sabato 19 ottobre 2013

Verginità e matrimonio: i due volti dell'alleanza alla luce del Cantico dei Cantici (Giulio Meiattini osb)



Un libro biblico fatto di immagini sponsali e perfino dichiaratamente erotiche sembrerebbe il meno adatto ad accostare la realtà della verginità per il Regno dei cieli, quale la vita religiosa, in tutte le sue forme, si impegna a vivere e testimoniare.




Mi è stato chiesto di parlare dell'amore verginale nella prospettiva del Cantico dei cantici. Il tema, a prima vista, mi è sembrato arduo e anche un po' strano. Un libro biblico fatto di immagini sponsali e perfino dichiaratamente erotiche sembrerebbe il meno adatto ad accostare la realtà della verginità per il Regno dei cieli, quale la vita religiosa, in tutte le sue forme, si impegna a vivere e testimoniare. Man mano che procedevo nella riflessione, però, le cose mi sono apparse in una luce diversa: forse il Cantico dei cantici può offrire lo spunto ad una considerazione della mutua appartenenza e compenetrazione, nella distinzione e complementarietà, fra stato religioso e stato matrimoniale. Così, la stessa verginità consacrata potrebbe ricevere una luce e una valutazione particolari. Per questo, alla fine ho deciso di dare a queste considerazioni il titolo attuale. ( è evidente che l'autore, cattolico romano si trova dinanzi ad un evento "nuovo" di riflessione; riflessione che nella logica cristiana ortodossa è ormai scontata alla luce dell'esperienza del presbiterato uxorato  n d r )
Del Cantico dei cantici sono state date, e si possono dare, svariate letture (1). Il punto cruciale, nella interpretazione cristiana (ma ancor prima giudaica) di questo testo poetico dell' Antico Testamento, è il rapporto fra il suo senso letterale e la lettura di carattere teologico e spirituale variamente attestata lungo la storia: questo libro è un canto, o un insieme di canti, che esaltano l'amore sponsale fra uomo e ,donna o la descrizione, sotto vesti simboliche, del legame nuziale fra Dio e Israele, fra Cristo e la Chiesa, in definitiva fra Cristo e l'anima credente? Fra gli estremi di queste due letture molte altre spiegazioni sono state date, più o meno fondate o azzardate. Allo stato attuale degli studi è difficile negare che questa composizione lirica è nulla di più che una celebrazione dei fasti dell'amore nuziale, dell'innamoramento fra i fidanzati, delle gioie inebrianti dell'unione matrimoniale. Non appare sostenibile, perciò, l'opinione di coloro che, sia nell' antichità sia recentemente, vi hanno visto direttamente illustrata la relazione di alleanza fra Dio e il popolo eletto, Dio e la città amata Gerusalemme, sotto i veli di un linguaggio allegorico o simbolico (2). Eppure, nella sua sostanza, questa interpretazione non è da ritenersi semplicemente errata o falsa. Essa esprime una parte della verità, ma lo fa con metodi interpretati vi inadeguati. Essa raggiunge un risultato in un certo senso attendibile attraverso un percorso improprio, che non rende giustizia a sufficienza alla letteralità del testo. In primo luogo, allora, si tratta di vedere in che maniera un credente, ebreo o cristiano, possa leggere il Cantico come un libro di fede, una pagina del canone biblico ispirato da Dio, una pagina che non contiene solo una presentazione di aspetti antropologici (in questo caso una fenomenologia, in chiave poetica, dell'amore fra uomo e donna), ma una rivelazione di Dio, di verità teologiche.In secondo luogo, e sulla base di questo primo risultato, si potrà affrontare anche il secondo interrogativo che direttamente ci tocca: il Cantico può dire qualcosa anche a coloro che, alla sequela di Gesù, professano la verginità per il Regno?
1. L'amore divino riflesso nell'amore umano
Il primo passo che è possibile compiere, per rispondere al primo quesito, è risalire all'inizio, all'atto creativo che costituisce l'essere umano nel mondo come uni-dualità di maschio e femmina.
«Allora Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza. (...) E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen, 26-27).
Secondo questo decisivo passo biblico, la relazione uni-duale uomo-donna è immagine di Dio nel mondo. Se ogni creatura porta in sé una traccia, un'impronta (vestigium) di Dio, solo l'essere umano ne reca l'immagine (imago). Questa immagine è legata alla relazione indissolubile che lega i due poli sessuati dell'unico essere umano. Nel testo si dice che «Dio creò l'uomo a sua immagine» (al singolare), per precisare poi che questo medesimo essere umano si realizza nella pluralità di un fronteggiarsi polare: «maschio e femmina li creò». L'unica e indivisibile umanità dell'uomo si dice inseparabilmente e simultaneamente come mascolinità e femminilità. Ma formando insieme l'essere umano completo, il maschio e la femmina dicono Dio, di cui solo insieme sono immagine.Penso che questo sia un primo passo verso una lettura teologica del Cantico. Le sue pagine dicono Dio in quanto parlano dell'amore fra maschio e femmina, che è immagine divina nel mondo. Quanto la precedente citazione di Gen 1,26-27 dice in maniera contratta e sintetica, viene detto in modo disteso e diffuso nei versi del Cantico. Esso è come un commento all' affermazione: «Dio creò l'uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò». Il Cantico è una fenomenologia ricchissima, lussureggiante, dell' amore umano sessuato, destinato «a fare dei due un'unica carne» (cf Gen 2, 24). In tal modo esso ci presenta, indirettamente, uno squarcio sull'abisso di Dio. Le "nudità" dell'uomo e della donna, passate in rassegna dal Cantico senza ipocriti pudori, richiamano in fondo la pace edenica e la bontà dell' essere creature di Dio, quando «tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, e non ne provavano vergogna» (Gen 2, 25). Gli aspetti sensuali della poesia del Cantico non hanno nulla di volgare o di torbido, come nella pornografia. Procedono dal centro di un cuore innamorato.
In definitiva, con la sua poesia tenera ed erotica, il Cantico non solo offre una antropologia dell'amore, ma anche una rivelazione del Dio che ama. Perciò non è un caso che il Cantico culmini proprio con una riconduzione dell' amore appassionato fra uomo e donna alle sue radici divine, quando la sposa esclama:
«Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
mettimi come sigillo sul tuo braccio; 
perché forte come la morte è l'amore, 
tenace come il regno dei morti è la passione: 
le sue vampe sono vampe di fuoco, 

una fiamma divina» (Ct 8,6).

Dopo le descrizioni dei corteggiamenti e degli amplessi fra gli amanti, in queste parole è come se si volesse mettere a fuoco la natura dell' amore: esso è definitivo come un sigillo; è irrevocabile come la morte, le cui reti non lasciano più sfuggire chi vi è incappato. Ma soprattutto, l'amore è qualcosa di così bruciante e violento che esso è paragonabile ad un fuoco che non può che procedere da Dio. La vampa dell'amore che lega lui a lei, e viceversa, è l'impronta dell'immagine di Dio nella natura umana. E chi la sperimenta, sperimenta qualcosa di sacro e ineffabile, quanto di divino è rimasto aderente alla creatura umana quando Dio l 'ha come congedata da sé affidandola alla sua libertà. Non a caso ogni cultura e civiltà ha considerato gli aspetti appartenenti alla sessualità come strettamente legati al Sacro. Nelle regioni dell' amore, e della reciproca estasi amorosa, i due avvertono di sconfinare oltre se stessi, nell' Altro attraverso l'altro.Dai gesti e dai sentimenti degli amanti si può comprendere chi sia Dio: amore appassionato e geloso, totale e irrevocabile. Per questo i profeti, da Osea a Geremia, da Isaia a Ezechiele, faranno spesso dell' amore nuziale una delle immagini preferite per descrivere la relazione d'alleanza fra Dio e il suo popolo.
2. La coppia Cristo-Chiesa e la coppia cristiana
In base a quanto si è detto è possibile leggere il Cantico in un'ottica di fede, nel contesto dell' Antico Testamento, sullo sfondo della relazione fra Creatore e creatura. Con l'avvento di Gesù e la sua morte e risurrezione la medesima relazione fra uomo e donna, ereditata dalla tradizione veterotestamentaria, viene assunta dagli scritti del Nuovo Testamento in una prospettiva più profonda. Il Regno dei cieli è paragonato da Gesù, nelle sue parabole, «a un re che fece una festa di nozze per suo figlio» (Mt 22,2), oppure «a dieci vergini che presero le lampade a uscirono incontro allo sposo» (Mt 25, l). Fino alla prospettiva finale dell' Apocalisse, che si conclude con la visione grandiosa della Gerusalemme raggiante splendore e bellezza, «pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2). La relazione sponsale è vista non semplicemente come immagine reale del Creatore nell'umanità creata come uni-dualità di maschio e femmina. Il matrimonio, infatti, considerato alla luce del mistero pasquale diventa un vero e proprio sacramentum che dice, con la sua indissolubilità e il suo stile di servizio reciproco, la dedizione fino al sangue di Cristo alla sua Chiesa e l'umile riconoscenza della Chiesa verso Cristo suo capo. San Paolo instaura proprio questo parallelismo, in senso forte (cf Ef 5,21-33). Non si ferma ad un semplice paragone didattico. Egli, dopo aver citato il passo di Gen 2,24 («Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne»), conclude con questa frase stupefacente: «Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5,32).
Il "mysterion" (la vulgata traduce sacramentum) di cui parla l'apostolo è il matrimonio, l'unione fisico-spirituale di uomo e donna voluta dallo stesso Creatore. Esso è riconosciuto da Paolo un «mistero grande» non in se stesso, e neppure soltanto per- ché contiene un'immagine del Creatore; è grande «in riferimento a Cristo e alla Chiesa». In altre parole, Paolo ci dice che gli sposi cristiani, nel loro amore reciproco, partecipano della relazione uni-duale fra Cristo e la Chiesa e la esprimono, diremmo noi, sacramentalmente. La Chiesa, infatti, è il corpo di Cristo (in questo senso «una sola carne» con lui); ma al tempo stesso anche sua sposa, il tu che gli sta di fronte come risposta di amore libero e fedele «<ha dato se stesso per lei (...) per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga»). Se l'amore naturale fra sposi è già una rivelazione divina, come si è visto, l'amore degli sposi cristiani è inserito vitalmente in un amore più grande, dal quale il loro rapporto è rafforzato e trasfigurato: l'amore che lega il Cristo con la Chiesa. Volgendosi ora a ritroso verso il Cantico dei cantici possiamo trarre questa conclusione essenziale, per una sua lettura in ottica cristiana. L'amore creaturale della coppia umana, che trova in Genesi la sua carta fondativa e nel Cantico la sua più ampia illustrazione, è in fondo considerato dal Nuovo Testamento come prefigurazione di quello cristo logico-ecclesiale, che è un amore insieme redentivo redento. Sì, perché l'amore sponsale edenico è intaccato e compromesso dal conflitto che è scaturito tra Adamo ed Eva dopo il peccato («La donna che mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato», Gen 3,12). Uomo e donna devono amarsi di questo amore redentivo e redento inaugurato da Cristo, che libera l'altro e dal- l'altro si lascia liberare. Non c'è solo l'estasi dell'amore, ma anche la fatica dell'amore. Fra Cristo e la Chiesa c'è infatti il sangue del primo che chiede la martyr’a della seconda.
3. La verginità come aspetto dell'amore sponsale
Penso che ora, dopo questo lungo giro che ha posto le basi elementari per una lettura teologica e cristiana del Cantico, possiamo fare l'ultimo passo. Che c'entra la verginità in tutto questo? Tentiamo una risposta alla domanda ripartendo dal testo del Cantico. Innanzitutto va notato che nel Cantico non c'è solo il momento dell' amplesso, del godimento reciproco, ma anche il mo- mento dell'attesa e del desiderio, c'è il tempo del fidanzamento, nel quale ci si riserva per l'amato o per l'amata. Questo emerge più volte. Per esempio, nella ricerca, anche notturna, che a più riprese la fidanzata fa del suo amato (cf Ct 1,7-8; 3,1- 4; 5,7); nella voce del diletto che la chiama e che ella riconosce da lontano pur non potendolo vedere e toccare (2,8-14); nei messaggi che lei affida alle amiche perché li portino a lui assente (5,8); in particolare nell'impazienza di non poter ancora esprimere in pubblico i gesti dell' amore, prima del tempo (8,1- 2); nella descrizione dell' avvicinarsi della lettiga del re (lo sposo), prima delle nozze (3,6-11). Nella cultura che ha prodotto il Cantico, la custodia della verginità nel periodo del fidanzamento, come rispetto della promessa di matrimonio, era presupposto naturale e implicito. I promessi sposi, nell' epoca del loro innamoramento e fidanzamento, già si preparano ad appartenersi totalmente. La vergini- tà come tempo dell'attesa e della preparazione è parte del- l'amore. E questo perché l'amore è esclusivo, paragonabile ad una consacrazione reciproca. Tutti i momenti del nostro libro che esprimono la distanza desiderante, e insieme il riservarsi reciproco, dicono consacrazione all'altro e promessa di verginità. Amore e verginità, dunque, per quanto questo oggi sia contraddetto dalla cultura dominante, si appartengono reciprocamente.
Questa appartenenza esclusiva dei partners, espressa anche dalla verginità, la si coglie soprattutto nella triplice ricorrenza di una formula esemplare: «Il mio amato è mio e io sono sua» (2,16); «lo sono del mio amato e il mio amato è mio» (6,3); "lo sono del mio amato e il suo desiderio è per me" (7,11). Non a caso; come molti hanno fatto notare, è una formula che richiama quella dell' alleanza fra Dio e Israele: «lo sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Es 6,7). La medesima legge dell' appartenenza reciproca ed esclusiva, nella quale non c'è posto per altri, anima sia l'amore sponsale umano sia quello fra Dio e l'uomo. L'apostolo Paolo ci viene ancora in aiuto con un passaggio illuminante, che ci permette di collegare queste ultime osservazioni con quanto sopra si è detto del parallelo fra Cristo-Chiesa e il matrimonio cristiano. Scrive Paolo ai Corinzi:
«lo provo per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti ad un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo però che, come il serpente con la sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo» (2Cor 11,2).
Ecco affermata con chiarezza l'importanza dell'essere vergini in vista di un' appartenenza sponsale autentica. Tutta la comunità ecclesiale è chiamata ad essere vergine in senso ampio, cioè ad astenersi dal peccato, paragonato qui ad una "seduzione", a restare fedeli al Vangelo e docili allo Spirito. Questa verginità è da considerarsi come il tempo della preparazione per la consumazione di un matrimonio che si celebrerà alla fine dei tempi, come l' Apocalisse ci ricorda. Possiamo asserire, i dunque, che la verginità è componente e dimensione dell' amore sponsale, visto sia nella sua dimensione umana sia nella sua valenza cristologico-ecclesiale
Il "già" del matrimonio e il "non ancora" della verginità
All'interno di questo quadro, nel quale l'amore sponsale, dal Cantico dei cantici fino ai tempi di Cristo e della Chiesa e del matrimonio cristiano, include la dimensione verginale come esigenza della consacrazione reciproca, si delinea il posto anche per quella forma speciale di verginità che implica la rinuncia definitiva al matrimonio in questa vita. Questa forma di verginità, non solo spirituale, ma anche del corpo, è destinata: ad evidenziare che il tempo attuale è tempo dell'attesa delle nozze escatologiche e del riservarsi irreprensibili per lo Sposo, come il matrimonio ricorderà che il senso di questa attesa è l'unione gioiosa e definitiva fra Dio e l'umanità redenta. La verginità della vita consacrata è memoria ed espressione della verginità del cuore cui è chiamata tutta la Chiesa nel tempo del suo cammino nel tempo. Lo stato coniugale è ricordo della dimensione sponsale nella quale la Chiesa intera è già coinvolta e verso la cui pienezza è orientata. Ancora: il matrimonio racconta il "già" imperfetto delle nozze fra Cristo e la Chiesa; lo stato verginale rimanda al "non ancora" della festa nuziale ventura.
In altri termini, come c'è una verginità degli sposi, c'è una sponsalità dei vergini. E questo sotto il segno dell'unico amore («una fiamma divina») che accende ambedue le vocazioni in modalità e intensità diverse. Alla luce del Cantico dei cantici, letto nell'insieme della rivelazione biblica, è dunque possibile mostrare la compenetrazione dei due stati di vita cui si è accennato. Esiste una sponsalità verginale (per i coniugati) e una verginità sponsale (dei vergini per il Regno). Matrimonio e verginità appaiono dunque i due volti dell'unica Alleanza divino-umana. L'accento che viene messo in tempi recenti sull'utilità e la necessità di trovare uno stile di collaborazione feconda fra laici e religiosi, dovrebbe tener presenti anche queste elementari premesse riguardanti l'originaria e intrinseca coappartenza degli stati di vita.In conclusione, se la verginità consacrata è segno del tempo dell' attesa, l'incompletezza e la mancanza che essa evidenzia fa parte della sua essenza di stato di vita escatologicamente orientato. L'uomo e la donna, lo abbiamo detto, sono fatti per completarsi a vicenda. Già la solitudine di Adamo che non trova un aiuto che gli sia simile, dice tutto il senso di privazione che l'assenza della donna provoca in lui. Scegliere la verginità è scegliere una strada segnata dalla nostalgia di una pienezza ancora non concessa. 'L'aspetto faticoso della scelta della verginità non va sottovalutato, è inevitabile. Restare soli, anche se per amore di Cristo, è qualcosa che oltrepassa lo stesso disegno originario del Creatore: «Non è bene che l'uomo sia solo» (Gen 2,18). In mezzo alla bontà di tutta la creazione, la solitudine (dell'uomo o della donna) appare un "non-bene" agli occhi stessi di Dio. Questa solitudine può essere oggetto di scelta solo se inclusa in un' ottica relazionale e sponsale più alta: quella delle nozze escatologiche, dell' amore assoluto. Allora la solitudine, il vuoto ben visibile e sensibile che essa comporta, rinvia ad un' assenza, fa percepire il bisogno di altro, crea le condizioni del sentimento di insufficienza. Essa, vissuta come condizione di vita ecclesiale, è un segno eloquente di qualcosa di più grande che deve venire e a cui ci si sta preparando. Le Nozze, appunto, che verranno. Ma se l'elezione di questa solitudine va oltre la costituzione voluta da Dio per la sua creatura, essa sarà in grado anche di esprimere tutta l'eccedenza e la gratuità della grazia di Cristo rispetto al piano della creazione, che pure a lui è orientata.

Giulio Meiattini osb*

* Monaco dell' Abbazia "Madonna della Scala" in Noci (BA). Meditazione tenuta all'USMI della diocesi di Castellaneta (TA) nel dicembre 2009.
1) Per una presentazione sintetica di queste proposte interpretative cf G. RAVASI, Cantico dei cantici,Paoline,Cinisello Balsamo 1985, 17-28.
2) Da Origene a Gregorio di Nissa, da Guglielmo di Saint-Thierry a Giovanni della Croce, fino al recente R. Tournay, Il Cantico dei cantici, Gribaudi, Torino 1971, che comprende questo libro biblico, su basi esegetiche storico-critiche, come la descrizione del rapporto fra Dio e Israele-Gerusalemme.



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