Come è evidente dalle Sacre Scritture,
ci si inchinava, ci si inginocchiava e si facevano prosternazioni
durante la preghiera, anche nell'Antico Testamento. Il santo profeta e
re Davide si riferisce al gesto di inchinarsi a Dio o nel suo tempio in
molti salmi, per esempio: "prosterniamoci al Signore nei suoi santi"
(Salmo 28:2), "Mi prosternerò nel tuo santo tempio, nel tuo
timore"(Salmo 5:8), "Venite, adoriamo e prosterniamoci a lui "(Salmo
94:6), "Procediamo nei suoi tabernacoli, inchiniamoci nel luogo in cui i
suoi piedi si sono posati" (Salmo 131:7), e così via.
Quanto al gesto di inginocchiarsi, è noto
che il santo profeta Daniele, per esempio, per tre volte al giorno "si
inginocchiava, pregava e rendeva grazie al suo Dio" (Dn 6,10). Anche le
prosternazioni complete sono menzionate nei libri dell'Antico
Testamento. Per esempio: i profeti Mosè ed Aronne pregarono Dio, dopo
essersi prosternati "con la faccia a terra" (Numeri 16:22), di essere
misericordioso verso i figli d'Israele che avevano peccato gravemente.
Nel Nuovo Testamento, inoltre, l'abitudine di eseguire genuflessioni,
prosternazioni e, naturalmente, inchini era stata conservata e aveva
ancora un posto nel corso della vita terrena del nostro Signore Gesù
Cristo, che ha santificato quest'usanza dell'Antico Testamento con il
suo esempio, pregando in ginocchio e con la faccia a terra. Così,
sappiamo dai Santi Vangeli che prima della sua passione, nel Giardino di
Getsemani, egli "si inginocchiò e pregò" (Matteo 26:39), "cadde a terra
e pregò" (Marco 14:35). E dopo l'ascensione del Signore, al tempo dei
santi apostoli, questa usanza, di cui parlano anche le Sacre Scritture,
rimase invariata. Per esempio, il santo protomartire e arcidiacono
Stefano "si inginocchiò," e pregò per i suoi nemici che lo lapidavano
(Atti 7:60); l'apostolo Pietro, prima di risuscitare Tabitha dai morti,
"si inginocchiò e pregò" (Atti 9:40), ecc. E' un fatto indiscutibile
che, come sotto i primi successori degli apostoli, così anche in periodi
molto successivi dell'esistenza della Chiesa di Cristo, le
genuflessioni, gli inchini e le prosternazioni fino a terra sono stati
sempre impiegati dai veri credenti nelle preghiere domestiche e nei
servizi divini. Nell'antichità, tra le altre attività corporee,
inginocchiarsi era considerata la manifestazione esteriore di preghiera
più gradita a Dio. Così, sant'Ambrogio di Milano dice: "Al di là di
tutto il resto delle fatiche ascetiche, inginocchiarsi ha il potere di
placare l'ira di Dio e di evocare la sua misericordia" (Libro VI, I sei giorni della Creazione, cap. 9).
I canoni relativi agli inchini e alle
genuflessioniormai accettati dalla Chiesa ortodossa e che si trovano nei
libri dei servizi divini, e in particolare nel Tipico della Chiesa, si
osservano nei monasteri. Ma in generale, ai cristiani ortodossi laici
pieni di zelo è permesso di pregare in ginocchio in chiesa e fare
prosternazioni complete ogni volta che lo desiderano, con la sola
eccezione dei momenti in cui si leggono il Vangelo, l'Apostolo, le
letture dell'Antico Testamento, e i sei salmi e durante le prediche. La
Santa Chiesa guarda a queste persone in modo amorevole, e non vincola i
loro sentimenti di devozione. Tuttavia, le eccezioni per quanto riguarda
la domenica, e i giorni tra Pasqua e Pentecoste, si applicano in
generale a tutti. Secondo l'antica tradizione e una legge chiara della
Chiesa, non ci si deve mettere in ginocchio in questi giorni. La radiosa
solennità degli eventi che la Chiesa commemora per tutto il periodo da
Pasqua a Pentecoste e alle domeniche preclude, in sé e per sé, ogni
manifestazione esterna di dolore o di lamento dei propri peccati: poiché
Gesù Cristo "avendo cancellato il documento dei nostri peccati...
inchiodandolo alla sua Croce, e sconfitto i principati e le potenze, li
ha sconfessati apertamente, trionfando su di loro" (Col 2,14-15), da
allora "non esiste, pertanto, alcuna condanna per quelli che sono in
Cristo Gesù" (Rm 8,1). Per questo motivo, è stata osservata nella Chiesa
fin dai primi tempi, e indubbiamente tramandata dagli apostoli, la
pratica per cui in tutti questi giorni, consacrati alla commemorazione
della gloriosa vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte, si
richiedeva compiere il servizio divino pubblico in modo lieto e con
solennità, e in particolare senza inginocchiarsi, che è un segno del
dolore e del pentimento per i propri peccati. Nel secondo secolo lo
scrittore Tertulliano testimonia questa pratica: "Il giorno del Signore
(cioè la domenica) riteniamo improprio digiunare o inginocchiarsi, e
godiamo anche di questa libertà da Pasqua fino a Pentecoste" (Sulla corona, 3 cat.). San Pietro di Alessandria (III sec., cfr. il suo Canone XV nel Pedalion), e le Costituzioni Apostoliche (Libro II, cap. 59) dicono la stessa cosa.
In seguito, il Primo Concilio Ecumenico
ha ritenuto necessario rendere questa abitudine giuridicamente
vincolante con un canone speciale obbligatorio per tutta la Chiesa. Il
canone del Concilio afferma: "Dal momento che ci sono alcune persone che
si inginocchiano in chiesa la domenica e nei giorni della Pentecoste,
con l'obiettivo di preservare l'uniformità in tutte le parrocchie, è
sembrato migliore al santo Concilio che le preghiere siano offerte a Dio
stando in piedi "(Canone XX).
Sottolineando questo canone, San Basilio
il Grande spiega in questo modo le motivazioni e il significato della
prassi consolidata: «Ci alziamo in preghiera il primo giorno della
settimana, anche se non tutti ne conosciamo la ragione. Non solo ci
serve a ricordarci che, una volta risorti dai morti insieme con Cristo,
dobbiamo cercare le cose dall'alto, nel giorno della resurrezione di
grazia che ci è dato, stando in piedi in preghiera, ma questo sembra
anche servire in un certo modo come prefigurazione dell'era prevista.
Perciò, essendo anche il punto di partenza dei giorni, anche se non il
primo per Mosè, è stato tuttavia chiamato il primo. Si dice infatti: 'E
fu sera e fu mattina: primo giorno' (Gen. 1:5), per il motivo che
ritorna ancora e ancora. L'ottavo, quindi, è anche il primo, tanto più
per quanto riguarda quel vero e proprio primo e ottavo giorno, che il
Salmista ha menzionato in alcune delle introduzioni dei suoi salmi, per
esporre lo stato di ciò che sarà dopo questo periodo di tempo, il giorno
incessante, il giorno senza notte che segue, il giorno senza
successore, l'era che non finisce mai e non invecchia. Necessariamente,
quindi, la Chiesa insegna ai suoi figli ad adempiere ai loro obblighi di
preghiera in questo giorno, stando in piedi, in modo da ricordare loro
costantemente la vita immortale e di non far loro trascurare di fare
provviste per il viaggio verso quel giorno. E ogni Pentecoste è un
ricordo della risurrezione prevista nel tempo che verrà. Quel giorno,
moltiplicato per sette, costituisce le sette settimane della santa
Pentecoste. Iniziando dal primo giorno della settimana, si arriva nello
stesso giorno... Le leggi della Chiesa ci hanno insegnato a preferire la
postura eretta in preghiera, trasportando così la nostra mente, per
così dire, come risultato di suggerimenti vividi e chiari, dal tempo
presente alle cose a venire in futuro. E durante ogni momento in cui ci
inginocchiamo e ci rialziamo di nuovo in piedi mostriamo di fatto con le
nostre azioni che è stato a causa del peccato che siamo caduti a terra,
e che attraverso la bontà di Colui che ci ha creati siamo richiamati al
cielo ... "(Canone XCI di San Basilio il Grande). Le tre ben note
preghiere in ginocchio della Pentecoste, composte da questo grande Padre
della Chiesa, non sono quindi lette all'ora Terza, quando lo Spirito
Santo discese sugli apostoli, né alla Liturgia di Pentecoste, ma dopo
l'ingresso del Vespro, che è già parte del giorno successivo. Il santo
Padre era determinato a non rompere l'antica consuetudine della Chiesa.
Nel Canone XC del Concilio trullano,
organizzato in concomitanza con il sesto Concilio ecumenico, si legge:
"Abbiamo ricevuto i canoni dei nostri Padri teofori che portano a non
piegare le ginocchia alla domenica, quando onoriamo la risurrezione di
Cristo. Dato che questa osservazione può non essere chiara per alcuni di
noi, cerchiamo di chiarire ai fedeli che, dopo l'ingresso dei chierici
nell'altare sacrificale, alla sera del sabato, che nessuno di loro
pieghi le ginocchia fino a sera della domenica seguente, quando, in
seguito all'ingresso dopo l'accensione delle luci, piegando di nuovo le
ginocchia, ricominciamo a offrire le nostre preghiere al Signore.
Infatti, in quanto ci è stato tramandato che la notte dopo il sabato è
stata il precursore della risurrezione del nostro Salvatore, iniziamo i
nostri inni a questo punto in un modo spirituale, terminando la festa
con un passaggio dalle tenebre alla luce, in modo da poter quindi
celebrare la resurrezione insieme per un giorno intero e una notte
intera". Giovanni Zonaras, spiegando il canone, dice: "Vari canoni hanno
stabilito di non inginocchiarsi la domenica o durante i cinquanta
giorni della Pentecoste, e Basilio il Grande ha pure fornito le ragioni
per le quali questo era vietato. Questo canone decreta solo per quanto
riguarda la Domenica, e indica chiaramente da che ora e fino a che ora
inginocchiarsi, e dice: 'Al sabato , dopo l'ingresso dei celebranti
all'altare nel Vespro, nessuno può piegare il ginocchio fino al Vespro
della domenica, quando, cioè, ancora una volta avviene l'ingresso dei
celebranti: noi non lo trasgrediamo piegando il ginocchio e pregando in
ginocchio da quel momento in poi. La notte del sabato è considerata la
sera del giorno della risurrezione, che secondo le parole di questo
canone dobbiamo passare nel canto dei salmi, portando la festa dalle
tenebre alla luce, e in tal modo celebrare la resurrezione per tutta la
notte e il giorno" (Libro dei Canoni con interpretazioni, p. 729).
Nel Tipico della Chiesa c'è un'istruzione
riguardo a come il sacerdote deve avvicinarsi e baciare il Vangelo dopo
averlo letto durante la Veglia notturna della risurrezione: "Non fate
prosternazioni fino a terra, ma piccoli inchini, toccando il suolo con
la mano. Alla domenica e alle feste del Signore e durante tutti i 50
giorni tra la Pasqua e la Pentecoste non si piegano le ginocchia" (Tipico, cap. 2).
Tuttavia, stare in piedi ai servizi
divini alla domenica e nei giorni tra la Pasqua e la Pentecoste era il
privilegio di coloro che erano in piena comunione con la Chiesa; i
cosiddetti "penitenti" invece non erano dispensati dallo stare in
ginocchio, anche in quei giorni.
Chiudiamo con queste parole del famoso
interprete dei canoni ecclesiastici, Teodoro Balsamo, Patriarca di
Antiochia: "Mantenete i decreti canonici, dovunque e comunque siano
stati formulati, e non dite che ci sono contraddizioni tra loro, poiché
lo Spirito tuttosanto li ha formulati tutti" (Interpretazione del Canone
XC del Concilio trullano).
Da Orthodox Life, vol. 27, n. 3 (maggio-giugno 1977), pp 47-50.
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