresso dalle parole e il metodo di interiorizzazione simile a tante altre prassi dell’oriente non cristiano, che si riassume in una parola: mantra.
Il mantra è una breve formula o espressione verbale la cui continua ripetizione, pervasa di raccoglimento o devozione, ha la capacità di condurre all’unione continua con Dio, non si tratta di un trucco magico o di una scorciatoia ma di un vero e lungo tirocinio, a volte di tutta una scuola di spiritualità, come nel caso dell’esicasmo, basata sulle diverse tappe e i diversi effetti che la continua ripetizione del mantra va operando nella persona.
Il mantra può essere paragonato al granellino di senape della parabola (Mt 13, 31-32): ha la forza di germogliare e ramificarsi sino a dare albergo agli uccelli dell’aria, ma nel suo stato primitivo è il più piccolo dei semi, cioè una semplice espressione verbale, a volte una sola parola.

I.1.   Nell’Induismo
Nell’Induismo il mantra fondamentale (mulamantra), che ne precede ogni altro, inizia i testi religiosi, apre e chiude le sacre recitazioni, quello è il suono primordiale, la

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3S. SIDDHESVARANANDA, Pensiero indiano e mistica carmelitana, Vidya, Roma 1977, p. 22
12
sorgente stessa delle parole, è “AUM” che si pronuncia “OM”. Ĕ la combinazione di tre suoni: il primo, A, simboliza la creazione, U la preservazione e il terzo M la distruzione. Dallo spirito originale silenzioso uscì all’inizio il suono che ha condotto l’universo alla sua manifestazione. Questo suono non è altro che un flutto che si eleva dallo Spirito di Dio, calmo, silenzioso e onnipotente. Modulando costantemente la sacra sillaba OM, secondo le Upanishad e il Vedanta, si ritorna a questo spirito silenzioso da cui proviene  l’universale manifestazione. La ripetizione suscita nella persona vibrazioni che danno accesso agli strati sottili, e, quando queste cessano, l’esistenza individuale si immerge nel Brahman supremo, aspetto statico del divino.

I. 2.   Nell’Islam
Nell’Islam  l’invocazione del nome di Dio, come orazione giaculatoria ripetuta all’infinito, è per eccellenza la pratica del “sufi”4.
Trova il suo fondamento su un precetto del Corano:
“Salmeggia la parte che ti è stata rivelata della scrittura: la preghiera preserva dalla turpitudine e dalle cose riprovevoli e il ricordarsi del Dio, il dhikr, è certo ciò che vi è di più grande. Il Dio in effetti sa bene ciò che fate”. (Corano XXIX, 45)5.
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4Il sufi è colui che aderisce al movimento mistico del sufismo, sviluppatosi all’interno dell’Islamismo. Venivano chiamati così per l’abitudine che avevano di vestirsi con un saio di lana (suf) di cammello.



13

Ĕ questo ricordarsi di Dio, dhikr, che acuisce il senso del reale, la coscienza della sola realtà che esista, fuori del quale tutto è illusorio ed effimero, semplice manifestazione dell’Essere unico. L’invocazione “La ilaha illa allah”,  “Di Dio non c’è che Dio” è il pungolo che risveglia la coscienza dell’Essere unico.
La preghiera viene fatta con l’aiuto di un “rosario” di novantanove grani, corrispondenti ai novantanove nomi o attributi del Dio unico. I nomi ripetuti di proposito con una cadenza variabile provoca a poco a poco una perdita della sensibilità, la tensione nervosa si trasforma in attenzione spirituale, l’anima si concentra non più sulla parola sonora, ma nel senso della parola stessa, che qui ha la funzione di freccia, di veicolo che trasporta colui che prega fino al cuore dell’oggetto evocato, nel quale si  perde come una goccia d’acqua nell’oceano. Scopo del drikr è quello di rinunziare al mondo per condurre una vita ascetica, liberandosi dai lacci terreni, svuotando il cuore dalle preoccupazioni terrene e accostandosi all’Altissimo Iddio mediante una perfetta applicazione spirituale.

I. 3.   Nel Buddismo
Per quanto riguarda il Buddismo in quasi tutte le scuole si è diffusa l’idea della terra pura e la sua pratica principale, il “Nembutsu” (il pensiero del Budda o l’invocazione
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5 IL CORANO, Mondatori, Milano 1979, Vol. II, p. 558

14
del suo nome). Questa è stata dichiarata la più facile e anche la migliore tra le varie pratiche buddiste. La formula da ripetere è “Namu Amida Butsu” che si pronuncia “Namo Amida’n Bu” abbreviato in “Nam’Am Da Bu”, la sua traduzione è “Pongo la mia gioia e fiducia in Budda infinito”. L’idea portante del buddismo della terra pura deriva da questa constatazione: per quanto penosi siano gli sforzi dell’uomo e per quanto buone siano le azioni compiute con le loro forze, tutto ciò non basta per condurlo alla perfetta illuminazione in questa vita.
Attraverso la recitazione del nome di Budda si raggiunge da soli la buddità, ossia uno stato libero dal samsara, dal ciclo infinito delle reincarnazioni. “Giungerà il momento in cui comprenderete che recitando così “Namu Amida Butsu” non c’è né Budda, né Io, né alcun ragionamento che gli si possa anteporre. Quali che siano le condizioni in cui vi trovate, buone o cattive, la terra di Purezza  è sempre per voi, perché lì non avete niente da cercare, niente da evitare. Ogni essere vivente, montagne, fiumi, erbe, alberi, vento che soffia, flutti del mare, tutti esprimono nel cuore il Nembutsu”6.


I. 4.   Nella mentalità semitica
Nella mentalità semitica il nome designa, in modo generale, la natura segreta di un essere, non in virtù di una definizione di cui sarebbe il simbolo, ma in quanto il nome
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6 J. ERACLE, La Doctrine bouddique de la Terre Pure, Dervy livres, Paris 1973, p. 69-70


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contiene una specie di  Presenza attiva. Là dov’è il nome, là è la Persona, con la sua “dynamis” pronta a manifestarsi. Conoscere qualcuno per nome, significa conoscerlo fin nell’intimo e avere in mano il suo potenziale dinamismo. Così, conoscere il Nome divino, significa detenere un eccezionale potere, perché si possiede il mezzo per farsi ascoltare dalla divinità e per captarne la benevolenza. In questo contesto si deve situare Mosè che chiede a Dio qual è il suo Nome. “Mosè disse a Dio: Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io cosa risponderò loro? Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse “Dirai agli Israeliti:YHWH (il Signore) il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione”. (Es 3, 13-15).
YHWH è innanzi tutto il nome proprio di una persona, di un essere che dice di se stesso “IO SONO”, una persona che, con i suoi stessi atti, dirà ciò che il suo nome significa a chiunque crederà in lei prima di ogni altra cosa e camminerà sulla strada che essa gli apre e verso il paese che gli destina. Al nome di YHWH vengono in tal modo attribuiti tutti i grandi eventi della storia di Israele, così come della natura. A lui vengono riferite tutte le azioni di cui lo si riconosce autore trascendente: le liberazioni del suo popolo, le scorrerie dei grandi conquistatori, la creazione e l’ordine del Cosmo. In una parola, il nome di YHWH propone e condensa tutta la

16
fede di Israele: permette di coglierla, la sostiene, la esprime. Nel nome di YHWH è racchiusa la conoscenza del Dio unico. Ĕ il memoriale del Dio vivente. A questo fa eco il profeta Gioele che con una breve esortazione fonda la pratica dell’invocazione e sottolinea il potere salvifico del nome divino: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Gl 3, 5). Inizialmente la pronuncia del nome era accompagnata da un insieme di riti e di prescrizioni e un assoluto timore reverenziale lo proteggeva da un uso profanatore. Non era permesso pronunciarlo nel tempio di Gerusalemme se non in rare occasioni, come la festa del Yom Kippur ( giorno dell’espiazione). Con il tempo venne sostituito con il vocabolo Adonai, Signore, e sarà una perdita gravissima per Israele che non sa più invocare Dio con il Nome consegnatogli al Sinai. Tuttavia, nella tradizione rabbinica, continua la venerazione e il culto del nome e la perdita della conoscenza del nome chiaramente pronunciato, sarà letta come rispetto del nome ineffabile ormai impronunciabile.

I. 5.   Nel Cristianesimo
Nel Cristianesimo la persona di Gesù realizza con evidenza e in modo eminente i due ruoli del nome di YHWH. Da una parte, Cristo rivela il mistero e il disegno di Dio. Dall’altra, Cristo unifica in se stesso tutta la rivelazione precedente, la prende su di sé, dà il compimento definitivo a tutte le profezie, è realmente la verità degli atti di Dio nell’Antico Testamento.

17
Quando S. Pietro proclama: “Non vi è altro nome dato agli altri uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12), mai è risultata più stretta l’identificazione del nome con la persona che il nome rappresenta; inoltre in nessun altro luogo biblico si evidenzia meglio il fatto che Cristo sostituisce se stesso al nome di YHWH, unico luogo di salvezza per il giudeo.
Facendo appello al Nome di Gesù i discepoli guariscono i malati 7, cacciano i demòni8, compiono ogni sorta di miracoli9. Nel ridare la salute agli ammalati10, ma anche e soprattutto nel donare la salvezza eterna a coloro che credono11, Gesù manifesta il significato del proprio nome: Colui che salva12.
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7 At 3, 6 “Ma Pietro gli disse:non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di  Gesù Cristo, il Nazareno, cammina.
Cfr. At 9, 34.

8 Mc 16, 17 “E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni”.
Cfr. Mc 9, 38;  Lc 10, 17;  At 16, 18.

9At 4, 30 “Stendi la mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù”.
Cfr. Mt 7, 22.

10At 3, 16 “Proprio per la fede riposta in Lui il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede in Lui ha dato a quest’uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi”.

11 At 5, 30-31 “Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati”.
Cfr. At 4, 7-12; 13, 23.

12 Mt 1, 21 “Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.

18

I primi cristiani vengono spesso designati come “Quelli che invocano il nome del Signore Gesù Cristo” (1 Cor 1, 2).
I primi monaci che praticano la Preghiera di Gesù si inseriranno in questa tradizione; ripetere mentalmente il nome di Gesù significa camminare alla sua Presenza ed essere liberati da ogni male. “Questa divina preghiera, cioè l’invocazione del nostro Salvatore: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, è preghiera, desiderio, professione di fede che conferisce lo Spirito Santo con i suoi doni, che purifica il cuore e scaccia i demòni. Ĕ la presenza di Gesù in noi, una fonte di riflessioni spirituali e di divini pensieri. Ĕ la remissione dei peccati, la guarigione dell’anima e del corpo, l’irradiamento della divina illuminazione; è una fonte di misericordia divina che diffonde sugli umili la rivelazione ed è iniziazione ai misteri di Dio. Ĕ la nostra sola salvezza, poiché contiene in sé il Nome salvifico del nostro Dio, il solo nome al quale possiamo fare appello, il Nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, perché “in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stato stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12).
Per questo ogni credente deve costantemente confessare questo Nome, per proclamare la sua fede ed insieme per testimoniare il suo amore per il Signore Gesù Cristo, dal quale nulla può separarlo; ed anche a motivo della grazia che ci è data


19
per il suo Nome, a motivo della remissione dei peccati, della guarigione, della santificazione, dell’illuminazione, e al di sopra di tutto della salvezza che Egli diffonde. In questo divino Nome, gli apostoli fecero e insegnarono meraviglie. L’evangelista afferma “Questo è stato scritto perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio” – Ecco la fede- e affinché credendo abbiate la vita nel suo nome – ecco la salvezza e la vita”- (Gv 20,31)13.












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13 SIMEONE DI TESSALONIA, Sulla santa e deificante preghiera, in La Filocalia, ( a cura di M.B. ARTIOLI e M.F. LOVATO), Gribaudi, Torino 1982-1987, Vol IV, p. 480-482.
Da ora in poi solo La Filocalia.



20
CAPITOLO II
LA PREGHIERA DI GESŬ NELLA TRADIZIONE

II. 1.   I Padri del deserto: nascita dell’esicasmo
II. 2.   Gli autori sinaiti: Giovanni Climaco ed Esichio
II. 3.   Simeone il Nuovo Teologo e gli autori dell’XI / XIII secolo
II. 4.   L’esicasmo athonita e la controversia palamitica
II. 5.   Dal XV secolo alla pubblicazione della Filocalia

Nulla mi sembrava più grande di questo:
far tacere i propri sensi,
raccogliersi in se stesso,
parlare con se stesso e con Dio,
condurre una vita che trascende le cose visibili,
essere veramente uno specchio immacolato di Dio
e divenirlo sempre di più,
aver già lasciato la terra pur stando in terra,
trasportato in alto con lo spirito.
Se qualcuno di voi partecipa a questa brama ardente
può comprendere quello che dico.
                                       (Gregorio Nazianzeno)
21
II. 1.  I Padri del deserto: nascita dell’esicasmo
L’esicasmo è una tradizione spirituale che si è sviluppata cronologicamente dal V al XVIII secolo e ha avuto tra i suoi esponenti monaci di tendenza contemplativa, desiderosi di cercare e trovare la perfezione nell’unione con Dio, vivendo asceticamente, in solitudine e in continua preghiera, secondo il comando dell’Apostolo (1 Ts 5, 17). A differenza del monachesimo basiliano e studita 1  che insiste maggiormente sulla vita cenobitica e sulla preghiera comune, l’esicasmo privilegia la santificazione individuale e isolata.
La parola esicasmo deriva dal termine greco “hesychìa”, che letteralmente significa riposo, pace spirituale, quiete. Il verbo “hesychàzo” si riferisce al monaco che vive in solitudine e in silenzio, che conduce una vita appartata e centrata sulla preghiera, sulla sobrietà e sull’attenzione interiore.
Gli esicasti, riprendendo alla lettera le esortazioni di Paolo inviate ai primi cristiani 

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1Gli studiti erano monaci greci che si erano stabiliti nel monastero di Alessandria sulla riva asiatica del Bosforo alla fine del V secolo grazie al beneplacito del console Studios, da cui il nome di “studiti”. Erano di stampo neo-basiliano. Il loro monachesimo era rigorosamente cenobitico, attivo, sociale, nell’orientamento come nell’organizzazione. Diverranno la più potente organizzazione monastica di Costantinopoli. Al monastero di Studios sarà legata l’ultima lotta contro l’iconoclastia, come pure la riforma della Chiesa bizantina.
Cfr. L. BOUYER, Spiritualità bizantina e ortodossa, EDS, Bologna 1968, p. 25-27


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di “vivere in pace” (hesychazèin) ( 1 Ts 4, 11), di condurre “vita pacifica” (hesychìon bìon diàghein) (1 Tm 2, 2), di “lavorare con tranquillità” (metà hesychìas ergazomenoi) (2 Ts 3, 12), intendevano condurre una vita che fosse caratterizzata dalla pace interiore, che non fosse turbata da elementi distraenti sia esterni che interni.
Il loro ideale viene programmaticamente delineato in questo motto di Abba Arsenio: “Fuge, tace, quiesce!”2 cioè: separato dal mondo, coltiva il silenzio e la pace!
Per raggiungere lo stato di pace interiore, ricercato dagli esicasti, occorre abbandonare le distrazioni del mondo, fuggire nel deserto e ritirarsi in un posto solitario per immergersi nella meditazione delle cose divine. Ma  non basta la fuga dal mondo, la ricerca della solitudine e del silenzio per raggiungere l’ “hesychìa”; il vero monaco esicasta, deve rinunciare sia interiormente che esteriormente al mondo: esteriormente, quanto alle cose materiali e agli affari di questo mondo; interiormente, quanto ai pensieri che vi si riferiscono, non ammettendo alcuna preoccupazione mondana. Il vero monaco esicasta ricerca il silenzio interiore, quello di una mente non affollata da pensieri mondani e passionali.
Evagrio Pontico ha affermato che il solitario deve essere due volte monaco: “uomo-monaco” e “intelletto-monaco”, cioè deve essere colui che evita il peccato sia nella

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2 Cfr. ARSENIO, in Vita e detti dei padri del deserto, ( a cura di L. MORTARI), Città Nuova, Roma 1971, vol. I, p. 97.
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azione che nei pensieri3. Questo significa che il vero solitario è colui che non soltanto ricerca il silenzio esteriore, ma desidera creare nel proprio spirito un silenzio profondo favorito dalla concentrazione sul ricordo di Dio.
Già Evagrio è stato maestro nell’insegnare ai suoi monaci il modo di raggiungere la pace dell’anima (hesychìa). Nella sua dottrina ascetica ha teorizzato la necessità di lottare contro i pensieri passionali che provocano nello spirito una agitazione dannosa alla pace interiore.
Ĕ molto importante, secondo Evagrio e i Padri esicasti, custodire il proprio cuore e vigilare con attenzione (nepsis) sulla mente, affinché i pensieri passionali non ostacolino la contemplazione-orante e non offuschino la pace interiore dello spirito.4
La “nepsis” è un metodo spirituale di attenzione e vigilanza interiore che aiuta



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3”Uomo-monaco –scrive Evagrio – è colui che evita il peccato in azione; intelletto-monaco è quello di colui che evita il peccato dei pensieri e può contemplare nell’orazione la luce della Santa Trinità”.
Cfr. I. HAUSHERR, Solitudine e vita contemplativa, Queriniana, Brescia 1978, p. 44.
4Il termine “nepsis” ha una preistoria prima di incontrarlo presso gli asceti orientali. Il verbo neutro “nèpsein” significa lo stato di sobrietà in opposizione a “methyein” che indica lo stato di ebbrezza. Da questo primo senso materiale, il vocabolo passa ad un senso più elevato, per esprimere lo stato di un’intelligenza padrona di sé, equilibrata, saggia, opposto a uno stato di esaltazione incontrollata, di squilibrio, di ebbrezza mentale: la “manìa”. La mente sobria è aperta alla contemplazione. Anche le scritture consigliano di mantenersi in uno stato di sobrietà mentale: “Siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera”  (1 Pt 4, 7).




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l’uomo a ostacolare la penetrazione nella mente dei pensieri passionali, i quali impediscono la preghiera. Non si può pregare con purezza se si è immischiati in affari materiali e se si è agitati da continue preoccupazioni, sostiene Evagrio nel suo trattato “ Sulla Preghiera”. Evagrio insiste sulla vigilanza della mente perché lo stato di “preghiera pura” fiorisce solo in un’atmosfera di pace interiore, che si instaura nell’uomo, quando è riuscito ad espungere dal proprio animo i pensieri passionali che lo ingombrano.5
Esiste uno stretto rapporto fra “hesychìa” e Preghiera del cuore; l’una è il presupposto dell’altra, perché non si può pregare se non si ha l’anima libera da turbamenti. D’altro canto la preghiera ripetuta incessantemente può essere un valido mezzo di purificazione dell’anima e, quindi, uno strumento utile a creare uno stato di quiete nello spirito.
Giovanni Cassiano nelle sue conferenze ripete l’insegnamento dei monaci da lui incontrati in Egitto su questo tipo di preghiera, che “ non soltanto proteggerà dagli assalti dei demòni, ma purificherà anche da ogni vizio e da ogni macchia terrestre; elevarà alla contemplazione delle cose celesti e invisibili; condurrà ad un ardore ineffabile di preghiera, che pochi soltanto conoscono per esperienza. Ĕ un segreto che ci ès stato rivelato da quei pochi Padri appartenenti al  buon  tempo antico, ma che vivono tuttora; noi lo riveliamo a nostra volta a quel piccolo numero di anime che dimostrano una vera brama di conoscerlo”6.







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5 Cfr. EVAGRIO MONACO, Sul discernimento delle passioni e dei desideri, in La Filocalia,vol. I
p. 107-124.
6 G. CASSIANO, Conlatio X, 10 passim, in CSEL 13, 297-302; tr. It. A cura di O.LARI, EP, Alba 1965, vol. I, p. 430-436.




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Troviamo lo stesso insegnamento in Nilo d’Ancira (+ 430). “Contro i demòni bisogna impiegare il ricordo del nostro Salvatore, la fervente invocazione del nome notte e giorno”7.
Nella Filocalia è contenuto un racconto di un certo Abate Filemone che può essere fatto risalire al VI – VII secolo.
Questi interrogato da un monaco su che cosa fosse la meditazione nascosta, risponde: “Sii sobrio nel tuo cuore e di’ sobriamente nella tua mente, con timore e temore: Signore Gesù Cristo, pietà di me. Il beato Diodoro, infatti, tramanda così ai principianti: Abbi sempre questo nel tuo cuore, sia che tu mangi, sia che tu beva, sia che ti trovi in compagnia di qualcuno, sia fuori di cella, sia per strada; non ti scordare di fare questa preghiera con mente sobria e intelletto stabile, di salmeggiare e meditare preghiere e salmi...Così potrai comprendere le profondità della divina Scrittura e della potenza che vi è nascosta e dare all’intelletto una incessante generosità per adempiere il detto apostolico che prescrive: pregate incessantemente”8.


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7 Cfr. NILO D’ANCIRA, Epistolae, III, 278, PG 79, 521 b.
8 ABATE FILEMONE, Discorso utilissimo sull’Abate Filemone, in La Filocalia,vol. II, p. 361.
Nel testo viene citato Diadoco, vescovo di Foticea che risale al V secolo.
Il passo in questione si trova in La Filocalia ,vol. I, p. 369- 370

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Nel periodo compreso tra la metà del VII e gli inizi dell’VIII secolo, in una serie di apoftegmi copti, intitolati “Virtù di San Macario”, è interessante constatare come quasi in ogni pagina si parla della ripetizione del Nome di Gesù, anche con graziose esemplificazioni come questa: “Attacca la corda al picchetto in modo da mantenere la vela e, per la grazia del nostro Signor Gesù Cristo, la barca oltrepasserà le tempeste diaboliche..! La barca è il tuo cuore: sorveglialo! La corda è la tua mente: attaccala al nostro Signore Gesù! Questo è il picchetto che comanda i flutti e le tempeste diaboliche, lottando contro i santi. Non è facile, infatti, dire a ogni respirazione: “Mio Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, Ti benedico mio Signore Gesù Cristo, soccorrimi...” Se noi siamo assidui a questo Nome salvifico del nostro Signore Gesù, egli prenderà il diavolo per le narici,9 per quello che ci ha fatto e noi, che restiamo deboli, sapremo che il soccorso viene dal nostro Signore Gesù Cristo”10.
Concludendo questa panoramica sul monachesimo egiziano di lingua copta  ricordiamo che a questo stesso ambiente si riportano le iscrizioni murali scoperte all’inizio di questo secolo a Baouit e le sottoscrizioni e i colofoni di numerosi manoscritti nei quali figurano diverse formule per la Preghiera di Gesù.11
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9 Gb. 40, 25-26 “Puoi tu pescare il Leviatan con l’amo e tener ferma la sua lingua con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino?”
10E.ALIMENAU,  Histories des monastéres de la Basse Egypte, Annales du Musée Guimet, N°25,
Paris 1894, p. 160-161.
11Cfr. E. LANNE, La Prière de Jesus dans la tradition égyptienne, Temoignages des psalies et des inscriptions  in IRĚNIKON 50 (1977) 200.

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II. 2.   Gli autori sinaiti: Giovanni Climaco ed Esichio

L’insegnamento della preghiera di Giovanni Climaco (+650) è senz’altro meno esplicito di quello dei monaci del deserto egiziano. In alcuni passi troviamo “che sempre il pensiero della morte si addormenti con te e si risvegli con te, così come la preghiera monologica di Gesù. Non troverai, infatti, dei migliori ausiliari durante il sonno”12, “la memoria di Gesù sia unita al tuo respiro: allora conoscerai l’utilità della hesychìa13.
In nessun altro luogo della “Scala Paradisi”, ritornano concetti o termini simili. Nel gradino ventotto, dedicato alla preghiera, Climaco ritorna sulla monologia. Ecco il passo centrale, che delinea alcune caratteristiche della pratica d’orazione “Che il tessuto della tua preghiera sia di un solo colore. Il pubblicano e il figliol prodigo furono riconciliati con Dio grazie a una sola parola”14.
“L’inizio della preghiera consiste nel respingere  con la monologia i pensieri nel momento stesso in cui si presentano” 15.


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12 G. CLIMACO, Scala Paradisi, XV. PG 88, 889 d- 892 a.
13 G. CLIMACO, Scala Paradisi, XXVII. PG 88, 945 c.
14 G. CLIMACO, Scala Paradisi, XXVIII. PG 88, 1129 d.
15Idem, PG 88, 1132 d.


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In Esichio (VIII –X secolo), invece, la Preghiera di Gesù ha un ampio spazio, riconducendo l’ intero cammino spirituale alla sobrietà (nepsis), ribadisce a più riprese la stretta interdipendenza tra questa e la Preghiera di Gesù.
“Sono naturalmente adatte a unirsi tra loro la sobrietà e la Preghiera di Gesù. Infatti, l’attenzione somma è propria della preghiera continua e la preghiera a sua volta è propria della somma sobrietà e attenzione dell’intelletto”16.
La sobrietà e l’attenzione però non bastano da sole: devono essere collegate con l’invocazione del Nome di Gesù onde evitare di essere ingannati dal nemico, una invocazione che deve essere continua e senza sosta.
“Veramente beato colui che è congiunto nella mente alla Preghiera di Gesù e lo invoca senza interruzione nel cuore, come l’aria è unita ai nostri corpi o come la fiamma alla cera. E il sole passando sopra la terra farà giorno, ma il santo e adorabile Nome del Signore Gesù, risplendendo di continuo nella mente genererà innumerevoli pensieri fulgidi come il sole”17.










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16 ESICHIO PRESBITERO, A Teodulo. Discorso per sommi capi, utile per la salvezza dell’anima, sulla sobrietà e la virtù,  in La Filocalia, vol. I, p. 248
17 Idem, p. 269

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II. 3.   Simeone il Nuovo Teologo e gli autori dell’XI / XIII secolo.
Trattando della Preghiera di Gesù  di solito si pone attenzione alla figura e all’opera di Simeone il Nuovo Teologo (946-1022), ma si commette un errore di attribuzione in quanto il trattato “Le tre forme di preghiera” non gli appartiene.
Se si esamina l’opera autentica di Simeone si trovano pochi elementi utili alla nostra ricerca come la testimonianza di un giovane monaco che Simeone riporta in una catechesi.
“Dimenticai il luogo dove mi trovavo, chi ero e in quale posto, limitandomi a gridare: “Kyrie eleison, come riprendendo conoscenza, mi sorpresi a ripetere. Ma chi era colui che parlava, padre, o che faceva muovere la mia lingua, non lo so..., ma Dio lo sa”18.
Il discepolo di Simeone, Niceta Stethatos, accenna in una delle sue Centurie alla ripetizione del Nome di Gesù da usare di fronte agli attacchi dei demòni.
“L’anima, riempita di coraggio e di valore dallo Spirito Santo, disprezza il loro attacco e il loro amaro furore e dissolve, nel solo segno vivificante della Croce e nell’invocazione di Gesù le loro fantasie e li mette in fuga”19.
Tra il finire del XII e gli inizi del XIII secolo va collocata l’opera di direzione spirituale del monaco Isaia, indirizzata a Teodora Angelina, figlia dell’Imperatore Isacco II Angelo. Egli la invitava a sforzarsi di    ripetere   interiormente la   preghiera
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18 B. KRIVOCHEINE –J. PARAMELLE,  Syméon le nouveau teologien, Cerf, Paris 1964, vol.II
p. 244-247
19 NICETA STETHATOS,  Prima Centuria. Capitoli pratici, in La Filocalia vol III, p. 421-422
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spirituale che le aveva insegnato, cioè “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me...” di notte e di giorno, in ogni ora e circostanza fino a quando non si fosse impresso nella mente.
Alla seconda metà del XIII secolo risale, con ogni probabilità, il noto trattato “ Le tre forme di preghiera”.
L’autore parlando della terza forma di preghiera, “la preghiera vera e senza errore”, scrive che: “Quando la mente trova il posto del cuore, vede subito quello in cui non avrebbe mai creduto: vede infatti l’aria all’interno del cuore e se stessa tutta luminosa e piena di discernimento. Appena spunta un pensiero, prima che si completi e prenda forma, lo scaccia e lo annienta con l’invocazione di Gesù Cristo...”20.
“Gli spiriti delle passioni sono soliti agitare terribilmente l’abisso del cuore. Essi sono dissolti e annientati come cera mediante l’invocazione del Signore Gesù Cristo”21.
Niceforo Monaco (+1300) nel suo discorso sulla sobrietà, dopo aver esposto le tecniche per scendere con la mente nel cuore, raccomanda: “Appena il tuo intelletto ha raggiunto quel luogo, da quel momento non devi tacere e stare inattivo, ma avere come opera e invocazione incessante la preghiera: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, pietà di me. E l’intelletto non avrà mai più riposo da ciò, perché quando questa invocazione   tiene  l’intelletto   saldo,  senza  distrazione, lo  mostra   inaccessibile  e
intoccabile agli assalti del nemico e lo innalza alla carità e al desiderio di Dio”22.
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20 SIMEONE IL NUOVO TEOLOGO, Le tre forme di preghiera, in La Filocalia, vol IV, p.513
21 Idem, p. 514
22NICEFORO MONACO, Discorso sulla sobrietà e la custodia del cuore pieno di notevole utilità, in La Filocalia, vol. III, p. 526

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Teolepto il Grande, vero luminare di Filadelfia, dove ricevette la dignità della cattedra episcopale, fiorì intorno all’anno 1325. Non parla di tecniche psicofisiche, ma insiste sulla memoria di Dio attraverso la ripetizione del Nome che concilia ragione e anima.
“Il colloquio con Dio scaccia i pensieri passionali; l’attenzione dell’intelletto a Lui mette in fuga le considerazioni mondane; la compunzione dell’anima fa fuggire, con la paura, l’amore della carne; e si vede la preghiera dalla ripetizione che non tace del Nome divino, accordo e unione dell’intelletto della ragione e dell’anima”... “Dirigi il pensiero a Dio null’altro gridando se non il Nome del Signore, nel continuo profondo ricordo, come un bambino chiama suo padre. Ĕ detto infatti: Proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te”23.

II. 4.   L’esicasmo athonita e la controversia palamita

Il monte Athos si trova nella penisola omonima a nord-est della Grecia, nel mare Egeo. Secondo la leggenda, nel I secolo dopo Cristo, un discepolo di Gesù avrebbe invitato Maria, la Madre di Dio, a visitarlo. Colta da una tempesta, la nave si sarebbe incagliata sulla penisola athonita. Da allora rimase in quel luogo la presenza di Maria

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23TEOLEPTO DI FILADELFIA, Discorso che espone l’attività nascosta in Cristo e mostra in breve la fatica della professione monastica, in La Filocalia, vol. III, p. 506.510

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che portò come conseguenza il declino dei culti pagani. A nessuna donna è consentito l’accesso. A metà del secolo X il monte Athos divenne una sorta di capitale del monachesimo orientale. Lontano da Costantinopoli e dai problemi della civilizzazione urbana, poco coinvolto negli affari dello Stato e della Chiesa, esso fu ben presto considerato il luogo di rifugio degli amanti dell’ “hesychìa”. I primi emeriti cominciarono a installarvisi tra il V e il IX secolo.
Quando vi arrivò Gregorio Sinaita, attorno al 1310, trovò la vita monastica tutta incentrata sulle sole opere ascetiche e sulle osservanze, praticamente dimentica di ciò che è più importante e a cui occorre tendere: l’unione con Dio e la contemplazione, rispetto alle quali l’osservanza di una ascesi rigorosa e la pratica delle virtù sono solo via e mezzo.
Si adoperò ad insegnare ciò e nei suoi diversi scritti si trovano numerosi riferimenti alla Preghiera di Gesù, accompagnati da lunghi passi sulle tecniche respiratorie. Alla base mette la necessità di “starsene seduto in preghiera e non alzarsene presto”, come appunto è intitolata una sua opera: “Il tuo star seduto in preghiera deve essere nella pazienza, perché vi è chi ha detto: Siate perseveranti nella preghiera. E non devi alzarti troppo presto per noncuranza, a causa della penosa sofferenza del grido spirituale dell’intelletto e della continua fissità. Poiché ecco, dice il Profeta: Mi hanno preso i dolori come una partoriente (Is 21, 3). Chinati piuttosto in basso e raccogli l’intelletto nel cuore, se solo esso si è aperto, e chiama in aiuto il Signore Gesù.

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Se le spalle si affaticano sii costante laboriosamente e amorosamente, cercando nel cuore il Signore. Poiché il Regno di Dio è dei violenti e i violenti lo rapiscono”24.
Una delle figure più interessanti del mondo spirituale di quegli anni è Massimo Kausokalyba (1280-1375), conoscente di Gregorio. Ha insegnato molto sulla illuminazione della mente di chi si dedica persistentemente alla preghiera e alla memoria di Gesù.
Uno degli avvenimenti di maggior importanza nella storia del XIV secolo bizantino è la controversia palamitica che esordì a causa degli attacchi di Barlaam alle pratiche di preghiera proprie dei monaci esicasti. Barlaam, originario della Calabria, si stabilì a Costantinopoli intorno al 1330. Giunto dall’Italia, dove cominciava ad affermarsi lo spirito rinascimentale, egli aveva coltivato la propria formazione intellettuale negli ambienti umanistici aperti alla scuola tomista. La sua sensibilità umanistica e neoplatonica fu vivamente urtata dalle pratiche degli esicasti. Cominciò a polemizzare   principalmente contro le tecniche psicofisiche insegnate dall’autore del Metodo e da Niceforo e contro la ripetizione incessante della formula di preghiera.
Gli si oppose allora Gregorio Palamas. Nelle sue opere di quegli anni si possono ritrovare numerosi passi dedicati alle tecniche psicofisiche. Nell’opuscolo “Sulla preghiera e sulla purezza del cuore”, egli ricorda che l’operazione della mente si purifica in quelli che si dedicano alla preghiera e soprattutto

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24 GREGORIO SINAITA, ome l’esicasta deve starsene seduto in preghiera e non alzarsene presto, in La Filocalia, vol. III, p. 597
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a quella monologica25. Nelle Triadi di difesa dei santi esicasti, parla della forma della preghiera del pubblicano, invita alla preghiera monologica e sottolinea l’importanza di avere sempre la memoria di Dio26.
Dello stesso periodo è l’operetta del patriarca costantinopolitano Filoteo Kokkinos
(+ 1377) nella quale la pratica della preghiera è inserita nel ciclo giornaliero dell’ufficio monastico. Il monaco dopo la conclusione delle lodi mattutine non deve passare alla lettura, ma alla preghiera monologica.
Nella seconda metà del XIV secolo emergono due monaci, Callisto e Ignazio, del monastero di Xanthopoulos, che evidenziano il rapporto preghiera- respiro. Nelle loro Centurie raccomandano di recitare la formula “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”, articolandola in due movimenti: slancio verso Gesù Cristo nella prima parte e ritorno su se stessi quando si pronuncia “...abbi pietà di me”.
Il ritmo respiratorio deve essere associato al duplice movimento di inspirazione ed espirazione che produce un certo calore nel cuore. Le centurie raccomandano inoltre una serie di direttive pratiche che concernano la lettura e la meditazione delle Scritture, le prostrazioni (metanìe) per un numero di 300 al giorno, il digiuno, la



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25 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Sulla preghiera e la purezza del cuore,  in La Filocalia, vol.IV,
p. 63-65.
26 Cfr. GREGORIO PALAMAS, In difesa dei santi esicasti, in La Filocalia, vol. IV, p. 50-62.

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salmodia per coloro che non sanno concentrarsi sulla “Preghiera di Gesù”27.

II. 5.   Dal secolo XV alla pubblicazione della Filocalia

Nel secolo successivo spiccano i nomi di Simeone di Tessalonica e Marco Eugenio autore di una composizione sulla Preghiera di Gesù, consistente nella ripresa letterale di scritti più antichi. Ebbe molta importanza Nil Sorskij (1433-1508), uno spirituale russo, che nel suo “Ustav” riprende gli insegnamenti degli autori bizantini, primo fra tutti Gregorio Sinaita, e parla della Preghiera di Gesù.
In questo passo la pone come rimedio per liberarsi dai pensieri malvagi: “grida: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me...
Dopo queste parole, i Padri aggiungono: peccatore. Ciò è gradito al Signore Dio e conviene particolarmente a noi peccatori. Lancia questa invocazione assiduamente, che tu sia in piedi, che tu sia seduto o sdraiato, rinchiudendo la tua mente nel cuore”28.
I secoli successivi passano quasi sotto silenzio per mancanza di figure e scritti di particolare rilevanza; certi aspetti più tecnici vengono dimenticati ma rimane l’abitudine di recitare incessantemente una breve formula contenente il nome di Gesù.
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27UN MONACO DELLA CHIESA D’ORIENTE, La Preghiera di Gesù, Brescia, Morcelliana 1964, p. 59-61.
28 N. SORSKIJ, La vie, les ècrits, le skite d’un starets  de Trans-Volga,coll. Spiritualità Orientale, N° 32, Bellefontaine 1980, p.51-52

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Nel XVIII secolo assistiamo a una rinascita spirituale che vede tra i primissimi artefici Paisij Velickovskij (1722-1794) con i suoi  “ Capitoli sulla preghiera mentale” dove espone anche la tecnica psicofisica insieme agli insegnamenti dei Padri più antichi e la “Lettera a Agatone, igumeno della skiti di Poiana Voronei, contro il monaco Teopempo, dispregiatore della Preghiera di Gesù”, che è una sorta di storia della Preghiera.
Un contributo notevole è dato da Nicodimo Aghiorita (1749-1809) con tutta la sua opera, in particolare La Filocalia, con il quale si conclude questa rassegna.
Pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1782 anche con l’aiuto del Vescovo Macario di Corinto (1731-1805) è una raccolta di opere patristiche sulla preghiera continua che vanno dal IV al XV secolo.
Come dice lo tesso Nicodimo nel Proemio: “...eletto modello di condotta pratica, guida sicura alla contemplazione, giardino dei Padri, catena d’oro delle virtù. Libro che è ripetizione frequente del Nome di Gesù, tromba che richiama la grazia e, per farla breve, proprio lo strumento stesso della deificazione, possesso mille volte più desiderevole di qualsiasi altro, da molti anni pensato e cercato, ma non trovato”29.




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29 NICODIMO AGHIORITA, Proemio, in La Filocalia,  vol. I, p.51.

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CAPITOLO III


TERMINOLOGIA, FORMULE E SIGNIFICATO



III. 1.   Cuore e preghiera
III. 2.   Formule
III. 3.   Significato teologico della formula classica


Benedetto il Signore, Dio di Israele,
egli solo compie prodigi.
E benedetto il SUO NOME glorioso per sempre,
della sua gloria sia piena tutta la terra.
Amen, amen. (Sl 71, 18-19)


Rallegratevi, giusti, nel Signore,
rendete grazie al SUO SANTO NOME. (Sl 96, 12)

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III. 1.   CUORE E PREGHIERA
Il “cuore” è il luogo spirituale di ogni persona, dove si concentrano e si sperimentano in modo vitale tutte le dimensioni della persona stessa.
Il “cuore” è il luogo metafisico più profondo di una persona; è l’intimo di ogni uomo, dove ciascuno vive il suo essere persona, cioè il suo sussistere in sé, ma in relazione con l’Essere, da cui ha origine e in cui trova il suo fine, con gli altri uomini e con la creazione.
Il “cuore” si esprime in una psicologia. Vi è una psicologia del cuore umano e una fisiologia, perché la persona umana è anche corporea. Ma sia la psicologia dell’uomo, sia la fisiologia trovano la spiegazione ultima dei loro contenuti nella metafisica del cuore, luogo interiore in cui l’uomo avverte e vive in modo positivo o negativo le dimensioni del suo essere persona.
Nel nostro linguaggio comune il “cuore” designa in genere la fonte essenziale di una realtà. “Andare al cuore di un problema” vuol dire andare alla fonte essenziale di esso, da cui dipende la spiegazione di tutte le altre parti del problema. Il cuore di una persona indica così il luogo spirituale, dove noi possiamo contemplare la persona nella sua realtà più profonda e vera, senza veli e senza fermarci ai suoi lati marginali.
Ĕ nel cuore che avviene il giudizio di ogni persona, su ciò che porta dentro di sé e che è la fonte della sua bontà o della sua cattiveria.


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Il cuore può essere pensato come l’icona, l’immagine propria di una persona, il luogo, il volto, dove una persona si manifesta, sia a se stessa, sia agli altri.
“Ti ho manifestato il mio cuore”. Con queste parole intendiamo dire: “Ti ho manifestato me stesso”.
Persona e cuore coincidono come il sole con i suoi raggi.
Di solito nell’espressione “cuore e testa” quest’ultima sarebbe l’ambito del cerebrale, del mentale, dell’intellettuale, del logico, del razionale... mentre il cuore si riduce all’ambito affettivo e sentimentale; invece è il centro della persona umana, il campo della profondità, nel quale sia l’anima che il corpo intrecciano le loro radici.
Il cuore è la sorgente vitale dell’essere. “Quanto al cuore, esso designa, nella tradizione orientale, il centro dell’essere umano, la radice delle facoltà attive dell’intelletto e della volontà, il punto da cui proviene e verso il quale converge tutta la vita spirituale. Ĕ la sorgente, oscura e profonda, da cui scaturisce tutta la vita psichica e spirituale dell’uomo, e attraverso la quale questo è vicino e comunica con la Sorgente stessa della vita”1.
Teofanè ci ricorda che il “cuore è l’intimo dell’uomo, lo spirito. In esso si trovano la consapevolezza, la coscienza, l’idea di Dio e della nostra assoluta dipendenza da Lui, e tutti i tesori eterni della vita spirituale......................     Fisicamente il

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1 E. BEHR-SIGEL, La Priore de Jésus ou le mystere de la spiritualità monastique orthodoxe, coll. Spiritualitè Orientale, N° 14, Bellefontaine 1974, p. 106

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cuore è un muscolo di carne, ma non è la carne che avverte i sentimenti, bensì l’anima; il cuore di carne serve solo come strumento a questi sentimenti, così come il cervello serve di strumento alla mente. Resta nel tuo cuore con la certezza che anche Dio è là... La preghiera è detta del “cuore” quando è recitata dalla mente unita al cuore, quando la mente scende fino al cuore e innalza la preghiera dal profondo”2.
Ĕ nel “cuore profondo” che l’uomo incontra Dio faccia a faccia, quindi quando l’uomo prega con la mente, continuerà ad agire unicamente con le risorse dell’intelletto umano e a questo livello non arriverà mai ad un incontro con Dio diretto e personale. Usando il cervello, al massimo, si potrà conoscere qualcosa riguardo a Dio, ma non si conoscerà Dio. Non può esserci, infatti, una conoscenza diretta di Dio senza un amore immenso, ed un simile amore deve sgorgare non dal cervello soltanto, ma dall’uomo tutto intero, cioè dal cuore.
“La testa è come un mercato pieno di gente: non è possibile pregare Dio in un posto simile”3.
Ĕ quindi necessario che l’orante scenda dalla testa nel cuore. Non gli viene richiesto di abbandonare le sue capacità intellettuali (anche la ragione è un dono di Dio), ma è chiamato a concentrare la mente nel cuore.
Come si deve intendere questa espressione?
“La mente è il luogo in cui si trova l’attenzione.
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2 CARITONE DI VALAMO, L’arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 190.193.
3 Idem, p. 186        

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Concentrare la mente nel cuore significa stabilire l’attenzione nel cuore e vedere mentalmente davanti a sé il Dio invisibile e sempre presente; significa rivolgersi a Lui nella lode, nel ringraziamento e nella supplica, stando però attenti che nulla di estraneo penetri nel cuore”4.
Dapprima si discende nel cuore naturale e da qui nel cuore profondo, in quel “luogo interiore” del cuore che non è più di carne. Allora la preghiera diventerà veramente “del cuore”, non più preghiera di una sola facoltà umana, ma di tutto l’uomo, anima, spirito e corpo: non solo della nostra intelligenza, della nostra ragione naturale, ma dello spirito; infatti nella profondità del cuore, l’orante scopre per prima cosa lo “spirito ad immagine di Dio” che la Santa Trinità ha immesso nell’uomo alla creazione, e, attraverso questo spirito, arriva a conoscere lo Spirito di Dio, che dimora in ogni cristiano dal momento del Battesimo, anche se molti di noi di noi non hanno coscienza della sua presenza.
“Lo Spirito, infatti, scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato...l’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1 Cor 2, 10-16).
___________________
4 Idem, p. 187.
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III. 2.    FORMULE
La preghiera è conosciuta anche con il genitivo “di Gesù” o “a Gesù”, a seconda se si intende l’invocazione del Nome o una petizione rivolta a Gesù.
Nella formula tradizionale incontriamo l’invocazione del Nome di Gesù ed anche in formule più moderne e generalmente più corte, al fine di realizzare la totale adesione a Dio attraverso la ripetizione continua del Nome Supremo.
Alcuno autori consigliano un nome diverso, come: Dio, Luce, Amore...; una parola che sappia concentrare in sé tutto il desiderio di Dio, di pace e di felicità, da conservare nel cuore come un tesoro, da usare solo in preghiera come se fosse un contrassegno segreto, come una chiave personale che ha il potere di aprire la strada a un incontro continuo con la inesprimibile realtà che il Nome rappresenta.
Un autore medioevale così si esprimeva: “...prendi una formula corta, meglio se di una sola sillaba: più è corta più si intona all’opera dello spirito. Una tale parola può essere Dio o ancora Amore. Scegli una di queste due o un’altra di tuo gradimento, purchè sia di una sola sillaba. E questa parola legala stretta al tuo cuore, così che non se ne stacchi più, qualunque cosa accada. Questa parola sarà il tuo scudo e la tua lancia, sia in pace che in guerra. Con questa parola picchierai sulla nube e sull’oscurità che ti sovrasta.
Con questa parola sopprimerai ogni pensiero sotto la nube dell’oblio”5.
__________________
5 ANONIMO, La nube della conoscenza e gli altri scritti,  Ancora, Milano 1983, p. 143-144.

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Il pellegrino con semplicità dice che “Basta calarsi in silenzio nelle profondità del proprio corpo e invocare sempre più spesso il radioso Nome di Gesù Cristo. Allora tutto sarà chiaro in questa luce...”6
Come per Francesco, il poverello di Assisi: “Al sentire nominare l’Amore del Signore, subito si sentiva stimolato, colpito, infiammato: quel Nome era per lui un plettro, che gli faceva vibrare l’intimo del cuore”7.
Il guru indù Yogananda, invece, ha trovato il nome supremo nella parola “Dio” e in questa bella poesia ne canta la bellezza:


Quando dalle profondità del sonno
torno a risalire
la scala a chiocciola del risveglio,
io ripeto in un sussurro:
Dio, Dio, Dio.

Tu sei il mio cibo,
e quando interrompo il digiuno
della separazione notturna da Te,
allora ti assaporo e penso nel silenzio:
Dio, Dio, Dio.
________________________
6RACCONTI DI UN PELEGRINO RUSSO, Rusconi, Milano 1973, p. 114.

7SAN BONAVENTURA, Legenda S. Farcisci, cap. 9, n°1; in  opera omnia, Quaracchi, Firenze 1898, vol.VIII, p. 530 a.

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Dovunque vedo il foro della mia mente
è sempre centrato in Te,
e nella tumultuosa lotta dell’azione
il mio silenzioso grido di guerra è sempre:
Dio, Dio, Dio.

Quando ruggiscono violente le tempeste della prova
e  le angustie mi lanciano il loro urlo,
allora io copro il loro strepito
intonando ancora più forte:
Dio, Dio, Dio.

Mentre veglio, mangio, lavoro, dormo, sogno,
servo, medito, canto e divinamente amo,
la mia anima sussurra senza stancarsi
e senza che alcuno oda:
Dio, Dio, Dio 8.

La formula classica della preghiera è : “SIGNORE GESŬ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETĂ DI ME PECCATORE” ; in lingua paleoslava è la seguente:
Ґосподи, Иисусе  χρисте, Сыне  Божкй,
помилуй  меня, ґрешноґо.
che suona così:
____________________
8 M. BALLESTRER, Per una preghiera continua, Paoline, Roma 1984, p. 74 -75.

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GOSPODI,  IESUSIE  CHRISTIE,  SYNE  BOSCIH,  POMILUI  MNIA  GRIESCNOGO.
Alcuni autori la cambiano nel periodo pasquale, evidenziando la Resurrezione, altri aggiungono l’intercessione di Maria, altri ancora usano formule diverse. Per tutti sia valido l’insegnamento di Gregorio Sinaita: “Le piante continuamente trapiantate non mettono radici”9. Infatti, la formula adottata, preferibilmente quella classica, non si deve cambiare, per fare in modo che metta radici profonde nel cuore.
Troviamo le fonti di questa formula nel Vangelo di Luca. Ĕ il grido disperato e ripetuto del cieco di Gerico: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me” (Lc 18, 38). Ĕ la preghiera umile e dimessa del pubblicano al tempio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18, 13).  Ĕ il riconoscimento in extremis della Signoria di Gesù di uno dei malfattori appeso alla Croce insieme al Cristo, il”teologo” come è chiamato dalla tradizione orientale
 “Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno” (Lc18, 42)

III. 3.   SIGNIFICATO TEOLOGICO DELLA FORMULA CLASSICA

Per penetrare in profondità il mistero di questa preghiera, che ha edificato la vita spirituale di molti fratelli ortodossi attraverso i secoli, esamineremo il contenuto
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9 GREGORIO SINAITA, L’esichia e i due modi della preghiera in quindici capitoli, in La Filocalia, vol. III, p.585.
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teologico delle dieci parole.

SIGNORE
L’invocazione liturgica della professione di fede: kyrios Jesoùs = Gesù (è) Signore, proviene dalla chiesa paolina ed è una delle confessioni più antiche, se non la più antica della fede cristiana. Con questa invocazione la chiesa  neotestamentaria si sottomette al suo Signore, professando così anche il suo dominio sul mondo10.
Dio ha fatto risorgere dai morti Gesù, lo ha glorificato a Kyrios universale e gli “ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2, 9 ss; cfr. Is 45, 23 s), cioè il nome proprio di “Signore” e la posizione che corrisponde a questo Nome.
Il Kyrios Cristo glorificato è Signore dei vivi e dei morti11; tutte le potenze e gli esseri del cosmo devono inginocchiarsi davanti a Lui, onorando così Dio Padre12. Cristo è dunque Signore di tutti i re della terra, Signore dei signori

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10 Kosmokràtor; Fil 2, 11 “e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”.
Cfr. Rm 10, 9 a; 1 Cor 12, 3.
11 Rom 14, 9 “Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi”.
12 Ef 1, 20-22 “Che egli manifestò in Cristo quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della chiesa”.


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e Re dei re13. In questo modo Gesù Cristo assume gli stessi titoli di Dio14.
In 1 Cor 12, 3 Paolo insegna a distinguere quale sia il cristiano che parla nello Spirito: può proclamare “Gesù è Signore” solo chi è pieno di Spirito Santo. Chi appartiene alla nuova alleanza confessa Gesù come Kyrios, fa parte della sfera dello Spirito, non appartiene più all’antica alleanza e all’antica legge, ma gode della vera libertà: “Dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2 Cor 3, 17).
Il fedele che invoca il Signore nella preghiera si dispone affinché egli possa regnare sui pensieri, sulle azioni, sui sentimenti e addirittura sulle zone subcoscienti e incoscienti, affinché tutto il suo essere sia pervaso dalla sua regalità e stare sotto la sua Signoria.

GESŬ CRISTO
La formula “Gesù Cristo” è composta da un nome, Gesù e da un titolo che ne esprime la dignità, Cristo: abbinati essi formano un nome nuovo. Così è nata una formula, nella quale ha trovato espressione la fede in Gesù di Nazaret, loro maestro e signore, re, salvatore, liberatore da Dio promesso al suo popolo Israele.
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13 Ap 1, 15 “Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.
14 1 Tm 6, 15-16 “Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi rivelato al beato e unico sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita la luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può mai vedere. A lui onore e potenza per sempre. Amen”.
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Col passare del tempo ha acquistato una importanza centrale e duratura per tutte le future generazioni cristiane e per gli sforzi di dare al contenuto di fede una formulazione adeguata.
Jesoùs è la forma greca al nominativo del veterotestamentario e giudaico nome Jeshua, nato dalla trascrizione e dall’aggiunta di una s, che permette la declinazione del vocabolo. Secondo Mt 1, 21 e Lc 1, 31 il nome di Gesù è deciso in base a indicazioni celesti impartite al padre Giuseppe (Matteo) o alla madre Maria (Luca). In questo contesto Matteo contiene anche una spiegazione del nome di Gesù, ne indica il compito futuro: “egli salverà il suo popolo dal peccato”. Questo significato si aggancia al significato del nome di Jehoshua (composto dal nome di Dio e da Shua), che continua anche nel greco (Jesoùs): “Jahvè è l’aiuto” oppure “Jahvè è il Salvatore”.
Christus è la forma latina del greco Christòs, che a sua volta nei LXX e nel NT è l’equivalente greco dell’aramaico meshikha. Questo a sua volta corrisponde all’ebraico mashiakh e indica una persona che è stata solennemente unta per missione. La forma grecizzata di meshika è Messìas, che come Jesoùs è stata resa declinabile con l’aggiunta della s.
Il nome di Gesù racchiude per i cristiani le promesse che Dio ha fatto ai Padri. Tutta la salvezza che Dio ha destinato e offerto al mondo è collegata a Gesù in quanto Egli è il Cristo. In Gesù, come in colui che è il Cristo “abita tutta la pienezza della divinità in forma visibile” (Col 2, 9), per la salvezza di tutti coloro che pongono in Lui tutta
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la loro fiducia e si lasciano accreditare i frutti della sua morte e risurrezione15. La parola “Cristo”, che di per sé è un titolo onorifico, è diventata parte del nome personale di Gesù in quanto esprime il tratto costitutivo della sua presenza nella storia e che vale come presupposto per tutta la sua opera di mediatore della salvezza, opera che si riassume nella sua obbediente sottomissione alla volontà di Dio, in stretto legame con il popolo di Dio, nella realtà storica dell’autorivelazione divina. Il fedele che invoca il nome, invoca la persona di Gesù, richiamando la sua potenza.

FIGLIO DI DIO
Questo è il titolo che può essere immediatamente associato a Gesù Cristo, il Messia, perché nella tradizione biblica il discendente davidico, re ideale,è colui che partecipa in modo particolare allo statuto dell’alleanza: “io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio” (2 Sam 7, 14: cfr. Sl 2,7; 89, 27-28; 110, 3; At 13, 33). Questo titolo esprime il contenuto essenziale del cherigma e della professione di fede primitiva16.
Dai discepoli e da quelli che sono ad essi assimilati, Gesù è riconosciuto come Figlio di Dio “gli si prostrarono davanti, esclamando:”Tu sei veramente il Figlio di Dio!”
(Mt 14, 33).
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15 Rm 4,24-25 “ma anche per noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione”.
16 At 9, 20 “e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio”.
Cfr. At 13, 33; 1 Ts 1, 10; Gal 2, 20.

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L’orante che invoca Gesù, riconoscendolo Figlio di Dio, si inserisce in quel permanere in Dio assicurato a tutti coloro che ne fanno la professione “Chi confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio” (1 Gv 4, 15).


ABBI PIETĂ DI ME PECCATORE
Con questa invocazione il fedele riconosce e confessa la propria situazione di peccato, facendosi bisognoso della grazia divina per poter superare gli ostacoli che si frappongono alla comunione con l’Amore.
La consapevolezza di essere peccatore abitua a strapparsi dalla personale sicurezza di sapersi salvare da se stessi, a sradicare l’orgoglio di essere principio di bene, a liberarsi dalla convinzione di essere in possesso di una morale orientatrice. Se i farisei furono incapaci di aderire al Vangelo del Signore, fu proprio perché si ritenevano giusti. Appunto contro di essi, “che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri”, Gesù racconta le sue parabole di riprovazione
(Mt 6,1; 23, 28; Lc 16, 15; 18, 19).
Ĕ Cristo che salva per un dono gratuito del suo Spirito, è Cristo l’unico reale salvatore, in quanto le forze umane sono insufficienti a liberare dal male.
L’orante sperimentando il proprio limite, invoca pietà associandosi al grido del salmista “Corri Signore in mio aiuto, vieni presto a salvarmi” (Sl 40, 14).
L’invocazione  aiuta   ad   acquisire una  consapevolezza   mistica   del   peccato,   ad
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averne coscienza secondo l’insegnamento che interiormente fa percepire lo Spirito di Cristo. Quando un’anima, anche innocente, vive in partecipazione al mistero pasquale del Signore, allora essa partecipa ed esperimenta l’autentico senso del peccato. Questo si rivela unicamente all’interno della misericordia di Dio in Cristo.
Ci aiuta a capire quanto detto, l’esempio della esperienza mistica del peccato nella vita di S. Teresa di Lisieux. Pur non avendo mai compiuto un peccato mortale, attesta: “Com’è necessaria questa umiliazione! Mi sentivo, come il pubblicano, una grande peccatrice. Dio mi appariva tanto misericordioso!... Com’è straordinario aver provato tutto questo... Ma com’è davvero impossibile procurarsi da sé questi sentimenti! Ĕ lo Spirito Santo che li dà, soffia dove vuole”17.
La santa non esprime qui una pia bugia per il fatto che si dichiara una grande peccatrice, ma è profondamente cosciente che ogni persona umana, per quanto grande, è estremamente piccola, situata in una imperfezione e, in quanto tale, a cadere nel peccato.
Da qui l’invocazione costante a Colui che si è fatto peccato per noi: “Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Esaminando il contenuto teologico della formula, si evince chiaramente il carattere cristologico della Preghiera del Cuore. Essa pone l’accento sulla vita terrena del


_____________________
17SANTA TERESA DI GESŬ BAMBINO, Gli scritti, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1979, p.358- 359.
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Signore incarnato “Gesù Cristo” e, contemporaneamente, sulla sua divinità di “Figlio di Dio”. Quelli che fanno uso di questa preghiera richiamano costantemente alla memoria il personaggio storico, che si trova al centro della rivelazione cristiana, ed evitano così un falso misticismo che richiederebbe di far dimenticare il valore dell’Incarnazione. Tuttavia, benché cristologia, la Preghiera di Gesù non è una forma di meditazione su episodi particolari della vita di Cristo. Anche qui, come per altre forme di preghiera, è sconsigliato l’uso di immagini mentali e di concetti intellettuali.














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SALMODIA AL NOSTRO SIGNORE GESŬ CRISTO PER IL VENERDĬ
In verità ho progredito verso qualcosa di essenziale,
verso il nome salvatore di nostro Signor Gesù Cristo.
Nostro Signore Gesù Cristo ha dato un segno
ai suoi servi che lo temono:
perché fuggano in presenza dell’arco.
Nostro Signore Gesù Cristo ha dato un segno
ai suoi servi che lo temono:
perché dominino i nemici.
Ĕ il nome salvatore di nostro Signore Gesù Cristo e
la sua Croce vivificante sulla quale è stato crocefisso.
Beato l’uomo che rinuncerà a questa vita e alle sue
dolorose cure, che uccidono l’anima;
e porterà la sua Croce giorno dopo giorno,
ed unirà la sua mente e il suo cuore nel nome salvatore
di nostro Signore Gesù Cristo.
Lieto è il nostro cuore, si rallegra la nostra lingua,
quando meditiamo il nome salvatore
di nostro Signore Gesù Cristo18
______________________
18Questa composizione poetica era cantata dai monaci copti del deserto egiziano durante l’ufficio quotidiano.
Cfr. La priore de Jésus dans la tradition égyptienne, in IRÉNIKON, 50 (1977) 178, fasc. n°2.
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CAPITOLO IV

IL METODO

IV. 1.   I metodi dei vari maestri
IV. 2.   Un esercizio di preghiera
IV. 3.   L’Ave Maria

Questa è l’opera che continuamente fa la
Santissima Trinità nelle sue creature:il Padre
aspira in esse, cioè desidera la loro salvezza;
il Figlio respira, riposandosi in esse e
rendendole gradite a Dio;
lo Spirito Santo ispira, ossia le va illuminando
perché possano camminare di virtù in virtù.
              (S. Maria Maddalena de’ Pazzi)

La Chiesa è la società di uomini che pregano.
Suo scopo primario è di insegnare a pregare.
Essa è una scuola di preghiera.
                                                 (Paolo VI)




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IV. 1.   I metodi dei vari maestri

“I cristiani in generale, hanno trascurato troppo i metodi di raccoglimento, in quanto ricerca, nella fede, di questo Dio che abita in noi... Ritrovare questi metodi che numerosi maestri di preghiera cristiani hanno insegnato nel corso dei secoli e perfezionarli è assai augurabile e anche urgente”1. Così si esprimeva Henri Caffarel anni or sono, parlando della preghiera, a Parigi.
Gli fa eco la “Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana”, dove si legge: “L’esperienza umana dimostra che la posizione e l’atteggiamento del corpo non sono privi di influenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito. Ĕ un dato al quale alcuni scrittori spirituali dell’Oriente e dell’Occidente cristiano hanno prestato attenzione... Nella preghiera è tutto l’uomo che deve entrare in relazione con Dio, e dunque anche il suo corpo deve assumere la posizione più adatta per il raccoglimento2.
Tale posizione può esprimere in modo simbolico la preghiera stessa, variando a seconda delle culture e della sensibilità personale. In alcune aree, i cristiani, oggi, stanno acquisendo maggior consapevolezza di quanto l’atteggiamento



________________________
1H. CAFFAREL, La preghiera interiore, Ancora, Milano 1988, p. 67.
2Cfr.  SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali, EP, Roma 1984, n°76, p. 95

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del corpo possa favorire la preghiera”3.
Questi metodi furono ben presto elaborati dai monaci, per favorire i processi di introspezione; furono trasmessi oralmente durante i primi secoli del monachesimo, poi sono stati messi per iscritto a partire dal XII secolo.
I più  antichi teorizzatori della Preghiera di Gesù, come legata a metodi psicosomatici, sono Niceforo Monaco (XIII se.), Simeone il Nuovo Teologo (XIII sec.) e Gregorio il Sinaita (XIII –XIV sec.).
Niceforo Monaco nel suo “Discorso sulla sobrietà e la custodia del cuore” definisce la funzione della respirazione: “Tu, dunque, siediti, raccogli l’intelletto e introducilo, per la via delle narici, per cui entra il respiro del cuore, e spingilo e costringilo a scendere insieme con l’aria che viene inspirata nel cuore. Quando sarà giunto là non seguirà più nulla che sia privo di gioia e di grazia”4.
Concentrato in se stesso, con animo sereno, il monaco deve porre tutta la sua attenzione sulla formula della preghiera “Da quel momento tu non devi tacere e stare inattivo, ma avere come opera e invocazione incessante, la preghiera: Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”5.
Nel trattato “Le tre forme di preghiera” che la Filocalia attribuisce erroneamente a
____________________________
3CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana, del 15-10-1989, in  AAS  82  (1990) 376 ; EV, XI, 2709-2710.
4NICEFORO MONACO, Discorso sulla sobrietà e la custodia del cuore pieno di notevole utilità, in La Filocalia, vol. III, p. 526.
5Ivi.
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Simeone il Nuovo Teologo, la postura del corpo è descritta dettagliatamente. L’autore suggerisce di sedersi in una cella silenziosa e di distogliere il proprio spirito da ogni pensiero: “a questo punto appoggia sul petto la mascella inferiore, cioè il mento, per esercitare l’attenzione in questo modo all’interno di te stesso con il tuo intelletto e i tuoi occhi sensibili. Trattieni un poco il tuo respiro così da tenere lì il tuo intelletto, per trovare il luogo dove sta il tuo cuore, e là stia interamente anche il tuo intelletto. Là, al principio, ti troverai dentro una grande oscurità, insensibilità e durezza. Ma, quando avrai realizzato questa opera dell’attenzione, incessantemente, notte e giorno, troverai –  meraviglia! –una gioia incessante. Poiché l’intelletto che per questa lotta raggiungerà il luogo del cuore e subito vedrà là dentro quelle cose che mai aveva visto e conosciuto, poiché vedrà l’aria che si trova là dentro nel cuore e vedrà tutto se stesso luminoso e pieno di ogni prudenza e discernimento. Da  quel momento in poi, da qualunque parte si affacci e appaia qualche pensiero, prima ancora che entri e sia oggetto di riflessione o di raffigurazione, subito l’intelletto lo caccia di là e lo distrugge con il nome di Gesù, cioè col “Signore, Gesù Cristo, abbi pietà di me”. Da allora l’intelletto dell’uomo comincia ormai ad avere rancore, passione e guerra incessante contro i demòni e solleva contro di loro l’ira naturale, dà loro la caccia, li colpisce e li distrugge.
Ciò che in seguito accade, lo imparerai da solo con l’aiuto di Dio, per esperienza, mediante l’attenzione  dell’intelletto e tenendo nel cuore Gesù, cioè la preghiera,

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poiché dice un padre: “Siedi nella tua cella ed essa ti insegnerà tutto”6.
In questo passo si distinguono tre fasi: il rallentamento della respirazione, seguito dalla concentrazione, l’esplorazione dell’interno di sé per trovarvi la sede del cuore e l’invocazione del nome di Gesù, volta ad annientare ogni minimo pensiero.
I “Racconti di un pellegrino russo” devono parte della loro popolarità alle precisazioni sul metodo. Il pellegrino impara a pregare attraverso tre tappe. La prima è anzitutto quantitativa per abituarsi a recitare la formula con la bocca: lo starets gli ordina di recitare la preghiera, inizialmente, tremila volte al giorno, per poi passare a seimila e ancora a dodicimila; dapprima riuscì a malapena a recitarle tutte, ma poi “La recitai fedelmente dodicimila volta al giorno e all’abitudine si aggiunsero ben presto la gioia e la soddisfazione”7.
La seconda tappa consiste nel far passare la preghiera dalla bocca alla mente, ripetendola silenziosamente; la terza e ultima tappa introduce la preghiera del cuore, mettendo in relazione la scoperta della sede del cuore con la recitazione della formula



______________________
6 SIMEONE IL NUOVO TEOLOGO, Le tre forme di preghiera, in La Filocalia, vol. IV, p. 512-513.
Il padre citato dall’autore è padre Mosè. Il paso si trova in VITA E DETTI DEI PADRI DEL DESERTO, ( a cura di L. MORTARI), Città Nuova, Roma 1975, vol. II, p. 33.
7RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO, Rusconi, Milano 1973, p. 40


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“Cercai prima di tutto di trovare la posizione del cuore. Chiusi gli occhi e contemplai con la mente il mio cuore, tentando di rappresentarmelo quale esso è, nella parte sinistra del petto, e di ascoltarne attentamente il battito. Ripetevo questo esercizio varie volte al giorno, per mezz’ora, e dapprima non percepivo che buio. Presto però cominciò ad apparirmi il cuore e colsi il suo movimento; poi riuscii a introdurre nel cuore la Preghiera di Gesù e a farmela uscire, seguendo il ritmo del respiro: guardando con la mente nel mio cuore, aspiravo lentamente l’aria, dicendo: Signore, Gesù Cristo, poi la espiravo, dicendo: abbi pietà di me”8.
In principio è un fatto meccanico, poi diventa spontaneo: “Dopo un certo tempo sentii, non so come, che la preghiera passava da sola dalle labbra al cuore: il cuore, cioè, con il suo battito regolare, si metteva in certo qual modo a scandire da se stesso le parole della Preghiera; per esempio, uno: Signore, due: Gesù, tre: Cristo e così via. Smisi allora di dire la Preghiera con le labbra e cominciai ad ascoltare con attenzione ciò che diceva il mio cuore...”9.
Come leggiamo, nel metodo del pellegrino si incontrano due elementi fisici: il battito del cuore e la respirazione.
Da Niceforo ne vengono segnalati altri come la posizione del corpo, la fissazione dell’attenzione a certe parti del corpo (cuore, ombelico), il controllo della respirazione, l’ambiente adatto. Elementi fisici che vengono messi in relazione diretta
_______________
8 Idem, p. 66.
9 Idem, p. 46.
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con certi effetti psichici come visioni luminose e prontezza nel discernimento.
Ciò nasce dalla convinzione che anche la più alta esperienza spirituale ha nel corpo il suo veicolo, si direbbe il suo sacramento, il suo segno visibile e operativo. Tale principio si basa sulla pratica sacramentale e sulla considerazione che la salvezza in Cristo riguarda l’uomo nella sua totalità di corpo, anima e spirito. L’individuo trova espressione nel corpo e la dualità di corpo e anima, che tanto ha segnato il pensiero occidentale, non è né biblica, né cristiana. Il Cristianesimo è la religione dell’incarnazione, la vita in Cristo non può venire disincarnata. Che il corpo possa partecipare alla preghiera costituisce una necessità, perché l’uomo è tutto votato obbligatoriamente ad essere riunificato.
Ĕ inoltre un dato di fatto che, quando preghiamo, cominciamo con il corpo (segno della Croce, genuflessione...), quindi questo non è da considerare come un soprabito da appendere all’attaccapanni, per entrare tutto spirito nella preghiera.
Il minimo da richiedere al corpo è che non si opponga alla preghiera, con la stanchezza, la tensione, l’irrequietezza; bisogna quindi riportarlo alla calma, alla distensione, a uno stato di allerta gioiosa verso il Signore che viene. Andando più avanti si deve ottenere una collaborazione positiva, accompagnando o suscitando la preghiera con i propri atteggiamenti.
Così pure il respiro. I termini “respirare e vivere” in molte lingue sono sinonimi.


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Unire il nome di Gesù ad ogni respiro significa avvertire come la realtà di Cristo penetra e dà vita a tutto ciò che esiste. La regolarità del respiro coordinata con il pensiero è un esercizio naturale per chi non desidera altro che gustare le parole della preghiera nel ritmo della propria vita, del suo cammino sulla terra. La respirazione che conserva il suo ritmo calmo, in mezzo a tutti gli incontri della vita, è un simbolo della hesychìa vera, della pace con Dio in mezzo alle tribolazioni.
“Il respiro comporta tre fasi: aspirare, ritenere, espirare. Chi aspira vive la sua dipendenza dalla vita del mondo. Unire questa fase con la preghiera a Gesù significa sentire la dipendenza da Lui, che è la vita del mondo nel senso spirituale. Espirare è un sollievo di chi si sente in pieno possesso della medesima vita da poterla donare”10.
Il fervore che emana dai racconti del pellegrino o da alcuni testi della Filocalia e l’apparente facilità del metodo non devono però trarre in inganno il lettore inesperto. Credere o pretendere che la Preghiera di Gesù costituisca un rapido mezzo di realizzazione spirituale è persino rischioso.
Ad accogliere lo sguardo interiore del principiante non è un’alba radiosa, ma l’oscurità propria della sua condizione di peccatore;  appunto per questo, diversi autori esperti sconsigliano l’uso di mezzi meccanici. “Pratichiamo la Preghiera di Gesù senza desiderare stati spirituali elevati, ma con semplicità e con giusta

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10 T.SPIDLIK, La preghiera esicasta, in La preghiera. Bibbia, teologia, esperienze storiche, (a cura di E. ANCILLI), Città Nuova, Roma 1988, vol. I, p. 271.

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intenzione, avendo per fine  il pentimento, con fede in Dio e totale abbandono alla sua volontà... Quando adottiamo procedimenti meccanici, sforziamoci di agire con la maggior cautela possibile, senza lasciarci prendere da un’inutile curiosità o da un irreprensibile entusiasmo, che agli inesperti appare una virtù, ma che i santi Padri definiscono temerarietà ispirata dall’orgoglio, sconsiderato ardore...
Bisogna considerare tutti gli ausili meccanici per quel che sono: supporti utili unicamente in ragione della nostra debolezza. Non dobbiamo riporre la nostra speranza né in essi, né nell’aspetto quantitativo della nostra ascesi, per timore di averla riposta di fatto in noi stessi o in qualcosa di materiale”11.
Da ciò si evince che gli esercizi respiratori non sono nient’altro che un accessorio, un aiuto per il raccoglimento, utile per alcuni, ma non obbligatorio per tutti. Non sono assolutamente una parte essenziale della Preghiera di Gesù, la quale può essere esercitata nella sua pienezza senza queste pratiche.
Concludendo il nostro discorso sul metodo, ricordiamo che “L’elemento indispensabile nella preghiera è l’attenzione. Senza di essa infatti non c’è preghiera. La vera attenzione, concessa dalla grazia, sopraggiunge quando facciamo morire il nostro cuore al mondo. L’unione della mente con il cuore è l’unione dei pensieri



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11 I. BRIANTCHANINOV, Approches de la prière de Jésus, coll. Spiritulité Orientale, N° 35, Bellefontaine 1983, p. 213.

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spirituali della mente con i sentimenti spirituali del cuore”12, tenendo presente anche che “autentiche pratiche di meditazione provenienti dall’Oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un’attrattiva sull’uomo di oggi, diviso e disorientato, possono costituire un mezzo adatto per aiutare l’orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in mezzo alle sollecitudini esterne”13.

IV. 2.   UN ESERCIZIO DI PREGHIERA
Assumete una posizione che sia confortevole e riposante, possibilmente seduti, in modo che il corpo poggi saldamente sul suo baricentro, tenendo la schiena eretta (non tesa!); gli occhi siano aperti o semichiusi (o chiusi se non comporta assopimento), ma sfuocati rispetto agli oggetti esteriori e rivolti alla contemplazione del mondo interiore.
Il nostro esercizio di preghiera implicherà cinque fasi.
La prima fase consiste nella semplice consapevolezza della quiete interiore.
Non vi preoccupate della misura della quiete interiore; non è particolarmente importante; con il tempo crescerà; siate solo coscienti che c’è. Evitate ogni sforzo.
Scendete al di sotto delle attività superficiali della mente.

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12CARITONE DI VALAMO, L’arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 105
13 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana, del 15-10-1989, in  AAS  82 (1980) 376; EV, XI, 2712.

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Restate per alcuni istanti tranquilli nella consapevolezza del profondo del vostro essere interiore. Non fate ragionamenti in proposito. Accettatelo semplicemente, nella consapevolezza della sua esistenza. Entrate in questo modo nel profondo del vostro essere interiore.
 Se vi accorgete che state ragionando, discutendo con voi stessi, sollevando dubbi ed obiezioni, mettete da parte tutto ciò. Se la vostra mente ancora non può riposare, concentratevi nel contare i vostri respiri da uno a dieci. Poi ricominciate.
Se siamo nuovi a questo tipo di esercizio, può volerci un certo tempo, perché il profondo del nostro essere interiore salga al livello della coscienza. Non forzatelo. Continuate a contemplare tranquillamente. La coscienza del profondo del nostro essere interiore l’avremo al momento opportuno, voluto da Dio, se noi lo consentiremo.
Stiamo almeno iniziando a sperimentare qualcosa dell’essere interiore di cui S. Paolo ha detto: “ secondo le ricchezze della sua gloria, possa il Padre concedervi, attraverso il suo Spirito, di essere potentemente corroborati nell’uomo interiore” (Ef 3, 16).
Se vi accorgete di essere distratti, concentratevi di nuovo sulla respirazione. Respirate leggermente, tranquillamente, regolarmente. State seduti dritti, ma non tesi. Il dorso deve essere ben eretto, la testa nel prolungamento della colonna vertebrale.



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Passiamo ora alla seconda fase:
Rimanete consapevoli del profondo del vostro essere interiore e cominciate a estendere gradualmente la vostra consapevolezza all’ambiente che vi circonda. Solo nella vostra consapevolezza e attraverso essa, l’immensità del creato è pienamente presente in voi e voi pienamente in esso.
L’energia immensa di tutto l’universo è presente anche in voi.
Contemplate il vostro essere interiore, come parte di tutto il creato, e tutto il creato, come parte del vostro essere interiore.
Senza concettualizzazioni, senza ragionamenti, senza interrogativi diventate consapevoli della vostra unità con tutte le cose, con tutte le persone.
Siate semplicemente consapevoli del profondo del vostro essere interiore, come parte di un tutto più grande nel quale abita lo Spirito Creatore di Dio, la sorgente dell’energia che opera nell’universo.
Tutte le cose sono state create per mezzo di Cristo e in vista di Lui; Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui (Col 1, 16-17). Sperimentare qualcosa dell’unità del cosmo è sperimentare qualcosa di Cristo.

Stiamo entrando nella terza fase:
L‘atteggiamento del vostro corpo, il vostro respiro, la vostra quiete costituiscono essi stessi la vostra preghiera, perché la vostra esperienza dell’unità di tutte le cose possa essere trasformata dalla presenza di Cristo nel vostro cuore, attraverso il potere
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creativo (l’energia) dello Spirito Santo. Non c’è bisogno di parole; Dio conosce ciò per cui pregate. Rilassatevi.
Mentre ispirate, pronunciate il Nome Santissimo di “Gesù”, oppure dite  “Signore Gesù”. Rilassatevi, mentre respirate. Respirate lentamente, ma senza essere tesi.
Attraverso l’illuminazione che solo Dio può dare, al momento che Egli sceglierà, diverrete consapevoli di voi stessi e di tutte le cose, così come lo è Gesù.
Semplicemente, recitando la Preghiera di Gesù, noi aspettiamo il giorno in cui questa illuminazione permeerà tutto il nostro essere, tutta la nostra vita.
Bloccate ogni ragionamento, qualunque discussione o concettualizzazione interiore. State seduti diritti, ma non tesi. Lasciate che l’atteggiamento del vostro corpo sia esso stesso la vostra preghiera. Continuate a ripetere la Preghiera di Gesù. Dopo un certo tempo, forse preferirete restare nel silenzio interiore più assoluto, che è esso stesso un atto di abbandono e di petizione che Cristo abita nel vostro cuore, attraverso la fede.

Siamo ora pronti per la quarta fase:
Il Padre, fonte trascendente di tutte le cose, conosce se stesso solo nella sua Parola e attraverso Essa. E noi conosciamo Lui solo nella sua Parola fatta carne e attraverso Essa.
La consapevolezza di Gesù, Verbo incarnato, era ed è concentrata completamente sulla sorgente del suo essere e di ogni altro essere, Suo Padre e nostro Padre, il Dio

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Creatore di ogni cosa, che tutto trascende.
Più entriamo nel cuore religioso di Gesù, più diventiamo consapevoli del Padre Suo e Padre nostro, che supera ogni pensiero e ogni comprensione.
In questo modo arriviamo a “conoscere l’Amore di Cristo, che è superiore a ogni conoscenza e siamo ripieni dell’assoluta pienezza di  Dio” (Ef 3, 19).
“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).
Con Cristo, per Cristo e in Cristo io divento consapevole del Dio che è al di là di ogni pensiero, di ogni ragionamento, di ogni concetto.
Questa fase consiste nell’assoluta quiete nel Padre insieme a Gesù, grazie all’illuminazione dello Spirito.
Ho raggiunto la fonte trascendente del mio essere e di ogni altro essere, che è più presente a me di quanto io lo sia a me stesso.
Rilassatevi nella consapevolezza del vostro essere interiore e della sua origine, il Padre di Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne.
Non concettualizzate o ragionate in voi stessi. Nella quiete lasciate che Dio, che è al di sopra di ogni umana parola, parli a voi, in e attraverso la sua Parola. Il Padre non ha da dire più della sua Parola. Lasciamo che la Parola di Dio attraverso l’illuminazione dello Spirito Santo divenga anche la nostra Parola.


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Continuate a far sì che la vostra respirazione e il vostro atteggiamento siano essi stessi la vostra preghiera e, nel completo silenzio dell’essere, siate consapevoli con Gesù del Padre trascendente di tutti, la fonte del vostro essere interiore. O, se vi aiuta di più, continuate a pronunciare il Santo Nome di “Gesù”, mentre respirate, ma ora aggiungete “Padre” o “Abbà”, quando espirate.
Siamo assorbiti con Gesù nella consapevolezza dell’uno che è al di sopra di ogni consapevolezza, ma non siamo separati dal mondo.

Passiamo ora nella quinta fase:
Il Padre trascendente, sorgente del nostro essere, è sempre rivolto verso il mondo con infinito Amore e infinita compassione. Se vogliamo essere con Lui, tutto il nostro essere deve andare nella stessa direzione.
Non concettualizzate e non ragionate. Lasciate che l’atteggiamento del vostro corpo e il vostro respiro siano da soli la vostra preghiera per questa trasformazione dell’Io. Continuate semplicemente a recitare il Santo Nome di “Gesù”, mentre ispirate dolcemente e aggiungete “Abbà” o “Padre”, quando delicatamente espirate. Continuate a fare così.
Il Padre, attraverso la sua Parola, ha creato tutte le cose e tutte le persone dall’Amore.
Dall’Amore, il Padre riconcilia tutte le cose e tutte le persone a sé e le unisce fra loro attraverso il suo Verbo incarnato. Questo è il piano della creazione. Noi lo chiamiamo il suo Regno. I membri della Chiesa sono il suo Regno o sacramento del mondo.
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Non ragionate in mente vostra su queste cose; con Gesù rimanete semplicemente consapevoli del vostro essere interiore o della sua fonte trascendente in Suo Padre e vostro Padre, creatore e Signore di tutto, dal quale tutte le cose vengono e al quale tutte le cose tornano.
Lasciate che il vostro corpo, il vostro respiro, il silenzio della vostra mente, tutto il vostro essere sia esso stesso la vostra preghiera, perché voi siate trasformati dallo Spirito, in modo da poter diventare strumenti del Progetto di Dio per il mondo.
A conclusione si può dedicare un breve tempo a un’altra forma di preghiera basata sul metodo già usato. Ancora una volta l’atteggiamento del nostro corpo, il nostro respiro, il nostro silenzio saranno la nostra preghiera.
Contemplate il fianco trafitto del Verbo incarnato. Fatelo in qualunque modo che vi venga spontaneo all’immaginazione, ma senza sforzo, senza analizzare.
Gesù, trafitto da una lancia, appeso senza vita sulla Croce, è uno con tutte le persone che soffrono nel mondo, i rifiutati, gli oppressi, i falliti.
Contemplando il suo fianco trafitto, state seduti eretti, ma non tesi, respirando tranquillamente e regolarmente. Non continuate a concettualizzare e ragionare dentro di voi. Lasciate che l’immagine stessa attragga la vostra attenzione e lasciate che la vostra postura e tutto il vostro essere siano essi stessi la vostra preghiera, chiedendo, senza parole, al di là delle parole, che lo Spirito di Dio, che ha trasformato il corpo

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morto e impotente di Gesù, nel Cristo cosmico risorto, possa trasformare il vostro cuore nel Suo.
“Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito, che abita in voi” (Rm 8, 11).
Per finire la preghiera, consapevoli degli ostacoli che frapponiamo allo Spirito di Gesù ,che può trasformarci, recitiamo una preghiera con parole spontanee che salgono dal nostro cuore, grati al Signore per il suo perdono e per la costante presenza in noi.
N. B. Non ci sono formule magiche. Le varie forme di preghiera hanno bisogno di una guida e di una direzione spirituale. Il rilassamento e la quiete interiore, che sono parte essenziale di questa preghiera, possono dapprima apparire comode e piacevoli, un surrogato del riposo; ma se vi si persevera adeguatamente, spesso mettono in moto un radicale processo di purificazione nel profondo del nostro essere e con il tempo possono portare in superficie conflitti psicologici che sono presenti, ma nascosti in noi.

IV. 3.   L’AVE MARIA
Se consideriamo attentamente l’Ave Maria, notiamo che ha uno sviluppo melodico. Esso si svolge attorno a due poli: “Gesù” e “noi peccatori”. In questo senso il Rosario può essere considerato come una variante occidentale della Preghiera di Gesù. Più una preghiera da recitare, il Rosario è, nella sua espressione vocale, una melodia che
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accompagna e favorisce l’immersione della mente e del cuore nella meditazione dei misteri, che vengono, volta per volta, proclamati. La mente si apre sul mistero e lo assimila e la voce si pone al suo servizio, rispettando le leggi di una recita che favorisca al massimo la concentrazione o, meglio, la consapevole presenza al mistero.
La nota iniziale dell’Ave Maria è un grido di giubilo e di gioia. Ĕ proclamazione del lieto annunzio di due libertà, che si incontrano nella disponibilità dell’Amore: quella di Dio e quella di Maria. Il loro frutto è Gesù Cristo, che nasce, vive, soffre, muore e risorge per darci vita. La prima parte dell’Ave Maria si snoda sull’onda di questo lieto annunzio, che apre il cuore all’incontro gioioso con il Signore.
A questo lieto annunzio, l’uomo risponde nella seconda parte, dall’abisso della sua povertà, non priva di luce e di speranza. Gli occhi della contemplazione si fissano infatti su Maria, Madre del Salvatore e orante potente che intercede per noi.
Ĕ importante cogliere e immergersi in questa linea melodica dell’Ave Maria che ci conduce al Cristo sull’onda del lieto annunzio rivolto alla Vergine e ci riporta a Lui sull’onda della preghiera fiduciosa a colei che viene salutata come Madre di Dio e rifugio dei peccatori. Una volta che ce ne siamo  appropriati, tale linea melodica ci accompagnerà naturalmente nella contemplazione dei misteri, accentuando e arricchendo le nostre capacità ricettive.
A questo riguardo mi pare importante riportare la   testimonianza di un sacerdote


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missionario in Marocco, persona da anni segnata dal desiderio della preghiera continua, per mezzo della Preghiera di Gesù: “Sento che devo prendere l’Ave Maria, come preghiera monologica, per pregare incessantemente...per la preghiera continua avverto che devo rimanere fedele a una formula... sento forte il bisogno di unificare tutta la mia preghiera; attualmente cerco di rimanere, nel tempo d’orazione, con il Rosario e durante il resto della giornata con l’Ave Maria... Credo di aver capito che  Ave Maria  e Preghiera di Gesù  sono la stessa cosa, lo stesso procedimento, salvo che poniamo l’ultima preghiera fra le mani della Vergine; forse è la grazia dell’Occidente, il suo carisma, il suo privilegio. L’Oriente ha la Preghiera di Gesù e noi quella di Maria”14.










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12 J. LAFRANCE, Il Rosario. Un itinerario verso la  preghiera incessante, Ancora, Milano 1989,  p. 28-29.
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CAPITOLO V

CONTESTO TEOLOGICO – SACRAMENTALE

V. 1.   Vita sacramentale
V. 2.   Battesimo
V. 3.   Eucaristia
V. 4.   Preghiera e Parola


Un cieco mi par d’essere, seduto,
sopra la sponda di un immenso fiume.
Scorrono sotto acque vorticose...
Perché a me par, vivendo questa
mia povera vita, un’altra rasentarne
come nel sonno, e che, quel sonno,
sia la mia vita presente.
                  (C. Sbarbaro)

Gesù è risorto, e chiunque invoca
il suo nome accoglie il Figlio di Dio
che lo ha amato e ha dato
se stesso per lui.
         (Catechismo della Chiesa Cattolica)


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V. 1.   Vita sacramentale
La Preghiera del Cuore per il suo carattere intimo e personale può far pensare al rischio di isolare il credente dal resto del mondo, di ripiegarlo e di chiuderlo in se stesso, di separarlo dalla comunità, invece è tutto il contrario.
La pratica della Preghiera di Gesù presuppone una appartenenza piena ed attiva alla Chiesa. Se la preghiera, a volte viene descritta come un “metodo facile” o una “via veloce”, questo linguaggio non deve essere frainteso: tranne alcuni casi veramente eccezionali, la Preghiera di Gesù non ci dispensa dai normali obblighi di vita cristiana. Gli autori danno per scontato che i loro lettori sono cristiani ortodossi praticanti, accolti nella Chiesa attraverso il Battesimo, regolarmente presenti alla liturgia e che si accostano frequentemente alla Confessione e alla Comunione. La Preghiera di Gesù per il fatto che si presenta come qualcosa di fresco, di eccitante e esotico, può sembrare un sostitutivo alle pratiche più familiari della vita quotidiana della Chiesa. Se mai, la Preghiera può aiutarle a vivere più intensamente come è accaduto al pellegrino: “Quando andavo in Chiesa, la lunga funzione monastica mi sembrava breve e non mi stancava più come in passato”1.
La vita sacramentale regolare è la condizione sine qua non per chiunque voglia praticare la Preghiera: “ il mezzo più sicuro per giungere all’unione con il Signore,


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1RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO, Rusconi, Milano 1973, p. 41.

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dopo la Comunione al suo Corpo e al suo Sangue, è la Preghiera interiore di Gesù”2.
Nicola Cabasilas, laico del XIV secolo, nella sua opera “La vita in Cristo”, spiega con chiarezza come la Preghiera di Gesù mantiene viva e consapevole nel nostro intimo la vita in Cristo ricevuta nei Sacramenti; anzi Preghiera di Gesù e vita in Cristo diventano sinonimi in quanto quest’ultima è il fondamento della preghiera incessante e questa è la concreta espressione della Comunione in Cristo.

V. 2.   Battesimo
La Preghiera di Gesù può svilupparsi solo in un cuore battezzato: il Battesimo rigenera il cuore nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e, partendo dal Battesimo, il Nome di Gesù fa pulsare e vivere in noi un cuore nuovo, non più un cuore di pietra, ma un cuore di carne (Ez 36, 26) che desidera Gesù. Ĕ proprio grazie al Battesimo che l’anima riceve l’illuminazione e la capacità di vedere e contemplare Gesù, come ricorda lo stesso Cabasilas: “Il Battesimo è illuminazione, perché, dandoci il vero essere, ci costituisce nati da Dio e, guidandoci verso la luce divina, ci separa dall’oscurità del male...infatti ci dona la possibilità di un puro commercio con la luce, distruggendo ogni macchia che, come un muro di separazione, tiene lontano il raggio divino dalle anime nostre”3.

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2 CARITONE DI VALAMO, L’arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 89.
3 N. CABASILAS, La vita in Cristo, UTET, Torino 1980, p. 115 – 116.
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Lo stesso ci dice Giovanni Crisostomo: “Non appena siamo battezzati, l’anima purificata dallo Spirito risplende più del sole. E non solo  volgiamo lo sguardo alla gloria di Dio, ma riceviamo lo splendore che da Lui procede. Come sarebbe di un argento puro esposto ai raggi del sole e che a sua volta irradiasse raggi non nella sua natura soltanto, ma anche del fulgore solare; così è per l’anima purificata e diventata più luminosa di qualunque argento, essa riceve un raggio della gloria dello Spirito, per accogliere la gloria, che è comunicata, nella misura che conviene, dallo Spirito del Signore”4.
Il cuore battezzato ha ricevuto la grazia: il Nome di Gesù è stato impresso in esso e la Preghiera è lo sbocciare della grazia battesimale. Il cuore battezzato dovrebbe anelare soltanto al Signore e la Preghiera di Gesù soddisfa questa aspirazione: essa libera le “energie” del cuore, che hanno la loro sorgente all’interno, dalla grazia del Battesimo, e permette al cuore di sbocciare nel nome di Gesù, ripetuto incessantemente con amore instancabile: “Il lavoro del cuore e la fatica del corpo fanno l’opera vera: essi manifestano l’operazione che è stata donata, come a ogni altro fedele, mediante il Battesimo, e che la negligenza dei Comandamenti seppellisce sotto le passioni”5.



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4 G. CRISOSTOMO, In secundam ad Corinthios Epistolam Homilia, VII, 5; PG 61, 448.
5PETITE PHILOCALIE DE LA PRIERE DU COEUR, (a cura di J: GOUILLARD), Ed. des chaiers du sud, Paris 1953, p. 190.

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V. 3.   Eucaristia
L’Eucaristia è  preghiera, il momento culminante della  Chiesa in preghiera; è la presenza di Cristo, memoriale del suo sacrificio, banchetto sacrificale, dove la Chiesa si realizza pienamente, come Corpo di Cristo. Per il cristiano la vita di preghiera inizia e termina nell’Eucaristia “mangiando il Pane Santissimo e bevendo al Divinissimo Calice, comunichiamo alla stessa Carne e allo stesso Sangue che il Salvatore ha assunto. In questo modo ci uniamo a Colui che per noi si è incarnato, si è deificato, è morto ed è risorto”6.
Questa unione continua anche durante il giorno e la notte, attraverso l’invocazione incessante del suo Nome, anzi è proprio la partecipazione all’Eucaristia che ci rende capaci di pensare sempre al Cristo. “A renderci capaci di compiere tutto ciò, basterà quel pane che veramente fortifica il cuore dell’uomo: conferirà vigore allo sforzo e sradicherà dall’anima l’indolenza sul nascere”7.
Inoltre il Sangue di Gesù purifica il cuore, rendendolo degno tempio di Dio, da dove si eleva l’invocazione del Nome, liturgia incessante: “Questo Sangue fa un tempio di Dio del cuore in cui si è effuso, più di quanto non facesse il Sangue tipico delle mura erette da Salomone e non permetta che vi stabilisca alcun  idolo cattivo,l’abominio delle desolazione nel luogo santo (Mt 24, 15). Questo sangue, fortificando il pensiero
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6 N. CABASILAS, La vita in Cristo, UTET, Torino 1980, p. 110
7 Idem, p. 341.

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con lo Spirito sovrano, come pregava David, gli assoggetta la prudenza della carne e l’uomo gode di una quiete profonda...”8.
Nella Comunione Eucaristica il Cristo prende possesso pieno del battezzato. Ma nell’intimo del battezzato, il Cristo continua, in una specie di liturgia personale, la liturgia comunitaria, nella quale Egli si è a Lui comunicato; questo concetto viene molto ben espresso da D. Staniloae: “Dopo che noi abbiamo assimilato il Cristo nella liturgia della comunità e mentre tale liturgia si continua interiormente in ciascuno di noi, il Cristo stesso assimila il nostro spirito, compiendo la sua unione con noi... Certo non basta che il fedele comunichi una sola volta nella sua vita terrena con il Corpo e il Sangue Eucaristici del Signore, perché questa seconda parte o parte interiore della liturgia si continui indefinitamente nel credente!... Ci è necessario ripetere spesso questo contatto e questa recezione  del Corpo del Cristo in noi, perché egli possa operare in noi con una intensità sempre rinnovata o anche accresciuta, nell’ambito di questa liturgia interiore”9.
Dello stesso parere è san Marco l’asceta: “Come noi nella liturgia mangiamo il Corpo di Cristo, allo stesso modo in questa liturgia interiore il Cristo “mangia” o, meglio fa sua, la nostra intelligenza: come all’inizio della fede ricevuta mediante il Battesimo,
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8 Idem, p. 342- 343.
9 D. STANILOAE, La liturgie de la communauté et la liturgie intérieure dans la vision philocalique, in AA.VV. , Gestes et Paroles dans les diverses familles liturgiques, Centro Liturgico Vincenziano, Roma 1978, p. 259-273.
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il Corpo di Cristo si è  fatto cibo del fedele, così, con la speranza intellettuale e il rinnegamento dei pensieri, la mente, pura e salda nella fede, diviene cibo di Gesù”10.
Ĕ la preghiera continua, che custodisce nello scorrere concreto della vita, nel quotidiano, questa grazia, riversata in noi, della continuazione del sacrificio di Cristo. Fa “emergere”, per così dire, questa energia deificante e la fa divenire pian piano sempre più percettibile, non ai sensi corporali, ma certamente alla sensibilità profonda dell’uomo nuovo, ai sensi nuovi dati nel Battesimo.
Vivere in Cristo è diventare un uomo eucaristico, entrare nella grande gioia dell’Eucaristia, che è anche una grande gioia Pentecostale, poiché, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, entriamo nello spazio di una Pentecoste che non avrà mai fine, che anticipa la Parusia, nella quale esploderà in tutta la sua forza. La Preghiera di Gesù aiuta a rendere durevole, limpido e interiore l’accoglimento dello Spirito e l’invocazione del Nome di Gesù diventa una “epiclesi” permanente.

V. 4.   Preghiera e Parola
Alla presa di coscienza della grazia sacramentale è legata, inseparabilmente, una lettura adorante, e quasi sacramentale anch’essa, della Parola di Dio. Privata del contatto con la Parola, la Preghiera di Gesù rischia facilmente di svuotarsi. Strettamente unita alla Parola essa vive e pulsa nello Spirito, perché  viene   ad essere
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10 MARCO L’ASCETA, De Baptismo, PG 65, 996.

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un condensarsi semplice ed immediato del contenuto ultimo della Parola stessa che in mille modi annuncia un unico Nome: Gesù.
A  sua volta, la preghiera, mettendosi davanti al mistero di Cristo in modo così immediato, rende più comprensibile la Parola, le dà il suo vero volto, quel volto unico che in essa contempliamo dalla prima parola della Genesi all’ultima dell’Apocalisse. Essa insegna a leggere Gesù in ogni riga. Perché se non leggiamo Lui, leggiamo invano: la Scrittura resta chiusa, ermetica e il velo non è tolto  “perché è in Cristo che esso viene eliminato” (2 Cor 3, 14).
Il pellegrino ci dice che “Il Vangelo è anche la Preghiera di Gesù, poiché il divino Nome di Gesù Cristo racchiude in sé le verità evangeliche. I santi Padri dicono che la Preghiera di Gesù è la sintesi di tutto il Vangelo”11.
Attraverso l’invocazione del Nome di Gesù, il cuore e la mente vengono purificati e ottengono l’illuminazione necessaria per capire le Scritture. “Anche quando attendi alle più urgenti necessità, non permettere che la tua mente rimanga oziosa, ma costringila ad esercitarsi e a pregare in segreto. In questo modo potrai comprendere la verità profonda delle divine Scritture, la loro forza nascosta”12.
Vediamo in modo tipico nel pellegrino, l‘alternarsi armonioso della Preghiera di Gesù e della lettura della Bibbia, unita alla lettura dei Padri della Filocalia per “imparare” dai maestri. “Il cuore ardeva dal desiderio di unirsi a Dio per mezzo __________________________
11 RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO, Rusconi, Milano 1973, p. 54.
12 Idem, p. 320.
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dell’orazione, che  cercavo di approfondire e di verificare con la guida della Filocalia...dicono bene i santi Padri che la Filocalia è la chiave che apre i misteri della S. Scrittura. Con quell’aiuto cominciai a  capire, in parte, il significato segreto della Parola di Dio. Cominciai a scoprire che cosa significavano espressioni come: “Il Regno di Dio è dentro di voi” (Lc 17, 21), “lo Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26) e quel grido profondo del cuore “Abbà, Padre” (Rm  8, 15) e così molte altre espressioni”13. Ecco perché l’Oriente Cristiano ha chiamato “graphai”, scritture, indistintamente la Bibbia, i suoi libri liturgici e i suoi commenti mistici.








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13 Idem, p. 56-57.


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I CAPITOLO VI

I FRUTTI DELLA PREGHIERA DEL CUORE




VI. 1.   In genere
VI. 2.   Luce/Calore
VI. 3.   Pace/Salute
VI. 4.   Amore/Gioia


L’invocazione del Santo Nome di Gesù
custodisce la Parola e produce frutto
con la perseveranza.
               (Catechismo della Chiesa Cattolica)

Amanti e Santi attirano a sé.
Felice l’incontro con loro.
Non occorre che essi agiscano
o parlino: basta l’esistere.
             (H. Bergson)





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VI. 1. In genere
L’ultima tappa del nostro percorso sulla Preghiera di Gesù ci porta a fissare l’attenzione su alcuni segni o frutti che appaiono nella vita del contemplativo.
“Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero  infatti si riconosce dal suo frutto” (Lc 6, 43-44). Così ci insegna il Signore e S. Paolo segue a ruota, elencando i frutti dello Spirito, come verifica dell’uomo che si “lascia guidare dallo Spirito...amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5, 18.22).
I frutti, in quanto tali, non vanno cercati o costruiti volontariamente, ma si scoprono a poco a poco, come conseguenza e non causa; sono il segno sicuro che esiste, prima di essi, un albero e una persona che coltiva e fa crescere. Sarebbe, perciò, un errore se ci si impegnasse a volere direttamente e anzitempo i segni-frutto, perché non avrebbero l’autenticità, che viene dal tronco e dalla radice. I frutti considerati separatamente non sono qualcosa di infallibile. Ĕ la loro visione di insieme che diventa garanzia, per conoscere fino a che punto una persona si avvicina ad essere un contemplativo. I frutti comunque si devono ricercare con insistenza perché: “Se non percepiamo in noi abbondanti frutti di amore, pace, gioia, dolcezza, umiltà, semplicità, sincerità, fede e longanimità, allora abbiamo faticato, senza profitto e invano... Chi avrà faticato in tal
modo, nel giorno del giudizio, si dimostrerà simile alle cinque vergini stolte, che vengono chiamate così, perché non avevano nel vaso del loro cuore l’olio spirituale,

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cioè quelle virtù che abbiamo ricordato prima; così esse furono chiuse fuori dalla festa nuziale, senza ottenere alcun vantaggio dalla loro verginità”1.
Esaminiamo alcuni segni – frutto tipici della Preghiera del Cuore, tenendo presente la sintesi, che ne fa il pellegrino: “Gli effetti dell’orazione interiore si manifestano sotto tre forme: nello spirito è la soavità dell’Amore di Dio, la quiete interiore, la felicità spirituale, la limpidezza dei pensieri, il dolce ricordo di Dio; nella parte sensibile il gradevole calore del cuore, la delizia di tutte le membra, il gioioso fervore del cuore, leggerezza, coraggio, vigore vitale, insensibilità ai dolori e alle malattie; nell’intelletto l’illuminazione della mente, la comprensione della Sacra Scrittura, la conoscenza del linguaggio della creazione, il distacco dalle cure vane, la consapevolezza delle gioie della vita interiore e infine la certezza della vicinanza di Dio e del suo Amore per noi”2.

VI. 2.   Luce/Calore
Quando la Preghiera di Gesù prende possesso del cuore e della persona; suo primo effetto è l’illuminazione. Non dimentichiamo che nella sua formula originaria, essa è il grido supplichevole del cieco per ottenere la vista (Lc 18, 38). Gesù risponde

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1CARITONE DI VALAMO, L’arte nella preghiera, Torino 1980, p. 134.
2RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO, Rusconi, Milano 1973, p. 68

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aprendo gli occhi dell’infermo e donandogli la luce... e tutto si trasforma: “il Signore verrà per diffondere la sua luce sulla tua comprensione, per purificare le tue emozioni, per guidare le tue azioni. Sentirai in te stesso forze di cui, prima, ignoravi l’esistenza. Questa luce arriverà: impercettibile ai sensi della vista, invisibile e spirituale, ma efficace come null’altro. Il sintomo della sua venuta è la nascita di un fuoco costante nel cuore: quando la mente dimora nel cuore, questo fuoco perenne le infonde il ricordo di Dio e tu acquisti il potere di dimorare all’interno di te stesso”3.
Anche il pellegrino beneficia di questa esperienza che conferisce un volto nuovo al creato: “ Non solo sentivo questa voce dentro la mia anima, ma anche il mondo esterno mi appariva bellissimo e incantevole, e tutto mi stimolava all’Amore e alla gratitudine per il Signore: la gente, gli alberi, la vegetazione, gli animali. Erano tutti miei familiari e su ogni cosa vedevo impresso il miracolo del Nome di Gesù”4.
S. Agostino, rientrando in se stesso, nel suo cuore, conosce questa luce e ce ne dà una bellissima descrizione: “Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore e lo potei fare, perché tu ti sei fatto mio aiuto (Sl 29, 11). Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, per quanto torbido fosse, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo: Direi anzi ancora poco, se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune o anche tanto
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3 CARITONE DI VALAMO, L’arte nella preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 159.
4RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO, Rusconi, Milano 1973, p. 129.
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intensa da penetrare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza, quasi come l’olio, che galleggia sull’acqua, né come il cielo, che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità, conosce questa luce”5.
L’illuminazione del cuore procede da un’azione dello Spirito Santo, che è luce. Non bisogna tuttavia confonderla con le ispirazioni, le visioni, i “lumi” spirituali o sensibili. I Padri, di fatto, sono unanimi nel raccomandare di non ricercare tali cose; non bisogna attaccarsi ad esse, né lasciarsene  distrarre, se si presentano, poiché occorre sempre conservare la “sobrietà”. La vera Preghiera del Cuore è sempre la “preghiera pura”.

VI. 3.   Pace/Salute
La pace interiore e la serenità del contemplativo sono un altro segno descritto dai diversi maestri di preghiera, quella pace, che poi si identifica con la classica “hesychìa”. Ĕ una pace che nasce da una progressiva liberazione: il cercatore è passato attraverso un processo di purificazione che l’ha liberato, poco a poco, dalle attrattive e dalle ripulse originate da una visione errata della realtà. Quando comincia a guardare la realtà, in tutto il suo splendore, comprende per esperienza la stupidità di
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5 SANT’AGOSTINO, Le Confessioni, Città Nuova, Roma 1982, p. 199-201.
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accostarvisi egoisticamente, come fosse essa stessa un centro e non piuttosto un cammino verso il centro o un suo riflesso.
La serenità, la calma visibile nei santi contemplativi, anche in situazioni dolorose, è una prova dell’esistenza di questo segno. La famosa “indifferenza” di fronte alle creature, suggerita da Sant’Ignazio di Loyola nel Principio e Fondamento dei suoi Esercizi 6, assomiglia molto a questa profonda pace contemplativa, soprattutto se considerata come frutto spontaneo e soave di un’attitudine fondamentale dell’uomo: cercare anzitutto il Creatore.
L’intensità della pace dipenderà dal cammino della persona, che prega in profondità. All’inizio, comunque, la persona stessa si meraviglierà dell’acquisito dominio di sé nell’affrontare la vita quotidiana: le occasioni, che prima la irritavano, vanno via via perdendo importanza, lasciando posto alla pace e alla serenità.
“Non dimenticarti che la salute non dipende solo dal cibo, ma anche e soprattutto dalla pace interiore. La vita in Dio, al riparo dall’agitazione dell’uomo, porta pace al cuore e, di conseguenza, mantiene anche il corpo in buona salute. Le nostre attività non sono le cose più importanti nella vita, l’essenziale è avere il cuore rivolto verso Dio e in sintonia con Lui”7.
Queste parole di Teofane il Recluso mettono in evidenza come salute fisica e psichica
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6 Cfr. SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali, EP, Roma 1984, n° 23, p. 54-60.
7 CARTONE DI VALAMO, L’arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 237.

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sono in stretta connessione con la Preghiera del Cuore; questa infatti mette perfettamente in armonia corpo e spirito. Quanto più è profonda la preghiera, tanto più influirà positivamente sul corpo.
La cosiddetta medicina psicosomatica, così in voga attualmente, ne è una prova: “Ultimamente si nota un marcato interesse per la meditazione, come terapia. La medicina occidentale è stata fin qui troppo unilaterale, ignorando ampiamente l’apporto della mente nella cura del corpo umano. Si ammette con certezza che l’80% delle malattie moderne hanno origine psicosomatica. Solo ora, per l’aumentato influsso dell’Oriente, per i casi dell’agopuntura, le idee circa le forze vitali... si è cominciato a tenere in conto nuovamente l’aspetto spirituale e metafisico della cura. L’interesse va crescendo e non è azzardato supporre che la meditazione divenga uno dei mezzi principali di terapia del futuro”8.
Ciò trova conferma anche nella Sacra Scrittura: “Figlio mio, fai attenzione alle mie parole,...custodiscile nel tuo cuore, perché esse sono vita per chi le trova e salute per tutto il corpo (Pr 4, 20-22). E cosa è questa Preghiera, se non introdurre nel cuore l’unica  grande Parola che il Padre pronuncia eternamente: Gesù!
Così: “La Preghiera del Cuore viene a guarire la memoria e la trasforma in un cuore palpitante al ritmo imprevedibile della speranza. Una memoria che ama e che ricorderà solo i passaggi dell’Amore”9.
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8 W. JOHNSTON, Silent Music, Collins, London 1974, p. 107.
9 A. GENTILI – A. SCHNOELLER, Dio nel silenzio, Ancora, Milano 1986, p. 9
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VI. 4.   Amore/Gioia
Per ogni persona, che pratica la Preghiera di Gesù, come per ogni cristiano, il frutto per eccellenza è l’Amore. Il cuore, identificandosi sempre più con il cuore di Cristo, diventa capace di Amore universale.
Colui che invoca il Nome dello Sposo diviene “l’amico” e prega, perché tutti siano uniti allo Sposo; si diventa persona in comunione, non più separata da alcunché, si comincia a provare simpatia per l’umanità intera e per ciascuno in particolare e questa simpatia si trasforma in Amore. Ĕ quell’Amore che solo Dio può donare, un riflesso del suo “agape”, come racconta anche S. Teresa nella sua vita: “Questa specie di orazione è come una scintilla di vero Amore di Dio che il Signore comincia ad accendere nell’anima...La quiete, il raccoglimento, ossia quella piccola scintilla è un effetto dello Spirito di Dio, e la gioia, che produce, non è del demònio, né dei nostri sforzi. Chi ha un po’ di esperienza, lo comprende subito e vede che da noi non possiamo procurarla...Ĕ Dio che accende la scintilla; questa, anche se piccola, farà molto, sino a sviluppare, se non soffocata per colpa nostra, quell’incendio avvampante di grandissimo Amor di Dio che si fa vedere da lontano e nel quale il Signore consuma le anime perfette”10

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10SANTA TERESA DI GESŬ, Opere, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1985, p. 150

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S. Teresa abbina la scintilla dell’Amore alla gioia che si produce nel cuore dell’orante.
Questa gioia, a seconda della profondità della preghiera, a cui si è arrivati, può avere sfumature molteplici per qualità e intensità, ma è sempre un fatto incontestabile, perché ci si sta avvicinando alla fonte stessa della gioia. “Il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16, 22) dice Gesù ai discepoli, riferendosi alla trasformazione interiore, che opererà in loro la venuta dello Spirito Santo.
Tutti i maestri di meditazione e di orazione contemplativa, quale è la Preghiera di Gesù, sono concordi nell’affermare che questa termina con la gioia.
Paramahansa Yogananda descrive così il nascere della gioia contemplativa: “Dato che la tua anima è un riflesso dello Spirito, eternamente felice, è sostanzialmente la stessa felicità. Se tieni chiusi gli occhi della tua concentrazione, non potrai vedere il sole della felicità che risplende sul tuo petto. Però, per quanto tu chiuda gli occhi della tua attenzione, i raggi della felicità tendono continuamente a oltrepassare la soglia chiusa della tua mente. Apri le finestre della calma e vedrai subito irrompere nel tuo intimo il sole della gioia!”11


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11P. YOGANANDA, Meditazioni metafisiche, Astrolabio, Roma 1974, p. 65.
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CONCLUSIONE







“Anche se rimanesse solo e anonimo fino
al termine della sua vita, lo spirituale,
con la sua semplice azione di presenza,
sarebbe una sorgente di benedizione
per la Chiesa, per l’Umanità, per l’Universo.
Egli avvolge tutto nella sua preghiera;
è il sole della terra, la luce del mondo,
lui che,come l’Apostolo, è convinto di essere
solo la spazzatura del mondo”.
                                 (J. Serr)












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Ĕ proprio giungendo al termine di questo lavoro che si scopre quanto esso sia limitato. Queste pagine sono soltanto dei semi di luce che squarciano il buio, nel tentativo di dare un’idea, il più possibile completa, pur nella sua brevità. Esse però desiderano essere uno stimolo per un ulteriore approfondimento.

A volte, si incontrano persone, che da anni praticano la preghiera discorsiva, ma che non trovano più in essa alcuno stimolo, in quanto non si sentono più in comunione con Dio attraverso essa: non sono più capaci di pregare. Alcuni abbandonano la preghiera, sostenendo che è più importante servire il prossimo, fare della vita una preghiera,lavorando attivamente, altri continuano a dibattersi in faticosi tentativi di preghiera. Probabilmente è giunto il momento di cambiare. S. Giovanni della Croce ci offre tre segni – chiave, per riconoscere il momento del passaggio: quando bisogna dare via libera allo stato di preghiera contemplativa, quale può essere la Preghiera di Gesù, abbandonando almeno in parte la preghiera di tipo discorsivo: “Il primo segno è che ella si accorge di non poter più meditare e discorrere con l’immaginazione, né provare gusto in questo esercizio come in passato; anzi, ora ella trova aridità in ciò su cui aveva l’abitudine di fissare il senso e da cui era solita ricavare gusto”1.
La persona comincia con il comprendere vagamente che bisogna pregare in modo
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1SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Opere, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1979, p. 116.

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diverso. L’accensione di questa spia coincide con uno  stato di depressione generale verso il mondo materiale che il Santo carmelitano identifica come secondo segno “quando l’anima si accorge di non avere nessun desiderio di applicare l’immaginazione o il senso a nessun altro oggetto particolare, esteriore o interiore”2.
Ĕ bene ricordare, tuttavia, che si tratta di un segno: sarà dunque un distacco dalle cose, stati non tanto cercati, quanto scoperti, comparsi spontaneamente nell’orante.
Dopo aver preso consapevolezza di questi stati, ci si può intestardire e continuare a battere lo stesso sentiero, non progredendo nelle vie dello Spirito, oppure aprirsi alla scoperta del Dio-Amore che attrae in maniera totale e assoluta, scoprirlo come l’unum necessarium,, andando  “ più in là della legge” (Gal 5, 22). “Il terzo e più certo (segno) è se l’anima trova soddisfazione a starsene sola con attenzione amorosa in Dio, senza considerazione particolare, e in pace interiore, quiete e riposo, senza atto, né esercizio delle sue potenze- intelletto, memoria e volontà , per lo meno senza quello discorsivo, che consiste nel passare da una cosa ad un’altra; gode invece di rimanere nell’attenzione e conoscenza generale amorosa, facendo a meno di ogni conoscenza particolare e rinunciando a comprendere l’oggetto”3.
Ciò trova conferma anche nel Nuovo Catechismo “L’invocazione del Santo Nome di Gesù... è possibile « in ogni tempo », giacchè non è un’occupazione accanto ad
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2 Ivi.
3 Ivi

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un’altra, ma l’unica occupazione, quella di amare Dio, che anima e trasfigura ogni azione in Cristo Gesù”4.
La Preghiera del Cuore, rapportata alla vita quotidiana, la permea d’Amore, la illumina e la autentica a partire dalla esperienza di peccato e di indigenza che il cristiano esperimenta concretamente in quanto: “la vita deve essere pregata, perché ha bisogno di essere salvata”5.

Non si può chiudere l’argomento, senza ricordare che ,a causa del suo sapore orientale e anche per le idee vaghe e confuse sul tema in questione, la Preghiera di Gesù non riscuote ampi consensi, anzi “Alcuni che si considerano e sono considerati dagli altri dotati di discernimento spirituale temono questa preghiera, come una specie di infezione e danno come spiegazione della loro paura il pericolo di «illusione» che si presume debba inevitabilmente accompagnare la pratica della Preghiera di Gesù. Così essi stessi la evitano e invitano gli altri a fare altrettanto... il vero sostenitore di questa teoria, secondo me, è il diavolo, che odia il Nome del Signore Gesù Cristo, da quando questi lo ha privato di ogni potere. Egli trema di fronte a questo Nome Onnipotente ed è per questo che lo ha diffamato agli occhi di molti cristiani, allo scopo di far abbandonare questa arma efficace, temibile dal nemico, una propria salvezza per gli uomini”6

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4CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, lb. Ed. Vat. , Roma 1992, p. 647
5 J. CASTELLANO, Pedagogia della preghiera, Teresianum,  Roma 1991, p. 21.
Dispense ad uso degli studenti.
6 CARITONE DI VALAMO, L’arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 42.

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Per tutti si riporta la difesa che ne fa il Vescovo Ignazio Brianchaninov: “...Esamina tutte le scritture: troverai il Nome del Signore esaltato e glorificato continuamente e la sua potenza di salvezza magnificata ovunque. Studia gli scritti dei Padri e vedrai che tutti, senza eccezione, raccomandano e consigliano la pratica della Preghiera di Gesù, considerandola l’arma più potente, che esista in cielo e in terra, un dono di Dio, una verità inalienabile, uno dei lasciti più preziosi del Dio-uomo, una consolazione dolcissima e piena d’Amore, un pegno sicuro”7.

Non bisogna fare confusione tra Preghiera del Cuore e devozione al Sacro Cuore, anche se, in entrambi i casi, il Cuore occupa uno spazio preponderante e “la preghiera della Chiesa venera e onora il Cuore di Gesù, come invoca il  Suo Santissimo Nome”8.
Ci si può chiedere se ambedue possono essere legate nel nostro cuore da un filo luminoso, dato che si immerge nel Cuore di Gesù con tutto quello che comporta, colui che si riempie del suo Nome-presenza con amore e con fede.
Ciò costituirà la base del prossimo studio a cui rimandiamo.


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7 Idem, p. 270.
8 CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, Lib. Ed. Vat. , Roma 1992, p. 647.
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