martedì 15 ottobre 2013

LA FEDE CHE NOI PROFESSIAMO

Arcivescovo Paolo
Primate della Chiesa Ortodossa di Finlandia
†1987


LA FEDE CHE NOI PROFESSIAMO




Edito dal Rev.mo Arletti padre dott. Giorgio parroco ortodosso Russo di Modena
Traduttore: Rev.mo Fantini padre dott. Demetrio
Stampato a cura della parr. Ortodossa Russa di Alghero


Milano 1984

Tradizione Cristiana: ringraziamo il traduttore dellopera per lautorizzazione concessaci alla presente pubblicazione.




    La Chiesa
    La salvezza













INTRODUZIONE

Lo scopo de «La Fede che noi professiamo» è quello di descrivere la fede Ortodossa a coloro che non la conoscono, e di dare delle risposte alle domande più importanti. Nello stesso tempo si offriranno agli stessi Ortodossi delle riflessioni utili, specialmente su argomenti di fede che hanno bisogno di essere riportati ad una interpretazione più profonda. Perciò questa pubblicazione può essere anche considerata come la Lettera Pastorale di un Vescovo. Il Cristo non ha lasciato nessuna dichiarazione scritta del suo insegnamento, ed anche gli Apostoli all’inizio non si sono preoccupati di tracciare le linee di un Credo. In luogo di ciò, dal momento in cui essi ricevettero il potere per mezzo della venuta dello Spirito Santo su di loro, essi incominciarono a portare testimonianza al Cristo, alla Sua morte, alla Sua Resurrezione. Coloro che credettero alla testimonianza degli Apostoli furono battezzati e ricevettero lo Spirito Santo[1]. Per la testimonianza degli Apostoli, delle nuove Comunità e delle Assemblee si formarono dunque, e così la Chiesa prese avvio. Nel Nuovo Testamento, la Chiesa è chiamata “Ecclesia”, parola greca che designa originariamente un’assemblea di popolo. La parola “Chiesa” d’altra parte significa «ciò che appartiene al Signore». Così il tratto originale e distintivo della Chiesa, significato nuovo e profondo del nome stesso, è il fatto di riunirsi in un luogo come popolo del Signore. Dunque i primi Cristiani si riunivano, là era la Chiesa o l’Assemblea del Popolo di Dio. E mentre si riunivano, i Cristiani incontravano il Cristo nel quale essi credevano. Essi facevano l’esperienza di questo incontro in modo speciale nell’Eucaristia, che essi celebravano con «la frazione del pane» e con «i cuori gioiosi e generosi»[2]. Così dunque era una celebrazione gioiosa di azione di grazia – è il significato della parola Eucaristia – ed essa si compiva sempre sotto la presidenza del Vescovo locale.
Così pure ai nostri giorni, la fede cristiana non è né una filosofia né una ideologia; essa è un incontro con Cristo. Le stesse realtà – Fede, Chiesa, Eucaristia – conducono sempre a questo incontro. Tutte insieme esse sono una struttura stabilita da Dio, per mezzo della quale la vita nuova del Cristo viene donata dal mondo. La vita nuova è fondata sulle opere di Dio e sulla rivelazione divina ricevuta con la fede. Le concezioni bibliche della fede formano così il punto di partenza del Cristianesimo Ortodosso; pertanto la prima parte di questo libro è intitolata «La Fede». Chiesa ed Eucaristia, Chiesa e Comunione, sono strettamente legate l’una all’altra perché la Chiesa si realizza essa stessa nell’essere una Comunità Eucaristica. Da qui il titolo della seconda parte del libro «L’Eucaristia». Vista l’importanza dell’esperienza di comunità nella Chiesa e attraverso l’Eucaristia, noi dobbiamo ricordare il ruolo che ogni cristiano deve esercitare nel mantenimento della vita spirituale. La terza parte del libro tratta di questa questione ed è intitolata «La Preghiera». Tuttavia ogni parte considera nei fatti la vita cristiana tutta intera.
Poiché la migliore descrizione della vita non è che il riflesso dell’esperienza stessa, il miglior consiglio per chiunque desideri conoscere l’Ortodossia sarà lo stesso che diede Filippo a Nathanaele: «Vieni e vedi»[3]. Sapendo come sono inadeguate le descrizioni, noi abbiamo molteplici ragioni di pregare lo Spirito di verità «d’illuminare gli occhi del nostro cuore per farci vedere quale speranza ci apre il suo appello, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità e quale straordinaria grandezza la sua potenza riveste per noi, credenti...»[4].



LA FEDE

«Siate sempre pronti alla difesa contro chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Ma che ciò sia con dolcezza e rispetto».
(I Pietro 3, 15)

LA CHIESA

La Chiesa Ortodossa si chiama essa stessa semplicemente «la Chiesa», esattamente come i Greci che nel passato utilizzavano il termine «i Cristiani» quando si riferivano agli Ortodossi. E questa è la conseguenza normale del fatto che la Chiesa Ortodossa d’Oriente è organicamente la stessa Assemblea o Ecclesia che si formò alla venuta dello Spirito Santo a Gerusalemme il giorno della Pentecoste. In molti luoghi già menzionati nel Nuovo Testamento, questa Assemblea è rimasta la stessa attraverso i secoli. La Chiesa Ortodossa non ha bisogno di fornire la prova della sua autenticità storica; essa è semplicemente la continuazione diretta della Chiesa dell’età apostolica. La venuta del Cristo quando i tempi furono compiuti[5] fu un avvenimento storico; in effetti il nostro calendario ha inizio in quel momento. La venuta dello Spirito Santo per il compimento della «promessa del Padre»[6] fu anche un avvenimento storico datato ed unico. Per la Chiesa significava «potenza che viene dall’alto» e «Spirito di Verità»[7]. Forti di ciò, noi crediamo che, benché la grazia dello Spirito Santo sia all’opera nelle Chiese e nella Comunità più recenti secondo la loro fede, la pienezza della grazia data una volta alla Chiesa nella venuta storica dello Spirito Santo, non sarà donata un’altra volta. In un inno alla Pentecoste, la Chiesa canta:
«Benedetto sei Tu, o Cristo nostro Dio, tu che hai fatto apparire i peccatori come delle genti illuminate al massimo punto inviando loro lo Spirito Santo, per loro mezzo Tu hai preso il mondo nella tua rete. O Tu che ami gli uomini, gloria a Te».
«Quando lo Spirito di Verità verrà, Egli vi condurrà alla vita tutta intera», ha promesso il Cristo[8]. Allorché questa promessa fosse compiuta, l’Apostolo diede con ragione alla Chiesa del Dio vivente il nome di «pilastro fondamentale della Verità»[9]. Il dono promesso della «verità tutta intera» venne alla Chiesa con la venuta dello Spirito Santo, ma occorsero dei secoli, tutta l’epoca patristica, per definirla utilizzando dei concetti umani limitati. E benché i Padri fossero degli uomini sapienti, dei pensatori profondi e degli uomini puri nella loro vita, questo solo non è sufficiente per garantire il carattere assoluto della verità ereditata dal tempo dei Padri. È perciò che noi abbiamo bisogno della potenza dello Spirito Santo che è stato dato alla Chiesa per guidarla verso la Verità e per proteggerla. La formulazione verbale della fede che era nella coscienza della Chiesa fin dalle sue origini, si è sviluppata durante un lungo periodo. Allo stesso modo la vita ecclesiastica tutta intera ha trovato delle espressioni sempre più ricche nelle differenti parti della Chiesa di Cristo che non sono identiche le une alle altre quanto alla forma, ma lo sono quanto allo spirito.
Così ogni tentativo di creazione di un gruppo apostolico al di fuori dell’azione dello Spirito Santo che si è perpetuato nella Chiesa durante duemila anni, sembra artificiale agli occhi della Chiesa. Allo stesso modo che il Cristo ha nello stesso tempo una natura divina e una natura umana, così ne è della Chiesa. Nel suo lato umano, la Chiesa è suscettibile di errori, debolezze e colpe, ma essa ha una consolazione nella promessa: «Io costruirò la mia Chiesa e le Porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa»[10]. Ciò vuol dire che, benché le tempeste dei tempi possano devastare la sostanza umana della Chiesa, esse non la distruggeranno. La Chiesa persisterà finché il periodo seguente del Regno di Dio sul mondo sia introdotto, fino alla Parusia o seconda venuta del Cristo. Fino a quel tempo dunque la Chiesa, che fu fondata nella prima Pentecoste cristiana, resterà come protettrice della Verità, mantenendo i suoi tratti caratteristici di sacerdozio apostolico, l’Eucaristia e gli altri Sacramenti e l’esperienza comune della Chiesa, la sua Tradizione.


LE FONTI DELLA DOTTRINA
Le fonti della dottrina quali sono definite nel Catechismo Ortodosso sono la Santa Bibbia e la Tradizione trasmessa dalla Chiesa. Perché si vuol dare priorità alla Chiesa come argomento del primo capitolo di questo libro? Perché la Chiesa nacque per prima ed è solamente dopo che, poco a poco, i Libri del Nuovo Testamento, gli Evangeli e le Epistole videro la luce. Per di più, quando si tiene conto della rarità dei “libri” o dei manoscritti in questi tempi, e dell’esistenza a fianco dei libri autentici, di altri evangeli e di testi scritti sotto il nome degli Apostoli si comprende facilmente l’importanza della Tradizione vivente della Chiesa nella salvaguardia della vera fede cristiana. L’importanza primaria della Tradizione è chiaramente manifestata dal fatto che è soltanto nel V secolo che la Chiesa stabilisce definitivamente quali dei libri in circolazione dovevano essere considerati come autenticamente ispirati dalla rivelazione di Dio. Così la Chiesa stessa determinò la composizione della Bibbia. È verso la Chiesa che definisce il contenuto della Bibbia, che il cristiano ortodosso si rivolge per interpretare la Sacra Scrittura. E non è puramente una questione d’autorità della Chiesa; è solamente ai «cuori puri» che fu data la promessa di «vedere Dio»[11]. In altri termini, le verità contenute nella Parola di Dio sono rivelate all’uomo nella luce che conviene, solamente nella misura in cui il suo cuore è purificato. Nessun individuo ha posseduto una purezza completa del cuore né dunque una completa infallibilità nell’interpretazione della Parola di Dio. Tuttavia questo dono è stato donato alla Chiesa nel suo insieme dallo Spirito di Verità che agisce in essa. Concretamente, ciò significa che, quando tutti o pressoché tutti i Padri della Chiesa, quelli conosciuti per la loro vita santa, sono stati d’accordo gli uni con gli altri, nella spiegazione di qualche punto della Scrittura, questo è divenuto verità per i membri della Chiesa. Senza un tal criterio, l’autorità della Bibbia dipenderebbe dall’opinione soggettiva di ogni individuo che tenta di interpretarla. È nostra convinzione che la Bibbia in se stessa, senza la Tradizione come sua vivente interprete, è insufficiente come sorgente della Verità.
Il XV capitolo degli Atti parla di una riunione tenuta dagli Apostoli che annunciavano la loro decisione dicendo: «È sembrato bene allo Spirito Santo e a noi...». Identiche riunioni dei successori degli Apostoli, tutti Vescovi della Chiesa, ebbero luogo di tempo in tempo durante il primo millennio. In queste riunioni, degli articoli di fede furono formulati e delle decisioni prese sui problemi contemporanei che insorgevano nella vita della Chiesa. Sette Concili di questo genere sono stati riconosciuti come ecumenici, si ebbero inoltre un certo numero di concili locali, importanti per la Chiesa intera sia nel primo che nel secondo millennio. Per esempio un Concilio della Chiesa ebbe luogo a Costantinopoli nel 1351 il quale confermò la pratica dell’esicasmo, cioè della preghiera incessante del cuore, con l’insegnamento di S. Gregorio Palamas sulla luce increata dello Spirito Santo. Il primo dei Sinodi Conciliari riconosciuti dalla Chiesa come generali od ecumenici cioè quelli le cui decisioni sono considerate vincolanti per la Chiesa intera fu tenuto a Nicea nell’anno 325, mentre l’ultimo o settimo concilio ecumenico fu tenuto a Costantinopoli nell’anno 787. Dal 1960 le Chiese Ortodosse si preparano ad un Concilio comune, chiamato Grande Concilio o Santo Sinodo, il cui scopo sarà di trovare delle soluzioni ai nuovi problemi con i quali la Chiesa d’oggi si deve confrontare.
La storia mostra che nel passato le assemblee che detenevano l’autorità propria dei concili ecumenici, sono state sempre convocate per far fronte a pesanti minacce, c’erano per esempio, le eresie cristologiche sulla natura del Cristo. Ai nostri tempi il problema acuto che attende una soluzione comune, è il problema di quella che si chiama “diaspora”, che indebolisce la testimonianza dell’Ortodossia nel mondo. Nel corso di questo secolo la Chiesa è diventata più grande dei suoi propri confini storici per così dire; essa si è sparsa su nuovi continenti; in tal modo essa non è più solamente la Chiesa dell’Oriente ma è anche presente in Occidente. Questa situazione richiede il riconoscimento delle nuove Chiese locali che sono nate specialmente in America, affinché esse possano partecipare pienamente agli affari comuni delle Chiese Ortodosse. Contrariamente alla Chiesa Cattolica Romana, la Chiesa Ortodossa non ha un centro amministrativo comune; ciascuna delle Chiese locali la cui indipendenza è stata riconosciuta, ha voce indipendente negli affari della Chiesa. Per delle ragioni storiche, il Patriarca di Costantinopoli ha un posto più onorifico tra i suoi pari, ma non ha alcuna autorità sulle altre Chiese indipendenti o autocefale. Nell’Ortodossia l’accento è messo sul fatto che la dottrina e la vita sono due aspetti di una medesima realtà. I futuri Concili generali della Chiesa non si occuperanno delle dottrine al di là di ciò che i «Padri hanno deciso» ma piuttosto di adattare i principi adottati dalla Chiesa in circostanze cambiate. Questo compito presuppone una unità d’amore e la pace tra i rappresentanti delle Chiese Ortodosse, che ai Concili Ecumenici comprendevano tutti i Vescovi di tutte le Chiese, affinché le decisioni unanimi possano essere confermate dal sigillo apostolico: « È sembrato bene allo Spirito Santo e a noi...».


LA SALVEZZA

Che cos’è la salvezza di cui si parla tanto, ma che può essere interpretata in tante maniere differenti? Cominciamo con le parole dell’Apostolo: «Tutti hanno peccato e sono privati della gloria di Dio»[12]. Il peccato in tanto che violazione della volontà di Dio, separa l’uomo da Dio, dalla sua gloria, e così porta in se stesso il suo castigo. Tuttavia Dio accoglie con benevolenza l’uomo caduto, perché egli è stato riscattato «non a prezzo d’argento e di oro, ma col sangue prezioso del Cristo»[13]. Nondimeno, accoglimento benevolo e redenzione non implicano un’assoluzione generale accordata all’umanità intera, ma piuttosto una possibilità donata ad essa[14] verso lo scopo assegnato «per essere santi voi stessi in tutta la vostra condotta»[15]. Benché il peccato abbia corrotto la natura umana, tuttavia l’uomo porta in se l’immagine di Dio malgrado la macchia del peccato. Divenendo uomo Cristo «annienta se stesso, prendendo la condizione dello schiavo e divenendo simile agli uomini»[16]. Egli divenne simile a noi uomini affinché noi divenissimo a nostra volta, «partecipi della natura divina»[17]. Così il Cristo divenne nostro Salvatore non solamente perché «il castigo che ci rende la pace è su di Lui»[18], ma anche perché la «Sua divina potenza ci ha donato tutto ciò che concerne la vita e la pietà»[19]. In altri termini il Cristo non ci offre soltanto il perdono delle nostre colpe ma ci dona anche la sua potenza divina per il nostro uso e la nostra crescita, affinché noi non possiamo essere «senza attività né senza frutto, per la conoscenza di nostro Signore Gesù Cristo»[20]. Negli Uffici che precedono il Natale si trova a più riprese la linea seguente negli inni «Il Cristo sta per nascere, risuscitando la rassomiglianza che degenerò un tempo, restaurando nell’uomo l’immagine rovinata di Dio nel suo splendore originario». Così la nostra salvezza comincia col perdono dei nostri peccati nel Santo Battesimo ed altre volte ancora in seguito alla Confessione quando noi riceviamo il Sacramento della riconciliazione o della purificazione attraverso le lacrime. Questo pentimento è seguito da nuovi sforzi, rinnovati dallo Spirito Santo, per vivere nel Cristo come un membro del Suo corpo che è la Chiesa. Lo scopo di questa vita è di cercare la purità del cuore al fine di «vedere Dio»[21] nella potenza dello Spirito Santo. Secondo una formula del Vescovo Teofane il Recluso noi siamo salvati «secondo la volontà del Padre, attraverso i meriti del Figlio e per la grazia dello Spirito Santo». È una particolarità degli Uffici Ortodossi quella di terminare sempre con una lode alla SS. Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.


LA FEDE E LE BUONE OPERE

Non c’è «un problema della fede e delle buone opere» nella spiritualità della Chiesa. Il rapporto tra la fede e le buone opere non diventa un problema se non quando la giustificazione è interpretata come una procedura legale esteriore tra Dio e l’uomo. In questo caso o i credenti credono che le buone azioni non s’interpongano tra l’anima e Dio, o al contrario essi considerano le buone azioni come qualche cosa di meritorio agli occhi di Dio. Nella prospettiva ortodossa le buone azioni non sono un fine in se stesse per colui che agisce, ma esse appaiono piuttosto come uno strumento di salvezza nella trasformazione della natura corrotta dell’uomo in una «nuova creatura»[22]. Così i comandamenti evangelici del Cristo non sono legge, ma grazia e verità e misericordia. Essi sono come dei rimedi dati per il nostro uso, senza i quali noi non possiamo guarire. Pensiamo ad una delle virtù che ci raccomanda l’Evangelo: l’umiltà, per esempio. In che modo potremo noi crescere in umiltà, se non umiliando noi stessi? Così una preghiera del Salmo 119 è spesso ripresa negli Uffici «Tu sei benedetto, Signore; insegnami i tuoi voleri».
In ragione della sua natura corrotta, l’uomo non ha altro mezzo di mostrare la sua riconoscenza ed il suo amore verso il Cristo se non sforzandosi di compiere nella sua vita i comandamenti che Egli ci ha dato per la salvezza. «Se voi mi amate – Egli dice – voi vi applicherete per osservare i miei comandamenti»[23]. I comandamenti del Cristo contenuti nei Vangeli – la preghiera, il digiuno, il servizio al prossimo, la umiltà, il rifiuto di condannare chiunque – possono essere considerati come le foglie dell’albero spirituale. I frutti dello Spirito Santo – l’amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, il dominio di sé – corrispondono essi ai frutti di questo albero[24]. Questi sono i segni di un cuore purificato. La saggezza e la difficoltà del pellegrinaggio spirituale consistono nel non prendere le foglie per i frutti, come non si può immaginare di portare i frutti senza le foglie. Non si possono acquisire i doni dello Spirito Santo senza sforzo.


DIREZIONE SPIRITUALE

Il combattimento spirituale del cristiano non è mai stato facile. Egli deve lottare non solamente contro le tentazioni evidenti del mondo e contro la corruzione in se stesso, non solamente contro «la carne e il sangue, ma contro gli spiriti del male che abitano gli spazi celesti»[25]. Al sostegno decisivo che la partecipazione alla vita della Chiesa gli offre, si aggiunge il conforto della conoscenza dell’esistenza di una «nuvola di testimoni», coloro che sono già passati per le stesse lotte e sanno come consigliare ed incoraggiare le genti che camminano sulle loro tracce. L’esperienza spirituale di numerosi asceti è contenuta sotto una forma condensata negli scritti dei Padri. Noi possiamo attingere alla loro saggezza spirituale quando è difficile trovare degli esempi viventi e delle guide di vita spirituale, come è il caso della nostra epoca. L’umile gioia dall’insegnamento dei Padri, che sia donata dalla cella monastica di un anziano o tratta dai libri, è una parte fondamentale della vita di devozione ortodossa. «Colui che ha appreso l’obbedienza – consigliano i Padri – sarà egli stesso ascoltato ed entrerà arditamente alla presenza del Crocifisso», perché il Signore crocifisso egli stesso fu «obbediente fino alla morte»[26].


LA COMUNIONE DEI SANTI

Nella cura spirituale degli uni per gli altri, i cristiani si appoggiano anche sulle preghiere d’intercessione. Essi domandano la preghiera gli uni degli altri e credono che la «supplica fervente del giusto è molto potente»[27]. Ma la vita continua dopo la morte. Sarebbe strano pensare che le preghiere di un buon cristiano raggiungano Dio durante la sua vita temporale in questo mondo, ma non dopo quando «egli è partito e si trova col Cristo»[28]. Gli epitaffi del tempo dei martiri dimostrano sicuramente che all’inizio del Cristianesimo, fin dall’inizio, si domandava a coloro che erano partiti per il Regno di Dio di pregare per coloro che restavano quaggiù. Più profondamente un cristiano viene a conoscere la sua anima e più splendidamente egli è illuminato dalla grazia dello Spirito Santo, più profondamente egli vede il suo peccato e il suo contrario, la grandezza della misericordia e l’amore del Signore Iddio. Così un amore di compassione verso ogni anima umana profanata dal peccato aumenta in lui e la preghiera per essa prende un posto sempre più grande nella sua vita. Se ciò è vero durante il soggiorno dell’uomo nel mondo del tempo, a maggior ragione la sua preghiera deve continuare quando egli è partito per il Regno della gloria. S. Giovanni, nella sua visione, dice che là «il fumo dei profumi si elevava dalla mano dell’Angelo davanti a Dio, con le preghiere dei santi»[29].
C’è una comunione costante di preghiera tra la parte terrestre e visibile della Chiesa e la parte invisibile, celeste, ed è vero che ogni giorno dell’anno è consacrato alla memoria di qualche Santo il cui nome è conosciuto. Le storie dei loro combattimenti sono raccontate negli inni che sono loro dedicati e si domanda loro l’intercedere per noi. Così noi seguiamo l’invito dell’Apostolo: «Ricordatevi dei vostri capi di coloro che vi hanno fatto intendere la Parola di Dio, e considerando il risultato della loro carriera, imitate la loro fede»[30]. Rendendo gloria al combattimento ed alla vittoria spirituale dei Santi, la Chiesa glorifica in effetti, l’opera di salvezza di Dio, l’opera dello Spirito Santo; essa fa l’esperienza della salvezza, già compiuta in essi, ma verso la quale i membri della Chiesa militante sono ancora invece in cerca[31].
Prima tra i Santi e sempre degna di lode è Maria, la Preferita, Madre di Dio sempre Vergine[32]. In Ella, in S. Giovanni Battista e in S. Giovanni l’Apostolo, che vissero nel celibato, così anche nei loro discepoli innumerevoli, la verginità ritrovò l’onore che le appartiene naturalmente prima della Caduta[33]. Così una delle vie cristiane è l’ascetismo monastico, che è per coloro che l’hanno ricevuto un appello a questo stato di vita[34]. La venerazione dei Santi e la nostra comunione con loro nella preghiera sono la vivente esperienza della Chiesa. Per coloro che non hanno questa esperienza, è difficile comprendere la comunione dei Santi come comunione di preghiera. Può, è vero, dipendere semplicemente dalla loro buona volontà di non affermare che gli Ortodossi adorano Maria, i Santi e le Icone; in altri termini, di portare falsa testimonianza contro il loro prossimo. La Chiesa non ha mai adorato nessun’altra cosa se non la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. I Santi, così anche le cose consacrate con le quali la grazia divina è comunicata all’uomo, sono venerate, non adorate.



L'EUCARISTIA

«Servite il Signore con timore e rallegratevi in Lui con tremore».
(Salmo 2, 11)

IL SERVIZIO DI DIO

Nella parte precedente noi abbiamo svolto dei temi dottrinali, non della dottrina nella sua totalità, solamente di qualche tratto caratteristico della Chiesa primitiva e intrattenuti accuratamente sull’Ortodossia, ciò che può sembrare naturale per gli stessi Ortodossi ma estraneo ai Protestanti in mezzo a cui vivono. Noi affrontiamo ora la questione del significato che ha la Chiesa per noi nella pratica e come noi partecipiamo alla sua vita. Quando un fedele è menzionato nelle preghiere della Chiesa, viene chiamato «il servitore di Dio...». In senso più largo, servire Dio, compiere la volontà di Dio, prende tutta la vita dell’uomo, ma in un senso particolare, è la sua vita di preghiera, sia in privato nella sua camera, sia nel culto organizzato. Si prenda parte con tutto il proprio essere al servizio di Dio in tal modo che l’attesa dell’Apostolo possa realizzarsi in ognuno: «Che il Dio di pace stesso vi santifichi totalmente e che il vostro spirito, anima e corpo, siano conservati santi e senza rimprovero per la venuta di Nostro Signore Gesù Cristo»[35]. La pratica della preghiera privata sarà l’oggetto della terza parte del libro; lo scopo di questa parte è la descrizione del modo in cui Dio è servito nell’assemblea, specialmente in relazione con il culto eucaristico. Tuttavia considereremo anche qualche tratto generale del culto ortodosso.
Quando noi entriamo in una Chiesa Ortodossa, noi notiamo che le persone stanno in piedi e che c’è solo qualche sedia per coloro che non possono stare in piedi per qualche grave motivo. Stare in piedi in chiesa è il modo naturale di pregare. È un modo, un modo simbolico di testimoniare rispetto a Dio. La vita dell’uomo è piena di simbolismi come forme convenzionali di comportamento, non solamente nella sfera religiosa, ma anche in altri campi. Il segno della Croce che le persone tracciano su di loro, è uno dei più antichi simboli cristiani. Nel culto ortodosso, si fa il segno di Croce in alcuni momenti particolari dell’Ufficio, ed anche in altri momenti, secondo il proprio sentimento nella preghiera. Il segno di Croce è una confessione non verbale della fede: il pollice e le due prime dita della mano destra congiunte insieme, simbolizzano la nostra credenza nella Santa Trinità, e le altre due dita premute sul palmo della mano mostrano che noi crediamo che il Salvatore è nello stesso tempo Dio e uomo. Il segno della Croce, l’inginocchiarsi e le prostrazioni esprimono i pensieri dell’adoratore e i sentimenti del suo cuore. Ma nello stesso tempo questi gesti esteriori lo toccano interiormente fortificando in lui la disposizione di spirito che conviene. Essi aiutano anche colui che è più colto a entrare più completamente nello spirito della preghiera comune della Chiesa. Noi vedremo che molti altri simboli sono utilizzati durante gli Uffici. Così quando il Prete da la benedizione con la mano o con la Croce, l’assemblea inclina la testa per riceverla. Il fumo dell’incenso, secondo il Salmo, simbolizza la preghiera che si eleva davanti al Volto di Dio. I ceri che i fedeli mettono davanti alle Icone sono l’espressione di una preghiera fervente. Gli Uffici implicano letture e canti. La lettura è fatta su un tono recitativo o cantato.
Questa maniera di leggere testimonia che il celebrante non esprime i suoi sentimenti personali, ma la preghiera comune della Chiesa alla quale è facile per tutti unirsi. Il carattere organizzato della preghiera è particolarmente importante. Molte tra le preghiere in uso nella Chiesa sono testi biblici o sono ereditati dalla Chiesa primitiva. Anche i canti sono preghiere: lode, azione di grazia, supplica, proclamazione. La preghiera cantata è sempre la preghiera della Chiesa. È perciò che è sempre il testo del canto che è importante, conducendo il pensiero e il cuore dei fedeli verso lo stesso tema di preghiera. La musica strumentale non è in uso nel culto ortodosso, perché ogni uditore l’apprende a suo modo. I canti della Chiesa con i loro testi e melodie sono considerati come parti organiche dell’Ufficio. Per questa ragione, l’autentica musica liturgica, fondata sulla tradizione, è di un grande valore. Nello stesso tempo che il canto della corale, il canto della assemblea è fondamentale, specialmente durante la Liturgia. Nel corso dell’Ufficio l’assemblea, sotto la guida del Vescovo o del Prete, prende parte a certe attività secondo lo svolgimento previsto dall’Ufficio. Lo svolgimento dell’Ufficio data dalla Chiesa primitiva e varia secondo i momenti della giornata e dell’anno ecclesiastico. Così si hanno i Vespri con i quali comincia la giornata liturgica, Compieta prima di coricarsi, l’Ufficio di Mezzanotte, il Mattutino alla mattina e le Ore nel corso della giornata. L’Ufficio più centrale è quello nel corso del quale il Sacramento della Santa Comunione è celebrato. Questo Ufficio si chiama la Liturgia o l’Eucaristia. Chi non è membro della Chiesa Ortodossa può assistere ad un Ufficio Ortodosso. Il visitatore può stare in chiesa senza essere notato, ma se egli lo desidera, può anche partecipare all’Ufficio ed esprimere la sua preghiera con gli stessi simboli degli Ortodossi. La sola cosa alla quale unicamente i membri della Chiesa Ortodossa possono partecipare è la Santa Comunione. La ragione di ciò è spiegata nei capitoli seguenti, quando noi considereremo da vicino l’Eucaristia, dal punto di vista dell’individuo cristiano come di quello della Chiesa intera.


IL SACRAMENTO DELLA NOSTRA REDENZIONE

Quel grande professore della Chiesa primitiva che era in Occidente Agostino, parla di sua madre, la pia Monica, nelle sue Confessioni come segue: «Ella non formulò che un voto: che ci si ricordi di essa all’altare, dove non aveva interrotto un sol giorno i suoi servizi, sapendo che là si dispensa la Santa Vittima per la quale “è stato fermato l’ordine della nostra condanna” per la quale noi abbiamo trionfato del nemico che calcola le nostre colpe, cerca delle accuse contro di noi, e non trova niente presso l’altezza della nostra vittoria... È a questo mistero della Redenzione che la vostra serva ha legato la sua anima col legame della fede»[36]. Questa testimonianza di Agostino concernente sua madre che «ha legato la sua anima a questo mistero della Redenzione col legame della fede» ci dice qualche cosa di particolarmente essenziale sulla fede del cristiano, qualche cosa che fu importante non soltanto all’epoca di Monica nella Chiesa primitiva del IV secolo, ma lo è ancora ai nostri giorni. Il centro visibile della vita spirituale di ogni cristiano nella Chiesa o meglio di tutta la Chiesa, è sempre il Santo Altare e il Sacramento della Redenzione che vi è compiuto. Questo Sacramento si chiama la Santa Comunione e l’Ufficio che lo riguarda si chiama la Santa e Divina Liturgia. La partecipazione alla Santa Comunione è l’aspetto corporale di questo Sacramento della nostra Redenzione, ma il suo contenuto udibile e verbale è l’offerta dell’azione di grazie – Eucaristia, in greco – a Dio Padre. In questo Ufficio verbale, la principale causa di azione di grazia è il Sacrificio redentore offerto una volta per tutte per la salvezza dell’umanità; si chiama così l’Eucaristia un sacerdozio incruento di azione di grazie. Nella Chiesa primitiva, secondo Agostino, l’anima del cristiano era legata al sacramento della Redenzione semplicemente col legame della fede. Noi oggi, tuttavia, dobbiamo fare uno sforzo deliberato per entrare in profondità nel soggetto prima che il significato fondamentale di questo sacramento ci divenga chiaro. Ma noi ci dobbiamo affrettare di aggiungere anche una conoscenza esauriente di questo sacramento che non può cambiare il suo carattere soprarazionale e nascosto. È la ragione per la quale, nella Chiesa Ortodossa, la Santa Comunione e gli altri Sacramenti ugualmente, sono chiamati “Misteri”. Nel testo della Liturgia, la partecipazione ai Santi Misteri significa la partecipazione all’Eucaristia e alla Comunione.


LA LITURGIA COME FESTA BATTESIMALE

Nei primi secoli, era molto facile divenire membri della Chiesa nell’età adulta. Si riceveva il Battesimo e si diveniva membri della Chiesa dopo aver studiato le verità della fede. Praticamente questa istruzione dei Catecumeni, cioè di coloro che si apprestavano a ricevere il Battesimo, aveva luogo principalmente nel contesto della Santa Liturgia. Ma coloro che si preparavano al Battesimo avevano il diritto di essere presenti solo alla prima parte della Liturgia. Ancor oggi, questa parte della Liturgia si chiama Liturgia dei Catecumeni. La sua caratteristica è la lettura della Scrittura e l’insegnamento o sermone. Dopo l’ascolto della Parola spiegata, i catecumeni prendono parte alle preghiere che si offrono alle loro intenzioni. Queste comprendono delle domande per «renderli degni al tempo voluto del bagno della rigenerazione», cioè del battesimo, e per «unirli alla Tua Chiesa Santa, Cattolica ed Apostolica». Allora, dopo aver ricevuto la benedizione dal Vescovo, i catecumeni lasciavano l’Ufficio. Solamente i fedeli che erano già stati battezzati potevano restare in Chiesa. È la ragione per la quale la seconda parte della Liturgia è da sempre chiamata Liturgia dei Fedeli. Questa preparazione al Battesimo nel quadro della Liturgia durava in generale tutte le settimane della Quaresima. Poi il Sabato Santo o il giorno di Pasqua stesso, i Catecumeni erano condotti al Battistero o alla riva di un fiume dove venivano battezzati. Da questo luogo, i nuovi battezzati con l’assemblea tutta intera si recavano solennemente in processione alla Chiesa. Nella Chiesa, il Vescovo imponeva le mani ai nuovi battezzati o – con una pratica più tardiva – li ungeva col Santo Crisma come segno del dono dello Spirito Santo. Essendo divenuti membri della Chiesa, i nuovi battezzati potevano ormai assistere alla Liturgia dei Fedeli per la prima volta, partecipando all’Eucaristia e ricevendo la Santa Comunione. Da ciò che è stato detto, è chiaro che la preparazione al Battesimo non era solamente una questione di assimilazione teorica degli articoli della fede cristiana, ma anche una parte importante di questa consisteva nel prendere parte gradualmente alla vita liturgica della Chiesa, entrando nel suo spirito e veramente «legando la propria anima al mistero della redenzione col legame della fede».


LA PASQUA DEI BATTEZZATI

Il Battesimo è la partecipazione alla morte e alla resurrezione del Cristo. L’Apostolo scrive così a questo soggetto: «Noi siamo stati dunque seppelliti col Cristo nella morte per mezzo del Battesimo affinché, come il Cristo è risorto dai morti per la gloria del Padre, anche noi viviamo una vita novella»[37]. Pasqua, in tanto che festa battesimale come tale, cessò di essere in uso nella Chiesa d’Oriente a una data così primitiva come il secondo secolo, ma i suoi tratti più caratteristici sopravvivono ancora nella celebrazione pasquale. Come nel passato, quando l’assemblea, portando dei ceri accesi andava in processione con i nuovi battezzati dal luogo del loro battesimo fino alla Chiesa, così ora, durante la notte pasquale, i Cristiani vanno in processione intorno alla Chiesa come se fosse la festa comune del loro battesimo. Poi, quando l’annuncio della Resurrezione di Cristo è stata proclamata per la prima volta sulla soglia della Chiesa, venendo dall’oscurità noi avanziamo nella Chiesa inondata di luce. Là, mentre comincia il Mattutino, noi sentiamo cantare il Canone di Pasqua, nel quale il nostro Battesimo è menzionato, come se stesse per aver luogo: «Ieri ero seppellito con Te, o Cristo; oggi mi levo con Te nella Tua Resurrezione. Ieri ero crocefisso con Te; glorificami con Te nel Tuo Regno». E ben presto, quando la Liturgia comincia, ci si ricorda ancora del nostro battesimo nel canto: «Come molti tra voi sono stati battezzati nel Cristo, essi sono rivestiti del Cristo, Alliluja!». Il Battesimo è l’avvenimento più decisivo della nostra vita. Ma quanta poca attenzione gli abbiamo accordata! La partecipazione alla festa della Resurrezione, nostra comune festa battesimale, è un richiamo vivente di ciò che «anche noi possiamo vivere una vita nuova». E quale è questa novella che è presente alla festa di Pasqua? Noi ne facciamo l’esperienza, quando prendiamo parte all’Eucaristia. Per conseguenza, è del tutto naturale e molto importante che tutti i membri battezzati della Chiesa partecipino alla Santa Comunione ugualmente, e più particolarmente durante la Liturgia della Notte Pasquale.


DALLA LITURGIA DELLA CHIESA

Ai nostri giorni la gente diviene membro della Chiesa nella prima infanzia col Santo Battesimo. Si riceve anche la Santa Comunione nell’infanzia. In seguito, l’entrata nello spirito della Santa Liturgia e la partecipazione cosciente al Sacramento della Redenzione dipendono poi dai genitori e dai padrini, sulla cui fede il bambino viene condotto alla Comunione nella Chiesa, e si continua più tardi nelle classi di Religione nelle Scuole. Come la Comunione è ricevuta nella piccola infanzia, la Chiesa Ortodossa non ha delle classi di confermazione in quanto tali, ma essa ha delle classi della stessa natura per i giovani. Uno dei compiti importanti di queste classi come di quelle tenute alla scuola, è di insegnare la Liturgia e tutto ciò che la Chiesa primitiva insegna per la preparazione al Battesimo. Un adulto che desidera entrare nell’Ortodossia può prepararsi come si faceva nella Chiesa primitiva, familiarizzandosi con la vita liturgica della Chiesa. Questo è in effetti ciò che accade abitualmente. Come egli frequenta la chiesa, egli si appresta a conoscere gli Uffici, e poi apprendere a parteciparvi. Poi al tempo voluto, come dice la preghiera per i catecumeni, la grazia di Dio sveglierà in lui il desiderio di poter far parte della comunità eucaristica dei fedeli. Questa partecipazione diviene possibile – sempre che sia già stato battezzato – col sacramento della Confermazione. Poiché essa significa l’entrata nella Chiesa, la “ecclesia”, la confermazione dovrebbe essere conferita, nel quadro della Liturgia, quando la Chiesa è concretamente presente come assemblea, come una Comunità eucaristica riunita. La pratica del Battesimo nella Chiesa primitiva ci aiuta a comprendere che il battesimo di un fanciullo, la sua entrata nella Chiesa come uno dei suoi membri, non può più fare in privato nella casa, ma essa è una festa esplicitamente per l’assemblea intera. Quando un fanciullo è battezzato in Chiesa durante la Liturgia, noi partecipiamo, anche ai nostri giorni, come il Battesimo e la ricezione dei doni dello Spirito Santo fa di qualcuno un membro del popolo di Dio. Il fanciullo novellamente battezzato – come l’adulto che entra nella Chiesa, così che è chiamato più in alto – può allora già nella medesima Liturgia, prendere parte al Sacramento della Redenzione, la Santa Comunione raggiungimento di ogni attesa spirituale.


RICEVIMENTO DELLA COMUNIONE

«La Divina Liturgia è in verità un Ufficio celeste sulla terra» scrisse Giovanni di Kronstadt, un prete che visse all’inizio di questo secolo ed aveva ricevuto il potere di guarigione e della visione spirituale. Lui stesso celebrava la Liturgia ogni giorno. La Cena celeste è posta davanti a noi, e noi ascoltiamo proprio le parole del Cristo che ci invitano: «Prendete, mangiate! Questo è il mio Corpo... Bevetene tutti! Questo è il mio sangue...». Possiamo dubitare di queste parole che ci invitano a ricevere la Santa Comunione in ogni Liturgia? Nella Chiesa primitiva, solo i non battezzati e coloro che si chiamavano penitenti, esclusi dalla Comunione a causa di gravi colpe, non prendevano parte ai Santi Doni. Ma essi non ascoltavano le Parole del Cristo, perché dovevano abbandonare l’Ufficio prima dell’inizio della Liturgia dei Fedeli. D’altra parte era del tutto impensabile che coloro che restavano per la Liturgia dei Fedeli si astenessero dalla Comunione.
È soltanto in seguito, col progressivo raffreddamento della carità dei Cristiani, che cominciò a diventare abituale che solo alcuni membri di Chiesa presenti – o solamente il Clero che celebrava – ricevessero la Comunione. Ai nostri tempi, il Movimento Liturgico che cominciò a formarsi nelle Chiese Orientali dopo la Prima Guerra Mondiale, ha cercato di far rifiorire la pratica liturgica dei primi Cristiani. Così la Liturgia della Chiesa Ortodossa, come custode della più antica tradizione cristiana, è diventata l’oggetto di una attenzione speciale. Nello stesso tempo gli Ortodossi stessi hanno dovuto riesaminare le tradizioni conservate nelle loro Chiese. Questo, di ritorno, ha condotto ad un rinnovamento della pratica dei primi cristiani di comunicarsi regolarmente, in molti luoghi nell’ambito delle Chiese Ortodosse presenti in Occidente. Nella Chiesa Ortodossa di Finlandia, la Lettera Pastorale dei Vescovi del 1970 mette l’accento sul significato principale della Liturgia. La Lettera spiega che i Sacramenti della Confessione e della Comunione non sono legati insieme in modo tale che la Confessione sia una condizione necessaria per l’ammissione alla Comunione. Praticamente, essa può essere considerata come una “condizione”, specialmente quando si fa Comunione raramente, per esempio «una volta all’anno», come è purtroppo stato insegnato come una sorta di regola. Ma chi riceve frequentemente la Comunione va a Confessarsi solamente quando sente un bisogno particolare, o durante la Quaresima, tempo abituale di penitenza o per l’esame della direzione della nostra vita. Non si possono dare delle regole assolute per ricorrere alla Confessione, ma la Lettera Pastorale dei Vescovi invita ognuno a consultare il suo confessore e a ricevere la sua benedizione per la Comunione frequente.
Tuttavia ognuno dovrebbe procurare di fare dell’astensione dalla Comunione piuttosto un’eccezione che la regola. Monica, la Madre di Agostino, riceveva il Sacramento dell’Altare ogni giorno. Questo non è possibile per noi, perché in genere la Liturgia è celebrata quotidianamente solo nei Monasteri. Tuttavia la pratica descritta nel nuovo Testamento è anche possibile per noi. I Cristiani si riunivano regolarmente il primo giorno della settimana per «la frazione del pane», cioè per celebrare l’Eucaristia. Questo giorno si chiamava il giorno del Signore, perché era il giorno della Resurrezione del Cristo. Quel giorno, la Domenica, anche noi abbiamo una Liturgia in tutte le nostre Assemblee, e nulla dovrebbe impedirci di ricevere il sacramento della Redenzione come famiglia al completo, alla Liturgia del giorno del Signore. Il Sabato era celebrato per glorificare l’opera della Creazione; per la Resurrezione del Cristo, la morte è stata vinta e così la Creazione è stata restaurata nella sua gloria originale. Questa è la ragione per la quale la Domenica, primo giorno della settimana, ha soppiantato il Sabato, e il popolo di Dio, i Cristiani, si riuniscono per incontrare il loro Signore risorto.


PER LA VITA NON PER LA CONDANNA

Dell’importanza della Comunione il Cristo dice: «Se voi non mangiate la carne del Figlio dell’uomo, e non bevete il Suo sangue, non avrete la vita in voi; chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo resusciterò nell’ultimo giorno»[38]. Ascoltando queste parole i Giudei ne furono offesi. Noi sappiamo che cosa esse significano. «La vita in noi», la vera vita di fede, non è possibile che nel Cristo, in una vera comunione col Cristo, ciò che si realizza nella Santa Comunione. E questa comunione continuerà fino al giorno della Resurrezione: «Ed io lo resusciterò all’ultimo giorno». Questo è un ammirabile mistero che fa sospirare dopo la Santa Comunione, specialmente quando la morte s’avvicina. La Comunione regolare è già divenuta un costume in molte parrocchie. Tuttavia noi dobbiamo sempre ricordare l’avvertimento dell’Apostolo: «Colui che mangia e beve, mangia e beve la sua condanna, se non discerne il Corpo»[39]. Benché non sia necessario confessarsi ogni volta che ci si comunica, tuttavia dobbiamo prepararci ogni volta ad incontrare il Signore Risorto nella Comunione. Questa preparazione comprende il digiuno: il mattino, prima di andare alla Liturgia, noi non dobbiamo né mangiare né bere alcuna cosa. Nel libro di Preghiere ortodosse, c’è una piccola regola di preghiera ed alcune preghiere sono destinate ad essere lette a casa prima di partire per la Chiesa per comunicarsi. Uno spirito raccolto nella preghiera ha un effetto trasformatore anche sul corpo, così che la fame leggera che il corpo sente, si trasforma in una fame spirituale per la comunione con Dio, e in un sentimento d’attesa. Con tali preparazioni si crea una disposizione di umiltà e di pentimento che conviene per accostarsi al Sacramento di cui l’Apostolo dice: «Che ciascuno provi se stesso e che così mangi di questo pane e beva di questa coppa»[40]. Che nessuno, a causa della sua indegnità, manchi di accettare l’invito del Signore ascoltato alla Liturgia, o pensi che ricevendo la Comunione meno sovente, possa meglio prepararsi ed esserne più degno. Il sentimento di indegnità è esattamente la disposizione che occorre, la sola che ci permette di far parte della grazia suprema di Dio, che ci è offerta come un dono interamente libero. Chiunque ha la possibilità di stare in raccoglimento dopo il ritorno dalla chiesa, può anche leggere un libro di preghiere di azione di grazia dopo la Comunione.


LA LITURGIA COME CULTO COMUNITARIO

Così finora noi abbiamo parlato della Santa Liturgia come di un Ufficio religioso nel quale riceviamo la Santa Comunione, rimedio dell’immortalità, come lo chiamavano i Padri Apostolici. Ma nello stesso tempo la Liturgia è molto di più che un rimedio spirituale per i membri della Chiesa. Il nome stesso di Liturgia, preso dal greco, significa servizio pubblico. Nella Liturgia la Chiesa si compie essa stessa; solo allora ella è la Ecclesia riunita in un luogo per un’azione comune ed un ufficio. La ragione di questa riunione e il suo scopo possono essere spiegate dalle parole seguenti dell’Apostolo: «Voi stessi come delle pietre viventi, prestatevi ad edificare un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, in vista di offrire dei sacrifici spirituali, gradevoli a Dio, per mezzo di Gesù Cristo... Ma voi, siete una razza eletta, un sacerdozio reale, una nazione santa, un popolo acquisito, per proclamare la lode di Colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce. Voi che un tempo non eravate un popolo, e che siete ora il popolo di Dio, che non otteneste misericordia e che ora avete ottenuto misericordia»[41]. Queste parole dell’Apostolo mostrano che i termini applicati precedentemente ad Israele, appartengono ora al nuovo popolo di Israele, ai Cristiani, alla Chiesa, all’Ecclesia. Come un tempo la sola famiglia di Aronne era stata scelta per servire come Sacerdozio, ora il novello Israele nell’insieme, tutti i membri della Chiesa, costituiscono una famiglia santa e scelta, un sacerdozio reale e il vero popolo di Dio. In tanto che Sacerdozio santo, essi sono tutti chiamati a «offrire dei sacrifici spirituali accettabili da Dio per mezzo di Gesù Cristo».
Questa presentazione delle offerte spirituali è esattamente ciò che ha luogo nella Santa Liturgia che il popolo di Dio compie come un servizio comune. Tutte le preghiere della Santa Liturgia, con qualche rara eccezione, sono al plurale, e così devono essere lette o cantate nel nome del popolo di Dio tutto intero. Se ne trova un ‘esempio in una delle Antifone della prima parte della Liturgia:
«O Tu, che ci hai fatto la grazia di indirizzare a Te di comune accordo le nostre comuni supplicazioni e che hai promesso che là dove due o più sono riuniti nel tuo nome, tu accorderai loro ciò che essi domandano: esaudisci ora, o Signore, le domande dei tuoi servitori secondo ciò che è buono per loro; accordando loro in questo modo la conoscenza della tua verità e nel mondo futuro, la vita eterna. Perché Tu sei un Dio buono e Tu ami l’umanità, e a Te noi rendiamo gloria, al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli».
Nella Chiesa primitiva, tutte le preghiere della Liturgia erano lette ad alta voce. Tutta l’Assemblea vi partecipava. Ma dal VI secolo il Celebrante cominciò a leggere a voce bassa alcune preghiere della Liturgia. Benché vi siano stati dei tentativi di resistenza contro questi cambiamenti, questa divenne progressivamente una pratica generale, tanto che il Rituale indica quale parte delle preghiere della Liturgia devono essere lette “segretamente” dal Sacerdote. Tuttavia laddove si riscontra la volontà dell’Assemblea di approfondire la comprensione della Liturgia, si è ritenuto necessario ritornare alla pratica della lettura delle preghiere della Liturgia ad alta voce. Come potrebbe l’Assemblea intera del popolo di Dio partecipare al Sacramento della Redenzione con piena comprensione e sentimenti sinceri e realizzare il ministero del Sacerdozio reale che eleva delle offerte spirituali senza intendere che dei frammenti o la fine delle preghiere comuni senza poter conoscere il loro significato completo? Si da ancora più frequente il caso che il popolo presente che non può seguire l’Ufficio se non con la sua disposizione personale alla preghiera, divenga un’Assemblea più o meno distratta. In quest’ultimo caso, i fedeli tendono a non far attenzione se non a ciò che vi è di esteriore, al lato estetico della Liturgia, e si soffermano ad ammirare lo splendore dell’Ufficio e la bellezza del canto. È vero che questi aspetti hanno il loro valore in quanto riflessi nella gloria celeste di Dio e in quanto preparazione e cornice per l’Eucaristia, ma essi non devono essere fini a se stessi. La Chiesa primitiva mancava di splendore esteriore; la solennità eucaristica si trovava nell’incontro gioioso col Cristo Risorto.
Il Cristo stesso è il celebrante della Liturgia. Ciò è reso manifesto nella preghiera letta dal Prete prima dell’inno dei Cherubini. Questa preghiera differisce dalle altre recitate nella Liturgia in quanto essa è una preghiera personale del Celebrante nella quale egli domanda la forza di compiere il sacramento. Pregando in questo modo il Prete riconosce che è il Cristo stesso colui che offre il Sacrificio liturgico ed incruento il cui compimento è stato affidato al Prete: «Perché Tu sei colui che offre e colui che viene offerto, colui che riceve e colui che viene ricevuto, o Cristo nostro Dio». Tuttavia il Cristo agisce attraverso il Prete. Esattamene come il Cristo ha celebrato la Comunione, reso grazie, benedetto, spezzato e distribuito ai suoi discepoli, così anche nella Liturgia, il Celebrante compie sempre il Sacramento santo, ma egli agisce in quanto voce di tutto il popolo di Dio e con lui. Egli rende grazie, leggendo le preghiere eucaristiche di azione di grazia, benedice, spezza e distribuisce al popolo; tutti gli altri sono suoi Concelebranti e ciascuno esegue il suo compito: gli altri Preti e Diaconi disponendosi attorno all’altare e tutti gli altri membri del popolo di Dio nella Chiesa. Coloro che assistono in Chiesa non sono degli spettatori passivi, ma essi sono Concelebranti col Prete che officia o col Vescovo, ed essi devono essere capaci di seguire lo svolgimento della Liturgia e di partecipare alle sue preghiere. È solamente in questo modo che la Liturgia può essere una vera Liturgia un culto comunitario, e la Chiesa un’Ecclesia, il popolo di Dio riunito per celebrare l’Eucaristia.


L'EUCARISTIA SACRIFICIO D'AZIONE DI GRAZIA

Nel capitolo precedente abbiamo citato le parole dell’Apostolo Pietro che si riferiscono alla natura sacrificale della Liturgia: «Voi stessi prestatevi all’edificazione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire dei sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo». Questo si realizza nella parte più centrale della Liturgia dei fedeli, l’Eucaristia propriamente detta, Là nell’Anafora, o preghiera di Offertorio, grazie alle parole pronunciate dal Prete, l’Assemblea esercitando un sacerdozio spirituale rende un’offerta incruenta e spirituale, rendendo grazie a Dio per tutto ciò che Egli ha fatto per l’umanità. La nostra prima riconoscenza va al fatto che Egli ci «ha portato dal non-essere all’esistenza». Noi continuiamo rendendogli grazie «per averci risollevati quando siamo caduti... e di averci resi eredi del suo Regno futuro». L’azione di grazia s’indirizza alla Santa Trinità «per tutto ciò che noi sappiamo e che non sappiamo, sia manifesto sia invisibile», di ciò che ha fatto per noi.
Specialmente noi rendiamo grazie per «questa Liturgia che si è degnato di accettare dalle nostre mani benché lassù vi siano presso di Lui miriadi di Arcangeli..., che cantano l’inno del trionfo, gridano, proclamando e dicendo: “Santo! Santo! Santo!”»... L’Assemblea intera si unisce alla preghiera cantando: «Santo! Santo! Santo! Signore degli eserciti! Il cielo e la terra sono riempiti della tua gloria! Osanna nel più alto dei cieli!». Così, unendosi al canto dei cori celesti, l’Assemblea riconosce la santità e la gloria di Dio che «ha talmente amato il mondo da dare il Suo Figlio Unigenito affinché chiunque creda in Lui non perisca ma riceva la vita eterna. Perché Lui nella notte in cui fu immolato per la vita del mondo, prese del pane... ed avendo rese grazie, lo benedisse, lo consacrò lo spezzò e lo distribuì ai suoi santi discepoli ed apostoli dicendo «Prendete! Mangiate! Questo è il mio Corpo rotto per voi per la remissione dei peccati». Ed allo stesso modo, dopo il pasto Egli prese il calice dicendo: «Bevetene tutti! Questo è il mio Sangue della Nuova Alleanza, versato per voi e per tutti, per la remissione dei peccati». E ricordando questo comandamento salvifico e di tutto il mistero della redenzione in relazione con Lui: la Croce, la Tomba, la Resurrezione al terzo giorno, la Ascensione al cielo, il seggio alla destra del Padre e il secondo e glorioso Ritorno, il Prete eleva i Santi Doni – il Pane e il Vino nel Calice – che sono stati posti sul Santo Altare e dice: «Le cose Tue che da Te provengono a Te offriamo in tutto e per tutto». Così offrendo questo culto ragionevole e incruento, l’Assemblea prega Dio: «Invia il Tuo Santo Spirito sopra di noi e su questi Doni qui offerti» e fa «del Pane il Corpo prezioso del Tuo Cristo «e di ciò che c’è nel Calice» il Sangue prezioso del Tuo Cristo». Nello stesso tempo il Celebrante benedice il Pane e il Calice, ciascuno separatamente e poi insieme. Quindi il Clero e l’Assemblea cantano con una sola voce: «Amen, Amen, Amen». Così il popolo di Dio, presentando od offrendo il Pane e il Vino scelti tra il nutrimento che sostiene la vita terrestre, riceve un pasto celeste, il Santo Corpo e il Sangue di Cristo per il sostegno della sua vita spirituale. La Chiesa Ortodossa non tenta di spiegare l’invisibile ma reale cambiamento del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, perché questo è un mistero e dev’essere ricevuto nella fede. S. Ambrogio, Vescovo di Milano che visse nel IV secolo, scrisse una preghiera da leggere per coloro che si preparano a celebrare la Santa Liturgia. Gli estratti seguenti di questa preghiera mostrano la concezione che aveva la Chiesa primitiva della Santa Eucaristia e dei suoi legami col Sacrificio della Redenzione:
«Nostro vero grande Sacerdote, Gesù Cristo! Per noi peccatori, Tu ti sei offerto sull’altare della Tua Croce, come sacrificio puro e senza macchia. Tu ci hai donato il Tuo Corpo da mangiare e il Tuo Sangue da bere e Tu hai stabilito la potenza dello Spirito Santo dicendo: “Ogni volta che voi farete ciò, fatelo in memoria di me”. Io te ne prego per il prezzo elevato della nostra salvezza, il Tuo Preziosissimo Sangue; io te ne prego per il tuo meraviglioso ed indicibile amore, con il quale Tu ci hai talmente amati, noi peccatori che Tu hai purificato dal peccato col Tuo proprio Sangue insegnami, a me tuo servitore indegno... per la potenza del Tuo Spirito, a compiere questo grande Sacramento con rispetto e devozione, con la pietà e il timore che convengono al suo valore... Che il Tuo Santo Spirito venga nel mio cuore e, con la sua parola silenziosa mi faccia conoscere la verità intera di questo grande Mistero così profondamente nascosto e ricoperto con un velo divino... Inoltre io imploro la Tua bontà, o Signore, perché la pienezza della tua divinità venga su questo Pane; che la forma visibile e l’inconcepibile gloria del Tuo Santo Spirito, o Signore, discendano come fece nel passato sul sacrificio dei nostri Padri, faccia dei doni che noi Ti offriamo il Tuo Corpo e il Tuo Sangue e che Egli guidi me, indegno servitore nel compimento di questo grande Sacramento... ».


UNITA' ED UNICITA' NEL CRISTO

«Fate questo in memoria di me»[42]. Dopo che questa esortazione sia stata seguita nel modo descritto nel capitolo precedente e che i Santi Doni siano stati benedetti, si domanda «che essi possano essere, per coloro che vi prendono parte, purificazione dell’anima, remissione dei peccati, comunione col Tuo Spirito Santo, realizzazione del Regno dei Cieli, fiducia in Te e non giudizio e condanna». I primi di cui ci si ricordano sono gli uomini giusti dell’Antico Testamento che vivevano nella fede, nella salvezza futura, poi gli Apostoli, i predicatori, gli evangelisti, i martiri, i confessori, gli asceti ed ogni giusto in spirito reso perfetto nella fede – e prima di tutti, la Theotokos, la Madre di Dio e sempre Vergine Maria, poi Giovanni Battista, gli Apostoli e i Santi del giorno in onore dei quali la Liturgia viene celebrata. Poi il celebrante fa memoria dei membri della Chiesa locale che sono partiti nella speranza della vita eterna e della Resurrezione. Poi viene la commemorazione dei viventi, nel mondo intero e di coloro che esercitano un’autorità, nominando col suo nome il Vescovo della Diocesi, e così i membri della Chiesa locale, specialmente coloro che sono in viaggio, i malati e coloro che soffrono, i prigionieri, coloro che portano le offerte e che si ricordano dei poveri. In queste preghiere si può sentire come il Sacramento della Redenzione unisce la Chiesa trionfante del cielo e la Chiesa militante che combatte ancora in questo mondo. Il Celebrante conclude l’Anafora con un’esclamazione domandando il potere di lodare la Santa Trinità «con una sola bocca e un solo cuore» e benedice il popolo dicendo «Che la misericordia del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo dimorino sempre con voi tutti».


LE COSE SANTE AI SANTI
Dopo le preghiere eucaristiche di azione di grazia, e di commemorazione, cominciamo a prepararci a ricevere la Santa Comunione. Una serie di suppliche, chiamate Litanie delle Supplicazioni, viene recitata affinché noi possiamo pregare per tutto ciò che è importante per le nostre anime. Poi si canta la “Preghiera del Signore”, preceduta dall’invocazione: «Rendici degni di prendere parte ai misteri celesti e temibili di questa tavola sacra e spirituale con una coscienza pura: per la remissione dei peccati, per il perdono delle nostre colpe, per la comunione allo Spirito Santo, per ereditare il Regno dei Cieli, per la fiducia in Te, ma non per il giudizio e la condanna». Quando noi abbiamo pregato così per prendere parte al Sacramento della Redenzione con una coscienza pura e dopo esserci avvicinati con confidenza al Dio del cielo come al nostro Padre, con la Preghiera del Signore, noi domandiamo inclinando la testa che «il Signore distribuisca a tutti i suoi doni qui offerti, secondo i bisogni di ciascuno... per la grazia, la compassione e l’amore verso l’umanità del tuo Figlio beneamato». Affinché la preghiera di ciascuno non si indebolisca mentre attende di prendere parte ai Santi Doni, il celebrante mormora le parole: «Le cose Sante per i Santi!». Nello stesso tempo egli eleva il Pane, l’Agnello, perché il popolo lo veda, ed esso risponde: «Uno solo è il Santo, il Signore Gesù Cristo, per la gloria di Dio Padre, Amin». Dopo questa esclamazione che ha per oggetto di far sentire al credente la sua propria dipendenza in rapporto al Cristo, che solo è Santo, il Prete rompe il Pane dicendo: «L’Agnello di Dio è diviso e distribuito, Lui che è spezzato ma non diviso, che è sempre mangiato e mai consumato; ma che santifica coloro che vi prendono parte». Tutte queste preghiere sono una preparazione a ricevere la Santa Comunione. Nella pratica si ha spesso a questo punto della Liturgia una sorta di rallentamento, una pausa nella sequenza che peraltro è ininterrotta. Perché? Le porte dell’Altare e la Tenda vengono chiuse e l’Assemblea non può vedere il Clero nel Santuario. Il Coro cerca un canto per riempire l’intervallo prima che le Porte Reali vengano di nuovo aperte. Peggio ancora questo diviene un momento di dare un concerto, una manifestazione della bravura artistica del coro che distrae completamente il pensiero degli astanti dallo stato di santa impazienza che è stato raggiunto nella Liturgia. Si può agevolmente eliminare questo difetto lasciando aperte le porte dell’Altare. Poiché ora l’uso vuole che le Porte dell’Altare restino aperte per tutta la Liturgia, non c’è ragione perché il Clero si separi dal resto del popolo di Dio dietro alle Porte chiuse in questo momento. La vista della profonda devozione con la quale il Clero si prepara a prendere parte alla Santa Comunione aiuterà il popolo presente a prepararsi allo stesso santo momento. Mentre il Clero riceve la Santa Comunione il Coro può cantare il Salmo 34, ma lentamente e devotamente così da non turbare il raccoglimento di coloro che ricevono la Comunione nel Santuario. E se il Salmo è finito prima che il Clero sia pronto a continuare la Liturgia, il Lettore può leggere qualcuna delle preghiere di preparazione alla Comunione, ma anche un tempo di silenzio è appropriato ugualmente.


CON FEDE E AMORE AVVICINATEVI

Dopo che il Clero ha partecipato alla Santa Comunione, i fedeli sono invitati alla Cena del Signore: «Con fede, timor di Dio, e amore avvicinatevi!». I fedeli si avvicinano e a voce bassa dicono questa preghiera nello stesso tempo che il Celebrante, Vescovo o Prete la pronuncia: «Credo Signore e confesso che Tu sei veramente il Cristo il Figlio del Dio vivente, che sei venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Credo anche che questo è veramente il Tuo Corpo purissimo e questo è veramente il Tuo Sangue prezioso. Perciò io ti imploro, abbi pietà di me e perdona le mie colpe volontarie ed involontarie, in parole, in azioni commesse con piena conoscenza o per ignoranza. E rendimi degno di prendere parte senza essere condannato a questi santi misteri per la remissione dei miei peccati e per la vita eterna. Alla Tua cena mistica, o Figlio di Dio, accettami oggi come partecipe; perché io non parlerò del Tuo mistero ai Tuoi nemici né Ti darò un bacio come Giuda, ma come il Ladrone io confesserò il Tuo Nome “Ricordati di me, o Signore nel Tuo Regno”. Che la Comunione ai Tuoi Santi misteri non sia per me né giudizio né condanna, o Signore, ma per la guarigione della mia anima e del mio corpo». Poi tutti si prosternano e si rialzano, dicendo interiormente: «Ecco che viene a me il Re immortale e mio Dio». Prima di prendere la Santa Coppa ognuno dice il suo nome di Cristiano e il Prete dice: «Il Servo(a) di Dio... prende parte al Corpo prezioso e santo e al Sangue del nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, per la remissione dei suoi peccati e per la vita eterna». Dopo aver ricevuto la Comunione, ognuno bacia il Calice come raffigurante il Costato ferito del Salvatore da cui uscirono il Sangue e l’Acqua[43]. Poi essi prendono del vino mescolato ad acqua ed un pezzo di pane benedetto posti su di un tavolo vicino. Questo talvolta non è possibile per l’alto numero di comunicanti in certe occasioni. Noi non ci inginocchiamo nel giorno in cui riceviamo la Comunione, perché le parole del Signore si sono compiute: «Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui»[44].
Quando tutti hanno ricevuto la Comunione, il Sacerdote benedice il popolo dicendo: «O Dio, salva il Tuo popolo e benedici la Tua eredità!», e come un’eco della Salvezza che il popolo di Dio presente ha sperimentato, esso risponde col canto: «Noi abbiamo visto la vera luce! Noi abbiamo ricevuto lo Spirito celeste! Noi abbiamo trovato la vera fede, adorando la Trinità indivisa che ci ha salvati!». Quando i Santi Doni sono ritirati dall’Altare, essi sono mostrati al popolo che ascolta le parole del Prete: «Benedetto sia il nostro Dio ora e sempre e nei secoli dei secoli». Con queste parole comincia l’ultima parte della Liturgia, azione di grazia per questa partecipazione ai Misteri di Dio. Continuando le preghiere di azione di grazia del Prete, l’Assemblea canta: «Che le nostre bocche siano riempite della tua lode, o Signore, perché noi possiamo cantare la tua gloria, divino, immortale creatore della vita». E questo inno termina con la supplica: «Riguardaci nella tua santità, affinché tutto il giorno noi possiamo meditare sulla tua giustizia. Alliluja! Alliluja! Alliluja!». La Litania di azione di grazia che segue questo inno finisce con questa espressione di lode: «Perché Tu sei la nostra santificazione, a Te noi rendiamo gloria o Padre, Figlio e Spirito Santo ora e sempre e nei secoli dei secoli». Poi mettendosi al centro dell’Assemblea il Prete legge la preghiera che conclude la Liturgia, che riassume per così dire i temi di tutte le preghiere della Liturgia: «O Signore, Tu che benedici coloro che Ti benedicono e santifichi coloro che confidano in Te, salva il Tuo Popolo e benedici la Tua eredità...». La Liturgia termina con la benedizione del Signore e un congedo nel quale sono ricordati i nomi dei Santi venerati nella nostra Chiesa e di cui si rende memoria in quel giorno. I fedeli si avvicinano per venerare la Croce presentata dal Sacerdote e baciano questo simbolo della nostra Redenzione. E così i fedeli, dopo aver partecipato alla Santa Eucaristia, riportano in sé e in tutta la loro vita il sentimento di santità, ripetendo in spirito la preghiera: «Riguardaci nella tua santità, affinché tutto il giorno noi possiamo meditare sulla tua giustizia. Alliluja». Così la vita procede da un’Eucaristia all’altra fino a «costituire la misura della statura della pienezza del Cristo» fino a che noi lo vedremo «faccia a faccia»[45]. «O Cristo grande e santissima Pasqua! O Saggezza, Parola e Potenza di Dio! Accordaci di poter aver meglio parte con Te nel giorno senza fine del Tuo Regno».


FINCHE' EGLI VENGA

«Come questo pane spezzato è stato disperso sulle colline, ed in seguito una volta riunito è diventato uno, così la Tua Chiesa sia riunita dalle estremità della terra per il Tuo Regno»[46]. Questa magnifica parabola dell’unità che si realizza durante la Cena di azione di grazia o Eucaristia, è utilizzata in una fonte letteraria del I secolo che si intitola «La dottrina dei Dodici Apostoli». L’Eucaristia unisce «ogni giusto in spirito, reso perfetto nella fede», ai membri della Chiesa militante che partecipa alla santità del Cristo e che nella Liturgia sono chiamati Santi. «Poiché non c’è che un sol pane noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo»[47]. «E tutti noi partecipiamo a questo pane unico»[48]. L’espressione del Nuovo Testamento, essere «nel Cristo» ha lo stesso significato che le parole dell’Apostolo sul pane unico e sul corpo unico: l’unità della fede è realizzata nel Cristo per la Santa Eucaristia[49]. Così è anche per la vita dell’Assemblea. Più è forte il senso dell’Eucaristia, unità spirituale all’interno dell’Assemblea, più grandi sono l’umanità, la pace e l’amore. Esattamente nella maniera in cui tutte le membra di un solo corpo sono uguali, così non ci sarà più né ricco, né povero, né superbi per carica, né umiliati, né sapienti, né ignoranti, né impiegati né operai, né preti né laici, davanti alla Coppa del Signore. Tutti sono riscattati col medesimo prezioso Sangue e sono una sola cosa nel Cristo[50].
L’Eucaristia, cuore della vita della Chiesa, ha così un significato escatologico, che si estende fino alla seconda venuta del Cristo. «Perché ogni volta che voi mangerete di questo pane e berrete a questa coppa, voi annuncerete la morte del Signore fino a che egli venga»[51]. L’Eucaristia sarà celebrata fino alla seconda venuta del Cristo, ma questo può anche intendersi in un altro senso. Nell’Eucaristia l’amore di Dio si incontra con l’amore dell’uomo. Ma alla fine dei tempi, «quando l’amore dei più si raffredderà»[52], l’Eucaristia non sarà più celebrata, e il tempo della seconda venuta del Cristo sarà arrivato.


LA LITURGIA DEI PRESANTIFICATI
La vita del cristiano trascorre da un’Eucaristia all’altra. La partecipazione al Sacramento della Redenzione, il giorno del Signore è il culmine della settimana. Allora il giorno è veramente santo: noi incontriamo il Signore Risorto. Ma la Domenica è seguita dagli altri giorni della settimana. La storia della Chiesa primitiva ci racconta che i Cristiani sentivano una tale impazienza a partecipare alla Cena del Signore che essi non attendevano sempre il prossimo giorno del Signore. Dopo l’epoca dei Martiri, quando la Chiesa cominciò negli altri giorni della settimana, specialmente il Sabato, nella festa dei Martiri e nelle altre feste fu introdotta in molti luoghi. La storia di S. Monica mostra che l’Eucaristia era celebrata ogni giorno.
Durante la Quaresima, i Cristiani volevano essere fortificati con la Santa Comunione il più sovente possibile. Tuttavia nei giorni della settimana, in Quaresima, eccetto il Sabato, non si aveva la celebrazione dell’Eucaristia, poiché la Liturgia è sempre un servizio festivo, non conveniente per i giorni di digiuno. Così divenne abituale distribuire nei giorni della settimana, i Doni Eucaristici che erano stati consacrati nella Liturgia precedente alla Domenica. Questa comunione più frequentemente aveva luogo nel corso di un Ufficio chiamato «Liturgia dei Presantificati», che si celebrava il Mercoledì e il Venerdì. La Liturgia dei Presantificati è attribuita al papa S. Gregorio il Grande della Chiesa di Roma, «il Dialogo»; la Liturgia abituale della Chiesa Ortodossa è associata ai nomi dei Santi Basilio il Grande e Giovanni Crisostomo. Una caratteristica particolare della Liturgia dei Presantificati è quella di essere celebrata di sera in relazione ai Vespri. I primi cristiani che si preparavano a ricevere la comunione nella Liturgia dei Presantificati, digiunavano tutto il giorno dal mattino alla sera. Oggi il digiuno, completo è prescritto a partire da mezzogiorno cosicché a partire dalle ore 12 noi non dobbiamo più né mangiare né bere fino alla Liturgia della sera. Le Liturgie della sera durante la Quaresima sono importanti picchè i membri della Chiesa locale che lavorano durante il giorno possono parteciparvi. Così il più grande numero possibile di persone possono prendere parte a questo Ufficio di contrizione e di speranza della Quaresima e possono ricevere la Comunione. Queste Liturgie della sera rinnovano l’uso dei primi Cristiani di ricevere la Comunione alla sera, uso che è indicato dall’espressione “Cena del Signore”.



LA PREGHIERA

«Siate assidui alla preghiera; che essa vi tenga vigilanti, nell’azione di grazia».
(Colossesi 4, 2)

Nella parte che precede, noi ci siamo soffermati sull’Eucaristia; Essa è in effetti la santificazione della nostra vita spirituale e fisica, il mezzo per cui gli uomini divengono «partecipi della natura divina» del Cristo. Quando noi partecipiamo all’Eucaristia, noi facciamo l’esperienza del Regno di Dio qui in questo momento. Questa esperienza è un anticipo della santità futura. Ma noi viviamo ancora in questo mondo: la nostra missione continua qui. È una missione che ci è affidata da Dio, come noi sentiamo dire ad ogni celebrazione eucaristica: «Perché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete a questo Calice, voi proclamate la mia morte, voi annunciate la mia Resurrezione». Queste parole vengono dalla Liturgia di San Basilio il Grande. Esse vogliono dire che noi oggi, in quanto popolo di Dio che si riunisce per l’Eucaristia, continuiamo la testimonianza vivente del Cristo che ci è venuta dagli Apostoli. L’Apostolo scrive a proposito di questa testimonianza: «Noi l’abbiamo visto e lo confermiamo e vi annunciamo la vita eterna che era col Padre e che ci è stata manifestata»[53]. Quando noi lasciamo la Liturgia, le parole dell’inno ci seguono: «Noi abbiamo ricevuto lo Spirito celeste! Noi abbiamo trovato la vera fede!...». Ecco che questa è la nostra missione: portare questa luce che noi abbiamo ricevuto nell’Eucaristia al mondo e compiere le parole del Signore: «Lasciate la vostra luce brillare davanti agli uomini così che essi possano vedere le vostre buone opere e rendere gloria al vostro Padre che è nei cieli»[54]. Come allora la vostra vita può diventare un legame vivente che unisce l’Eucaristia col mondo nel quale noi viviamo e lavoriamo? Come possiamo portare al mondo la gioia di cui i Discepoli fecero l’esperienza quando incontrarono il Signore Risorto? Tale è la questione alla quale la terza parte di questa lettera pastorale, la parte consacrata alla preghiera, cercherà di dare risposta.


L'UOMO IMMAGINE DI DIO

Dio è nascosto, ma egli si rivela lo stesso nell’amore che Egli ha per ciascuno di noi. È l’amore di Dio che rende possibile per noi di avvicinarsi e di essere in comunione con Lui nonostante il nostro carattere di peccatori. «Che cos’è l’uomo che Tu te ne prendi cura?»[55]. Secondo la Bibbia, l’uomo fu creato a immagine e somiglianza di Dio. L’immagine divina in Lui fu oscurata dal peccato. Tuttavia nel Cristo, nuovo Adamo, l’immagine di Dio è restaurata nella sua bellezza e nel suo splendore originario. Come i membri della Santa Chiesa, il Corpo del Cristo, gli uomini sono stati così chiamati a partecipare alla gloria del Cristo, così da «sfuggire alla corruzione che è nel mondo a causa della cupidigia e diventare partecipanti della natura divina»[56]. Così fuggire la corruzione causata dalla cupidigia non è possibile che nella comunione con Dio. Questa comunione si stabilisce nel santo Battesimo. Là l’uomo nasce di nuovo nell’acqua e nello Spirito, e Dio comincia a compiere la sua opera in lui. Dio offre il suo aiuto, ma è la responsabilità dell’uomo che deve cercare e desiderare la purità di spirito e di cuore. Ciò ancora si realizza volendo questo sforzo interiore, questa lotta ascetica che si chiama «combattimento visibile».


IL NOSTRO PIU' INTIMO

Nella natura c’è un’inevitabile opposizione tra la luce e le tenebre: quando la luce diviene più forte, le tenebre spariscono e viceversa. La stessa specie d’ordine naturale si ritrova nell’uomo, nella sua vita spirituale. L’Apostolo chiama questa opposizione “un combattimento interiore”: «perché io mi rallegro nella Legge di Dio dal punto di vista dell’uomo interiore, ma io avverto un’altra legge nelle mie membra che lotta contro la legge del mio spirito...»[57]. Qual è la natura di questo «io più intimo», dove il bene e il male, la luce spirituale e le tenebre lottano insieme? Per parlare semplicemente, possiamo dire che noi siamo coscienti del nostro più intimo principalmente sotto forma di pensieri e di sentimenti. Quando noi siamo svegli, non cessiamo abitualmente di pensare anche per un breve momento. I pensieri fanno parte del nostro io più intimo, per essi noi viviamo ed agiamo. Tuttavia è nostra esperienza comune che noi non possiamo sempre controllare i nostri pensieri e i nostri sentimenti. Noi notiamo qui, per esempio che durante le notti insonni i nostri pensieri continuano a girare nello stesso circolo contro la nostra volontà, specialmente quando essi sono legati ad una eccitazione d’ordine affettivo. Le bramosie generano la confusione dei nostri pensieri e sentimenti contrastanti. Il Cristo dice: «È dal di dentro, dal cuore dell’uomo, che escono i disegni perversi: dissolutezza, ruberie, assassinii, adultéri, cupidità, cattiverie, astuzie, impudicizie, invidie, diffamazioni, orgoglio, follia»[58].
Le bramosie vengono da tre fonti. In primo luogo esse sono suscitate dal mondo esteriore con le sue relazioni umane. Una seconda fonde di bramosie è costituita dalla natura corrotta dell’uomo, è questa l’altra «legge nelle mie membra che lotta contro la legge del mio spirito». Essa genera i «piaceri licenziosi» della carne, la ghiottoneria, l’ubriachezza la pigrizia, ecc... La terza fonte è il nemico dell’anima, il tentatore «gli spiriti del male che sono nelle regioni celesti»[59]. È di là che vengono l’incredulità, lo scoraggiamento, l’orgoglio e specialmente la bestemmia. Il male ha il suo ordine proprio di sviluppo nell’uomo interiore. L’Apostolo lo descrive in questi termini: «Ciascuno è tentato dalla sua propria ingordigia, che lo trascina e lo seduce. Una volta fecondata, la bramosia genera il peccato, arrivato a maturazione, genera la morte»[60]. Possiamo affermare la nostra coscienza ai pensieri malvagi in modo tale che non possano svilupparsi in bramosie e comincino a «trascinarci e a sedurci»? È così impossibile all’uomo evitare questi pensieri come arrestare il vento col proprio mantello. È ciò che un Anziano diceva al suo discepolo. C’è nondimeno qualche cosa d’essenziale che può essere fatto. L’Anziano lo spiegava nella parabola seguente: «Voi camminate lungo una strada e arrivate in un luogo dove c’è un ristorante. Profumi allettanti invadono l’aria. Ma tuttavia sta a voi decidere se entrare a prendere un pasto o continuare la strada». Per «odori allettanti» l’Anziano designa i cattivi pensieri involontari che invadono la nostra coscienza. Noi possiamo arrestarci per esaminarli, allora noi “vi” entriamo. In altri termini noi cominciamo ad amarli e ad accettarli nel nostro cuore. Così noi abbiamo già peccato nei nostri pensieri e nel nostro cuore. Ma noi possiamo anche “proseguire il nostro cammino”, nel qual caso il pensiero o l’immagine disonesta che attraversa la nostra coscienza non è considerata come un peccato. Nel corso della Vigilia delle tre domeniche prima della Grande Quaresima, si canta il Salmo 137. Esso comincia con le parole: «Sulle rive dei fiumi di Babilonia, noi eravamo seduti e piangevamo nel ricordarci di Sion». L’ultimo versetto del Salmo che non è abitualmente cantato si legge come segue: «Beato chi afferrerà e sfracellerà i tuoi piccoli contro la roccia». I piccoli fanciulli di Babilonia non simbolizzano che questi pensieri e queste immagini involontarie e malvagie che si prestano al nostro spirito come è stato scritto prima. Bisogna distruggerle al momento della loro nascita e spezzarle contro la roccia. E questa roccia è Gesù Cristo.


SIGNORE, ABBI PIETA'

Quando ci troviamo in Chiesa, noi vediamo nelle Icone i volti dei Santi trasfigurati dallo Spirito Santo. Nell’Eucaristia, noi ricordiamo la memoria di tutti i Santi «che attraverso le epoche sono stati graditi a Dio» e che sono uniti nel sacramento della Redenzione. Come l’Apostolo noi possiamo dire: «Così dunque noi, che abbiamo intorno un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, autore e perfezionatore della fede...»[61]. La gloria suggerita dalla aureola dei Santi non era accordata se non a coloro la cui vita di combattimento ascetico giungeva alla sua fine, ma anche allora quella non arrivava in maniera visibile se non a qualcuno. Essi dovevano cominciare dove anche noi dobbiamo cominciare, cioè dal pentimento e «rigettare ogni fardello». Il fatto che nel Battesimo noi promettiamo di rinunciare al Tentatore e di prendere il servizio del Cristo è un inizio decisivo. Nel Sacramento del pentimento o Confessione noi abbiamo rinnovato la nostra lealtà al Cristo e l’abbiamo anche mostrata visibilmente baciando la Croce e il Libro del Vangelo, la Parola del Cristo. Tuttavia noi sentiamo ancora e ancora che «il peccato ci assedia». Anche l’Apostolo sospira «perché io non faccio il bene che voglio, ed il male che io non voglio, quello lo faccio» e confessa «io posso volere ciò che è bene, ma non posso farlo»[62].
Tutti noi conosciamo quello che passa nel nostro io più intimo, come il male si insinui e si sviluppi nel nostro spirito e nel nostro cuore. Noi guardiamo anche la nostra impotenza. Noi siamo come una persona assediata da ogni lato da un’orda di lupi. Che fa una tale persona? Sale sull’albero più vicino ed è salvata. Questo albero che salva è la preghiera; questo è l’insegnamento dei Padri. Ma che cos’è la preghiera? Secondo la definizione corrente, la preghiera è l’elevazione dello spirito e del cuore verso Dio. Ma è stato anche detto che la Preghiera è la Scienza delle Scienze e l’Arte delle Arti. Questa definizione è la più semplice e la più ricca delle definizioni. La preghiera dona espressione al nostro sforzo di comunicare con Dio. Questa comunione è una manifestazione naturale del nostro amore per Dio e dell’amore di Dio per noi. Attraverso il canale della preghiera noi «apriamo i nostri cuori a Dio» ciò vuol dire con espressione biblica che nella preghiera noi esprimiamo a Dio i nostri pensieri e i nostri sentimenti di lode, di riconoscenza e di adorazione. Tuttavia la preghiera non è solamente una forma di adorazione, essa è anche un mezzo alla nostra portata per vincere il male che alberga nel nostro io più intimo. In questo senso la preghiera è come una linea speciale che porta l’appello di soccorso dell’uomo presso Dio. Signore, abbi pietà! Questo è l’appello al soccorso che è ripetuto continuamente nell’Ufficio. È anche l’appello al soccorso dell’individuo quando egli veglia alla porta del suo cuore e implora il Signore di allontanare le bramosie che s’insinuano in lui. Questo appello al soccorso, collettivo ed individuale, si eleva dal sentimento che noi abbiamo della nostra impotenza: «Senza di me voi non potete far nulla»[63]. Ma esso è ugualmente e fortemente fondato sulla fiducia che noi abbiamo nella volontà del Signore di purificare i nostri cuori se soltanto noi lo domandiamo. Noi siamo i rami del Cristo che è la Vigna ed ogni ramo che lotta per portare più frutti, il Signore «lo pota affinché possa portare più frutti»[64]. Così il soccorso di Dio e le nostre personali preghiere ci salveranno «dalla corruzione che è nel mondo a causa della bramosia».


VERSO LO SCOPO

«Vegliate e pregate in ogni tempo»[65]; che significano queste parole del Signore? Vogliono esse dire che noi dobbiamo essere pronti in ogni istante ad allontanare tutto il male che cerca di soffocare il nostro cuore? È esattamente questo quello che esse significano: noi dovremmo sempre essere in tali disposizioni di spirito che noi possiamo gridare dal fondo del cuore: «Signore, abbi pietà!» quando noi sentiamo insinuarsi il male nel nostro cuore. Due questioni tuttavia si pongono: siamo noi capaci di farlo e vogliamo noi farlo? Abbiamo già risposto alla prima domanda: senza soccorso noi non possiamo farlo. Quanto alla seconda domanda: il peccato è spesso diventato una seconda natura per noi, di tal sorta che noi non vogliamo perdere la dolcezza dei pensieri e dei sentimenti malvagi nel nostro cuore ed arrestare di trattenerli con amore. Ma l’Apostolo Paolo scrive nella Lettera ai Filippesi «Perché Dio è là che opera in voi insieme il volere e il fare, secondo il suo disegno benevolo»[66].
Come opera Dio perché cambi l’orientamento stesso della nostra volontà? Egli lo fa svegliando la nostra coscienza e purificando le nostre anime. Questo accade, come abbiamo detto, quando in qualità di membri della Chiesa, noi diveniamo partecipi della natura divina del Cristo, specialmente con la Santa Comunione. Questo lavoro dello Spirito di Dio per purificare la nostra anima e fortificare la nostra volontà è descritto come segue in una preghiera letta dopo la Santa Comunione: «Liberamente Tu mi hai donato il Tuo Corpo in nutrimento, Tu che sei un fuoco che consuma l’indegno. Non consumarmi o mio Creatore, ma piuttosto penetra nelle mie membra, nelle mie vene, nel mio cuore. Consuma le spine delle mie trasgressioni; purifica la mia anima e santifica i miei ragionamenti... Insegnami ad essere un tempio per il Tuo solo Spirito, e non luogo di molto peccato. Che ogni cosa malvagia, ogni bramosia carnale fuggano lontano da me come un fuoco; che io divenga il tuo Tabernacolo per la Comunione...». Questa purificazione delle nostre anime è un fattore decisivo ed essa viene da Dio come un dono. Ciò che noi abbiamo come dono, è di essere pronti a pregare incessantemente, perché da ciò è solamente detto che «tutti coloro che domandano ricevono, e colui che cerca trova, e a colui che bussa sarà aperto»[67]. Noi siamo ritornati al nostro punto di partenza, all’esortazione del Signore «Vegliate e pregate in ogni istante».
La preghiera richiede uno sforzo motivato fino all’estremo limite, e noi abbiamo delle buone ragioni di parlarne come di una lotta. Questa lotta è una parte necessaria del pellegrinaggio del cristiano nella vita. La parola “camminare” è spesso utilizzata nella Bibbia e descrive con esattezza la natura della vita spirituale del Cristiano. Questa non è solamente “essere” ma è sempre una tensione “in avanti”. Questo è molto ben espresso dall’Apostolo che dice: «Io dico solamente questo: dimenticando il cammino percorso, io vedo dritto in avanti, teso con tutto il mio essere, e io corro verso il fine, in vista del premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, nel Cristo Gesù»[68]. Noi non siamo soli nella nostra lotta per la preghiera. Un numero impossibile da calcolare di Cristiani ha già camminato sulla stessa via dell’Apostolo. La Chiesa ha conservato le loro esperienze e ce le offre per il nostro uso. Noi ci possiamo lanciare con fiducia.


LA REGOLA DELLA PREGHIERA

Anche se siamo differenti, c’è tuttavia una certa rassomiglianza nello sviluppo della nostra vita spirituale. Così le esperienze degli altri possono servire da guida anche nella vita della preghiera. Questo può essere illustrato con una parabola. Noi leggiamo un racconto su un viaggio in qualche terra lontana e dalla lettura ci sembra di vedere come se vi fossimo stati. Più tardi, quando anche noi abbiamo la possibilità di visitare quegli stessi luoghi, ricordiamo i dettagli che abbiamo letto e possiamo riconoscerli. Questo si verifica anche in ciò che riguarda la preghiera e la vita spirituale in generale. Noi leggiamo ciò che altri hanno sperimentato e quando seguiamo i loro consigli possiamo fare la stessa esperienza. Colpisce il fatto che le direzioni spirituali date dai Padri della Chiesa siano coerenti le une con le altre, indipendentemente dalla data o dai luoghi in cui i Padri vissero. Questo è magnificamente mostrato nella “Filocalia”, opera basilare sulla vita della preghiera e sul combattimento spirituale. È una vasta antologia contenente gli insegnamenti dei Padri dal IV secolo al XVI secolo, un migliaio d’anni. La rassomiglianza nello spirito del loro insegnamento è stata comparata al mare aperto dove un gran numero di navi naviga nella stessa direzione, spinto dallo stesso vento. Lo stesso Spirito di Dio ha guidato l’insegnamento dei Padri che è fondato non sulla teoria, ma sull’esperienza. Di qui, la natura fondamentale dell’uomo e i suoi problemi sono restati indentici attraverso le epoche.
La regolarità è la prima condizione per imparare a pregare, secondo l’esperienza di coloro che pregano e il consiglio della Chiesa. Un periodo specifico durante il giorno deve essere riservato alla preghiera. Agendo così noi ci alleniamo a una disciplina spirituale. Noi sì dobbiamo obbligarci a pregare, perché pregare è un combattimento fino alla fine della nostra vita. Il Salmista dice: «Sette volte al giorno io ti lodo»[69]. Forse non possiamo riservare sette momenti, ma il mattino e la sera sono tempi naturali per pregare. Di quali parole dobbiamo fare uso quando preghiamo? Ogni membro della Chiesa dovrebbe possedere un esemplare del libro di preghiere della Chiesa. Esso contiene le preghiere del mattino, le preghiere della sera, le preghiere di preparazione alla Comunione e per altre necessità. Tutte le preghiere nel libro ortodosso di preghiera, furono scritte dai Santi Padri; perciò esiste per noi una scuola di preghiera. Essi ci insegnano ad avvicinarci a Dio nello Spirito che conviene, umilmente e con un cuore puro, come i Padri facevano quando pregavano. Oltre all’utilizzazione delle preghiere del libro di preghiera, noi possiamo sempre, naturalmente, pregare anche con le nostre parole. Il tempo della preghiera dovrebbe anche includere una lettura dalla Bibbia di lunghezza conveniente. Al fine di imparare a pregare, noi dovremmo avere la nostra propria regola di preghiera. Questo vuol dire che noi ci fissiamo dei tempi regolari ogni mattina ed ogni sera per pregare e che noi leggiamo un certo gruppo di preghiere in quei momenti. Al risveglio noi offriamo a Dio qualche minuto necessario alla recita delle preghiere. Lo stesso alla sera prima di andare a letto, recitiamo le preghiere dal libro di preghiera. Questa è allora la nostra regola di preghiera. La regolarità è più importante del numero delle preghiere. È vero che qualche volta il nostro cuore può essere come un focolare che non è stato acceso da tanto tempo nel quale bisogna bruciare molta legna perché si riscaldi. Oltre alle Scritture, un capitolo di un libro sulla vita spirituale scritta da un Padre ortodosso dovrebbe essere compresa nel nostro nutrimento spirituale quotidiano.


NELL'ANGOLO DELL'ICONA

Il grande asceta del VII secolo, Isacco il Siro, descrive la assenza della preghiera in questo modo: «La scala che conduce al Regno dei Cieli è nascosta in voi, nella vostra anima. Purificatevi dal peccato, e scoprirete gli scalini sui quali salire ed entrare nel Regno dei Cieli». Benché l’incontro con Dio si faccia nella nostra anima, come dice S. Isacco il Siro, è importante ricordarsi che noi non siamo in alcun modo dei puri spiriti, ma che noi camminiamo col nostro corpo in questo mondo materiale; per cui la preghiera riguarda l’essere intero dell’uomo, includendo il suo corpo e l’ambiente nel quale esso vive. Noi adoriamo Dio nella Chiesa in un certo modo, sotto delle forme create dallo Spirito Santo attraverso i secoli. La nostra preghiera presso di noi presuppone anche una certa forma esteriore. Quando noi inauguriamo una nuova casa o un appartamento, il focolare è benedetto nel corso di un servizio religioso. Le Icone in tutte le stanze sono i segni permanenti di questa consacrazione. Esse ci ricordano che Dio è con l’uomo nella sua vita di tutti i giorni. Ogni Icona ci dice che Dio si è avvicinato all’uomo nel Cristo al fine di dimorare in lui. «Ed ecco che Io sono con voi fino alla fine dei secoli»[70], queste parole furono le ultime del Cristo quando Egli lasciò i suoi discepoli e salì al Cielo. Quando noi preghiamo in Chiesa, noi abbiamo il popolo di Dio – i membri dell’assemblea o gli altri praticanti – attorno a noi visibilmente. Quando preghiamo presso di noi, a casa nostra, abbiamo gli insegnamenti del Cristo: «Quando voi pregate, entrate nella vostra camera»[71]. Ma anche allora noi non siamo soli. L’Icona nell’angolo della stanza dove preghiamo è una finestra aperta sul Regno dei Cieli ed un legame con i suoi membri.
Generalmente l’Icona della Madre di Dio con il Figlio di Dio nato uomo nelle sue braccia, occupa la posizione centrale, perché questa Icona porta innanzi tutto testimonianza della vicinanza di Dio. Essa ci da conferma del fatto fondamentale della nostra salvezza: Dio fatto uomo. Da ogni lato di questa Icona centrale si possono opporre altre Icone rappresentanti i nostri amici del cielo il cui combattimento spirituale è terminato. Tra di queste c’è sovente l’Icona del Santo che ha dato il nome al fedele nel suo Battesimo, come anche le Icone degli altri Santi che gli sono diventati particolarmente vicini. Egli conosce la storia della loro vita ed ha sperimentato il loro potere d’intercessione. Prima di cominciare a recitare le preghiere dal libro di preghiera, noi domandiamo a questi amici del cielo di unirsi a noi recitando la benedizione iniziale o finale che è in uso: «Per le preghiere dei nostri Santi Padri, Signore Gesù Cristo, nostro Dio, abbi pietà di noi!». I Santi Padri ai quali facciamo appello qui sono i Padri spirituali: Vescovi, Preti, Anziani, e il Confessore personale di ogni Cristiano. La paternità spirituale è una tradizione che risale alla Chiesa Primitiva. Lo stesso Apostolo scrive: «Poiché anche se avete migliaia di maestri in Cristo non avete però molti padri. Poiché sono io che vi ho generati in Cristo Gesù mediante l’Evangelo»[72].
La paternità è per natura, il ruolo dell’uomo e alla stessa maniera la paternità spirituale, il Sacerdozio è stato sempre un ministero riservato all’uomo. Per questo egli continua il ministero del Cristo Gran Sacerdote, e il Cristo agisce per mezzo di lui nella Santa Eucaristia. Similmente il ruolo della Vérgine Maria come Madre di Dio è stato elevato ad una posizione più gloriosa di quella dei Cherubini e dei Serafini. Lodando la Madre di Dio come la benedetta secondo la sua propria profezia[73]; la Chiesa, nello stesso tempo, loda il lavoro di tutte le madri. I compiti biologici e i compiti spirituali si corrispondono e sono complementari gli uni degli altri. Ma ritorniamo all’angolo dell’Icona. Là è come se fossimo in Chiesa, noi accendiamo una lampada o un cero recitiamo le preghiere del libro di preghiera, secondo la nostra regola di preghiera. Abbiamo già detto che ogni angolo della casa dovrebbe avere un’Icona, e questo implica naturalmente anche la camera dei bambini. Anche un bambino dovrebbe essere portato davanti ad un’Icona per vedere la fiamma bruciare davanti ad essa. Tutti i primi anni di vita sono immensamente importanti per lo sviluppo spirituale del bambino. Nella vita familiare sarebbe una buona pratica per tutta la famiglia di riunirsi in un posto conveniente davanti all’Icona per iniziare la giornata e per concluderla. Così la famiglia avrebbe anch’essa in breve la sua regola di preghiera comune, che ogni membro potrebbe poi continuare nella sua propria camera. Nella preghiera comune ogni membro della famiglia potrebbe recitare a turno una preghiera. L’Apostolo scrive: «Sia che voi mangiate, sia che beviate o qualsiasi cosa facciate, fate tutto per la gloria di Dio»[74]. È la ragione per cui noi rendiamo grazie, benedicendo il cibo e ringraziando, ciò che di ritorno attira le benedizioni della presenza di Dio nel focolare ortodosso.


SENTIMENTO DELLA PRESENZA DI DIO
Cosa capita quando noi cominciamo a recitare delle preghiere davanti alla nostra Icona? Può capitare che noi ci troviamo a recitare solo delle parole mentre i nostri pensieri seguono la loro strada. Questo può capitare anche quando in piedi in Chiesa noi ascoltiamo recitare o cantare le preghiere. Là i nostri pensieri vagabondi non furono un ostacolo allo svolgimento dell’Ufficio, ma è un’altra questione quando noi preghiamo soli. La preghiera è veramente preghiera quando i nostri pensieri si concentrano. Che dovremmo fare? Noi dovremmo ritornare alla preghiera là dove i nostri pensieri si sono perduti. Quando essi si distraggono ancora dopo un momento, noi dobbiamo riprendere e così ogni volta. Noi dovremmo anche rallentare la nostra recitazione e cercare di fare attenzione ad ogni parola. Tuttavia noi possiamo fare un altro tipo d’esperienza. Noi possiamo sentire il nostro cuore riscaldato dalle parole della preghiera. Allora i nostri pensieri dimorano in essa più facilmente. Forse noi abbiamo sperimentato questo in Chiesa col risultato che non abbiamo trovato l’Ufficio troppo lungo. Come conseguenza della caduta originale, spiegavano i Padri, la nostra natura umana, i nostri pensieri, i nostri sentimenti, come anche i nostri corpi, si disperdono facilmente. Ma nella preghiera, per la grazia di Dio, la nostra natura ritrova la sua unità. L’Apostolo ci rinvia a questo quando dice: «Lo spirito stesso intercede per noi con gemiti ineffabili»[75].
Questa esperienza, se la raggiungiamo, è un dono speciale di Dio. Essa è accordata a pochissime persone per un lungo tempo. Anche se dura poco noi abbiamo potuto gustare e vedere come il Signore è buono di tal sorta che noi possiamo conoscere ciò verso cui dobbiamo tendere perché la preghiera sia buona. Questo solleva la questione del sentimento nella preghiera. Dobbiamo cercare di pregare in modo tale che i nostri sentimenti vengano espressi? Il solo sentimento conveniente è quello della contrizione e della nostra indegnità. «Il sacrificio accettabile da Dio è uno spirito contrito; di un cuore contrito, affranto, o Dio, Tu non hai disprezzo»[76], dice al Salmo. È nello spirito di questo Salmo che noi dovremmo prepararci alla preghiera, pensando alla nostra indegnità, ma anche ricordando l’amore di Dio verso i peccatori. Quando ci mettiamo davanti alla nostra Icona con questo spirito, cominciamo a sentire la presenza di Dio nel nostro cuore. Questo sentimento dovrebbe accompagnarci continuamente.


SPIRITO DI VERITA' E DI MENZOGNA

È un dono prezioso della grazia se sentiamo in noi la presenza di Dio quando preghiamo o leggiamo la Bibbia. Questo sentimento che si chiama anche “nostalgia di Dio” dovrebbe essere conservato sempre. Così per quanto tempo esso si fa sentire, noi possiamo agevolmente distinguere il bene dal male e siamo capaci di fare l’esperienza della verità delle parole del Salmista: «Poiché egli è alla mia destra, io non vacillo»[77]. Si può dire lo stesso quando facciamo l’esperienza di ciò che l’Apostolo ricorda quando egli domanda: «sapete voi che lo Spirito di Dio dimora in voi?»[78]. Ma il dono più prezioso di Dio è presente in noi, ma quanto più lo è, tanto più ci si appresta il nostro nemico spirituale, cercando di ingannarci. Quando il tal fratello, riferendosi al Salmo citato, dichiarava con sollecitudine al suo primogenito che vedeva sempre Dio alla sua destra, costui rispondeva: «Sarebbe meglio per te che tu veda sempre i tuoi peccati davanti a te». Così noi siamo messi in guardia contro lo spirito di menzogna che insidia sempre colui che prega. Il sentimento della presenza di Dio non è buono se non quando risveglia in noi il sentimento della nostra indegnità e della nostra condizione di peccatori. È come una bruma leggera del mattino che si alza dalla terra umida di rugiada, di un cuore addolcito dalle lacrime del pentimento.
«Io affermo, fratelli, che la carne e il sangue non possono ereditare il Regno dei Cieli»[79]. Ogni eccitazione sensuale od estasi è un’illusione del tentatore che si presenta come un angelo della luce anche se produce dei miracoli o se ha delle manifestazioni visibili. Queste parole del Signore sono importanti: «Molti mi diranno in quel giorno: Signore! Non è nel tuo nome che abbiamo cacciato i demoni, che abbiamo fatto miracoli? Allora io dirò loro in faccia: io non vi ho mai conosciuto; allontanatevi da me, voi che commettete iniquità!»[80]. Quando nel tempo antico, Dio apparve ad Elia sul Monte Horeb, Egli non era nell’uragano, né nel terremoto, né nel fuoco, ma in una brezza leggera[81]. L’opera dello Spirito di Dio è come una piccola brezza leggera nel cuore di colui che prega. «Apprendete da me che sono dolce ed umile di cuore», ci avverte il Cristo[82]. Noi incontriamo il Cristo nella preghiera quando noi preghiamo nel suo nome. Noi abbiamo detto prima come dobbiamo distruggere con la preghiera ogni pensiero malvagio ed immaginazione che cerca di entrare nella nostra coscienza – noi dobbiamo spezzarli contro la roccia che è il Cristo. In relazione con questo insegnamento abbiamo la preghiera chiamata Preghiera di Gesù, tesoro del Cristianesimo primitivo che è stata conservata dalla Chiesa Ortodossa e che in questi ultimi anni ha attirato l’attenzione di tutta la Cristianità.


PEERCHE' LA VOSTRA GIOIA SIA COMPLETA

Al tempo delle persecuzioni dei vescovi cristiani, Ignazio d’Antiochia fu condannato a essere dato in pasto alle bestie selvagge. In viaggio per Roma, egli scrisse sette lettere a diverse Chiese. In quelle lettere fa menzione dell’altro suo nome, Teoforo, che significa «colui che porta Dio» o «colui che è portato da Dio». C’è una tradizione che dice che egli fu il bambino che Gesù prese tra le braccia quando parlò ai suoi discepoli sulla questione di chi fosse il più grande. Quando Ignazio fu condotto a Roma e si avvicinava il momento in cui doveva essere dilaniato dalle belve, i soldati gli domandarono perché non cessava di ripetere il nome di Gesù senza fermarsi. Egli rispose che esso era scritto nel suo cuore. La storia dice che quando le belve lo dilaniarono, un soldato aprì il suo cuore con la spada e trovò che il nome di Gesù vi era davvero scritto in lettere d’oro. Non ha alcuna importanza se consideriamo questa storia come un miracolo o una pia leggenda. In ogni caso questa storia e il nome di Teoforo dato ad Ignazio dimostrano bene l’antichità della pratica della preghiera al nome di Gesù. Gesù ci esorta nel suo discorso d’addio a pregare nel suo nome ed attirò l’attenzione fin dall’inizio su questo punto. Nel Nuovo Testamento noi vediamo che fin dal principio il nome di Gesù aveva un potere speciale. Così quando Pietro ebbe guarito uno zoppo e gli fu domandato: «Con qual potere o con qual nome tu hai fatto questo?», egli risponde: «Sappiate bene tutti... è il nome di Gesù di Nazaret»[83]. Gesù stesso insisteva sulla preghiera nel Suo nome quando consolava i suoi Discepoli che rimanevano in questo mondo: «Tutto ciò che voi domanderete al Padre nel mio nome, Io lo farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio; se voi domandate qualche cosa nel mio nome, io la farò. In verità, in verità vi dico, ciò che voi domanderete al Padre, Egli ve lo darà nel mio nome. Finora voi non avete domandato nulla nel mio nome, domandate e voi riceverete perché la vostra gioia sia completa»[84]. Pregare nel nome di Gesù è stata una sorgente di gioia per tutte le generazioni, anche fino ai nostri giorni. Questa tradizione di preghiera è stata conservata specialmente tra gli eremiti e nei monasteri fin dal IV secolo, ma pregare nel nome di Gesù è un privilegio di ogni cristiano. Così è vantaggioso per noi fare uso di questa tradizione chiamata la pratica della preghiera di Gesù, perché ugualmente la nostra gioia “sia completa”.


LA PREGHIERA DI GESU'

Le parole della preghiera di Gesù sono le seguenti: «Signore Gesù Cristo abbi pietà di me peccatore». È anche utilizzata una forma più corta: «Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me».
Il Vescovo martire Ignazio ripeteva il nome di Gesù senza sosta. Allo stesso modo la preghiera di Gesù deve essere ripetuta continuamente. Essa realizza così la raccomandazione diretta dell’Apostolo: «Pregate incessantemente»[85]. Come allora la preghiera di Gesù può diventare una preghiera incessante? Noi cominciamo col ripetere continuamente le parole: «Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». Noi possiamo ripeterle ad alta voce, a voce bassa, o solamente pronunciarle personalmente silenziosamente nell’anima. Tuttavia noi impareremo con l’esperienza che la preghiera incessante non è affatto semplice. Essa deve essere praticata con uno sforzo deliberato. Noi possiamo riservare un tempo specifico durante la giornata per recitare la preghiera di Gesù. È bene ugualmente far entrare la preghiera di Gesù nella nostra regola personale di preghiera. Per esempio quando recitiamo la preghiera del mattino, noi possiamo ripeterla, diciamo dieci volte, prima di ogni preghiera. Possiamo anche recitare là preghiera di Gesù subito dopo le preghiere iniziali, in luogo di recitare le preghiere del mattino, e così continuarla per cinque o dieci minuti, per quanto dura il nostro abituale periodo di preghiera. Alla preghiera della sera possiamo praticare la preghiera di Gesù nello stesso modo. Tuttavia la preghiera di Gesù è di natura eccezionale che non richiede di essere recitata in tempi fissati. Il libro di preghiera ortodosso dice: «Al lavoro e al riposo, in casa e in viaggio, soli o tra altra gente, sempre e dovunque ripeti nel tuo spirito e nel tuo cuore il dolce nome del Signore Gesù Cristo dicendo: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore ». È ciò possibile? Possiamo donarci veramente alla preghiera a un grado tale da essere capaci di seguire questo consiglio? La migliore risposta a questa domanda si trova nella lettura del libro «Racconti di un pellegrino russo» che è stato edito in numerose lingue. Noi ritorneremo all’uso della preghiera di Gesù nel capitolo seguente; qui andremo ad esaminare più strettamente questa preghiera. Se noi includiamo la preghiera di Gesù nella nostra regola di preghiera, noi ci accorgeremo, anche dopo una pratica breve, quando noi recitiamo questa preghiera che non quando recitiamo le altre. È il vantaggio particolare della preghiera di Gesù e delle altre preghiere corte della stessa natura; esse ci conducono prima alla contemplazione di quelle che contengono molte idee. Praticare la preghiera di Gesù tra le altre preghiere ci aiuta anche a recitarle con maggior concentrazione. La preghiera di Gesù è detta anche preghiera perfetta, perché essa contiene le stesse verità fondamentali e salvifiche del segno della Croce, cioè la nostra fede nell’Incarnazione e nella Santa Trinità. Quando noi diciamo le parole: «Signore Gesù Cristo Figlio di Dio» noi riconosciamo che il nostro Salvatore è nello stesso tempo uomo e Dio. Il nome di Gesù gli è stato dato dalla Madre, in quanto uomo, mentre le espressioni “Signore” e “Figlio di Dio” designano immediatamente Gesù come Dio. L’altra verità fondamentale della nostra fede cristiana è compresa ugualmente nella nostra preghiera. Quando noi ci avviciniamo a Gesù come Figlio di Dio, non solamente Dio il Padre vi è compreso, ma anche lo Spirito Santo, perché l’Apostolo Paolo dice: «Nessuno può dire che Gesù è Signore se non per opera dello Spirito Santo»[86]. Un’altra ragione per cui noi diciamo che la preghiera di Gesù è perfetta è che essa contiene i due aspetti della preghiera cristiana. Quando noi diciamo: «Signore Gesù Cristo Figlio di Dio» noi saliamo verso la gloria di Dio, la Sua santità e il Suo amore, e dunque col sentimento della nostra condizione di peccatori noi ci umiliamo nel pentimento: «abbi pietà di noi peccatori». Il contrasto tra Dio e noi trova la sua espressione nelle parole: «abbi pietà di noi». Aggiunti alla penitenza queste parole esprimono anche la consolazione che noi riceviamo da Dio che ci accetta. La preghiera di Gesù sembra respirare la fiducia dell’Apostolo: «Chi condannerà? Gesù Cristo è morto, ed è risorto, lui che è alla destra di Dio e che intercede per noi!»[87]. Il cuore della preghiera di Gesù è la preghiera salvifica: «Tu chiamerai col nome del Gesù, perché è Lui che salverà il suo popolo dal suo peccato»[88].


LA PRATICA DELLA PREGHIERA

Si può ammettere che i fratelli e le sorelle che vivono nei Monasteri e nei Conventi, possano praticare la preghiera incessante – essi hanno delle circostanze favorevoli per farlo, ed hanno una corona per questo scopo –. Ma come può un Cristiano comune che va al lavoro e che vive in mezzo alla gente praticare la preghiera incessante? Questa domanda viene naturalmente, specialmente se si è già abituati alla letteratura che tratta della preghiera incessante del cuore, come «Racconti di un pellegrino russo», «Il Cristo è in mezzo a noi», «L’arte della preghiera» e «San Serafino di Sarov». Le considerazioni seguenti possono essere utili a chiunque si ponga seriamente la questione. Ma è veramente esatto dire che non abbiamo il tempo né l’occasione di praticare la Preghiera di Gesù? Quante cose facciamo abitualmente fin da quando la giornata inizia: lavarci, vestirci, far colazione ecc... Sono dei momenti in cui il nostro spirito è libero di ripetere le parole della preghiera. È veramente importante che fin dal nostro risveglio noi ci raccogliamo e che ci mettiamo in sintonia nel ricordo della presenza del Signore e cominciamo a recitare in spirito: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore». Anche una persona che vive in mezzo alla sua famiglia ha la possibilità di pregare in spirito se soltanto essa se ne ricorda e limita la sua conversazione a ciò che è necessario e utile per se stessa e per gli altri. Quanto al giornale del mattino, alle notizie del mattino alla radio sta a ciascuno fare la sua scelta tra queste e la preghiera. Si deve talvolta sacrificare anche una buona cosa pur di guadagnarne un’altra al suo posto. Noi possiamo aver un lungo tragitto da fare per recarci al lavoro. Chi ci impedisce di raccoglierci sulle parole della preghiera mentre noi viaggiamo? Ai nostri giorni, il lavoro può essere puramente meccanico, può essere solamente una ripetizione degli stessi movimenti. È la nostra fortuna. Le nostre mani faranno la loro opera e il nostro spirito – i nostri pensieri e il nostro cuore – lavorerà in compagnia di Gesù Cristo. Così questo lavoro monotono può diventare gradevole, come un’obbedienza ricevuta da Dio. E perché la pratica della preghiera di Gesù migliora la capacità di concentrazione, non dobbiamo aver paura che il nostro lavoro meccanico sia fatto senza attenzione. Tuttavia può darsi che il nostro lavoro sia tutto salvo che meccanico. Potrebbe veramente richiedere tutto il nostro pensiero e la nostra attenzione. Come possiamo pregare in questo caso? Non è certamente possibile allora concentrarsi troppo sull’invocazione del nome di Dio. Tuttavia noi possiamo farlo di tempo in tempo. Se noi prendiamo l’abitudine di pronunciare di quanto in quanto il nome di Gesù Cristo in questo modo anche per mezzo minuto alla volta, è possibile prevedere una tale pausa per se stesso in qualsiasi tipo di lavoro, il ricordo della presenza di Dio dimorerà come una corrente sotterranea nel nostro spirito. Questo è possibile in un lavoro tranquillo, ma cosa succede quando si hanno una quantità innumerevole di cose da fare? La responsabilità, molte obbligazioni e preoccupazioni pesano grandemente sul nostro spirito, ma in effetti da dove esse vengono? Non vengono esse, almeno in parte, da tutte quelle preoccupazioni e compiti che sembrano bombardarci simultaneamente in tal modo che noi siamo incapaci di controllare i nostri pensieri, ma al contrario, non sono esse che controllano noi? Tuttavia se noi preghiamo regolarmente, specialmente la preghiera di Gesù, noi impareremo a concentrarci e a controllare il nostro spirito. Gli stessi compiti e le stesse preoccupazioni esisteranno lo stesso, ma allora noi sapremo come prenderle una alla volta e così noi ci salveremo dalla malattia mentale che si chiama “tensione” e che è provocata da un superlavoro. È doppiamente importante per qualcuno che ha sofferto d’esaurimento da lungo tempo, cambiare la sua attitudine fondamentale verso la vita. È bene ricordarsi di queste parole dell’Evangelo: «Cosa servirà dunque all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria vita?»[89]. I pensionati costituiscono una parte considerevole della nostra nazione odierna. Liberi dal lavoro e vivendo spesso soli, la loro situazione è ideale per dedicarsi alla preghiera. Diventare familiari con la preghiera incessante del cuore porterebbe una consolazione autentica a molte persone e proporrebbe un compito ricco di significato: pregare per gli altri!


PUNTI DA RICORDARE

Nel capitolo precedente, è stato raccomandato il libro «Racconti di un pellegrino russo» perché esso mostra in maniera semplice come praticare la preghiera del cuore. Tuttavia bisogna sottolineare che gli esempi citati nel libro sono casi eccezionali di cui non possiamo sempre fare uso applicandoli a noi stessi. Affinché il lettore eviti di deviare verso un misticismo dell’immaginazione o verso una tecnica di meditazione quando egli pratica la preghiera, noi facciamo qui una lista per il cristiano di un certo numero di punti che bisogna aver ben presenti allo spirito per ciò che riguarda la preghiera.

– Quando voi pregate, incontrate il Dio Santo in persona.
– Al fine di riuscire nella vostra vita di preghiera, sforzatevi sinceramente di mettere la vostra coscienza chiaramente in relazione con Dio, il vostro prossimo e i vostri beni terrestri.
– Non esitate tuttavia ad avvicinarvi a Dio nella preghiera, per quanto malvagi possiate sentirvi: tutti i vostri peccati non sono che una goccia d’acqua in paragone all’oceano dell’amore di Dio.
– Cominciate le vostre preghiere umilmente ogni giorno come se fosse la prima volta; la preghiera non accumula interessi, dicono i Padri.
– Mettete il vostro spirito in sintonia col sentimento della presenza di Dio e pregate senza affrettarvi, facendo attenzione ad ogni parola; altrimenti la vostra preghiera si disperderà ai quattro venti. Quando vi accorgete che i vostri pensieri si sono sviati, riconduceteli semplicemente alle parole della preghiera senza sconcertarvi.
– Ripetete la Preghiera di Gesù nella sua forma più lunga o più corta, secondo quello che vi parrà meglio secondo le circostanze: «Signore Gesù Cristo Figlio di Dio abbi pietà di me peccatore!» o «Signore Gesù Cristo, nostro Dio, abbi pietà di me!», o «Gesù Figlio di Dio, abbi pietà di me!».
– Quando siete soli recitate la preghiera sia ad alta voce sia silenziosamente nel vostro spirito.
– Quando pregate non formatevi nessuna immagine mentale di Dio o di altra cosa; l’immaginazione, secondo i Padri, è una facoltà ingannevole che non conviene alla preghiera.
– Non prestate alcuna attenzione ai pensieri o alle immagini impure o blasfeme che possono venirvi in mente mentre pregate; esse non sono vostre ma vengono dallo spirito malvagio e spariranno se voi non le accetterete.
– Non sforzatevi di trovare il luogo del cuore con qualche metodo speciale; questo non conviene se non a quelli che vivono nella tranquillità di una solitudine completa; fissate la vostra attenzione sulle parole della preghiera e il vostro cuore si rivelerà a suo tempo.
– Noi dobbiamo obbligarci a pregare durante tutta la nostra vita; è esattamente a questa lotta che il Cristo si riferisce quando dice che il Regno dei Cieli ha sofferto violenza e che gli uomini violenti lo assalgono con la forza[90].
– Il solo sentimento che si deve cercare di avere nella preghiera è quello di contrizione e d’indegnità; gli altri sentimenti sono doni della grazia di Dio, che Egli accorda alla misura della nostra umiltà.
– Badate di non accontentarvi dei frutti della preghiera come la concentrazione, l’emozione e le lacrime. Spesso Dio, nella Sua misericordia, ci permette prima di gustare la dolcezza della preghiera, ma poi ci lascia a noi stessi per mettere alla prova la nostra fedeltà e per mostrarci ciò che noi siamo senza soccorso della grazia.
– Secondo i Padri la più importante comunione con Dio è la Santa Comunione e la Preghiera di Gesù vien subito dopo.
– Ogni giorno leggete un capitolo della Bibbia e uno degli scritti dei Padri sulla preghiera. Tali letture sono importanti in un tempo in cui mancano dei modelli viventi e delle guide.
– Adottate una regola di preghiera conveniente e seguitela come un’amica vicina, ma non diventatene schiavi.
– Infine la cosa più importante da ricordare: conservate il vostro cuore libero dall’io, dall’invidia, dai giudizi di condanna, perché Dio possa ascoltare la vostra preghiera. Perdonate chiunque perché Dio possa perdonarvi, e siate misericordiosi perché Dio possa aver pietà di voi. È a giusto titolo che i Padri proclamano: «Il vostro prossimo è la vostra salvezza».


CONCLUSIONE

Questo libro è stato pubblicato in un momento in cui si parla molto del movimento carismatico. Il nome del movimento viene dal fatto che esso mette in onore i doni speciali della grazia, i carismi, come la profezia, il parlare in lingue diverse, come successe nei tempi apostolici. Si domanda se un movimento equivalente potrebbe formarsi anche nella Chiesa Ortodossa. La risposta a questa domanda sarà un riassunto di tutto ciò che si è detto prima sulla Chiesa Ortodossa. Noi abbiamo ricordato che la sorgente, la sorgente storica della Chiesa Ortodossa, è la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, il cinquantesimo giorno dopo la Resurrezione del Cristo. Un Santo del secondo secolo, S. Ireneo di Lione, scrisse: «Là dove è la Chiesa, là è lo Spirito di Dio, e là dove è lo Spirito di Dio, là è la Chiesa ed ogni grazia». La natura della Chiesa non è stata cambiata da quel tempo. La Chiesa è ancora la Chiesa dello Spirito Santo secondo la promessa del Cristo: «E io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paraclito, perché Egli sia con voi sempre»[91]. Così la Chiesa come tale è già un “carisma”, il dono della grazia dello Spirito di Dio tra gli uomini.
La Chiesa è la Chiesa dello Spirito Santo, ma che ne è dei membri della Chiesa? Trattando dell’Eucaristia noi abbiamo messo l’accento sulla comune partecipazione di tutti i membri della Chiesa alla celebrazione della Liturgia. Noi consideriamo la questione come partecipazione al culto comune, poiché il nome stesso di Liturgia significa Ufficio pubblico. Ma la stessa questione può essere anche affrontata dal punto di vista del singolo individuo. I membri della Chiesa non prendono parte alla celebrazione della Liturgia solamente per fare della Liturgia un culto pubblico, ma anche perché essi hanno tutti ricevuto il dono della grazia, “il carisma” per questo ufficio liturgico. Quando essi nacquero di nuovo col Santo Battesimo con l’acqua e con lo Spirito, essi furono incaricati del dovere liturgico come membri del “sacerdozio regale”. Lo scrittore della Chiesa primitiva, Ippolito di Roma, racconta come il Vescovo imponeva le mani sui nuovi battezzati e pregava perché la grazia dello Spirito Santo li preparasse al servizio liturgico:
«O Signore Iddio, Tu che li hai resi degni della remissione dei peccati per la purificazione dello spirito Santo con una nuova nascita, invia su di loro la Tua grazia perché essi possano servirti secondo la Tua volontà: perché la gloria appartiene a Te Padre, Figlio e Spirito Santo nella Tua Santa Chiesa, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen!».
Anche l’Apostolo si riferisce a questa ricezione dello Spirito quando dice: «Perché noi siamo stati tutti battezzati in un solo Spirito per essere un sol corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e noi tutti siamo stati imbevuti con un solo Spirito»[92]. L’imposizione delle mani faceva parte del rituale del battesimo nei tempi apostolici, ma si può anche pensare che l’unzione del Santo Crisma, che divenne rapidamente un costume stabilito, era anch’essa conosciuta a quell’epoca. «Colui che ci conferma con voi nel Cristo e che ci dona l’unzione è Dio. Lui che ci ha segnati col suo sigillo ed ha messo nei nostri cuori il pegno dello Spirito»[93]. Le parole del Sacramento della Confermazione sono in accordo con questa citazione biblica: «Lui ci ha segnati col sigillo dello Spirito Santo. Amen!». La cerimonia di integrazione nella Chiesa col Battesimo implica dei dettagli che sono identici a quelli dell’imposizione degli ordini ecclesiastici: la tonsura, l’imposizione delle mani, l’abito bianco e la processione intorno al fonte battesimale o alla Tavola Santa. Questo mostra che il Battesimo anch’esso era stato riconosciuto come l’attribuzione di un incarico per il servizio liturgico, per il servizio del popolo di Dio come sacerdozio regale. Quando qualcuno è battezzato o confermato durante la Liturgia, egli partecipa anche alla celebrazione della Santa Eucaristia per la prima volta.
La partecipazione di tutti i fedeli al culto eucaristico è assolutamente indispensabile alla partecipazione del Prete che celebra la Liturgia. Appartenere alla Chiesa significa essere membro del popolo di Dio ed implica il “carisma” del sacerdozio regale ed è quindi un carismatico nel senso del termine. Tuttavia questo “carisma” non significa un servizio sacerdotale a parte per il singolo individuo, ma implica sempre la partecipazione all’ufficio pubblico della Chiesa. Questo non vuol dire che oltre al carisma generale che appartiene a tutti i membri della Chiesa, egli non possa avere dei carismi particolari, che la Chiesa accorda a certuni per particolari servizi. Nella nostra discussione sull’Eucaristia si è fatto rilevare che il Battesimo dell’adulto diviene meno frequente, che la comprensione del Battesimo come una nuova nascita per mezzo dell’acqua e dello Spirito era stata relegata in secondo piano. A questo riguardo si ha sicuramente bisogno di miglioramento che si potrebbe chiamare rinnovamento carismatico, perché il suo scopo sarebbe di prendere coscienza del carisma del Battesimo e dello Spirito Santo. Ci sono due cose che si devono realizzare per raggiungere questo scopo: una partecipazione cosciente all’Eucaristia ed un approfondimento della nostra vita personale di preghiera. L’Eucaristia e la preghiera di Gesù si completano e si sostengono l’un l’altra.
Dei “carismi” speciali, come profetizzare, parlare in lingue, guarire le malattie, possono aver luogo nella Chiesa Ortodossa? Come risposta noi possiamo dire prima di tutto che attraverso la storia della Chiesa coloro che hanno avuto dei doni speciali della grazia, e molti di loro sono tra i Santi, non hanno ricercato essi stessi tali doni, ma sono arrivati alla maturità spirituale con una profonda umiltà. In secondo luogo noi possiamo domandarci se la Chiesa dei nostri giorni ha bisogno degli stessi doni della grazia come nei tempi apostolici. Secondo la predicazione dei Padri non ci sarà alcun segno negli ultimi tempi, ma le tentazioni saranno così grandi che chiunque persevererà nella fede avrà una più grande gloria nel Regno dei Cieli che coloro che avranno fatto profezie o miracoli. Ciò che è stato detto perché si prenda coscienza della grazia del Battesimo è assai difficile per il cristiano d’oggi.

San Gregorio il Sinaita insegna:

«Diventate ciò che già siete
Trovate Colui che è già vostro
Ascoltate Colui che non cessa mai di parlarvi
Possedete Colui che vi possiede già».


 † PAOLO DI FINLANDIA
Arcivescovo

GLORIA A DIO!


Eterna memoria, padre e fratello nostro, Paolo,
eterna memoria!


 





Traduzione di P. Demetrio Fantini,
Milano, 7 Giugno 1984


[1] Atti 1, 8; 2, 38-41.
[2] Atti 2, 42-46.
[3] Giov. 1, 46.
[4] Efes. 1, 17-19.
[5] Mc 1, 15.
[6] Atti 1, 4.
[7] Lc. 24, 49, Gv. 16, 13.
[8] Gv. 16, 13.
[9] I Tim. 3, 15.
[10] Mt. 16, 18.
[11] Mt. 5, 8.
[12] Rom. 3, 23.
[13] I Pt. 1, 18-19.
[14] Rm. 6, 4.
[15] I Pt. 1, 15.
[16] Fil. 2, 5-8.
[17] 2 Pt. 1, 4.
[18] Is. 53, 5.
[19] 2 Pt. 1, 3.
[20] 2 Pt. 1, 8.
[21] Mt. 5, 8.
[22] 2 Cor. 5, 17.
[23] Gv. 14, 15.
[24] Gal. 5, 25
[25] Ef. 6, 12
[26] Fil. 2, 8.
[27] Gv. 5, 16.
[28] Fil. 1, 23.
[29] Ap. 8, 4.
[30] Eb. 13, 7.
[31] Fil. 3, 12-14.
[32] Lc. 1, 28-48
[33] Gen. 2, 25.
[34] Mt. 19, 11-12; I Cor. 7, 7.
[35] I Tess. 5, 23.
[36] Beato Agostino di Ippona, Confessioni 9, 13.
[37] Rom. 6, 3-4.
[38] Gv. 6, 53-54.
[39] I Cor. 11, 29.
[40] I Cor. 11, 28.
[41] I Pt. 2, 5-9-10.
[42] I Cor. II, 24-25.
[43] Giov. 19, 34.
[44] Giov. 6, 56.
[45] Ef. 4, 13; I Cor. 13, 12.
[46] Didachè 9, 4.
[47] I Cor. 10, 7.
[48] Id.
[49] Rom. 12, 5; II Cor. 5, 17; Gal. 3, 28.
[50] Gal. 3, 29.
[51] I Cor. 11, 26.
[52] Mt. 24, 12.
[53] I Giov. 1, 2
[54] Mt. 5, 16.
[55] Salmo 8, 4.
[56] 2 Pt. 1, 4.
[57] Rom. 7, 22.
[58] Mc. 7, 22.
[59] Ef. 6, 12.
[60] Giac. I, 14-15.
[61] Ebrei, 12, 1-2.
[62] Rom. 7, 18-19.
[63] Giov. 15, 5.
[64] Giov. 15, 2.
[65] Lc. 21, 36.
[66] 2, 13.
[67] Mt. 7, 8.
[68] Fil. 3, 13-14.
[69] Sal. 119, 164.
[70] Mt. 28, 20.
[71] Mt. 6, 6.
[72] I Cor. 4, 15.
[73] Lc. 1, 48.
[74] I Cor. 10, 31.
[75] Rom. 8, 26.
[76] Salmo 51, 19.
[77] Salmo 16, 8.
[78] I Cor. 3, 16.
[79] I Cor. 15, 50.
[80] Mt. 7, 22-23.
[81] I Re 19, 11-12.
[82] Mt. 11, 29.
[83] Atti 4, 7-10.
[84] Giov. 14, 13-14; 16, 23-24.
[85] I Tess. 5, 17.
[86] I Cor. 12, 3.
[87] Rom. 8, 34.
[88] Mt. 1, 21.
[89] Mt. 16, 26.
[90] Cfr. Mt. 11, 12.
[91] Giov. 14, 16.
[92] I Cor. 12, 13.
[93] 2 Cor. 1, 21-22.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.