Israele proprietà di Dio
Dopo aver presentato le diverse forme di manifestazione della chiesa nel VT, vediamo ora quali sono le caratteristiche del rapporto con Dio, dato che questo è il contenuto dell’alleanza. Un primo tema viene particolarmente marcato ed è tipico del linguaggio biblico antico. Esso si fonda su un duplice intervento di Dio, messo in luce dal Deuteronomio per la liberazione dall’Egitto e dal Deuteroisaia per quella da Babilonia. Addirittura in Isaia 43-45 vengono adoperati tre verbi tipici della teologia della creazione per esprimere l’azione di Dio verso Israele: creare, fare e formare. Questo sta ad indicare che Israele è creatura di Dio e che quindi gli appartiene a titolo unico.
La stessa cosa si legge in Dt, dove l’accento viene posto sulla scelta di amore da parte di Dio. “Poiché tu sei un popolo consacrato a Jahvé tuo Dio; è te che Jahvé tuo Dio ha scelto per suo popolo, tra tutte le nazioni che sono sulla terra. Se Jahvé si è attaccato a voi e vi ha scelto, non è perché voi siate il più numeroso di tutti i popoli; infatti voi siete il meno numeroso dei popoli. Ma è a causa dell’amore per voi e del giuramento giurato ai vostri padri, che Jahvé vi ha fatto uscire con mano forte dalla casa di schiavitù” (Dt 7,6s.)
Questo rapporto con Dio assumerà gli accenti di un amore sponsale soprattutto nel testo del profeta Osea, ad indicare che questa proprietà non è tanto un possesso da padroni, quanto invece affettivo e pieno di misericordia.
Partner dell’alleanza
L’alleanza è il cuore della rivelazione biblica, su cui tutto è fondato e da cui tutto riceve significato, in ogni dimensione temporale, perché alla sua luce si legge il passato, si vive il presente e ci si apre al futuro. “Il sarò il tuo Dio, tu sarai il mio popolo” (Es 6,7). E in Dt si danno anche le finalità di questo patto. “Voi oggi state tutti al cospetto di Jahvé… per stipulare l’alleanza che oggi Jahvé, il tuo Dio, stringe con te, per fare di te oggi il suo popolo ed essere il tuo Dio” (Dt 29, 9-12).
Tre verbi esprimono le modalità di questo rapporto di grazia, di amore e di benevolenza: conoscere, amare e hesed, come lealtà e solidarietà. “Solo voi io ho riconosciuto tra tutte le famiglie della terra” (Amos 3,2). Con la nuova alleanza, dice il Signore, “tutti mi conosceranno” (Ger 31,34). L’amore viene richiesto come atto fondamentale della fede d’Israele: “Amerai Jahvé, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze” (Dt 6,5).
Questo amore appassionato viene espresso con il termine hesed ed accompagna tutta la storia d’Israele, ed è amore reciproco; viene da Dio, ma deve essere anche la risposta dell’uomo. “Io voglio l’amore (hesed) non il sacrificio, la conoscenza di Dio, non l’olocausto” (Os 6,6).
Il santuario di Dio
È molto facile vedere che il santuario non è un edificio, ma il popolo dell’alleanza, in mezzo al quale Dio abita. Due testi in particolare mettono in luce questa verità, il primo è dell’Esodo. “Io abiterò in mezzo ai figli d’Israele e sarò il loro Dio. Essi sapranno allora che sono io, Jahvé loro Dio, che li ho fatti uscire dal paese d’Egitto per dimorare tra essi, io Jahvé loro Dio” (Es 29, 45-46). Il secondo è quello famoso di Ezechiele che parla dell’alleanza eterna. “Concluderò con essi un’alleanza pacifica, sarà con essi un’alleanza eterna. Io li stabilirò e li moltiplicherò e stabilirò il mio santuario in mezzo ad essi per sempre. Porrò la mia dimora sopra di essi e sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Ez 37,26).
Se il popolo è santuario di Dio in quanto popolo dell’alleanza, è tuttavia da notare che esso lo è in modo speciale nel servizio religioso, nel quale Dio manifesta i suoi progetti ed Israele si sforza a realizzarli. Inoltre mediante la preghiera Dio si rende presente e santifica il suo popolo, perdonandogli i peccati.
Missione d’Israele
Il popolo tra i popoli
È noto che si parla di Israele come popolo di Dio in opposizione ai pagani che non sono chiamati popolo. Tuttavia questa distinzione non impedisce che Israele esista per i popoli, perché la sua missione è il superamento del particolarismo e dell’individualismo per aprirsi all’universalismo teologico, legato alla elezione. Dio ha scelto Israele perché tra i popoli conservasse viva la sua fede, difendendola da tutti gli attacchi e da tutti i pericoli di assimilazione. Se da una parte c’era chiusura, dall’altra c’è stato anche un notevole contributo culturale degli altri popoli che hanno favorito lo sviluppo di Israele.
Il popolo mediatore
Il rapporto di Israele con gli altri popoli non si limita ad una contrapposizione o ad una presenza che indichi l’azione di Dio, ma mette in luce anche che Israele esiste per i popoli. L’elezione implica responsabilità verso gli altri; non è un privilegio, se non nel senso di una partecipazione agli altri di quanto Dio ha concesso. Così Israele manifesta ai popoli le grandi opere di Dio e mediante la sua fede rende presente Dio nel mondo e tra i popoli. Per questo, nella fede, diventa anche fonte di benedizione per gli altri popoli. In tale modo diventa mediatore regale, profetico e sacerdotale della salvezza, aprendo la linea di quella mediazione che sarà portata a compimento da Cristo.
L’universalismo della salvezza
La salvezza offerta a tutti è nella logica della fede di Israele che professa Dio creatore del mondo e quindi di tutte le realtà. Nel ricco vocabolario biblico questo universalismo è espresso in termini spesso contradditori come assoggettamento (salmi 2 e 72) o come incorporazione (Es 12,38) o come partecipazione al culto di Israele, come dice la preghiera di Salomone per la dedicazione del tempio. “Anche lo straniero che non è del tuo popolo, se viene da un paese lontano a causa del tuo Nome…, se viene a pregare in questo tempio, tu ascoltalo in cielo, dove abiti, esaudisci tutte e domande dello straniero affinché tutti i popoli della terra riconoscano il tuo Nome e ti temano come fa il tuo popolo Israele” (1Re 8,41s).
Il singolo nel tutto
La personalità corporativa
Si dovrebbero esaminare i rapporti tra individuo e collettività e le funzioni del singolo nella comunità, ma puntiamo la nostra attenzione sulla personalità corporativa, anche per il rilievo che ha in tutta la bibbia fino al compimento definitivo con Gesù Cristo.
Due sono le cose da notare: la comunità, che non è la somma degli individui, può essere considerata come un grande-Io. E un singolo individuo può rappresentare la comunità che in lui è come personificata. Il caso esemplare viene dato dai salmi: l’io dei salmi comprende tutto Israele e il singolo Israelita (ad es. salmi 89 e 129). Ciò vale per il presente, ma anche per il passato, dove nelle figure dei patriarchi della Genesi è rappresentato l’intero popolo di Dio. E riguarda anche il futuro, dove un solo individuo compie la missione di Israele, come vediamo nei canti del servo di Dio del Deuteroisaia (49 e 53). Lo stesso vale per la figura del Figlio dell’Uomo del libro di Daniele c. 7.
Osservazioni conclusive
Abbiamo trovato nella Ekklesia di Israele delle forme contingenti e provvisorie e delle strutture costitutive. Il rapporto fra di esse non è nella linea di una evoluzione omogenea, perché in fondo l’essenza iniziale resta, cioè l’alleanza e l’elezione. Nella pluralità delle forme è apparsa anche una contrapposizione dialettica, soprattutto tra individuo e collettività: c’è una polarità positiva: l’individuo è scelto sempre per il bene della comunità. Infine, le istituzioni di Israele sono solo promessa o realtà? Sono questo e quello, perché l’azione della salvezza è iniziata realmente in Israele e ha trovato la sua realizzazione piena in Cristo; ma ci attende ancora la fase escatologica, quella definitiva della partecipazione alla resurrezione di Cristo.
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