lunedì 21 ottobre 2013

L'assist (Evgenij Nikolaevic Trubeckoj)


L'assist (Evgenij Nikolaevic Trubeckoj)


L’antica iconografia russa utilizza in modo simbolico tutte queste tinte. I pittori sapevano disporle giustamente per differenziare il cielo trascendente da quello terrestre che domina la nostra esistenza. Qui si trova la chiave che apre la comprensione della bellezza ineffabile del simbolismo pittorico dei colori.


L'assist

di Evgenij Nikolaevic Trubeckoj



Evgenij Nikolaevic Trubeckoj (1863-1920), discendente di una nobile famiglia russa e fratello di Sergej (considerato uno dei più notevoli filosofi russi d'inizio Novecento), fu un pensatore politico di linea moderata teso a fondere le proprie ricerche filosofiche con l'insegnamento della Chiesa ortodossa.

I grandi pittori dell’antica iconografia russa - come i fondatori della simbologia nell’arte ortodossa, gli iconografi greci - furono senza alcun dubbio osservatori rigorosi e profondi del cielo, nei due significati di questo termine. Il cielo di questo mondo si offriva ai loro occhi corporei, ma essi contemplavano con gli occhi dello spirito il cielo trascendente. La loro esperienza religiosa faceva vivere nel loro intimo questo secondo cielo e la loro creazione artistica metteva in relazione le due visioni del cielo. Per loro il cielo trascendente si dipingeva della bellezza multicolore dell’arcobaleno delle tonalità di quaggiù. E, in tale relazione, nulla era arbitrario. Ogni colore usato celava un proprio significato e possedeva una ragion d’essere particolare. Se poi ciò non ci sia sempre evidente o accessibile, dipende unicamente dalla nostra incapacità: abbiamo perduto la chiave che permette di comprendere quest’arte unica al mondo.
In iconografia, la gamma dei colori carichi di significato è illimitata, come lo sono le sfumature naturali del cielo. Notiamo, prima di tutto, che l’iconografia utilizza un gran numero di tonalità di blu-azzurro: il blu scuro della notte stellata, il blu-azzurro splendente del cielo nella pienezza del mezzogiorno e la moltitudine degli azzurro pallidi del cielo al declino del giorno che sfuma dal turchese al verde. Noi russi, che abitiamo nelle regioni del nord, abbiamo molto spesso l’occasione di osservare questi toni verdastri dopo il tramonto. Ma è il blu cielo che costituisce lo sfondo abituale dal quale si stacca l’infinita varietà di sfumature celesti: lo scintillio della notte stellata, il riflesso dell’aurora, l’alone di un temporale notturno, il bagliore del ponente incendiato, l’arcobaleno e infine l’oro smagliante del mezzogiorno, quando il sole raggiunge lo zenit.
L’antica iconografia russa utilizza in modo simbolico tutte queste tinte. I pittori sapevano disporle giustamente per differenziare il cielo trascendente da quello terrestre che domina la nostra esistenza. Qui si trova la chiave che apre la comprensione della bellezza ineffabile del simbolismo pittorico dei colori.
Senza dubbio il filo conduttore è questo: la mistica dell’iconografia è prima di tutto una mistica solare nel senso spirituale più elevato del termine. Per quanto splendenti siano gli altri colori del cielo, è l’oro del sole al suo zenit che rappresenta la luce delle luci, il miracolo dei miracoli. Tutti gli altri colori sono, per definizione, dipendenti dall’oro solare e formano un ordine, una gerarchia attorno a esso. Il blu notturno, lo scintillio delle stelle, l’incendio del tramonto si eclissano davanti all’oro. Il riflesso dell’alba non è che l’annuncio del sorgere del sole. È per il gioco dei raggi del sole che si determinano tutti i colori dell’arcobaleno, perché il sole costituisce, in cielo e sotto il cielo, la sorgente della luce e di tutti i colori.
Così, nell’iconografia, i colori si ordinano attorno al “sole che non tramonta mai”. Ogni colore dell’arcobaleno trova il proprio senso nella raffigurazione della gloria divina trascendente. Ma, fra tutti i colori, solamente l’oro solare suggerisce la vita divina, tutti gli altri sono comparse.
Soltanto Dio, splendente come il sole, è la sorgente della luce reale e i colori che lo circondano esprimono la vera natura della creazione, il cielo e la terra glorificati che costituiscono il tempio vivente del Signore, il tempio “non creato da mano d’uomo”.
L’iconografo, per mistica intuizione, ha svelato anticipatamente il mistero dello spettro solare, scientificamente scoperto parecchi secoli più tardi. È come se avesse sentito, nella pluralità dei colori, la rifrazione multicolore dell’unico, solare mistero della vita divina. Questo colore divino ha in iconografia un nome specifico, quello di assist. Il modo di rappresentarlo è assai notevole: l’assist non ha mai l’aspetto massiccio, compatto dell’oro terreno; assomiglia invece a una ragnatela aerea, eterea, costituita di raggi dorati molto leggeri che provengono da Dio e illuminano di splendore divino tutto quello che incontrano. Quando vediamo l’assist in un’icona, questa suppone sempre - e la indica - la presenza della Divinità come sorgente dell’assist.
L’assist esprime la glorificazione attraverso la luce divina, più precisamente segna ciò che penetra nella vita divina e ciò che le si presenta molto vicino. Così sono ricoperti di assist le vesti della “Sofia”, la Sapienza di Dio, e quelle della Madre di Dio rapita in cielo dopo la Dormizione. È ancora l’assist che spesso fa scintillare le ali degli angeli, è l’assist che dora le cime degli alberi del Paradiso, ed è ancora con l’assist che a volte ricopre, nelle icone, le cupole delle chiese. È significativo che, nelle rappresentazioni iconografiche, le cupole non siano ricoperte di uno strato compatto d’oro, ma di raggi e scintillii dorati, i quali, grazie alla loro eterea leggerezza, evocano una luce vivente, ardente, come animata. È l’assist che fa sfavillare le vesti di Cristo glorificato, brillare come fuoco gli ornamenti del trono della Sapienza e ardere nei cieli le cime delle chiese. Ed è proprio per questo splendore vivente, per questo dinamismo scintillante che la gloria ultraterrena si distingue da tutto ciò che è terreno e non è ancora glorificato. Il mondo terreno può tendersi verso l’alto, può imitare la fiamma, ma sono solo i fastigi della vita religiosa che si inondano di vera luce. E con l’imitazione dell’oro spirituale si può intravedere lo splendore ultraterreno.
Questi colori, nel loro simbolismo ultraterreno, sono utilizzati nell’antica iconografia russa, soprattutto a Novgorod, con una straordinaria intuizione artistica. Qui l’assist non si trova nelle rappresentazioni della vita terrena di Cristo, dove si sottolinea la sua natura umana, dove si cela la sua Divinità “sotto l’aspetto del servo”, ma l’assist riappare quando si vuol mostrare Cristo glorificato o si vuol far sentire che la sua glorificazione è vicina. L’assist si trova spesso nella rappresentazione di Gesù Bambino quando l’iconografo tende a sottolineare l’idea dell’eterno bambino. Di assist sono ornate le vesti di Cristo nella Trasfigurazione, nella Risurrezione e nell’Ascensione. E Cristo risplende ancora di Divinità quando strappa le anime dall’inferno e ritrova il ladrone in Paradiso.
Ogni volta che gli iconografi hanno dovuto rappresentare la distinzione e l’interpenetrazione del creato e dell’increato hanno usato l’assist con un’arte impressionante. Ne sono esempio le antiche icone che mostrano la Dormizione della Madre di Dio: in quelle migliori si vede con evidenza e al primo colpo d’occhio che la Vergine sul letto di morte, con vesti scure e tra i congiunti si trova corporalmente nel piano della natura terrena, tal come la vediamo con i nostri occhi mortali. Per contro, Cristo in piedi alle spalle del letto funebre, con vesti luminose e tra le mani l’anima di sua Madre in aspetto di un infante, dà l’impressione dell’apparizione ultraterrena, del mondo invisibile. Cristo arde, risplende, sprizza scintille e si distingue dai colori, intenzionalmente cupi, del piano dell’esistenza terrena proprio per l’eterea leggerezza dei raggi dell’assist.


(tratto da E. N. Trubeckoj, Due mondi nell’antica iconografia russa, Mosca,1916).

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