martedì 15 ottobre 2013

BATTESIMO UNZIONE CRISMALE EUCARISTIA

P. DAMIANO COMO
BATTESIMO
UNZIONE CRISMALE
EUCARISTIA

TRADIZIONE LITURGICA E SPIRITUALITÀ DELLE CHIESE BIZANTINE
EDIZIONI ORIENTE CRISTIANO – PALERMO 1984


INDICE




SIGLE e ABBREVIAZIONI
ricorrenti nell’Introduzione, nelle Note al testo e nel Glossario


PG   indica la serie greca (Patrologia graeca) dell’opera «Patrologiae cursus completus» di Jacques-Paul MIGNE (1800-1875), che comprende le opere e gli scritti (testo greco e traduzione latina) dei Padri e Scrittori greci, da S. Barnaba al Conc. di Firenze (1439), in 161 volumi, raccolti tra il 1857 e il 1866.

PL   indica la serie latina (Patrologia latina) della stessa opera del MIGNE, che comprende testi e frammenti di 2614 Padri latini, da Tertulliano a Innocenze III, in 221 volumi (compresi 4 volumi di indici), portati a termine tra il 1845 e il 1864.

ABBREVIAZIONI BIBLICHE
(in ordine alfabetico)


a) Antico Testamento

 Dn – Daniele 
Dt
 – Deuteronomio 
Es
 – Esodo 
Ez
 – Ezechiele 
Gen
 – Genesi 
Ger
 – Geremia 
Gb
 – Giobbe 
Gdc
 – Giudici 
Is
 – Isaia 
Ne
 – Neemia 
Nm
 – Numeri 
Os
 – Osea
1-2 Re
 – 1-2 libro dei Re
Sal
 – Salmi 
Sap
 – Sapienza 
Tb
 – Tobia 
Zc
 – Zaccaria





b) Nuovo Testamento

 Ap – Apocalisse
At
 – Atti degli Apostoli
Col
 – Colossesi (Lettera di S. Paolo)
1-2 Cor
. – 1-2 Corinzi (Lettere di S. Paolo) 
Eb
 – Ebrei (Lettera di S. Paolo)
Ef
 – Efesini (Lettera di S. Paolo) 
Fil
 – Filippesi (Lettera di S. Paolo) 
Gal
 – Galati (Lettera di S. Paolo) 
Gv
 – Giovanni (Evangelo di) 
Lc
 – Luca (Evangelo di) 
Mc
 – Marco (Evangelo di) 
Mt
 – Matteo (Evangelo di) 
1 Pt
 – 1Epistola di S. Pietro 
Rm
 – Romani (Lettera di S. Paolo) 
1-2 Tim
 – 1-2 Timoteo (Lettere di S. Paolo) 
1-2 Ts
 – 1-2 Tessalonicesi (Lettere di S. Paolo)
Tt
 – Tito (Lettera di S. Paolo)



INTRODUZIONE
• Riti prebattesimali – Catecumenato
• Battesimo
• Unzione Crismale
• Eucaristia

Riti prebattesimali – Catecumenato
Quasi norma naturale, suggerita dalla stessa istituzione religiosa del battesimo, esistono dei riti esterni, introdotti fin dall’antichità, mediante i quali, da parte di chi si appresta a ricevere detto sacramento o da chi per lui se ne fa garante, oltre all’istruzione sulle dottrine in esso contenute, si è preteso anche un impegno morale di osservare o di farne osservare le prescrizioni. Ora, la fenomenologia delle religioni della terra mostra che «riti di iniziazione» sono sempre esistiti, in diversi significati: come «riti di passaggio» da una «classe di età» ad un’altra (nascita, pubertà, matrimonio, e così via), o come «riti di passaggio» ad una vita beata o supposta tale, eventualmente da ripetere o da cumulare con altre iniziazioni. Nel primo aspetto, cfr. le religioni storiche e le religioni «di natura» o «dei primitivi» (anche se tale linguaggio è impreciso). Per il secondo aspetto, cfr. «i misteri», come quelli eleusini, di Iside, ed altri, e i «gradi» delle sètte gnostiche (manichei, ed altri).
La iniziazione cristiana trae il suo nome di «iniziazione» (greco e latino) dal paganesimo, ma il contenuto è ontologicamente diverso, perché si configura sotto due direzioni inimitabili ed uniche:
a) poiché Cristo Signore stesso è «iniziato» dallo Spirito al Disegno del Padre o Mistero nascosto nei secoli in Dio: dunque è battezzato e «confermato» al Giordano, alla Trasfigurazione, al Getsemani, alla Croce, è Vittima regale sacerdotale, nella pienezza della Vita divina. Così si mostra nella sua Umanità il Verbo Dio;
b) «se a Lui – dunque anche a noi»: la iniziazione cristiana, nonostante le spiegazioni più assurde di autori moderni sempre superficiali, è tale perché il fedele è «assunto» dal Padre mediante il Figlio nello Spirito a vivere la stessa Vita divina, a cominciare dalla terra, e con «riti» «per l’uomo», che gli «significhino» e donino realmente il Destino di Cristo stesso.
Non si tratta di «riti di passaggio», mai. Per la fede cristiana non esistono «classi di età» da traversare come impedimenti tribali. Né gradi da salire. Né autocoscienze rituali salvifiche da raggiungere (come gli gnostici). Si tratta di puro Dono gratuito e sovrabbondante. Esso si inizia dalla Parola divina che salva, illumina e trasforma; postula ed esige la risposta che è l’«ascolto di fede»; induce alla purificazione del cuore; porta a celebrare Cristo Risorto nello Spirito accettando di vivere con lui «en mystérió – nella celebrazione del Mistero» la sua stessa vita, facendo con lui «corpo», cioè «ossa delle sue ossa e carne della sua carne». Tuttavia, anche per questo è necessario un cammino, un processo, attraverso cui la fede realizza, per mezzo di azioni rituali simboliche, la comunione con il Mistero di Cristo nella Chiesa. È proprio il caso dei riti pre-battesimali del catecumenato, oggi richiamati simbolicamente dalla Chiesa nella cerimonia che precede la celebrazione vera e propria del battesimo, e dei quali la stessa Chiesa sente vieppiù la necessità di spiegare la dottrina e l’importanza, mediante un’adeguata preparazione dei genitori e dei padrini, quali garanti del battezzando.
Anticamente i catecumeni venivano iscritti nei libri della Chiesa, prima nella lista dei simpatizzanti e solamente quando si decidevano di rompere definitivamente con il loro passato di tradizioni ed abitudini pagane, passavano nella lista di coloro che, specialmente a Milano, in Africa ed in Spagna, erano chiamati competentes, ed altrove eletti, come scrive Papa S. Leone ai Vescovi di Siciliai, secondo quanto riferisce il Musacchiaii). Questi si sottomettevano ad una lunga preparazione spirituale e dottrinale, impostata soprattutto sui grandi eventi della storia profetica della Rivelazione e sulle Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, ed accompagnata sempre da frequenti esorcismiiii. Detta preparazione avveniva in genere nel nartece, e i penitenti erano chiamati ακουώμενοι(audientes), e si distinguevano dai penitenti ammessi entro la porta della chiesa, chiamati υποπιπτόμενοι (prostrati), ed ancora da quelli appartenenti all’ultimo grado dei catecumeni, chiamati συνεστώτες perché ammessi ad assistere ad una parte della divina Liturgia.
Talvolta la permanenza nel catecumenato aveva durata assai lunga. Molti, infatti, per vari motivi preferivano restare catecumeni, rimandando il battesimo ad età avanzata, alcuni addirittura sul punto di morte. Per cui, in molti testi liturgici, la seconda serie di preghiere e di esorcismi dei riti prebattesimali del catecumenato porta ancora il titolo: «Supplica sul catecumeno in procinto di essere battezzato». Coloro, invece, che decidevano di ricevere il battesimo solennemente a Pasqua, già fin dalla prima settimana di quaresima si iscrivevano nella categoria degli illuminandiφωτιζόμενοι dando spesso ampie garanzie tramite i padrini (ανάδοχοι), i quali, quali fide-jussores, assolvevano a vari compiti, a cominciare dall’assistere il battezzando nella prima fase di preparazione al battesimo. Dopo la loro iscrizione, gli illuminandi iniziavano un digiuno piuttosto severo per tutta la quaresima e seguivano istruzioni quotidiane e catechesi riservate sul simbolo della fede e sulle regole morali del cristiano.
Per ricevere il battesimo, oltre alla data pasquale, in Oriente erano anche preferite la Pentecoste, in quanto in quel giorno è sceso sugli uomini il dono della rigenerazione attraverso il battesimo di fuoco, che gli Apostoli ricevettero dallo Spirito di Dio; e, soprattutto la Teofania, perché in essa è celebrato il battesimo di Cristo e la manifestazione della Ss.ma Trinità. Ma ogni occasione festiva è anche oggi buona per gli orientali, sebbene preferiscano la domenica, per l’interpretazione mistica di questo giorno, considerato inizio del giorno eterno, perché giorno della resurrezione di Cristo e nostraiv. Sul catecumeno che, in genere, si presentava scalzo e con una sola tunica (μονοχιτών), «poggiando i piedi nudi – scrive il Righetti – sopra un cilicio, simbolo dell’uomo vecchio che il cristiano deve deporre e calpestare per essere rivestito da Dio dell’uomo nuovo»v, gli esorcismi erano ripetuti più volte dall’esorcista, deputato a questa mansione. Solo nella settimana santa quest’ufficio era esercitato dal sacerdote o dal vescovo. «I catecumeni – scrive il Ferrari – si ponevano in ginocchio e davanti a loro passavano i presbiteri a chiedere singolarmente la rinunzia a Satana, con quelle formule ancora in uso nel rituale greco bizantino… A Costantinopoli questa cerimonia aveva luogo nella chiesa di S. Irene, vicino a quella di S. Sofia, e ad essa si dava grande importanza. Tra una domanda e l’altra il celebrante intercalava brevi esortazioni»vi. Per queste esortazioni, così come per la precedente preparazione catechetica, il celebrante si ispirava alle omelie e alle catechesi dei Padri, di cui sono tipici esempi soprattutto le Catechesi anagogiche «ad illuminandos» di Cirillo di Gerusalemme (†386), predicate durante la quaresima del 348. Però, la conoscenza di alcune verità sui misteri, specialmente quelle riguardanti l’Eucaristia, era riservata solo a coloro che avevano ricevuto il battesimo.
«Il catecumeno, poi, nell’atto di essere esorcizzato – scrive il Musacchia – doveva essere rivolto ad Oriente in rimembranza del paradiso terrestre, da dove il nostro primo padre ha esulato, e così aspettare da Cristo la celeste abitazione. Onde Elia di Creta nella orazione IX di Gregorio scrisse: queglino che saranno per conseguire la divina natività e spirituale rigenerazione devono stare ritti, rivolti all’Oriente rinunciando le opere dell’avversario. Il catecumeno deve tenere le mani dimesse per indicare di essere schiavo del demonio. Sinodo V di Costantinopoli Azione VI… S. Cirillo Cath. I spiega le rinuncie alle opere di Satanasso che sono i peccati, alle sue pompe che son gli spettacoli dei teatri, al suo culto cioè a dire non solo all’idolatria ma a tutte le superstizioni»vii. Simeone di Tessalonica ci ricorda che alcuni esorcisti hanno avuto dei fastidi perché non avevano eseguito bene o avevano omesso qualche esorcismo battesimaleviii. Anche oggi con gli esorcismi e con tutte le preghiere e le cerimonie che l’accompagnano s’intende mettere in fuga il demonio e preparare il cristiano a divenire tempio della Santa Trinità, in modo che possa entrare in chiesa come nella Gerusalemme celeste. Gli esorcismi si svolgono, come già detto, nel corso della cerimonia che precede il battesimo, cioè in quella con cui si deve costituire un catecumeno. Questa cerimonia, però, si usa assai spesso farla precedere dai riti dell’imposizione del nome e dell’ingresso al tempio del battezzando, che si sarebbero dovuti svolgere, invece, rispettivamente all’ottavo giorno e al quarantesimo giorno dopo la nascita del bambino; riti e cerimonie i cui testi vengono riportati in appendice alla presente pubblicazione.
Scrive il Musacchia: «oggi queste cerimonie si fanno ad un tratto: si va alla chiesa subito dopo la nascita, e vi si entra per una porta detta pagana; s’impone il nome alla creatura, si celebra l’εκκλησιάζεται, si fanno gli esorcismi e si amministra il battesimo. Al quarantesimo giorno si torna per la presentazione. Ciò è un dovere secondo la Chiesa greca; perocché la creatura è stata presentata al tempio, ma la madre, trovandosi ancora giacente a letto per lo puerperio non ha potuto eseguire la purificazione…»ix. Lo stesso fa notare come nel fare l’εκκλησιάζεται, «se è un maschio, il sacerdote l’introduce sino all’altare del Santuario; se femmina si arresta alle porte dette Speciose, dicendo: Ora concedi, o Signore che il tuo servo venga licenziato in pace, secondo la tua parola... (Lc 2, 29-32)»x. Quando, invece, la cerimonia dell’imposizione del nome avviene regolarmente, cioè all’ottavo giorno dalla nascita (cfr. in Appendice), il bambino è condotto – come spiega il Musacchia – fino alle porte del tempio, davanti alle quali si ferma «poiché non è ancora espiato colle acque del battesimo... i Greci cristiani, infatti, in memoria della redenzione del genere umano usano presentare la creatura nel tempio nell’ottavo giorno della sua nascita, affinché venga segnato col segno della croce mentre gli viene imposto quel nome, che i parenti abbiano voluto, col quale poscia si battezza, come toccò a nostro Signore Gesù Cristo nell’ottavo giorno della sua nascita, quando fu chiamato Gesù...»xi. E, invocando l’autorità di Simeone di Tessalonica, spiega ancora il Musacchia: «il bambino viene segnato in fronte per l’intelligenza, nella bocca per la loquela, nel petto per la facoltà di vivere, così per l’imposto nome viene scritto nel libro dell’eternità e rimenato alla madre...»xii.
Questi riti prebattesimali, anche se non tutti e non sempre osservati con quella rigorosità di tempi dettata dalle rubriche, sono comunque da conservare. Istituiti per una cristianità di circa due millenni fa, essi tuttavia, con le loro incisive espressioni e i loro simboli, ci parlano un linguaggio ancora ben comprensibile ed attraente, trasmettendoci un messaggio cristiano sempre fresco e sempre attuale. D’altra parte, la catechesi battesimale, rimasta in ogni tempo oggetto costante e primario della Chiesa ne rende più facile l’applicazione, così come i testi liturgici, rimasti immutati, testimoniano che la Chiesa può continuare validamente a trasmettere ai catecumeni di oggi quella stessa fede viva che i primi cristiani sapevano recepire e vivere.

Battesimo
L’opera redentrice, compiutasi una volta per sempre, riempie tutto il tempo e tutto lo spazio: l’uomo nuovo, nel Cristo risorto, è già formato nella sua santità; si tratta ora di raggiungere la perfezione unendosi a lui mediante i misteri (= sacramenti). Questi non pongono in essere una realtà nuova, perché la storia della salvezza è già conclusa col Cristo e in Lui, ma permettono nell’atto di riceverli di agire subito, facendo sì che divenga presente ciò che è già dato e concluso. Per cui, l’opera di infinito amore divino, con cui noi siamo rigenerati nel battesimo, «col cancellare i peccati, riconciliare Dio con l’uomo, rendere l’uomo figlio di Dio, aprire gli occhi dell’anima al raggio divino, in una parola, preparare alla vita futura»xiii, «è il principio della vita in Cristo ed è causa dell’essere e del vivere degli uomini, e della loro superiorità secondo la vera vita ed essenza»xiv. Questa descrizione del battesimo attraverso i suoi effetti sarà ancora completata ed approfondita man mano da altre spiegazioni che accompagneranno le varie denominazioni date dai Padri a questo santo Mistero. Intanto diciamo subito che l’onomastica battesimale è assai ricca e pregnante, specialmente nella letteratura patristica, e trae origine, in genere, dai benefici che opera tale Mistero. Il Cabasilas, che ricapitola e rilancia la teologia dei Padri greci dei primi secoli cristiani, scrive: «chiamiamo il battesimo nascitanuova creazione e sigillo; e poi anche: immersionevestecrisma; ed ancora: donoilluminazionelavacro»xv. Con gli stessi appellativi l’avevano chiamato: Clemente Alessandrino«Paedagogus, 1, 6; PG 8, 281a; Origene, In Ioannem, 4, 17; PG 14, 257b; Basilio: In Sanctum Baptisma, PG 31, 433ab; Cirillo di Gerusalemme in Protocatechesis, PG 39, 360a-361a;Gregorio di Nazianzo: Oratio catechetica, 32, PG 45, 81d-84-a; Giovanni Crisostomo in Epistol. ad Romanos, 111, 5. PG. 61, 160; ecc. Spesso esso è chiamato «illuminazione», appellativo già familiare e assai caro a S. Paoloxvi: infatti ci da una nuova vita e ci rende figli di Dio ed eredi del Regno.
Talvolta però una differente formazione culturale o anche il momento o le esigenze particolari delle Chiese da loro presiedute, portarono i Padri a privilegiare nella terminologia battesimale una particolare denominazione, dedicandole un più accentuato arricchimento di contenuti simbolico-mistici. Così, per esempio, gli appellativi battesimali di dono (χάρισμα), di rigenerazione (αναγέννησις), di illuminazione (φώτισμα) di lavacro (λουτρόν), ecc. di cui daremo più avanti, man mano che se ne presenta l’occasione, un nostro commento, nella letteratura patristica si colorano talvolta di particolari sfumature. E queste, però, più che introdurre una dottrina particolare o eterogenea, approfondiscono una teologia che parla concordemente ad una comune dottrina sul mistero battesimale, il quale purifica gli uomini dai peccati, dando loro la grazia della rinascita, la luce della vita incorruttibile e li prepara così alla deificazione.
Il battesimo è il primo dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Col suo lavacro (Βαπτίζω – immergeresommergere) di rigenerazione e di santificazione spirituale, operata questa misticamente dallo Spirito, cancella tutte le colpe ed apre la via al ritorno allo stato beato dell’uomo, in cui si trovò Adamo prima del peccato, e alla deificazione. Variamente prefigurato nell’Antico Testamento: nella creazione, nel diluvio, nel passaggio del mar Rosso, nella rupe percossa da Mosè; più volte predetto dai Profeti: Is 44, 3-4; Ez 36, 25-26; Zc 13, 1preparato da Giovanni Battista; è stato direttamente istituito da Gesù Cristo, il quale ne indicò il rito nel suo battesimo nel Giordano, dove sull’acqua si manifestò misteriosamente Dio-Trinità: il Padre che rese testimonianza «questo è il Figlio mio Diletto, in cui mi sono compiaciuto», il Figlio che rigenerò sulle acque del Giordano il genere umano, lo Spirito Santo, che, sotto forma di colomba, attestò la verità della voce del Padre. Lo stesso Gesù Cristo ne inculcò la necessità, come si legge nel colloquio con Nicodemoxvii e lo impose universalmente nel giorno dell’Ascensione: «Andate dunque ed ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo»xviii.
Per cui, il battesimo cristiano, sebbene somministrato dagli uomini, ha indipendentemente un suo valore soteriologico, in quanto in realtà è un’azione di Dio e del Cristoxix e, come tutti i sacramenti – secondo la classica definizione data dalla Confessione ortodossa – «è un’azione santa nella quale l’invisibile grazia di Dio viene comunicata al credente in un segno visibile»xx. Ecco perché i sacramenti sono chiamati dagli Orientali Mistìria (Misteri). Il μυστήριον infatti, è una realtà segreta, nascosta: «i misteri di Dio sono nascosti anche ai profani, perché Cristo li ha consegnati solo in parole»xxi. Ma sono chiamati Misteri anche perché in essi è Dio che opera, anche se attraverso l’atto del sacerdote. Afferma il Crisostomo: «quando il sacerdote battezza, non è lui che battezza, ma Dio, la cui presenza invisibile sostiene il capo del battezzato»xxii ... e Dio agisce attraverso i sacerdoti, anche se indegni, per salvare il popolo»xxiii. Infine, è bene ricordare che ogni sacramento è sempre un evento nella Chiesa, dalla Chiesa e per la Chiesa. Nella prassi antica, esso era accompagnato dall’άξιος (è degno) corale dei fedeli, cioè dalconsensus Ecclesiae, che in questo modo testimoniava il suo gradimento per colui che, ricevendo il dono pneumatoforo del sacramento, veniva associato alla comunità ecclesiale. In questo modo ogni sacramento si ripercuote sul Corpo che sono tutti i fedeli; ogni battezzato è un nuovo membro di cui si arricchisce la Chiesa, è una nuova nascita nella Chiesa, per cui il sacramento esclude ogni individualizzazione che isola l’atto e colui che lo riceve.
Solo nel seno della Chiesa, ogni uomo – come vedremo dopo – è cresciuto insieme ed è diventato compartecipe della morte e della resurrezione di Cristo. Battezzati nella morte e nella resurrezione di Cristo, infatti, lo Spirito Santo vivifica e ci unisce nell’unico corpo morto e glorificato di Cristo, dunque nella Chiesa, il luogo dove abita la pienezza di Cristo e dello Spirito Santo. Pertanto, «il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati.
… … …

Unzione crismale
Il Verbo Incarnato ha operato la salvezza della natura umana; Dio-Spirito Santo prosegue l’opera della salvezza di ciascuna persona umana, inserendola nel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. Per cui lo Spirito Santo continua l’opera della Redenzione, compiuta dal Verbo Incarnato, perché la Redenzione è opera di tutta la SS.ma Trinità. Ma perché i frutti della Redenzione diventino operanti in ciascuna persona umana è necessario – scrive il Ferrari – «il consenso pienamente libero di questa»xxiv. E continua lo stesso teologo: «Nessuno si può salvare se non lo vuole. Conoscere Dio nel concetto cristiano significa unirsi a Dio. E per unirsi a Dio occorre la trasformazione ontologica dell’uomo, essere deificati, venire cioè innalzati fino alla Sua somiglianza nella virtù… E questa trasformazione la compie lo Spirito Santo nei sacramenti. Il Vescovo o il presbitero prestano allo Spirito Santo le braccia, la bocca, gli occhi, ecc. perché Dio operi nel mondo sensibile. Ma è sempre lo Spirito Santo che veramente battezza, è solo Egli che cresima… Ma lo Spirito Santo non trasforma solo l’uomo. Tutto l’universo riceve da lui la vita e il movimento di ascesa verso Dio, perché canti la gloria di Dio. È lo Spirito Santo che trasforma la vasca e l’acqua battesimale in una entità celeste, soprasensibile, atta a rigenerare l’uomo alla vita soprannaturale. È lui che trasforma la Chiesa-edificio in un ambiente celeste, l’altare terrestre nell’altare celeste, identificandoli. Ogni rito sacro è compiuto dallo Spirito Santo per mezzo di noi uomini indegni. Quando noi diciamo «benedire», «santificare», ecc., chiediamo allo Spirito Santo di rendersi presente e, invocato dalla Chiesa, cioè dal sacerdote che ha ricevuto l’ordine sacro. Egli si rende sempre presente, perché è questa la promessa di Cristo e la sua parola non può mai venire meno»xxv. «Quando lo Spirito di verità sarà venuto, Egli vi guiderà verso tutta la verità…Egli mi glorificherà, perché riceverà dal mio e ve lo farà conoscere»xxvi: lo Spirito Santo, infatti, è l’anima del Corpo mistico di Cristo»xxvii. Questa verità è bene espressa nel rito dello zeon, l’acqua calda che viene versata nel calice eucaristico a simboleggiare la pulsazione e il calore dello Spirito Santo nell’Eucaristia. Per cui, è sempre il Ferrari che l’afferma: «il calice eucaristico deve essere obbligatoriamente caldo, perché contiene e trasmette lo Spirito Santo… Né qualcuno venga a dirci che anche senza questo rito noi possiamo ugualmente ricevere lo Spirito Santo; in questo modo renderemmo inutili tutti i sacramenti che con segni sensibili manifestano i contenuti profondi espressi dalla fedexxviii. Per cui, come nella Pentecoste venne dato agli Apostoli il dono delle lingue (la glossolalia) in modo da rivelare e magnificare la vita divina con linguaggio misterioso e con l’apparizione di tante lingue di fuoco, e il dono della comprensione fu dato a tutta la massa dei fedeli presenti, così oggi noi riceviamo nei sacramenti il dono dello Spirito Santo attraverso la materia sensibile, che ci permette meglio di glorificare Dio, incarnatosi per noi. Ora nella cresima «il corpo è unto dal myron visibile, l’anima è santificata dallo Spirito Santo»xxix. Quindi questi carismi che si ricevono per la cresima sono necessari per fortificare l’uomo interiormente rigenerato dal battesimo e per rendere perfetta la vita che è stata aggiunta in lui. In questo modo, ornato come un soldato difficilmente vincibile e che può affrontare gli assalti del maligno indirizzati contro di lui, il cresimato avanza nella vita spirituale e partecipa della dignità del Cristo.
Infatti, dice lo Pseudo Dionigi: «l’unzione col myron rende profumato colui che ha ricevuto l’iniziazione cristiana»xxx. «Tu, o Cristo, mi hai reso profumato col myron»xxxi. Scrive il Cabasilas: «prima dobbiamo essere lavati, poi unti, e così la mensa ci accoglie mondi e profumati»xxxii Perciò accediamo al myron «che è la comunione nello Spirito»xxxiii. «Il myron introduce lo stesso Signore Gesù e in lui è tutta la salvezza degli uomini e tutta la speranza dei beni; da lui ci viene la partecipazione allo Spirito Santo e per lui abbiamo accesso al Padre»xxxiv. Ecco perché la Chiesa ha sempre partecipato e sempre partecipa dello Spirito Santo attraverso il Mediatore, Cristo nostro Salvatore; ecco perché Ireneo chiama lo Spirito Santo «Communicatio Christi»xxxv; ecco perché dobbiamo ricevere il myron; per godere dei frutti dello Spirito Santo, che sono: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio dì sé»xxxvi. Concludiamo quindi col pensiero del Cabasilas: l’economia sacramentale è l’unica porta della salvezza. Per cui, non c’è carisma che non provenga dallo Spirito, così come non c’è Spirito se non mediante il mistero (sacramento) che lo conferisce.

Eucaristia
Una volta purificati e rigenerati dal bagno battesimale, divenuti cioè figli di Dio, e non più figli della carne e dell’ira, per mezzo della grazia che riceviamo dal battesimo, iniziamo un cammino – per così dire – a ritroso, per rientrare nell’eredità del Padre, riprendere la vita interrotta col peccato originale e raggiungere la meta per cui siamo stati creati. E come l’albero della scienza del bene e del male ci ha portato alla visione e al godimento della vita animale, schiavi della sensualità del cibo che si corrompe e ci corrompe, così, per mezzo del Paracleto, diveniamo pietre preziose «per essere l’abitazione di Dio»xxxvii e, innestati nell’albero della vita, che è lo stesso Cristo, essere riammessi nel Paradiso, da cui eravamo stati cacciati a causa del peccato.
Sono proprio questi tre atti, cioè la rinascita alla grazia, la riammissione in cielo, il possesso di Dio, che formano la visione mistica dell’unico Mistero dell’iniziazione cristiana, i quali ella visione umana comportano triplice rito e successione di tempo. Cristo opera nell’uomo, facendolo crescere insieme e rendendolo compartecipe della sua morte e resurrezione, lo Spirito Santo continua l’opera del Cristo, finché noi non arriviamo a nutrirci dell’immacolato e vivificante mistero eucaristico, cioè del corpo e del sangue stesso di Cristo, icone della nostra unione eterna con lui, della nostra deificazione. Lo scrittore bizantino Giobbe il Peccatore, del XIII secolo, ha così definito l’eucaristia: «il sacramento della partecipazione del pane e del vino trasmutati nel corpo e nel sangue del Salvatore nostro Gesù Cristo, che rendono chiaramente presente la sepoltura e la resurrezione del Signore»xxxviii. Non differiscono tanto da questa le definizioni che dell’Eucaristia danno i teologi ortodossi moderni, come l’Antroutsosxxxix e il Trembelasxxxx e altri ancora, i quali, in conformità con la spiritualità bizantina, ed in totale fedeltà e aderenza alla Parola del Nuovo Testamento, aggiungono: «... in remissione dei peccati e per la vita eterna». Per cui, in una visione escatologica, la dottrina della deificazione dell’uomo, tanto cara ai Padri greci, «non è né confusione né panteismo – scrive il Ferrari – ma è il nostro ingresso come membra sante in questo corpo divino, di cui lo Spirito Santo è anima e artefice, secondo l’insegnamento dell’Apostolo. La comunione col Cristo e quindi l’unione con Lui, non è, sotto un aspetto, la meta finale dell’uomo, ma una via necessaria per raggiungere la comunione con lo Spirito Santo. A differenza dell’Antico Testamento, dove tutto era simbolo ed ombra dei beni futuri, il Nuovo comporta sempre una realtà, accanto all’icone e all’αντίτυπον, che partecipano in modo misterioso, a questa realtà (dottrina del VII Concilio) perché Cristo si è incarnato e la Pentecoste è avvenuta. Nel sacramento della Cresima, come in quello dell’Eucaristia (Comunione) si manifesta questo duplice aspetto: lo Spirito scende realmente nell’anima del confermato e diventa custodia e guida della sua vita, mentre questa discesa e comunione è immagine della dimora eterna. Così l’Eucaristia, corpo vero di Cristo, si unisce all’uomo nella comunione e questa unione forma l’immagine del corpo mistico»xxxxi. Ed, infatti, come può finire il corpo nella corruzione – si domanda S. Ireneo – e non essere partecipe della vita, una volta che è nutrito col corpo e col sangue del Signore? E la risposta ce la fornisce lo stesso Padre, inquadrando perfettamente il mistero eucaristico in quello che è l’aspetto caratteristico della teologia biblica e orientale, paragonandolo cioè all’anticipo, all’arra della risurrezione e dell’unione con Dio: «come infatti il pane che proviene dalla terra avendo ricevuto l’invocazione di Dio non è più pane comune ma Eucaristia composto di due elementi, celeste e terrestre, così pure i nostri corpi che partecipano all’Eucaristia non sono più corruttibili, perché hanno la speranza della resurrezione eterna»xxxxii.
«Per i Padri orientali – asserisce il Ferrari – l’uomo è stato creato per essere rivestito di gloria, indirizzato verso l’alto, fatto per la vita soprannaturale, la vita della grazia… Al battesimo l’uomo muore e rinasce alla vita voluta da Dio e non a quella liberamente scelta da Adamo. A questa vita rinnovata, la vita della grazia, dopo il battesimo, necessita il cibo conforme alla sostanza dell’uomo, poiché egli è composto di anima e di corpo. L’uomo è per i Padri in uno stato intermedio tra gli angeli e gli animali inferiori, ma in potenza, atto a raggiungere la propria deificazione. L’Eucaristia, incorporando l’uomo in Cristo, nel Cristo glorioso, gli comunica la sua vita. Ecco il vero destino dell’uomo»xxxxiii.
Ogni sacramento conduce all’istituzione eucaristica e vi è incluso. Nella prassi antica esso era parte organica della liturgia eucaristica e si adempiva nel convito del Signore. Ogni sacramento è preceduto dalla sua epiclesi e dipende dall’economia dello Spirito Santo. Infatti «la liturgia corale umano-angelica del cielo intanto è attuabile anche sulla terra in quanto lo Spirito Santo estende alla Chiesa-corpo e le fa rivivere il mistero delle discese-ascese della Chiesa-capo, Cristo, cioè l’insieme dell’economia storico-salvifica divina»xxxxiv. E S. Cirillo di Gerusalemme: «Come il pane eucaristico diviene, attraverso l’invocazione (epiclesi) il Corpo di Cristo, così questo sacro balsamo attraverso l’invocazione (epiclesi) è divenuto efficace per la presenza della sua Divinità»xxxxv. «Tuttavia, se per san Basilio “lo Spirito è inseparabilmente unito al Padre e al Figlio in ogni azione”, sant’Ireneo considera l’economia della salvezza come procedente dal Padre, per il Figlio, verso lo Spirito Santo; dalla creazione attraverso l’incarnazione tutto è volto verso la Pentecoste, e in questo primo mattino della Chiesa il movimento viene invertito: nel tempo della Chiesa lo Spirito conduce ed incorpora tutti i fedeli al corpo di Cristo che il Figlio deporrà alla fine nelle mani del Padre»xxxxvi.
Nell’Eucaristia, fonte di tutte le grazie, si sono incontrati e continuano ad incontrarsi tutti i cristiani, ad essa si riferisce ogni sacramento, su di essa si fonda la Chiesa, a tal punto «di avvolgere la comunità dei fedeli con una piena manifestazione e con una totale partecipazione della divinità, nell’atto e nel momento culminante della unione-comunione eucaristica (théôsis), vero anticipo ai terrestri della luce dell’Ascensione del Signore Risorto: “Gli presteranno culto e vedranno la sua faccia”xxxxvii»xxxxviii. È quanto testimonia in coro la comunità cristiana con fede incrollabile, al termine della Liturgia bizantina: «Abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito sopraceleste, abbiamo trovato la vera fede nell’adorazione della Trinità indivisibile che ci ha salvati».



ΑΚΟΛΟΥΘΙΑ ΤΟΥ ΑΓΙΟΥ ΒΑΠΤΙΣΜΑΤΟΣ
RITO DEL SANTO BATTESIMO
•   Testo italiano del rito del catecumenato
•   Testo italiano del rito battesimale

I testi così come le rubriche di questa nostra traduzione italiana sono quelli dell’ΕΥΧΟΛΟΓΙΟΝ greco, in uso in tutte le Chiese bizantine.
Testo e rubriche si rifanno al Codice Γ β 1 (sec. XII), conservato a Grottaferrata, al quale nelle note facciamo riferimento citandolo semplicemente col nome diBessarione. Esso ci fa conoscere l’antica tradizione della Grande e Santa Chiesa-madre di Costantinopoli. Nella traduzione abbiamo altresì tenuto presente il ben notoΕΥΧΟΛΟΓΙΟΝ Sive Rituale Graecorum del Goar (ediz. Venezia 1730), al quale in genere fanno riferimento i liturgisti.




RITO PER COSTITUIRE UN CATECUMENO[1]
Il sacerdote, che indossa l’epitrachilion[2], soffia[3] sul volto di chi sta per essere illuminato e lo segna[4] tre volte con la mano sulla fronte e sul petto[5], dicendo:
Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amìn[6].

Preghiera di introduzione[7]
Preghiamo il Signore[8].
Nel tuo Nome, o Signore, Dio della verità, ed in quello dell’unigenito tuo Figlio, e del tuo Santo Spirito, impongo la mia mano sul tuo servo[9] … giudicato degno di trovare rifugio presso il tuo santo Nome e di essere custodito sotto la protezione delle tue ali. Rimuovi da lui quell’antico errore[10], e riempilo di fede in te, di speranza e di carità, perché conosca che tu sei il solo Dio, Dio vero[11], e l’unigenito tuo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, e il tuo Santo Spirito. Concedigli che possa camminare nell’osservanza di tutti i tuoi precetti e che custodisca ciò che è a te gradito: facendo queste azioni, infatti, l’uomo vivrà in esse. Scrivilo nel libro della tua vita[12] ed associalo al gregge dei tuoi eredi[13]. Sia glorificato in lui il santo Nome tuo e del tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, e del tuo vivificante Spirito. Siano sempre rivolti a lui i tuoi occhi e i tuoi orecchi, perché in misericordia possa esaudire la voce della sua preghiera. Allietalo nelle opere delle sue mani ed in tutta la sua stirpe, affinché, adorando e glorificando il tuo Nome, confessi te e a te innalzi lode ininterrottamente in tutti i giorni della sua vita. A te, infatti, inneggiano tutte le Potenze dei cieli, e tua è la gloria, Padre, e Figlio, e Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.

Esorcismo Primo[14]
Preghiamo il Signore.[15]
Ti redarguisce[16], o Diavolo, il Signore: Colui che è venuto nel mondo ed ha abitato tra gli uomini, distruggendo la tua tirannide e traendo in salvo gli uomini; Colui che ha trionfato sul legno[17] contro le avverse potenze, mentre il sole si oscurava e la terra tremava, i sepolcri si aprivano e i corpi dei Santi risuscitavano; Colui che con la morte ha distrutto la morte, ed ha abbattuto chi aveva il potere della morte, cioè te, o Diavolo. Esorcizzo te[18], in nome del Dio che ha mostrato il legno della vita e ha posto a sua custodia i Cherubini e la spada roteante di fuoco. Sii punito e retrocedi[19]. Ancora, esorcizzo te, in nome di Colui che ha camminato sulle onde del mare come su terra asciutta e ha comandato alla tempesta dei venti, il cui sguardo essicca gli abissi e la cui minaccia liquefà i monti. Egli stesso infatti, per ministero nostro, anche ora ti comanda: trema, esci, e dipartiti da questa creatura, e non ritornare più, né nasconderti in essa, né andare incontro ad essa e non influenzarla o farle violenza né di notte né di giorno, né di mattino né a mezzogiorno, ma ritorna nel tuo inferno[20] fino al grande giorno stabilito per il giudizio. Abbi timore di Dio, che siede sui Cherubini e scruta gli abissi, dinanzi al quale tremano gli Angeli, gli Arcangeli, i Troni, le Dominazioni, i Principati, le Virtù, le Potestà, i Cherubini dai molti occhi e i Serafini dalle sei ali, dinanzi al quale tremano il cielo e la terra, il mare e ciò che è in essi. Esci e dipartiti da chi ha ricevuto adesso il sigillo[21], arruolato come soldato di Cristo, Dio nostro: ti esorcizzo, infatti, per mandato di Colui che cammina sulle ali dei venti, che fa gli spiriti suoi messaggeri e i suoi ministri il fuoco ardente[22]. Esci, e dipartiti da questa creatura con tutta la tua potenza e i tuoi angeli. Poiché è glorificato il Nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.

Esorcismo Secondo
Preghiamo il Signore[23].
Il Dio santo, tremendo e glorioso, Colui che in tutte le opere e nella sua potenza è incomprensibile ed inscrutabile, Egli stesso che ti ha predestinato, o Diavolo, al tormento dell’eterna dannazione, per mezzo di noi, indegni suoi servi, comanda a te, e ad ogni potenza che con te opera, di stare lontano da chi ora è stato segnato nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, vero nostro Dio. Per cui esorcizzo te, malvagio, immondo, fetido, abominevole ed ostile spirito, per la potenza di Gesù Cristo, il quale ha potere in cielo e sulla terra, e che ha detto al demonio sordo e muto: esci da quest’uomo e non farvi più ritorno, dipartiti, riconosci vana la tua potenza, che non ha autorità nemmeno sui porci, ricordati di Colui che, su tua richiesta, ti permise di entrare nella mandria di porci[24]. Abbi timore di Dio, al cui comando la terra fu consolidata sopra le acque; di Colui che creò il cielo e fissò i monti a misura, e le valli a legamento, e pose l’arena a confine del mare e una strada sicura nell’acqua impetuosa, che tocca i monti e fumano, che si riveste di luce come d’un manto, che stende il cielo come una coperta, che sulle acque forma la volta delle eccelse sue dimore, che consolida sulle sue basi la terra, sicché non potrà vacillare nei secoli dei secoli, che convoca le acque del mare e le riversa su tutta la superficie terrestre[25]. Esci, e dipartiti da costui che si appresta a ricevere la santa illuminazione. Esorcizzo te, per la salutare Passione di nostro Signore Gesù Cristo, e per il suo prezioso Corpo e Sangue, e per la sua tremenda venuta. Verrà, infatti, e non tarderà[26], a giudicare tutta la terra, e te, e la potenza che con te coopera, nella geenna di fuoco[27], consegnandoci nella tenebra esterna, dove il verme non dorme e il fuoco non si spegne. Poiché la potenza[28] è di Cristo Dio nostro, assieme al Padre e al Santo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.

Esorcismo Terzo
Preghiamo il Signore.
O Signore Dio degli eserciti, Dio di Israele, che guarisci ogni malattia ed ogni languore, volgi il tuo sguardo sul tuo servo: indaga, investiga, ed allontana da lui tutte le insidie del Diavolo. Sgrida gli spiriti immondi e mettili in fuga, e purifica l’opera delle tue mani, e, usando la tua irresistibile forza, stritola prontamente Satana sotto i suoi piedi, e concedigli vittorie su di lui e su tutti gli spiriti immondi, affinché, ricevuta da te misericordia, sia reso degno dei tuoi immortali e celesti misteri, e dia gloria a te, Padre, e Figlio, e Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.

Preghiera sul catecumeno
Preghiamo il Signore.[29]
Dominatore Signore[30], che hai creato l’uomo a tua immagine e somiglianza[31], e gli hai dato il potere di conseguire la vita eterna e in seguito, essendo egli caduto a causa del peccato, non l’hai trascurato ma hai provveduto per mezzo dell’incarnazione del tuo Cristo alla salvezza del mondo; tu stesso accogli anche questa tua creatura, dopo averla liberata dalla schiavitù del nemico, nel tuo celeste Regno. Dischiudi gli occhi del suo intelletto, perché risplenda in essa la luce del tuo Evangelo. Associa alla sua vita un angelo luminoso, che la scampi da tutte le insidie dell’avversario, da ogni incontro col nemico, dal demonio di mezzogiorno, dai fantasmi maligni[32].

Cacciata del Diavolo
Quindi il sacerdote soffia[33] tre volte sul battezzando e lo segna sulla fronte, sulla bocca e sul petto, dicendo:
Caccia via da lui ogni spirito malvagio ed immondo, nascosto ed annidato nel suo cuore (3 volte): spirito d’inganno, spirito di malvagità, spirito di idolatria e di ogni cupidigia, spirito di menzogna e di ogni impurità, che agisce secondo l’istigazione del Diavolo. E rendilo pecorella spirituale del santo ovile del tuo Cristo[34], membro onorevole della tua Chiesa, vaso santificato, figlio della luce ed erede del tuo Regno[35], affinché, dopo essere vissuto nell’osservanza dei tuoi precetti e avere conservato intatto il tuo sigillo e custodita immacolata la veste, ottenga la beatitudine dei Santi[36] nel tuo Regno.
Ad alta voce:
Per la grazia, la misericordia e l’amore per gli uomini del tuo unigenito Figlio, col quale sei benedetto assieme al tuttosanto e buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.

Rinunzia a Satana
Al battezzando, svestito e scalzo, che tiene le mani protese in alto[37], ed è rivolto ad Occidente[38], il sacerdote domanda per tre volte:
Sac.: Rinunci a Satana? A tutte le sue opere? E a tutto il suo culto? E a tutti i suoi Angeli? E a tutte le sue vanità?[39]
A ciascuna domanda, il catecumeno o, in sua vece, il padrino, se si tratta di battezzando straniero o bambino, risponde:
R): Rinunzio.[40]
E dopo che lo avrà ripetuto tre volte, nuovamente il sacerdote interroga il battezzando:
Sac.: Hai rinunziato a Satana?
Il catecumeno o il suo padrino risponde:
R): Ho rinunziato (3 volte).
Riprende il sacerdote:
Sac.: Soffiagli e sputagli contro.[41]

Adesione a Cristo
Dopo ciò, il sacerdote rivolge ad Oriente[42] il battezzando, il quale tiene le mani abbassate, e gli chiede per tre volte:
Sac.: Ti unisci a Cristo?
Il catecumeno o il suo padrino risponde:
R): Mi unisco (3 volte)[43].
E nuovamente il sacerdote gli chiede per tre volte:
Sac.: Ti sei unito a Cristo?
Il catecumeno o il padrino ogni volta risponde:
R): Mi sono unito.
Riprende il sacerdote:
Sac.: E credi in lui?
Risponde il catecumeno o il padrino:
R): Credo in lui come Re e Dio.

Professione di fede
Quindi si recita il simbolo della fede:[44]
Credo nell’Unico Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le realtà visibili ed invisibili.
E nell’Unico Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’Unigenito, che è nato dal Padre prima di tutti i secoli. Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consustanziale al Padre, mediante il quale tutte le realtà sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dai cieli e si è incarnato da Spirito Santo e da Maria la Vergine e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, e morì e fu sepolto.
Ed è risuscitato al terzo giorno secondo le Scritture.
Ed è asceso nei cieli e siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà nella gloria a giudicare vivi e morti, e il suo Regno non avrà fine.
E nello Spirito Santo, il Signore, il Vivificante, che procede dal Padre, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, che ha parlato mediante i Profeti.
Nella Chiesa Una, Santa, Cattolica ed Apostolica.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la resurrezione dei morti.
E la vita del mondo che verrà. Amìn.
Terminata la recita del santo Simbolo, il sacerdote interroga nuovamente per tre volte il catecumeno:
Sac.: Ti sei unito a Cristo? ecc.
A ciascuna domanda il battezzando o il padrino risponde come sopra, finché non vengono ripetute per tre volte domande e risposte e la recita del Simbolo. Dopo il sacerdote chiede ancora:
Sac.: Ti sei unito a Cristo?
Il battezzando o il padrino risponde:
R): Mi sono unito.
Dice il sacerdote:
Sac.: Allora, adoralo.
Il battezzando o il padrino adora dicendo:
R): Adoro Padre, Figlio, e Spirito Santo, Trinità consustanziale ed indivisible.
Il sacerdote ad alta voce:

Preghiere conclusive
Benedetto il Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvi e pervengano alla conoscenza della verità, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
Quindi prosegue pregando:
Preghiamo il Signore.[45]
Sovrano, Signore Dio nostro[46], chiama il tuo servo … alla tua santa Illuminazione[47], e rendilo degno della grande grazia del tuo santo battesimo[48]. Spoglialo[49] di ciò che è vecchio e rigeneralo alla vita eterna[50]. Colmalo della forza del tuo Santo Spirito, per unirlo al tuo Cristo, affinché non sia più figlio della carne[51], ma figlio del tuo Regno[52]. Per la benevolenza e la grazia del tuo unigenito Figlio, col quale sei benedetto, assieme al tuttosanto e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.[53]

Congedo
Gloria a te, o Dio, speranza nostra, gloria a te.
Cristo vero Dio nostro, per le preghiere della sua purissima Madre, dei nostri santi Padri Teofori e di tutti i Santi, abbia pietà di noi e ci salvi, perché buono ed amico degli uomini.
Per le preghiere dei nostri santi Padri, Signore Gesù Cristo Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci. Amìn.
Il sacerdote entra indossando paramenti sacerdotali bianchi[54]. Accese tutte le luci, prende l’incensiere e si reca dove è posta la kolymvithra e l’incensa[55] girando attorno ad essa; quindi, deposto l’incensiere, fa l’adorazione[56].
Diac.: Benedici, Signore.
Sac.: (ad alta voce) Benedetto il Regno del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli[57].
Coro: Amìn.

Ektenia battesimale
Diac.: In pace preghiamo il Signore.
Coro: Kyrie elèison
(e così ad ogni invocazione del diacono)[58]
Diac.: Per la pace che viene dall’alto e per la salvezza delle anime nostre, preghiamo il Signore.
Per la pace del mondo intero, per la prosperità delle sante Chiese di Dio, e per l’unione di tutti, preghiamo il Signore.
Per questa santa Casa, e per coloro che vi entrano con fede, pietà e timore di Dio, preghiamo il Signore.
Per il nostro piissimo Vescovo, … per il venerabile presbiterio, per il diaconato in Cristo, per tutto il clero e il popolo, preghiamo il Signore.
Affinché quest’acqua sia santificata con l’infusione e la virtù e l’azione dello Spirito Santo, preghiamo il Signore.[59]
Affinché sia inviata su di essa la grazia della redenzione[60] la benedizione del Giordano[61], preghiamo il Signore.
Affinché scenda ad effondersi su queste acque la virtù purificatrice della supersustanziale Trinità,[62] preghiamo il Signore.
Affinché possiamo essere illuminati dalla luce della conoscenza e della pietà[63] in forza della presenza dello Spirito Santo, preghiamo il Signore.
Affinché quest’acqua si manifesti repulsiva ad ogni insidia dei nemici visibili ed invisibili,[64] preghiamo il Signore.
Affinché chi vi è battezzato divenga degno del Regno incorruttibile,[65] preghiamo il Signore.
Per colui che ora accede alla santa illuminazione,[66] e per la sua salvezza, preghiamo il Signore.
Affinché lo si proclami figlio della luce ed erede dei beni eterni,[67] preghiamo il Signore.
Affinché cresca assieme e divenga compartecipe della morte e della resurrezione di Cristo,[68] Dio nostro, preghiamo il Signore.
Affinché possa conservare puri ed immacolati la veste del battesimo e la caparra dello Spirito nel giorno tremendo di Cristo Dio nostro,[69] preghiamo il Signore.
Affinché quest’acqua divenga per lui lavacro di rigenerazione, per la remissione dei peccati,[70] e veste d’incorruttibilità[71]preghiamo il Signore.
Affinchè il Signore Dio nostro esaudisca la voce della nostra supplica, preghiamo il Signore.
Per essere liberati lui e noi da ogni afflizione, flagello, pericolo e necessità, preghiamo il Signore.
Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e custodiscici, o Dio, con la tua grazia.
Facendo memoria della tuttasanta, immacolata, benedetta, gloriosa Signora nostra, Madre di Dio e sempre Vergine Maria, insieme con tutti i Santi, raccomandiamo noi stessi, gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.
Coro: A te, o Signore.
Mentre il diacono declama le invocazioni di cui sopra, il sacerdote recita segretamente la seguente:

Preghiera[72]
Preghiamo il Signore.[73]
O Dio, pieno di clemenza e di misericordia, che scruti i cuori e i reni, tu che sei il solo a conoscere i segreti degli uomini: nulla infatti rimane nascosto alla tua presenza ma tutto è spoglio ed esposto ai tuoi occhi; tu che conosci tutto di me, non avermi in avversione e non distogliere da me il tuo volto, ma in quest’ora passa sopra alle mie colpe; tu che non ti soffermi sui peccati degli uomini che fanno penitenza, lava la sozzura del mio corpo e le macchie della mia anima, e santificami interamente con la potenza perfetta della tua invisibile e spirituale destra; affinché, annunziando agli altri la libertà ed accordandola loro per la fede connessa al tuo ineffabile amore per gli uomini, non venga io stesso riprovato come schiavo del peccato. No, o Signore, solo buono ed amico degli uomini, fa che io non ritorni umiliato e pieno di vergogna, ma inviami forza dall’alto e corroborami per il servizio del grande e sopraceleste Mistero che mi sta innanzi. Imprimi l’icona del tuo Cristo su colui che sta per rinascere, attraverso me, degno di compassione, ed edificalo sul fondamento dei tuoi[74] Apostoli e Profeti, e non sradicarlo mai, ma innestalo nella tua santa Chiesa Cattolica ed Apostolica come virgulto di verità da non estirparsi: affinché, progredendo egli nella pietà, sia glorificato anche per lui il santissimo Nome di te: Padre, e Figlio, e Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
Quindi il sacerdote declama solennemente la seguente:

Supplica per la santificazione dell’acqua
Grande sei, o Signore, e meravigliose sono le opere tue, e nessuna parola sarà sufficiente ad inneggiare le tue meraviglie (3 volte).[75]
Tu, infatti, dal nulla hai voluto trarre all’esistenza tutte le realtà, con la tua potenza reggi il creato, con la tua provvidenza governi il mondo, Tu, con quattro elementi[76] hai armonizzato l’universo, con quattro stagioni hai coronato il ciclo dell’anno. Dinanzi a te tremano tutte le spirituali Potenze; a te inneggia il sole; a te da gloria la luna; con te s’incontrano gli astri; a te obbedisce la luce; di te hanno paura gli abissi; a te sottostanno le sorgenti. Tu hai disteso il cielo come una tenda; tu hai consolidato la terra sopra le acque; tu hai posto la sabbia come argine attorno al mare; tu hai effuso l’aria per la respirazione. Le angeliche Potenze sono al tuo servizio, i cori degli Arcangeli ti adorano, i Cherubini dai molti occhi, e i Serafini dalle sei ali, standoti attorno e svolazzando, si velano per timore della tua inaccessibile gloria. Poiché tu, Dio incircoscritto,[77] senza inizio ed ineffabile, sei venuto sulla terra prendendo forma di schiavo e ti sei reso simile agli uomini: non hai infatti sopportato, o Signore, per la tua sviscerata misericordia, di vedere tiranneggiato dal diavolo il genere umano, ma sei venuto e ci hai salvato. Confessiamo la grazia, predichiamo la misericordia, non nascondiamo il beneficio. Hai liberato la progenie della nostra natura, hai santificato con la tua nascita il seno verginale, tutto il creato ha sciolto a te inni quando sei apparso. Poiché tu, o Dio nostro, ti sei mostrato sulla terra e sei vissuto assieme agli uomini: tu hai santificato anche le acque che scorrono nel Giordano, mandando loro[78] dal cielo il tuo Spirito tuttosanto,[79] e stritolando le teste dei dragoni che vi si annidavano.
Tu stesso, dunque, o Re amico degli uomini, sii presente anche ora per l’infusione del tuo Santo Spirito, e santifica quest’acqua (3 volte).[80]
E concedi ad essa la grazia della redenzione, la benedizione del Giordano. Rendila sorgente d’incorruttibilità, dono di santificazione, lavacro dei peccati, rimedio contro le infermità, rovina per i demoni, inaccessibile alle potenze contrarie, ricolma di angeliche virtù.[81] Fuggano lungi da essa coloro che insidiano la tua creatura. Poiché, o Signore, ho invocato il tuo Nome mirabile, glorioso e terribile per coloro che vi si schierano contro.
Segnando quindi l’acqua a forma di croce e, nel contempo, soffiandovi, il celebrante prosegue dicendo:
Siano annientate sotto il segno che raffigura la tua veneranda[82] Croce tutte le Potenze avverse (3 volte).[83]
Siano allontanati da noi tutti gli idoli eterei ed invisibili, non si nasconda in quest’acqua il demonio tenebroso, né discenda con chi vi è battezzato – ti supplichiamo, o Signore – lo spirito maligno che ottenebra i pensieri e turba le menti.[84] Ma tu, Sovrano dell’Universo, proclama quest’acqua, acqua di redenzione, acqua di santificazione, purificazione del corpo e dello spirito, liberazione dalle catene, remissione delle colpe, illuminazione delle anime, lavacro di rigenerazione, rinnovamento dello spirito, dono di divina adozione, veste d’incorruttibilità, fonte di vita.[85] Tu infatti, o Signore, hai detto; Lavatevi, e siate puri, togliete la malvagità dalle vostre anime.[86] Tu ci hai donato la rigenerazione celeste per mezzo dell’acqua e dello spirito.[87] Manifestati in essa,[88] o Signore, e fa che chi vi è battezzato si trasformi in modo da deporre il vecchio uomo, corrotto dalle brame della rilassatezza, per rivestirsi dell’uomo nuovo, rinnovato ad immagine[89] di chi l’ha creato; affinché, reso intimamente unito a somiglianza della tua[90] morte, per il battesimo divenga anche partecipe della tua[91] resurrezione, e, custodendo anche il dono del tuo Santo Spirito e fatto prosperare il deposito della grazia, possa ricevere il premio della celeste vocazione e sia annoverato tra i primogeniti, che sono registrati in cielo:[92] in te Dio e nel Signore nostro Gesù Cristo. Poiché a te si addice gloria, potenza, onore e adorazione, assieme all’eterno tuo Padre, e al tuttosanto e buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.
Sac.: Pace a tutti.
Coro: E allo spirito tuo.
Diac.: Inchiniamo il nostro capo al Signore.
Coro: A te, o Signore.
Il sacerdote soffia tre volte sull’olio[93] contenuto in un’apposita ampolla, che gli viene presentata dal diacono, e lo segna con la destra tre volte a forma di croce.
Diac.: Preghiamo il Signore.[94]
Coro: Kyrie elèison.

Preghiera sull’olio
Sac.: Sovrano, Signore, Dio dei Padri nostri, che hai mandato a coloro che erano nell’arca di Noè una colomba recante nel becco un ramoscello d’ulivo, simbolo di riconciliazione e di liberazione dal diluvio, e per essi hai prefigurato il mistero della grazia, tu che hai anche fornito il frutto dell’ulivo per la celebrazione dei tuoi santi Misteri, che in forza di esso hai riempito di Spirito Santo coloro che erano sotto la legge e perfezioni coloro che sono sotto la grazia, tu stesso benedici anche quest’olio con la potenza, la forza e l’infusione del tuo Santo Spirito, perché divenga crisma di incorruttibilità, arma di giustizia, rinnovamento dell’anima e del corpo, abominazione di ogni potenza diabolica, liberazione dei mali per coloro che se ne ungono con fede e che ne partecipano.[95]
Per la gloria tua, e dell’unigenito tuo Figlio, e del tuttosanto e buono e vivificante tuo[96] Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.
Diac.: Stiamo attenti.
Coro: Alliluia (3 volte).
Sac. (cantando assieme al coro Alliluia, prende l’ampolla dell’olio e ne versa una parte nella kolymvithra, tracciando con l’ampolla tre segni di croce.[97] Quindi ad alta voce):
Benedetto Dio che illumina e santifica ogni uomo che viene al mondo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.

Unzioni con l’olio
Viene quindi presentato il battezzando. Il sacerdote, attingendo dell’olio, lo unge, tracciando con tre dita[98] un segno di croce sulla fronte, sul petto, sul dorso, dicendo:
Sac.: È unto il servo di Dio ... con olio d’esultanza, nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amìn.[99]
mentre lo segna sul petto e sul dorso, dice:[100]
per la salute dell’anima e del corpo;
sugli orecchi:
per l’ascolto della fede;
sui piedi:
perché possa camminare sui tuoi passi;
sulle mani:
le tue mani mi hanno fatto e mi hanno plasmato.
Quindi il padrino procede ungendolo in tutte le altre parti del corpo. Terminate le unzioni, consegna il battezzando al sacerdote. Questi, tenendolo dritto, e rivolgendo ad Oriente sé stesso e il battezzando, lo immerge e lo riemerge dall’acqua lustrale tre volte, invocando ogni volta nominativamente ciascuna beata Ipostasi della divina Trinità, con la formula che segue. Ad ogni invocazione il popolo, unendosi al sacerdote, risponde: Amìn.

Conferimento del Battesimo
Sac.: È battezzato il Servo di Dio …
         nel Nome del Padre. Amìn.
         E del Figlio. Amìn.
         E dello Spirito Santo. Amìn.[101]
Dopo questo rito, il sacerdote porge al padrino il battezzato, che viene avvolto in un bianco asciugatoio.[102] Nel mentre il celebrante, lavandosi le mani, intona insieme al popolo il Salmo 31[103].
Beati coloro le cui iniquità sono state rimesse e i cui peccati son stati ricoperti. Beato l’uomo a cui il Signore non imputa alcun peccato, non vi è inganno nella sua bocca. Poiché ho taciuto, e si consumavano le mie ossa a forza di lamentarmi tutto il giorno. Poiché giorno e notte pesava su di me la tua mano, versavo in tribolazione, mentre una spina mi tormentava. Ho conosciuto il mio peccato e non ho nascosto la mia iniquità. Ho detto: «confesserò contro di me al Signore la mia iniquità», e tu hai rimesso l’empietà del mio cuore. Per questo davanti a te sarà in preghiera ogni santo a tempo opportuno, ma nel cataclisma di abbondanti acque non gli si potranno avvicinare. Tu sei mio rifugio contro la tribolazione che mi opprime; oh mia gioia, liberami da coloro che mi circondano. Ti renderò sapiente, e ti insegnerò la via nella quale camminerai, fermerò su di te i miei occhi. Non siate come il cavallo o come il mulo, che non hanno intelligenza. Con morso e briglie serri le mascelle di coloro che non si avvicinano a te. Numerosi i tormenti del peccatore; ma la misericordia circonderà chi confida nel Signore. Gioite nel Signore ed esultate, o giusti, e giubilate, voi tutti, retti di cuore.[104]

Vestizione
Mentre il neobattezzato viene rivestito, il celebrante dice:
Sac.: È rivestito il servo di Dio ... di una tunica di giustizia,[105] nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amìn.
Nel contempo viene cantato il seguente Tropario
Coro: Tono 4° plagale:
Porgimi una tunica luminosa, tu che ti sei avvolto di luce come d’un manto, o ricco di misericordia, Cristo Dio nostro.
Il sacerdote prosegue con la seguente:

Preghiera introduttoria all’Unzione crismale[106]
Preghiamo il Signore.
Benedetto sei tu, o Signore Dio onnipotente, fonte dei beni, sole di giustizia. Tu che hai fatto risplendere una luce di salvezza su coloro che erano nella tenebra, per la manifestazione del tuo unigenito Figlio e Dio nostro, e hai donato a noi indegni la beata purificazione nel santo Battesimo[107] e la divina santificazione nel vivificante Crisma; tu che adesso ti sei compiaciuto di rigenerare questo tuo servo neo-illuminato per mezzo dell’acqua e dello Spirito e gli hai accordato la remissione dei peccati volontari ed involontari, tu stesso, o Signore, Re universale[108] e pieno di misericordia, concedi al medesimo anche il sigillo del dono del tuo santo, onnipotente e adorato Spirito e la comunione del santo Corpo e del prezioso Sangue del tuo Cristo. Custodiscilo nella tua[109] santità, confermalo nella retta fede, liberalo dal maligno e da tutte le sue insidie; e con il salutare tuo timore custodisci la sua anima nella purezza e nella giustizia,[110] affinché in ogni sua opera e parola sia a te gradito e divenga figlio ed erede del tuo regno sopraceleste.
Quindi proseguendo ad alta voce:
Poiché tu sei il Dio nostro, Dio che dona misericordia e che salva, e a te rendiamo gloria, Padre, e Figlio, e Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli, dei secoli.
Coro: Amìn.[111]

Unzione col santo Myron
Dopo questa preghiera, il sacerdote col sacro Myron[112] unge il battezzato, segnandolo in forma di croce sulla fronte, gli occhi, le narici, la bocca, gli orecchi, il petto, le mani, i piedi,[113] dicendo:
Sac.: Sigillo[114] del dono dello Spirito Santo.[115] Amìn.

Giro di esultanza
Quindi il sacerdote compie un triplice giro[116] attorno alla kolymvithra, seguito dal padrino che porta sulle braccia il neo-illuminato, mentre il coro canta:
Coro: Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Alliluia (3 volte).[117]
           Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
           Vi siete rivestiti di Cristo. Alliluia.
Diac.: Potenza divina![118]
Coro: Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Alliluia.

Epistola
Diac.: Stiamo attenti.
Lett. Prokìmenon Tono 3°: Il Signore è mia luce e mio Salvatore: di chi avrò paura? Il Signore è protettore della mia vita: chi dovrò temere?[119] (Salmo 26, 1).
Diac.: Sapienza!
Lett.: Lettura dell’Epistola di Paolo ai Romani.
Diac.: Stiamo attenti.
(Rm 6, 3-11)
Lett.: Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte. Siamo stati sepolti insieme a lui in forza del battesimo nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti a causa della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati uniti nella somiglianza della sua morte, lo saremo anche in quella della sua risurrezione, sapendo questo che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e non dovessimo più servire al peccato. Chi infatti è morto è ormai affrancato dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, noi crediamo altresì che vivremo con lui, certi che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più, la morte non ha più alcun potere su di lui. La sua morte infatti fu un morire al peccato una volta per sempre, ma la sua vita un vivere a Dio. Così anche voi considerate voi stessi morti al peccato, ma viventi a Dio, in Gesù Cristo, nostro Signore.
Sac.: Pace a te che hai letto.
Coro: Alliluia (3 volte).[120]

Evangelo
Diac.: Sapienza! In piedi!
            Ascoltiamo il Santo Evangelo.
Sac.: Pace a tutti.
Coro: E al tuo spirito.
Diac.: Lettura del Santo Evangelo secondo Matteo. Stiamo attenti!
(Mt 28, 16-20)
In quel tempo gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. E quando lo videro gli si prostrarono, alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, parlò loro dicendo: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque ed ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Amìn.
Coro: Gloria a te, o Signore, gloria a te.[121]
Segue quindi regolarmente la divina Liturgia,[122] nel corso della quale il neoilluminato riceverà l’Eucarestia.[123] Se non segue subito dopo la Liturgia, si conclude con l’Apolisis (Congedo).

Apolisis
Diac.: Abbi pietà di noi, o Dio, secondo la tua grande misericordia, noi ti preghiamo, esaudiscici ed abbi pietà.
Coro: Kyrie elèison (3 volte).
(e così alle seguenti invocazioni del diacono)
Diac.: Ancora preghiamo per il nostro venerabilissimo Vescovo...
          Preghiamo ancora per implorare misericordia, vita, pace, santità, salvezza, protezione, perdono, e remissione dei peccati sul servo di Dio neo-illuminato … e sul suo padrino, il servo di Dio …
Sac.: Poiché tu sei Dio misericordioso e amico degli uomini, e noi rendiamo gloria a te, Padre, e Figlio, e Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.
Sac.: Colui che è benedetto, Cristo Dio nostro, in ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.
Diac.: Sapienza!
Coro: Benedici, o Signore.
Sac.: Gloria a te, Cristo Dio, speranza nostra, gloria a te.
Lett.: Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
         Kyrie elèison (3 volte).
         Padre santo, benedici.
Sac.: Cristo vero Dio nostro, per le preghiere della sua purissima Madre, dei nostri santi Padri Teofori, e di tutti i Santi, abbia pietà di noi e ci salvi, perché buono ed amico degli uomini.
         Per le preghiere dei nostri santi Padri, Signore Gesù Cristo Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci.
Coro: Amìn.



APPENDICE
In questa parte pubblichiamo preghiere e riti sacri connessi con la nascita e il battesimo del bambino.
Facciamo notare che qualcuno di essi è caduto in disuso (deposizione delle vesti candide all’ottavo giorno dopo il battesimo); qualche altro, invece, spesso si usa unirlo alla cerimonia del battesimo.
Di tutti diamo la traduzione italiana del testo greco e delle rubriche, così come si trovano negli eucologi, facendoli precedere dalle preghiere iniziali, che fanno da introduzione e da prologo, e che sono comuni ad ogni akolouthìa, specie se questa costituisce un rito a sé stante.

PREGHIERE INIZIALI
Sac.: Benedetto il Dio nostro in ogni tempo, ora e sempre e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.
Sac.: Gloria a te, o Dio nostro, gloria a te.
          Re celeste, Paraclito, Spirito di verità, che sei presente in ogni luogo e perfezioni ogni cosa, tesoro di beni e datore di vita, vieni ed abita in noi, e purificaci da ogni macchia, e salva, o Buono, le anime nostre.

TRISAGHION
Lettore: Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi (3 volte).
              Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
              Tuttasanta Trinità, abbi pietà di noi; o Signore, perdona i nostri peccati; o Sovrano, rimetti le nostre iniquità; o Santo, visita e sana le nostre infermità, per la gloria del tuo Nome.
              Kyrie elèison (3 volte),
              Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
              Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Sac.: Poiché tuo è il regno e la potenza e la gloria, del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.

ORAZIONI SULLA DONNA PUERPERA
nel primo giorno della nascita del bambino
Preghiamo il Signore.
Sovrano Signore Dio nostro, che guarisci ogni malattia ed ogni infermità, tu stesso sana oggi anche questa tua serva puerpera ... e sollevala dal letto in cui giace; poiché, secondo il detto del profeta David, siamo stati concepiti nelle iniquità, e tutti siamo impuri al tuo cospetto. Custodiscila assieme al bambino che ha partorito; proteggila all’ombra delle tue ali da oggi fino alla fine dei suoi giorni, per intercessione della tuttapura Madre di Dio e di tutti i Santi. Poiché sei benedetto nei secoli dei secoli. Amìn.

Preghiamo il Signore.
Sovrano Signore Dio nostro, tu che sei nato dalla tuttapura Signora nostra Madre di Dio e sempre Vergine Maria, e come bambino sei stato adagiato nella mangiatoia e sei stato mostrato come pargolo, tu stesso abbi pietà di questa tua serva, che oggi ha partorito questo bambino, e perdonale le colpe volontarie ed involontarie, custodiscila da ogni tirannide del diavolo, e proteggi il bambino da lei generato da ogni veleno, da ogni cattiveria, da ogni turbamento dell’avversario, dagli spiriti cattivi, diurni e notturni. Ponila sotto la protezione della tua potente mano, e concedile che si possa presto alzare e purificare da ogni impurità; mitigale altresì i dolori e concedi vigore e buona salute alla sua anima e al suo corpo.
Ancora, assistila per mezzo dei tuoi splendidi e luminosi Angeli e proteggila da ogni improvvisa insidia degli spiriti invisibili. Sì, o Signore, proteggila da malattia ed infermità, da gelosia e invidia, dal malocchio, ed abbi pietà di lei e del suo bambino per la tua grande misericordia, e purificala da ogni impurità del corpo, e dai vari disturbi viscerali che le sono sopraggiunti, e sollevala per la tua pronta bontà dalla prostrazione del corpo verso il ristabilimento, come pure il bambino da lei nato rendilo degno di pregare nel tempio terreno, che hai destinato perché venga glorificato il tuo santo Nome.
Poiché a te conviene ogni gloria, onore ed adorazione, al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amìn.

Preghiamo il Signore.
Signore Dio nostro, che ti sei compiaciuto discendere dai cieli e nascere dalla santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria, per la salvezza di noi peccatori, tu che conosci la debolezza dell’umana natura, perdona la tua serva ... che oggi ha partorito, secondo l’infinita tua sviscerata misericordia. Infatti, tu hai detto, o Signore: crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e dominatela. Per cui, anche noi tuoi servi ti preghiamo e, fiduciosi nel tuo paziente amore per gli uomini, gridiamo con timore al santo Nome della tua Maestà: riguardaci dal cielo, e comprendi l’infermità di noi colpevoli, e perdona la tua serva ... e tutta la casa, dove è nato il bambino, e perdona anche coloro che se ne sono contaminati, e tutti coloro che sono qui presenti, quale Dio buono ed amico degli uomini. Poiché tu solo hai potere di perdonare i peccati, per intercessione della santa Madre di Dio e di tutti i tuoi Santi.

ORAZIONE SULLA DONNA PUERPERA
dopo venti o quindici giorni (dalla nascita del bambino)[124]
Trisaghion, Santissima Trinità. Padre nostro. Apolytikion del giorno.
Preghiamo il Signore.
Signore Dio nostro, vero pane della vita nostra, tu che ci hai purificato e rigenerato per l’economia della tua incarnazione, e hai comandato che noi indegni tuoi servi benedicessimo e santificassimo coloro che si presentano nel tuo santo Nome, tu stesso, o Signore Dio nostro, purifica questa tua serva ... dalla sua avvenuta impurità corporale per l’espiazione di venti giorni. E benedicila e custodiscila così come il bambino che ha generato, e il fermento delle sue mani, e tutte le opere delle sue mani, affinché senza impedimento provveda al vitto di tutti coloro che abitano nella sua casa, secondo la tua santa volontà. Affinché possiamo lodare e adorare la tua immensa bontà nel Padre, e nel Figlio, e nello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

ORAZIONE PER SEGNARE CON LA CROCE IL BAMBINO
che prende nome nell’ottavo giorno della sua nascita
Bisogna sapere che nell’ottavo giorno dalla nascita, il bambino viene portato in chiesa dalla comare, la quale si ferma davanti alle porte del tempio. Il sacerdote recita le preghiere iniziali. Quindi: l’apolytikion del giorno o del Santo a cui è dedicata la chiesa. Poi segna il bambino sulla fronte, sulla bocca, sul petto, e recita la seguente preghiera.
Preghiamo il Signore.
Signore Dio nostro, ti preghiamo e ti supplichiamo, venga impressa la luce del tuo Volto su questo tuo servo ..., venga impressa la croce dell’unigenito tuo Figlio nel suo cuore e nei suoi pensieri, perché possa fuggire le vanità del mondo e ogni maligna insidia del nemico, e seguire i tuoi precetti. E concedi, o Signore, che il tuo santo Nome permanga in lui senza essere mai negato, e che egli venga aggregato in tempo opportuno alla tua santa Chiesa e reso perfetto per i tremendi Misteri del tuo Cristo; affinché, comportandosi nell’osservanza dei tuoi precetti e custodendo intatta l’impronta, possa partecipare alla beatitudine degli eletti nel tuo Regno. Per la grazia e la benevolenza del tuo unigenito Figlio, col quale sei benedetto assieme al tuttosanto, buono, e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
Quindi, prendendo il bambino nelle mani, il sacerdote si pone davanti alle porte del tempio o davanti all’icona della Madre di Dio, e traccia un segno di croce, dicendo:
Salve, o piena di grazia, Vergine, Madre di Dio, da te, infatti è brillato il sole della verità, il Cristo Dio nostro, che illumina coloro che sono nelle tenebre. Gioisci anche tu, vecchio giusto, che hai ricevuto nelle tue braccia il Liberatore delle nostre anime, che ci dona in grazia la resurrezione.
Dopo di che, avviene il Congedo.
Bisogna sapere che se il neonato è gravemente ammalato e non succhia latte ed è in pericolo di morte, non è necessario aspettare, come a torto dicono alcuni, il sesto o l’ottavo giorno per il battesimo, ma bisogna battezzarlo al momento stesso della nascita, subito dopo le abluzioni, affinché non muoia senza che sia stato illuminato. Infatti, se le gestanti di cinque mesi, che abortiscono a causa di qualche urto, incorrono nel reato di omicidio secondo la Legge e secondo i Canoni, quanto più è necessario evitare il danno che coloro che sono nati muoiano senza avere ricevuto l’illuminazione del battesimo?

ORAZIONE SULLA DONNA PUERPERA
dopo quaranta giorni per l’ingresso nel tempio del bambino
Al quarantesimo giorno il bambino viene nuovamente portato al tempio per esservi introdotto, cioè per iniziare ad abituarsi ad andare in chiesa. Vi è condotto dalla madre, che nel frattempo si è purificala e lavata, accompagnata da chi si è assunto l’impegno di fare da padrino per il battesimo.
Il sacerdote recita le preghiere iniziali. Segue l’apolytikion del giorno o del Santo a cui è dedicata la chiesa. Quindi:
Gloria al Padre… e ora e sempre…
Per le preghiere, o Signore, di tutti i tuoi Santi e della Madre di Dio, concedici la tua pace, ed abbi pietà di noi, poiché tu solo sei misericordioso.
Dopo, la madre, tenendo il bambino, inchina la testa, mentre il sacerdote traccia sul bambino un segno di croce e, toccandogli con la mano la testa, recita la seguente preghiera:
Preghiamo il Signore.
Signore Dio onnipotente, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, tu che hai creato con il tuo Verbo tutta la natura razionale ed irrazionale, e che dal niente hai condotto all’esistenza tutte le cose, ti preghiamo e ti supplichiamo: purifica da ogni peccato e da ogni altra macchia questa tua serva ..., che hai salvato per tua benevolenza, la quale entra nella tua santa Chiesa, affinché sia degna di partecipare irreprensibilmente dei tuoi santi Misteri.
Bisogna sapere che se il bambino non è più in vita, la preghiera viene letta fino a questo punto. Quindi, il sacerdote ad alta voce:
Poiché tu sei Dio buono ed amico degli uomini, e a te rendiamo gloria, al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
Se, invece, il bambino è vivo, il sacerdote continua con la seguente preghiera:
E benedici il bambino nato da lei, fallo crescere, santificalo, istruiscilo, rendilo saggio, inculcagli sano ragionamento, poiché tu l’hai portato al mondo e gli hai mostrato la luce sensibile, affinché nel tempo che hai stabilito possa anche fruire della luce spirituale e venga aggregato al tuo santo gregge, per l’unigenito tuo Figlio, col quale sei benedetto assieme al tuttosanto, buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
Sac.: Pace a tutti.
Coro: E al tuo spirito.
Sac.: Inchinate le vostre teste al Signore.
Coro: A te, o Signore.

PREGHIERA SULLA MADRE DEL BAMBINO
Signore Dio nostro, che sei venuto per la salvezza del genere umano, assisti anche la tua serva ... e rendila degna per le preghiere del tuo onorato sacerdozio di rifugiarsi nella tua santa Chiesa cattolica e di entrare nel tempio della tua gloria, ed ancora rendila degna di ricevere il venerando Corpo e Sangue del tuo Cristo. Lavale la sporcizia del corpo e la macchia dell’anima, compiendosi i suoi quaranta giorni, affinché sia resa degna di entrare nel tuo santo tempio e glorificare con noi il tuttosanto tuo Nome, del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.
Altra preghiera sul bambino che il sacerdote, segnandolo, recita:
Preghiamo il Signore.
Signore Dio nostro, tu che entro quaranta giorni hai fatto presentare il bambino nel Tempio della Legge da Maria, la tua incontaminata e santa Madre, e che fu portato nelle braccia del giusto Simeone, tu stesso, Sovrano onnipotente, benedici anche questo bambino che viene portato per comparire davanti a te, creatore di tutte le cose. Fallo crescere in ogni opera buona a te gradita, allontanando da lui ogni potenza contraria per l’imposizione dell’impronta della tua Croce. Tu, infatti, sei colui che proteggi i bambini, o Signore, che, reso degno del santo battesimo (se è già stato battezzato, dice: che, per il battesimo di cui già è stato giudicato degno), possa fare parte degli eletti del tuo regno, dopo essere stato preservato con noi dalla grazia della santa, e consustanziale ed indivisibile Trinità. A te, infatti, conviene ogni gloria, ringraziamento ed adorazione, assieme all’eterno tuo Padre, e al tuttosanto, e buono, e vivificante tuo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amìn.
Se il bambino è stato battezzato si può omettere la seguente preghiera o la parte finale di essa: e rendilo degno della rinascita… e si passa subita al rito dell’ingresso in chiesa del bambino.
Sac.: Pace a tutti.
Coro: E allo spirito tuo.
Sac.: Chinate le vostre teste al Signore.
O Dio, e Padre onnipotente, tu che mediante Isaia, quello dei profeti che ne ha più parlato, ci hai preannunziato il concepimento carnale dalla Vergine del tuo unigenito Figlio e Dio nostro, il quale, negli ultimi tempi, col tuo beneplacito e con la cooperazione del Santo Spirito, per la salvezza di noi mortali, con incommensurabile misericordia si è degnato nascere da lei e, secondo quanto prescritto nella tua santa Legge, dopo che si compirono i giorni della purificazione, ha permesso da vero legislatore di essere portato nel Tempio e si è compiaciuto di stare nelle braccia del giusto Simeone, del cui mistero riconosciamo la figura nel predetto profeta per la tenaglia del carbone, e la cui norma anche noi fedeli grazie alla legge osserviamo, tu stesso, o Signore, che proteggi i bambini, benedici questo bambino assieme ai suoi genitori e ai suoi padrini e, a tempo debito, rendilo degno della rinascita dall’acqua e dallo Spirito, e aggregalo al tuo santo gregge di pecore ragionevoli, chiamate nel nome del tuo Cristo. Poiché tu sei colui che abita negli eccelsi e riguarda gli umili, e a te rendiamo gloria, al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
Quindi il sacerdote, prendendo il bambino, traccia con lui un segno di croce davanti alle porte del Tempio, dicendo:
Il Servo di Dio ... entra nella chiesa, nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
Poi portandolo nella chiesa, dice:
Entrerà nella tua casa, ed adorerà nel tuo santo Tempio.
Ed avanzando verso il centro del tempio, dice:
Il servo di Dio … entra nella chiesa, nel nome del Padre...
Ed aggiunge:
Nel mezzo della chiesa, io scioglierò inni a te.
Infine, portandosi davanti alle porte del santuario, dice:
Il servo di Dio … entra nella chiesa, nel nome del Padre...
E, se è maschio, lo introduce nel santuario, se femmina, si ferma davanti alle porte dell’iconostasi, recitando:
Ora, o Signore, licenzia il tuo servo in pace, secondo la tua parola; che gli occhi miei hanno veduto la salute che tu hai preparato al cospetto di tutti i popoli, luce per illuminare le nazioni e gloria del popolo tuo Israele.
Al termine, il sacerdote consegna il bambino al padrino, il quale, dopo essersi segnato tre volte, lo prende e si allontana, mentre il sacerdote termina col rituale Congedo.

*   *   *

ORAZIONE SU UNA DONNA CHE HA ABORTITO[125]
II sacerdote, dopo avere recitato le Preghiere iniziali e l’apolytikion del giorno, prega:
Preghiamo il Signore.
Sovrano Signore Dio nostro, che sei nato dalla santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria, e sei stato adagiato come un bambino nella mangiatoia, tu stesso riguarda pietoso questa tua serva ... che è nei peccati, incorsa com’è in omicidio volontariamente od involontariamente, avendo abortito ciò che era stato concepito in lei. Condonale le sue colpe volontarie ed involontarie e proteggila da ogni macchinazione del diavolo. Purificala da impurità, guarisci i suoi mali, dona salute e forza al suo corpo e alla sua anima, tu che sei amico degli uomini; e per l’angelo luminoso proteggila da ogni attacco dai demoni invisibili. Similmente, o Signore, purificala da ogni malattia ed infermità, dalla sozzura corporale e dalle varie molestie viscerali che la provano, e conducila per la tua grande misericordia al ristabilimento del suo povero corpo. Alzala dal letto, in cui giace: nei peccati, infatti, siamo stati generati e nelle iniquità siamo tutti impuri al tuo cospetto, o Signore. Per cui, con timore gridiamo e diciamo: riguarda dal cielo, e guarda l’infermità di noi colpevoli e perdona a questa tua serva che è nei peccati, caduta com’è in omicidio, avendo volontariamente od involontariamente abortito ciò che era stato concepito in lei; e perdona tutti coloro che si sono trovati vicini a lei e l’hanno toccato, secondo la tua grande misericordia, come Dio pietoso, buono ed amico degli uomini. Tu solo, infatti, hai potere di rimettere peccati ed iniquità, per intercessione della tutta pura tua Madre e di tutti i Santi. Poiché a te si addice ogni gloria, onore, ed adorazione, al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.
Segue l’Apolysis.

*   *   *

ORAZIONE PER L’ABLUZIONE DOPO IL BATTESIMO
Sette giorni dopo il battesimo, si riconduce in chiesa il bambino per l’abluzione. Il sacerdote gli scioglie la veste e la fascia, recitando queste preghiere:
Preghiamo il Signore.
Signore, che col santo Battesimo hai concesso al tuo servo la remissione dei peccati, e gli hai largito la vita di rigenerazione, Tu stesso, Sovrano Signore, degnati di far risplendere nel suo cuore la luce del tuo Volto. Preserva dalle insidie dei nemici lo scudo della sua fede; conservagli incontaminata ed immacolata la veste della incorruttibilità che ha indossato, custodendo intatto in lui con la tua grazia il sigillo spirituale; sii misericordioso verso di lui come verso di noi, secondo la grandezza della tua sviscerata misericordia. Poiché è benedetto e glorificato il tuo onoratissimo e magnifico Nome, del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.[126]

Preghiamo il Signore.
Sovrano Signore Dio nostro, che in forza del lavacro battesimale concedi ai battezzati l’illuminazione celeste, che per mezzo di acqua e di Spirito hai fatto rinascere il tuo servo neo-illuminato, e gli hai concesso la remissione dei peccati volontari ed involontari, poni la tua potente mano su di lui, e custodiscilo con la forza della tua bontà, conserva inviolato il pegno della gloria, e rendilo degno della vita eterna e del tuo gradimento. Poiché tu sei la nostra santificazione, e noi rendiamo gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amìn.
Sac.: Pace a tutti.
Coro: E al tuo spirito.
Sac.: Chinate le vostre teste al Signore.
Coro: A te, o Signore.
Sac.: Colui che s’è rivestito di te, o Cristo, Signore e Dio nostro, ha chinato la testa davanti a te: vigila perché permanga un atleta invincibile contro chi invano combatte contro di lui e contro di noi e dichiaraci tutti definitivamente vincitori, donandoci l’immarcescibile tua corona. Poiché tuo è concedere misericordia e salvezza, e noi rendiamo gloria a te, assieme al tuo Padre senza principio, e al tuttosanto, e buono, e vivificante tuo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amìn.
Il sacerdote scioglie la fascia e la veste del bambino, poi riunite le loro estremità, le bagna nell’acqua pura, quindi asperge il bambino e dice:
Sei stato giustificato, illuminato, santificato, purificato nel Nome di nostro Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio.
Prendendo quindi una spugna nuova inzuppata d’acqua gli lava il viso, la testa, il petto, e il resto del corpo, dicendo:
Sei stato battezzato, illuminato, cresimato, santificato, lavato nel Nome del Padre, e del Figlio, e dello Spinto Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.

*   *   *

TONSURA DEL NEOFITO
Terminate le unzioni col myron, il celebrante procede alla tonsura del neofita, recitando prima le seguenti preghiere:
Sac.: Sovrano Signore Dio nostro, che hai onorato l’uomo creandolo a tua immagine, e l’hai dotato di un’anima razionale e di un corpo dignitoso, in modo che il corpo sia sottomesso all’anima razionale: tu, infatti, avendo posto la testa nella parte più alta, hai fissato in essa la maggior parte dei sensi, senza possibilità che si creino vicendevolmente impedimento; gli hai poi coperto la testa di capelli, perché non venga molestato dal cambiamento del tempo, ed hai disposto tutte le sue membra affinché con tutte quante esse renda grazie a te, sommo Artefice; tu stesso, o Sovrano, che ci hai insegnato mediante il tuo vaso d’elezione, l’apostolo Paolo, a fare tutto per la tua gloria, benedici assieme al suo padrino il tuo servo ... che si avvicina per offrirti quale primizia la tonsura dei capelli della sua testa, e concedi loro di istruirsi continuamente nella tua Legge e di compiere ciò che è di tuo gradimento.
Poiché tu sei Dio misericordioso ed amico degli uomini, e a te diamo gloria, al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.
Sac.: Pace a tutti.
Coro: E allo spirito tuo.
Diac.: Inchinate le vostre teste al Signore.
Coro: A te, o Signore.
Sac: Signore Dio nostro, che con il completamento della vasca battesimale hai santificato nella tua bontà quanti credono in te, benedici questo bambino e la tua benedizione discenda sulla sua testa. E così come hai benedetto il re David per mezzo del profeta Samuele, benedici anche la testa del tuo servo … per mezzo della mano di me peccatore, infondendogli il tuo Spirito Santo, affinché crescendo negli anni e raggiungendo la vecchiaia, ti indirizzi gloria, e veda in Gerusalemme opere buone in tutti i giorni della sua vita. Poiché a te si addice ogni gloria, onore, ed adorazione, al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.
Il sacerdote, tagliando i capelli in forma di croce, dice:
Il Servo di Dio… riceve la tonsura nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro: Amìn.





GLOSSARIO
Il presente glossario comprende termini soprattutto liturgici, riguardanti i Sacramenti o Mistìria dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Unzione crismale, Eucaristia) e quelli simbolico-mistici ad essi collegati, nonché la terminologia più generale, riguardante il calendario liturgico, il s. Tempio, gli oggetti e gli abiti liturgici, e quant’altro è utile ad una conoscenza della spiritualità e della tradizione ecclesiale bizantina.
Alcuni termini greci sono traslitterati in caratteri latini, secondo la pronunzia greca moderna, così come sono entrati nell’uso della tradizione dell’Oriente bizantino.
Infine, ci corre obbligo precisare che le varie e numerose voci di cui si compone il presente glossario non hanno altra pretesa se non quella di rendere un servizio pastorale, soprattutto ai nostri fedeli. Ci auguriamo che lo Spirito Santo illumini tutti e a tutti conceda comprensione e discernimento, supplendo alle nostre deficienze.
(NB: Alcune voci del Glossario sono state in qualche punto corrette, pertanto il testo non corrisponde in tutto a quello edito nel 1984)

ABLUZIONE (η Απόλουσις = abluzione). All’ottavo giorno dopo il battesimo, il battezzato veniva portato in chiesa per essere lavato dalle unzioni del myron (v.). Questa cerimonia, accompagnata da apposite preghiere e dalla deposizione delle fasce e della veste candida o veste luminosa (v.), prende il nome di abluzione.
ACQUA battesimale (το Ύδωρ βαπτίσεως). È l’acqua che viene consacrata di volta in volta per il battesimo dal sacerdote celebrante. Essa è sempre calda. È conosciuta anche col nome di «acqua lustrale », dal latino «luere» = lavare, purificare. Prima del battesimo e dopo la consacrazione della stessa acqua, vi si versa dell’olio, l’olio di esultanza (v.), secondo la prescrizione delle rubriche. Nella tradizione bizantina, l’acqua dove è stata battezzata una persona non può servire successivamente per il battesimo di un’altra, né per altri usi, ma va versata nel choneftìrion (v.). Se nella stessa acqua venisse battezzata una seconda persona, questa contrarrebbe cognazione spirituale con la prima.
ACQUA benedetta (το Αγίασμα) (Cfr. note 64, 75 e 97). Col termine di aghiasma s’intende l’acqua santificata nel corso dell’Aghiasmòs (v)., oppure il contenitore dell’acqua benedetta. I fedeli orientali, entrando in Chiesa, però, non intingono le dita della destra nell’acqua benedetta, contenuta nell’acquasantiera, che non vi si trova, ma si segnano e baciano le iconi esposte nel proskinitàrion (v.).
Con l’espressione τα Αγιάσματα (al plurale) s’intende tutto ciò che è benedetto dalla Chiesa, come acqua, pane, ecc.
ADAMO (novello adamo). S. Paolo chiama Gesù Cristo novello Adamo, perché è lui che salva l’umanità dal peccato (1Cor 15, 45; Col 3, 9). I Padri, associando la Madre di Dio all’opera di salvezza di suo Figlio, hanno chiamato Maria novella Eva. Il primo nella Patristica, a chiamarla così, fu il martire Giustino, nel dialogo col rabbino Trifone, ad Efeso nel 135. Il binomio analogico-antitetico Eva-Maria, sarà sviluppato 40 anni dopo, da S. Ireneo in Adv. Haereses, 3, 11. Adamo ed Eva rappresentano pertanto i progenitori dell’umanità, i quali vivevano in Paradiso nell’intimità con Dio. Eva, tentata dal diavolo «seduttore del mondo intero» (Ap 12, 9), indusse anche Adamo, nel desiderio di sostituirsi a Dio, ad accettare del frutto del bene e del male, per cui liberamente assieme ad Adamo si rivoltò a Dio, cessò di restare in comunione con lui, e assieme ad Adamo venne cacciata dal Paradiso. Tuttavia Dio non abbandonò la sua creatura, creata a sua immagine e somiglianza (cfr. nota 31), ed inviò il Verbo, il novello Adamo, il quale s’incarnò da Maria Vergine, la novella Eva, per ricondurre a Dio l’umanità. Da allora, come canta il tropario (v.) dell’Annunziazione, «inizia la nostra salvezza e si manifesta il mistero prima dei secoli: il Figlio di Dio diviene Figlio della Vergine e Gabriele annunzia la Grazia...». I Padri spesso sogliono fare un accostamento tra il luogo dove è stato sepolto Adamo e il luogo dove è stato crocifisso Cristo, novello Adamo, cosicché il cranio che si vede spesso ai piedi della croce rappresenta Adamo.
ADORAZIONE, fare ladorazione. Atto con cui si tributa il culto supremo di latria (λατρεία) riservato solo a Dio trascendente ed irrappresentabile; in senso più largo, adorazione viene tradotta col termine προσκύνησις, che designa una qualsiasi venerazione, un qualunque ossequio profondo. L’atteggiamento tipico della religiosità siciliana esprime assai bene il concetto di adorazione, facendola consistere in un inchino accompagnato dal gesto di portare alla bocca (ad os, da cui adorare) il pollice, l’indice e il medio della mano destra. Cfr. alla voce «Proskynima». Cfr. anche nota 56.
AFÒTISTOS (αφώτιστος = non illuminato). È chiamato così chi non è battezzato oppure colui, il cui battesimo, avvenuto in sette eretiche, non è riconosciuto valido. Termine contrario ad illuminato, privo di illuminazione (v.).
AGHIASMÒS (αγιασμός = benedizione, santificazione). Termine liturgico per indicare l’insieme dei riti e delle preghiere che si compiono per la benedizione dell’acqua. È detta Grande Aghiasmòs la cerimonia solenne della benedizione dell’acqua in occasione della festa della Teofania, per distinguerla dal Piccolo Aghiasmòs, che ha luogo in ogni altra occasione. Cfr. note 61, 81.
AGNELLO (ο Αμνός). Nel N. Testamento il termine è usato esclusivamente in riferimento a Gesù, il quale, mondo da colpa, ha sofferto ed è morto per gli altri, per cui è paragonato ad un agnello (Gv 1, 29, 36; At 8, 32; 1Pt 1, 19). Come termine liturgico, indica la particella di pane a forma di quadrato che porta impresso il monogramma di Cristo IC XC NI KA (Gesù Cristo vince), la quale nel rito della proskomidìa (v.) viene ricavata dalle oblate mentre il celebrante recita «come agnello è condotto al macello» (Is 53, 7). Nella Dossologia (v.) Megàli, che precede la liturgia, viene cantato: «Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli il peccato del mondo, abbi pietà di noi, tu che togli i peccati del mondo» (Gv 1, 29).
AIR (Αήρ). È il più grande dei tre veli di stoffa o di seta (τα καλύμματα), ornato di ricami o di vistosi galloni. Serve a coprire insieme diskos (v.) e calice (v.), quasi nuvola della presenza protettrice di Dio che ricopre la terra. Esso si usa anche per coprire una teca contenente reliquie di Santi o un antiminsion (v.), e talvolta per coprire il capo di un sacerdote defunto, sul cui petto viene di solito deposto il libro dell’Evangelo che mostra l’icona della Resurrezione.
ALFA e OMEGA (Α e Ω). «L’alfa e omega» (Ap. 1, 8; 22, 13) designa l’eternità di Dio ma anche il principio e la fine di tutto: È per il Signore «da lui, attraverso lui e per lui (Rm 11, 36) che tutte le cose sono state create, verità che si scopre man mano che si entra nel mistero delle Scritture. Tale motto, specialmente intermezzato dal monogramma di Χριστός è usato nelle epigrafi, sigilli, mosaici, sarcofagi e si trova anche impresso in diversi oggetti sacri.
AKOLOUTHIA (η ακολουθία = séguito, ufficiatura). Sta ad indicare il rituale, l’ufficio, la cerimonia ed anche l’ordine da seguire nella recita dell’insieme di preghiere che compongono una determinata ufficiatura.
AKRIVIA. Cfr. alla voce «Economia».
ALLILUIA. Acclamazione ebraica, che significa «Lodate Jahvé» (Sal 103-106; 110-116; 134; 146-150; che terminano con Alleluia). È entrata nell’uso liturgico come acclamazione a se stante: in questo senso si canta al termine della lettura dell’epistola nella Liturgia, prima dell’Evangelo.
ALTARE o sacra mensa. L’altare è il centro del culto sacrificale e segno della presenza divina. Uno dei primi altari, di cui si abbia notizia, è quello ricordato dalla Bibbia (Gen 8, 20), eretto da Noè dopo l’uscita dall’arca. L’altare cristiano è situato nella parte più importante del tempio (v.). Per l’altare nelle chiese bizantine, cfr. alla voce « Mensa».
AMBONE (probabilmente dal greco αναβαίνω = salgo). Corrisponde all’attuale pulpito, situato dinanzi al presbiterio. Assunse particolare sviluppo nell’architettura bizantina. Anticamente vi salivano anche i cantori per il canto delle Antifone (v.); Oggi esso è usato dal diacono per declamare l’Evangelo (v.) ed anche dal sacerdote per l’omelia ai fedeli. Famoso l’ambone di S. Sofia in Costantinopoli, eretto dall’imperatore Giustiniano (527-565), che ci è noto per la descrizione di Paolo Silenziario (PG 86, 2251-2264). Maestoso anche quello della cappella Palatina in Palermo (Cfr. Crispino ValenzianoL’ambone icone spaziale della Resurrezione in «La Vita in Cristo e nella Chiesa», 1978, pag. 11-26).
AMIN (Αμήν). Nell’A. Testamento questa parola è usata dal singolo e dalla collettività a ribadire l’accettazione di un incarico affidato da uomini, per l’esecuzione del quale si ha tuttavia bisogno della positiva volontà di Dio (1Re 1, 36); come conferma e accettazione del compiersi nei propri confronti di una minaccia di Dio e di una maledizione (Nm 5, 22; Dt 27, 15; Ger 11, 5; Ne 5, 13); come attestazione di lode a Dio, nella risposta ad una dossologia (v.). In questi casi, «Amìn» costituisce il riconoscimento di determinate parole come «certe» e, in quanto tali, vincolanti in forza di questo riconoscimento, per chi le pronunzia e per tutti. «Amìn» significa dunque: ciò è certo e valido. Nel N. Testamento la parola «Amìn» è usata: come acclamazione liturgica (1Cor 14, 16; Ap 5, 14); come conclusione di dossologie (Rm 1, 25; 9, 5; 11, 36; Gal 1, 5; Ef 3, 21; ecc.); come riconoscimento ed obbedienza al «sì» divino, col quale si identifica (H. SchilierΑμήν «Grande Lessico del N. Testamento» di G. Kittel, Paideia, Brescia, 1965, vol. I, col. 909-916). Per concludere, diamo una spiegazione alquanto originale. Secondo qualche biblista, Αμήν non è che l’acrostico di Α (= Adonai, Dio), μη (= Melek, Re), ν (= Neeman, Popolo). Per cui con Amìn, l’orante non fa che chiamare Dio, Re, Popolo in testimonianza di quanto asserisco, certo di esprimere con la sua preghiera una verità inconfutabile. L’Amìn o Amen, infine, è usato come atto di approvazione, come formula di augurio, al di fuori della Liturgia. Ed ancora: come segno sacro e misterioso da apporre a suggello delle proprie opere.
ANÁDOCHOS (ο ανάδοχος = garante, fideiussore, padrino, sponsor). Cfr. alla voce «Padrino».
ANAFORA = offerta. È l’elevazione (dal greco αναφέρω) della vittima per offrirla in sacrificio a Dio. Come termine liturgico anafora designa la parte centrale della liturgia eucaristica, quella cioè in cui si compie il sacrificio. Essa si compone di tre parti: a) preghiera di ringraziamento per la creazione, indirizzata al Padre; b) memoriale che riconosce (anamnesi) l’opera redentrice e liberatrice del Figlio; e) supplica o invocazione (epiclesi) per la discesa dello Spirito Santo, per ricevere attraverso Lui la «pienezza del Regno».
ANAGHNÒSTIS (ο Αναγνώστης). È il fedele cui è stato conferito l’ordine del Lettorato, deputato particolarmente alla lettura dell’epistola.
ANALOGHION (το Αναλόγιον). E il leggio a due o a quattro facce, ad uso dei cantori nel coro.
ANAMNESI (η Ανάμνησις = ricordo, reminiscenza, da μνήμη = memoria). È intesa non solo come commemorazione quanto piuttosto come richiamo ad una realtà presente (Lc 22, 19; 1Cor 11, 24).
ANGELO (ο Άγγελος = messaggero, angelo). Gli angeli sono puri spiriti, creati da Dio dal nulla a sua immagine. Hanno avuto assegnate particolari mansioni, a protezione di tutte le nazioni e di ogni popolo, per il bene di tutti coloro che devono ricevere l’eredità della salvezza. In cielo essi vedono continuamente Dio ed intercedono per noi. Essi sono gli interpreti e i mediatori dell’azione divina (Gb 15, 23; Ez 40, 3; Gal 3, 19); il loro numero è indefinito. La Bibbia identifica spesso gli angeli con la luce e il fuoco, o per lo meno li assimila a questa sfera. Nell’A. Testamento i Cherubini sono posti a guardia del Paradiso, dopo la cacciata di Adamo e di Eva (Gen 3, 24); tre angeli appaiono ad Abramo (Gen 18, 2); l’angelo che appare ai genitori di Sansone sale in cielo nella fiamma dell’olocausto da lui stesso ordinato (Gdc 13, 21); l’angelo Raffaele aiuta Tobia (Tb 5, 4); Michele e Gabriele sono ricordati da Daniele (Dn 10, 13); ecc. Nel N. Testamento: la folgore guizza da una parte all’altra del cielo; altrettanto gli angeli (Mt 24, 27, 31); l’angelo sceso dal cielo nella notte di Pasqua per rotolare la pietra del sepolcro ormai vuoto «è splendente come un lampo» (Mt 28, 3); «ho visto Satana precipitare dal cielo, come folgore» – dice Gesù (Lc 10, 18); degli angeli parla anche l’Apocalisse, gli Evangeli nel racconto della nascita e della risurrezione di Cristo, e S. Paolo, il quale ne enumera varie categorie. Ricevono nomi in rapporto alle loro funzioni: Raffaele = Dio guarisce (Tb 3, 17); Gabriele = eroe di Dio (Dn 8, 16; 9, 21); Michele = chi è come Dio? A quest’ultimo è affidata la comunità giudaica (Dn 10, 13, 21; 12, 1). Ma è Dionigi l’Areopagita a delineare un sistema di Gerarchie angeliche, articolato in tre triadi di puri spiriti, disposti in cerchi concentrici e allo stesso tempo degradanti, secondo quest’ordine: Serafini, Cherubini, Troni; Dominazioni, Virtù, Potestà; Principati, Arcangeli, Angeli. La prima triade gode di una posizione straordinaria: essa è l’unica ad avere rapporti diretti e immediati con Dio (PG 3, 205b-212c). Le altre triadi (per la 2ª = PG 3, 237b-241c; per la 3ª = PG 3, 257a-261d) possono ricevere divine irradiazioni tramite la prima. La terza triade è la più vicina al mondo terreno che, a sua volta, secondo lo stesso Dionigi, comprende altre gerarchie: quella della Legge e quella della Chiesa (PG 3, 257d-260b). Cosicché quest’ordinamento gerarchico che governa l’intero cosmo, è in definitiva icona della bellezza di Dio, che domina tutto. In questo modo «l’ordinamento a gradi della Gerarchia – è sempre lo stesso Dionigi che l’afferma – determina il fatto che gli uni sono purificati, e gli altri purificano; che gli uni sono illuminati, e gli altri illuminano; che gli uni sono portati alla perfezione; e gli altri operano per perfezionare» (PG 3, 165b).
La Chiesa bizantina festeggia in modo solenne S. Michele Arcangelo, capo di tutti i Principi del cielo, assieme a tutte le angeliche Schiere, l’8 novembre.
ANGELO custode. È l’angelo guida che accompagna l’uomo per tutta la vita, lo stesso che la Liturgia bizantina invoca «angelo di pace, guida fedele, custode delle nostre anime e dei nostri corpi». Egli ne diviene, infatti, custode e protettore, come sta scritto già nell’A. Testamento (Es 23, 20; Dt 32, 8; Tb 5, 4; Dn 10, 13). L’idea dell’Angelo custode ricorre in Mt 18, 10 come espressione dell’amore di Dio per i piccoli e in At 12, 15. L’uomo, però, è posto tra due angeli: «...vedi perciò come sia bene seguire l’angelo della giustizia e rinunziare a quello del male. Questo comandamento insegna l’atteggiamento che la fede comporta, affinché tu confidi nelle opere dell’angelo della giustizia e, compiendole, tu viva per Dio» (Erma, Il PastoreVI precetto, 2, 8-10). Ma l’uomo deve amare gli angeli del bene, quelli cioè con cui «egli forma l’unica città di Dio» (S. AgostinoLa città di Dio, 10, 7), di cui egli è la componente pellegrina, mentre l’angelo quella che lo soccorre con il suo amore misericordioso e che gli fa conoscere la volontà rivelata da Dio, «l’angelo del gran Consiglio» (Is 9, 6). Cfr. anche nota n. 32.
ANNO ecclesiastico. Cfr. alla voce «Calendario».
ANOCATHÉDRA (η άνω καθέδρα). È la cattedra episcopale, situata dietro l’altare e addossata in posto elevato al centro dell’abside. Oltre che di essa, in seguito, il vescovo si è servito anche del Trono (Δεσποτικόν), fuori dell’iconostasi (v.), riservato anticamente all’imperatore, riunendo in questo modo il potere sacro a quello temporale, per cui il Vescovo è chiamato Αρχιερεύς και Δεσπότης.
ANTICIPO (Αρραβών). Cfr. alla voce «Arra».
ANTIDORON (το Αντίδωρον = dono fatto in cambio di un altro). È il pane rimasto dalla prosforà (v.) che, benedetto durante la liturgia, viene distribuito ai fedeli al termine di essa e da questi assunto come sacramentale. Il fedele lo riceve con profondo rispetto e venerazione, ricevutolo, bacia la mano del sacerdote. L’antìdoron viene mangiato o portato a casa dal fedele in testimonianza carismatica di unità e di amore. Anche questo pane, sebbene non sia stato consacrato ma solo offerto a Dio e da Dio ricevuto, e quindi non mutato in corpo del Signore, si raccomanda di mangiarlo a digiuno. Esso per i cristiani è segno di comunione, per cui va distribuito solo tra coloro che sono in comunione, comunque mai ai pagani o agli eretici. A coloro che non sono digiuni si consiglia di avvolgerlo in una salviettina e di prenderlo l’indomani a digiuno.
ANTIFONA (dal greco αντίφωνος = che risuona contro). Nella liturgia quotidiana, le antìfone sono versetti di salmi (v.), intercalati da una breve invocazione (canto responsoriale), che fa da ritornello, propria per ciascuna antifona. È proprio questo il modo di antifonare (= rispondere). Nella liturgia bizantina quotidiana ci restano oggi solo tre o quattro versetti per ciascuna antìfona che, con il relativo ritornello del Salmo antifonato, prendono il nome di la, 2a e 3a antìfona. Nelle domeniche e in alcune feste dell’anno liturgico, invece delle antìfone, vengono comunemente cantati i typika (v.), cioè i Salmi 102, 145 e le Beatitudini (v.), rispettivamente al posto della la, 2a e 3a antìfona.
ANTIMÌNSION (το Αντιμήνσιον). È un pezzo di stoffa di 50-60 cm2, destinato a fare le veci di un altare consacrato. In esso sono racchiuse delle reliquie di Santi e vi è raffigurata quasi sempre la deposizione del Cristo dalla croce e gli strumenti della passione. Il Vescovo lo consacra solennemente con un cerimoniale simile a quello della consacrazione dell’altare e ne consegna uno ad ogni nuovo sacerdote, in segno di abilitazione a celebrare la divina Liturgia.
APOCATÁSTASI (dal greco αποκαθήστημι = ristabilisco). Per cui l’apocatàstasi riguarda il ristabilimento dell’ordine primitivo, la restaurazione e trasfigurazione universale, quando Dio sarà «del tutto in tutti»; 1Cor 15, 28). Su come questa avverrà, cfr. note 27 e 65. Cfr. anche alla voce «Parusia».
APOLOGÈTICI. Libri e scrittori dei primi secoli cristiani, che difendono ed esaltano la nuova religione di Cristo. Cfr. alla voce «Padri della Chiesa».
APÒLYSIS (η Απόλυσις = congedo, dal greco απολύω = sciolgo). Breve cerimonia a conclusione di una ufficiatura, con cui viene sciolta l’assemblea dei fedeli. Piccola Apolysis o Grande Apolysis, a secondo della lunghezza della formula con cui vengono congedati i fedeli.
APOLYTÌKION (το Απολυτίκιον). Strofa innologica che ha cominciato ad essere cantata alla fine del Vespro, quando veniva sciolta l’assemblea dei fedeli. Ogni festa ha il suo apolytikion, che riassume il tema del mistero o del Santo che vi si festeggia. Esso è il più antico dei tropari propri della festa, per cui viene anche chiamato tropàrio del giorno o semplicemente tropàrio (v.).
APOSTOLI (dal greco αποστέλλω = invio, mando). Furono così chiamati i 12 discepoli, scelti da Cristo (Mt 10, 5; 20, 17; Mc 6, 7; At 6, 2; 1Cor 15, 5; ecc.) per diffondere l’Evangelo e il Regno di Dio in tutto il mondo. I loro nomi sono: Simone, chiamato poi Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedeo e Giovanni, suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo, il pubblicano; Giacomo di Alfeo e Taddeo; Simone il cananeo e Giuda iscariota, il traditore, sostituito poi da Mattia. Oltre che ai dodici, il titolo di apostolo venne dato anche a Paolo, per la sua opera di evangelizzazione, e si fregiò di esso anche Barnaba, discepolo di S. Paolo.
Apostoli sono chiamati anche gli evangelizzatori di vaste regioni e popolazioni (per es. i SS. Cirillo e Metodio, evangelizzatori degli Slavi), come pure coloro che in ogni modo hanno contribuito alla diffusione del Regno di Dio (per es. i SS. Costantino ed Elena, chiamati appunto = uguali agli Apostoli, che la Chiesa greca festeggia il 21 maggio).
APOSTOLOS (Απόστολος). Termine liturgico per indicare il libro (Epistolario della Chiesa bizantina) che contiene solo le Lettere e gli Atti degli Apostoli. Esso viene consegnato dal Vescovo al Lettore = anaghnòstis (v.) a sottolineare l’ufficio che incombe a questo sacro Ordine.
ARRA (ο Αρραβών). Termine giuridico, passato poi nella liturgia ad indicare arra, anticipo, caparra a fondo perduto, che convalida il contratto. Ricorre in senso metaforico in S. Paolo (2Cor 1, 22; Rm 8, 23; Ef 1, 14). È detta sia del battesimo e cresima, sia degli sponsali; nel primo caso (battesimo e cresima) come anticipo escatologico, nel secondo come arra nuziale dell’Incoronazione, che è il vero sacramento.
ARTOFORION (το Αρτοφόριον = tabernacolo). Cfr. alla voce «Mensa sacra».
ASCETISMO (dal greco ασκέω = mi esercito) è la dottrina che porta il cristiano all’esercizio delle virtù insegnate da Gesù per attuare l’unione dell’anima con Dio, già da questa terra. Esso prepara alla mistica contemplativa, assai nota ed esercitata in Oriente mediante la meditazione silenziosa della «preghiera di Gesù» o «preghiera del cuore» (Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di noi), che eleva alla contemplazione estatica di Dio. Cfr. alla voce «Esicasmo».
ASPASMOS (ο Ασπασμός). È il bacio di pace che i sacerdoti si scambiano nella liturgia prima della recita del Credo. Lo stesso termine si usa per indicare l’atto di baciare un’icona, la mano di un sacerdote, ecc.
ASTERISCO (ο Αστερίσκος). Strumento liturgico formato da due lamine metalliche, piegate a semicerchio l’una sull’altra e fissate al centro, da cui pende una stella, donde asterisco. Simboleggia la stella che guidò i Magi nella grotta dove nacque Gesù. Serve a preservare dal contatto dei veli le prosforà (v.), disposte sul diskos (v.).
AUDIÉNTES. Erano chiamati così quei catecumeni che avevano ottenuto l’ammissione alla Chiesa col rito dell’iniziazione cristiana, ma che rimandavano il loro battesimo a tempo indefinito. Cfr. alla Introduzione al battesimo.
AXIOS (Άξιος = È degno!). Esclamazione ed augurio con cui si esprime il consensus Ecclesiae, del clero e del popolo, all’elezione o promozione ad un determinato incarico o sacro Ordine di uno che ne è candidato. Al grido di ανάξιος (non è degno!), invece, il pleroma della Chiesa ne fa sospendere l’elezione.
BACIO di pace. Cfr. alla voce «Aspasmòs».
BATTESIMO (βάπτισιςβάπτισμαβαπτισμός dal verbo βάπτω, o nella forma più intensiva (βαπτίζω = battezzo, propriamente immergo)). Nel V. Testamento il battesimo è prefigurato dall’acqua. Là ove vi è acqua, vi è vita; dove non c’è acqua, c’è il deserto (Is 35, 6-7). Tuttavia l’acqua, fonte di vita, può anche sommergere, fare annegare, distruggere: e quanto viene illustrato a due riprese nel V. Testamento: il diluvio (Gen 6, 7, 8); il passaggio del mar Rosso, con cui tra l’altro si evidenziano le forze del male (Es c. 14). Nel N. Testamento, Gesù Cristo userà la parola battesimo per significare la sua morte e il suo seppellimento, che precedono e postulano la sua resurrezione, come spiegherà nel suo colloquio con Nicodemo (Gv 3, 1-10).
Ciò premesso, si comprenderà meglio la cerimonia del battesimo, così come la Chiesa orientale continua ancora oggi ad osservarla e che venne descritta da S. Basilio agli inizi del IV sec. nel suo trattato sullo Spirito Santo. Nella tradizione della Chiesa orientale, l’immersione è necessaria per il conferimento del primo sacramento dell’iniziazione cristiana. Altre forme, come l’aspersione e l’infusione dell’acqua, sono ammesse solo in caso di necessità. Circa il rito per immersione, notiamo che, ancora ai suoi tempi, S. Tommaso d’Aquino (†1274) asseriva: «Totius est baptizare per modum immersionis; hoc habet communior usus... in immersione expressius repraesentatur figura sepolturae Christi: et ideo hic modus baptizandi est communior et laudabilior» (S. ThomasS. th. 3, 66, 7). Circa la trina immersione è fuor di dubbio che essa era praticata anche in Occidente fin dall’antichità e che ben presto, accanto al motivo trinitario, ci fu pure quello del «triduo di sepoltura». «Recte tertio mersi estis qui accepistis baptismum in nomine Sanctae Trinitatis; recte tertio mersi estis qui accepistis baptismum in nomine Jesu Christi qui etiam tertia repetita immersio, typum dominicae exprimit sepolturae per quam Christo consepulti estis in baptismo» (S. AugustinusSermo de symb. ad baptizatos).
Il battesimo venne istituito da Gesù Cristo quando fu battezzato nel Giordano (Mt 3, 13-17; Mc 1, 9-11; Lc 3, 21-22; Gv 1, 32-34) e quando ordinò agli apostoli, dopo la risurrezione, di conferirlo a tutti i credenti, conferendo loro ogni potere che gli era stato dato in cielo e sulla terra, dicendo loro: andate ed ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo (Mt 28, 16-20; Mc 16, 15-16). Soggetto del battesimo è ogni essere umano vivente, perché Dio vuole che ogni uomo sia salvo e giunga alla conoscenza della verità (1Tm 2, 4); e il battesimo è la porta d’ingresso nel Regno di Dio (Gv 3, 5). Esso cancella in chi lo riceve immediatamente e completamente ogni peccato commesso (At 2, 38; Mc 1, 4; Lc 3, 3; At 5, 31; 10, 43; 13, 38; 26, 18). Avviene – come è stato detto – per mezzo di una trina immersione ed emersione, secondo la prassi antica e la prescrizione di molti canoni, nell’acqua santificata precedentemente dal celebrante (sacerdote o vescovo), mentre questi ad ogni immersione ed emersione invoca ciascuna delle Persone della divina Trinità: il Padre, e il Figlio, e lo Spirito Santo. L’acqua santificata costituisce l’elemento indispensabile per la celebrazione del battesimo; è contenuta nella kolymvìthra (v.). Conferisce ordinariamente il sacramento il presbitero (o il vescovo); in caso di necessità, chiunque, purché sia cristiano battezzato.
L’uomo rigenerato nel battesimo e riconciliato con Dio, viene fortificato nella fede attraverso il dono dello Spirito Santo, che si compie nell’Unzione crismale (v.), la quale, a sua volta, in un progresso autentico verso l’incontro pieno e definitivo con Dio, lo porta alla completa santificazione mediante la ricezione del Corpo e del Sangue di Cristo, che avviene nell’Eucaristia: ecco perché la Chiesa orientale amministra questi tre sacramenti successivamente in un’unica cerimonia e in quest’ordine. Il battesimo valido non è ripetibile. Una sua reiterazione significherebbe – secondo il pensiero della Chiesa – ricrocifiggere Cristo, seppellirlo e farlo risorgere una seconda volta, vanificando e negando così l’unica crocifissione, sepoltura e risurrezione del Cristo, di cui il battesimo è tipo e raffigurazione. Con il battesimo noi moriamo della morte di Cristo e risuscitiamo della sua resurrezione (Rm 6, 3-11). Esso è principio della nostra vita futura e della nostra deificazione. Questa è la dottrina della santa Chiesa ortodossa orientale sul sacramento del battesimo, contenuta in tutti i testi simbolici e ufficiali (Cfr. «Oriente Cristiano» VI (1966) 3, 2-25; 4, 15-41; VII (1967), 1, 14-48; 4, 48-54). Cfr. anche in Introduzione al battesimo.
BATTISTERO (το Βαπτιστήριονφωτιστήριονλουτρόν) indica il luogo ove si battezza, si viene illuminati, bagnati. Nei tempi antichi l’edificio-battistero, distinto dal tempio (v.), era situato nelle vicinanze di esso, in modo che, a battesimo avvenuto, si procedeva in corteo verso il tempio al canto del Salmo 31, per assistere alla Liturgia e completare, con la partecipazione all’Eucarestia, i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Spesso i battisteri assumevano la forma di una croce e, nella parte centrale, dove il battezzando veniva immerso per rinascere risorgendo, quella di un alvo materno. Quando i battisteri caddero in disuso per il trasferimento definitivo nel nartece della chiesa della vasca battesimale, quest’ultima nella Chiesa greca continuò a conservare la forma di un alvo materno e in qualche caso quella della tomba gloriosa del Signore, per la connessione che vi è tra i due concetti. Ma ordinariamente è la prima la forma più comune (Cfr. G. FerrariIl Battesimo nella spiritualità bizantina, Ediz. «Oriente Cristiano» – Palermo, 1964, pag. 19). Gli stessi nomi greci talvolta vengono usati per indicare la vasca battesimale, la quale, però, prende più esattamente il nome di λουτήρ o di λουτρόν o ancora più comunemente di κολυμβήθρα.
BEATITUDINI evangeliche (οι Μακαρισμοί) o discorso della Montagna (Mt 5, 3-11), che, nelle domeniche e in alcune feste, nella Liturgia greca prendono il posto della 3ª antifona e sono intercalati con i tropari della 3ª e 6ª Ode del Mattutino.
BEMA (το Βήμα = gradino, tribuna). Cfr. alla voce «Santuario».
BENEDIZIONE. Come termine liturgico è il segnare (σφραγίζειν) con la mano destra in forma di croce persone o cose, che così vengono consacrate al culto divino. Tale gesto, nella celebrazione dei sacramenti, non può essere compiuto dal diacono, il quale da solo non può amministrare nessuno dei sette sacramenti. Cfr. anche alla voce «Evloghitòs».
BIBBIA. Il termine Bibbia riproduce il plurale neutro τα Βιβλία (= I Libri), cioè i Libri ispirati da Dio, altrimenti detti Sacre Scritture (Αγία Γραφή) (Rm 1, 2). I 76 libri che la compongono sono divisi in Vecchio e Nuovo Testamento (Διαθήκη = Alleanza, Testamento), da cui Antico e Nuovo Testamento, con cui Dio legò a sé gli uomini in vista della loro Redenzione. Tutto il N. Testamento è stato scritto originariamente in greco, eccetto l’Evangelo di S. Matteo, redatto anche in aramaico. Il V. Testamento, invece, conosce più versioni: il testo masoretico o della masorà (= Tradizione) è il testo ebraico (codificato tra il V-VII sec. d.C.), dotato di segni vocalici e di annotazioni critiche; la versione dei Settanta (v.), da sempre testo ufficiale delle Chiese d’Oriente; quella della Volgata, in latino, che si affermò con S. Girolamo (†420) ed è in uso nella Chiesa latina d’Occidente.
Il V. Testamento forma ima inscindibile unità con il Nuovo, di cui fu figura (1Cor 10, 6-11); pedagogo, che condusse Israele a Cristo (Gal 3, 24). Il V. Testamento, infine, postula necessariamente il Nuovo, lo illumina e lo compie con la piena Rivelazione del Figlio di Dio (Eb 1, 1-2). Il N. Testamento è la seconda parte della S. Scrittura e comprende la Rivelazione di Dio all’uomo, avvenuta per mezzo dell’incarnazione del suo Figlio prediletto, Gesù Cristo. Particolarmente il N. T. contiene la vita di Cristo, il suo insegnamento e la predicazione degli Apostoli. È costituito dai seguenti 27 libri: 1) i quattro Evangeli (Matteo, Marco, Luca, Giovanni); 2) gli Atti degli Apostoli; le Lettere degli Apostoli: a) di Paolo: ai Romani; ai Corinti (1ª e 2ª); ai Galati; agli Efesini; ai Filippesi; ai Colossesi; ai Tessalonicesi (la e 2a); a Timoteo (1ª e 2ª); a Tito; a Filemone; agli Ebrei; b) di Giacomo: epistola cattolica; di Pietro (1a e 2a); di Giovanni: (1ª, 2a e 3ª); di Giuda; 3) Apocalisse.
CALENDARIO. Serve soprattutto per il calcolo del tempo, dei mesi, dei giorni e delle stagioni, in cui la Chiesa ha inserito la celebrazione dei misteri divini e dei Santi. L’anno ecclesiastico delle Chiese bizantine ha inizio col 1° settembre, a conclusione della raccolta dei campi e delle solvenze in pendenza. Nello stesso giorno inizia il computo della Indizione (v.). La Chiesa universale ha sempre seguito il cosidetto Calendario giuliano, stabilito da Giulio Cesare ed entrato in uso nel 45 a. C. Così la data pasquale, che non segue le fasi solari ma quelle lunari, con conseguente spostamento di tutte le feste mobili (v.), venne fissata con precisi canoni nel Concilio di Nicea del 325, sulla base del Calendario giuliano. Anche Roma ha seguito questo calendario fino al medioevo. Le Chiese bizantine non hanno mai interrotto questa tradizione ed anche oggi celebrano la Pasqua, e quindi tutte le feste ad essa collegate, secondo il calendario giuliano, mentre molte di esse si sono adeguate man mano a seguire per le altre feste, quelle fisse, il calendario gregoriano, accettato civilmente solo in quest’ultimo secolo da tutti i Paesi dell’Oriente europeo. Il calendario gregoriano, invece, venne introdotto da Papa Gregorio XIII nel 1582, seguendo in pratica una deliberazione del Concilio di Trento (4-12-1563) e valendosi dell’opera di un piano, elaborato e suggerito dall’astronomo e medico calabrese Luigi Giglio, che correggeva la differenza di qualche minuto, divenuta nel corso dei secoli differenza di qualche giorno, presentata dal calendario giuliano. In tempi più recenti non sono mancati sforzi per correggere anche il calendario gregoriano, nella ricerca di attuare un calendario comune, in modo che cattolici ed ortodossi possano celebrare nella stessa data la Pasqua, tanto più che a livello mondiale l’ONU si sta occupando di una riforma radicale di esso. Tuttavia, nonostante la buona volontà, le difficoltà sono enormi e molteplici, soprattutto perché tale problema è estraneo alle coscienze delle popolazioni nelle Chiese bizantine, e per l’attaccamento di queste ai canoni di quanto stabilito in proposito dal Concilio di Nicea, sopra citato. Basti pensare che quando la Chiesa di Grecia decise di adottare (1924) solo per le feste fisse il calendario gregoriano subì al suo interno uno scisma. Nacquero allora i cosiddetti Παλαιοημερολογίται, cioè gli Osservanti del Vecchio calendario, i quali tuttora hanno un séguito di fedeli ed una propria Gerarchia, divisa dalla Chiesa ortodossa di Grecia. Sul calendario giuliano e gregoriano, sulla data pasquale e sul suo computo, rimandiamo a vari articoli apparsi su «Oriente Cristiano», soprattutto a quelli di D. Como e A. Altan in «Oriente Cristiano» XV (1975) 1, pag. 69-79 e su quanto scrive Eleuterio F. FortinoLiturgia greca, Roma 1970, pag. 121-128.
CALICE (το Ποτήριον). Ha la stessa funzione in tutte le Chiese cristiane, anche se in Oriente si preferisce nella forma che richiama i tempi dello splendore dell’impero bizantino. Posto sull’altare, in genere viene consacrato, così come tutti gli oggetti sacri, nel giorno dell’inaugurazione della chiesa, con cerimoniale simile alla consacrazione del diskos (v.).
CANONE (ο Κανών = regola, norma, criterio di giudizio). Nel linguaggio liturgico con questo termine si designa: 1) una composizione poetica che fa parte dell’ufficio dell’Orthros (Mattutino), legata nello svolgimento innografico del tema a precise regole o norme (= canone innodico) (Cfr. D. ComoLessico dei termini liturgici, in appendice a «Paraklisis gjitheshejtes Meme te t’in Zoti», a cura del Centro Internazionale di Studi albanesi, Palermo, 1982); 2) qualche volta questo termine serve per indicare anche la penitenza (επιτίμιον), imposta secondo particolari regole ad un penitente; 3) come sinonimo di anàfora (v.). Si chiamano anche canone o più comunemente canonici gli scritti che la Chiesa riconosce come fonte della Rivelazione divina (canone della Sacra Scrittura).
CAPPELLO ecclesiastico. Cfr. alla voce «Skùfos» e «Kalimàfchion».
CARISMA (dal greco χάρισμα = dono). In S. Paolo designa qualsiasi donazione divina soprannaturale (Rm 5, 15; 6, 23; 8, 32). L’uso tecnico della parola chàrisma o carisma s’intende essenzialmente nella prospettiva della presenza dello Spirito, che si manifesta con ogni sorta di doni gratuiti. La identificazione dei singoli carismi riesce difficile. S. Paolo parla di doni di apostolato, profezia, discrezione degli spiriti, dottrina, esortazione, cantici, lingue, ecc. I carismi ebbero grande importanza nella costituzione della Chiesa primitiva, contribuendo efficacemente all’incremento e alla diffusione della fede.
CATECHESI (dal greco κατήχησις = istruzione orale). È l’istruzione religiosa che il catechista anticamente impartiva ai catecumeni (v.), cioè a coloro che si preparavano a ricevere il battesimo. Da questa voce derivano catechismo = dottrina impartita e, per traslato, catechetica = arte di insegnare.
CATECUMENO (= colui che viene istruito, da κατ-ηχέω = far risuonare agli orecchi, da cui istruire a viva voce). Il termine «catecumeno» appare già in S. Paolo (Gal 6, 6), ma senza ancora il significato di «aspirante alla fede», ricevuto più tardi. I riti prebattesimali del catecumenato recano i segni della più remota antichità. Il rito del catecumenato avveniva in due tempi: sul candidato che si sottometteva ad un periodo di istruzione (catechesi) venivano recitate delle preghiere, con imposizione delle mani, insufflazioni e «consignationes»; in un secondo tempo, se giudicato degno, entrava a far parte degli illuminandi. In questo secondo periodo che, in genere, si faceva corrispondere con la preparazione della Pasqua, aveva luogo una catechesi più intensa e la traditio simboli (v.), con l’abiura alle potenze occulte delle tenebre e la promessa di unione con Cristo. Cfr. quanto scritto in «Introduzione ai riti prebattesimali e del catecumenato».
CATECUMENI (liturgia dei). È la prima parte della divina Liturgia, alla quale potevano partecipare anche i catecumeni. A questi, infatti, non era permesso di assistere all’altra parte della Liturgia (Liturgia dei fedeli), per cui venivano licenziati con invito categorico del diacono ad uscire dalla chiesa. Anche oggi è rimasta questa parte della Liturgia che li riguarda, ma essa assume un significato simbolico (D. ComoMeditazioni sulla divina Liturgia, di N. Gogol, Ediz. «Oriente Cristiano», Palermo, 1972, pag. 56).
CHERUBIKON (inno). È cantato nella Liturgia durante il trasporto delle oblate (v.) già dalla seconda metà del VI secolo. Venne formalmente prescritto dall’imperatore Giustiniano (565-578) nel 574. È detto cherubico perché ai Cherubini si attribuisce il compito di inneggiare a Dio (Cfr. D. ComoMeditazioni sulla divina Liturgia, di N. Gogol, Ediz. «Oriente Cristiano», Palermo, 1973, pag. 65).
CHERUBINI. Ordini di Angeli con attribuzioni particolari. Cfr. alla voce «Angelo».
CHIESA. Nella tradizione biblica e orientale, la Chiesa (η Εκκλησία), quando non è sinonimo di tempio (v.), è l’assemblea di tutti i discepoli del Signore Gesù, sia che si trovino ancora sulla terra o che siano già nella Casa del Padre, riuniti attorno al Maestro. Infatti, là ove è lo Spirito Santo, là è anche il Figlio, secondo la promessa del Signore Gesù: «Io sarò con voi fino alla fine dei tempi» (Mt 28, 20). Per cui, lo Spirito Santo rende il Cristo sempre presente tra i fedeli, fin da quando è disceso sull’assemblea dei credenti nel giorno della Pentecoste. Da allora questa assemblea è divenuta il luogo della presenza della Parola, è divenuta la Chiesa. E come nel giorno dell’Annunziazione, «per l’operazione dello Spirito Santo» (Mt 1, 18), «la Parola si è fatta carne» (Gv 1, 14) nel seno di Maria Vergine, così nel giorno della Pentecoste, per l’operazione dello stesso Spirito Santo, che è disceso sotto forma di lingue di fuoco (At 2, 3-4), la stessa Parola viene ad abitare nel seno della Chiesa. Per cui la Chiesa porta la Parola ed annunzia la Parola, così come l’ha portato la Vergine. È in questo modo che lo Spirito Santo trasforma un’assemblea di credenti in luogo della Presenza del Cristo risuscitato: «perché dove sono due o tre riuniti nel mio Nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20). Ora la Parola di Dio invita la Chiesa a diventare sposa di Cristo e Corpo di Cristo. Il legame coniugale che unisce Dio al suo popolo nel V. Testamento è bene espresso in Osea (Os 11, 2-4 e 7), nel N. Testamento nella parabola del festino di nozze (Mt 22, 1-13), nella parabola delle dieci vergini (Mt 25, 1-13), nell’epistola agli Efesini (Ef 5, 31-32), ecc. L’altro concetto, invece, di Chiesa-Corpo di Cristo si trova espresso, nella sua dimensione cosmica, nell’epistola ai Colossesi (Col 3, 2; 2, 89). Per cui sì può concludere che la Chiesa è un’assemblea di credenti battezzati e cresimati, i quali si nutrono della Parola di Dio e del Pane della comunione, assemblea, che lo Spirito Santo dalla Pentecoste visita e vivifica per farne un solo Corpo, di cui Cristo è il capo e i cristiani sono le membra (1Cor 12, 13-27; Col 1, 18; Ef 1, 22-23).(Cfr. Catéchisme pour les familles, par une équipe de chrétiens orthodoxes, Dieu est vivant, Ed. du Cerf, Paris, 1980, pag. 294-311).
chiesa locale. È chiamato così il raggruppamento di tutti i cristiani della stessa circoscrizione attorno a un solo vescovo del luogo, dove si realizza, in sintonia con tutte le altre comunità locali, e non separatamente da esse, l’unico grande mistero della Chiesa, di essere strumento di salvezza per il mondo.
CHIROTESIA (η χειροθεσία). Con questo termine si indica un’imposizione generica delle mani. È usata per il conferimento degli ordini minori ed in altri riti, come nell’imposizione del nome nel battesimo, in qualsiasi cerimonia di imposizione delle mani, che avviene fuori del Vima (v.).
CHIROTONIA (η χειροτονία). Si usa anche questo termine per indicare l’imposizione delle mani in generale, ma più particolarmente nelle sacre ordinazioni del diaconato, presbiterato, episcopato, che avvengono entro il santuario (v.). 
CHONEFTIRION (το Χωνευτήριονχωνίονχωνίον = luogo dove si fondono i metalli, vasca di scarico della fonderia). È il luogo dove viene versata l’acqua che è servita per il battesimo, le ceneri di oggetti sacri benedetti che vengono bruciati, ecc. Le antiche chiese ne possedevano anche due: uno nel santuario (v.), nelle vicinanze dell’altare, un secondo nel nartece (v.), sotto il fonte battesimale, quando questo era fisso.
COLLETTA. Cfr. alla voce «Synaptì».
COMPETENTES. Erano chiamati quei catecumeni i quali, giudicati idonei al battesimo, davano i loro nomi al Vescovo nel giorno dell’Epifania, per riceverlo nella successiva festa di Pasqua.
COMPOSITO umano. Comprende l’anima (con varie facoltà di cui il νούς, la facoltà spirituale principale è spesso sconvolta dai λογισμοί) e il corpo. Cfr. nota 84.
COMUNIONE (η μετάληψις, η κοινωνία)Cfr. alla voce «Eucaristia».
CONCILIO. Cfr. alla voce «Sinodo».
CONFESSIONI di fede. Cfr. alla voce «Simbolo».
CONSENSUS ECCLESIAE. Cfr. alla voce «Axios».
CREAZIONE DELL’UOMO. Il Signore all’inizio si mostra mentre, nel contesto del cosmo creato buono (Gen 1, 31), e quale epilogo grandioso, decide egli stesso di creare l’uomo «ad immagine e somiglianza di Dio» (il grande testo è Gen 1, 26-27). Perciò lo benedice, cioè lo riempie di grazia divina, stabilisce con lui l’alleanza universale, lo pone nel mondo come primate e sovrano su ogni creatura, fa di lui un «essere di libertà» come Lui, lo caratterizza soprattutto come capace di «dialogo» con il suo Dio e Signore, con se stesso, con il prossimo, con il mondo – unico tra tutti gli esseri viventi e creati. Egli dal Signore è anche specificatamente destinato «all’incorruzione, avendolo fatto ad immagine della sua propria eternità» (Sap 2, 23). Così per sua essenza originaria, è pura grazia gratuita divina il fatto stesso che l’uomo sia «ad immagine e somiglianza di Dio» in quanto uomo, vera icona vivente del Creatore: la natura dell’uomo è la grazia divina vissuta in atto. La risposta ingrata dell’uomo al suo Creatore, la «caduta», deturpa in lui la «immagine e somiglianza». Ma secondo il piano divino questa «natura» non si può perdere mai. Alcuni Padri spiegano che si perde la sola «somiglianza», cioè il godimento integrale dell’essere «ad immagine e somiglianza» per la vita e per l’immortalità, ed il porre in conseguenza gli atti umani desiderati da Dio per il bene dell’uomo stesso. Si inizia la «storia della salvezza»: il Signore misericordioso non abbandona più l’uomo, gli concede continue rivelazioni salvifiche, la Promessa del Redentore (Gen 3, 15), i Patriarchi, le alleanze rinnovate (cfr. Noè, Abramo, Mosè, David, il Servo), fino a scegliersi, a «crearsi» il popolo «suo», che deve vivere la santa Legge del Signore, e così «santificare il Nome» divino tra gli uomini da salvare.
Con Cristo finalmente, alla «fine dei tempi» (Gal 4, 4-6; Eb 1, 1-4), Dio attua la «nuova creazione» (2Cor 5, 17; Gal 6, 15). In Cristo Signore, morto e risorto, la «immagine e somiglianza di Dio» è recuperata e restaurata nel suo primitivo splendore: come Figlio eterno e Verbo incarnato, infatti, nella sua Croce e nella sua Resurrezione (Rm 1, 4) Cristo si manifesta per sempre quale divina Misericordia (Tt 2, 11-14; 3, 4-7), come la icona del Dio invisibile (Col 1, 15-20) che mostra la Bontà indivisibile ed unica della Trinità (Eb 1, 1-4), vero Adamo Nuovo (v.) ed ultimo (1Cor 15, 42-49). Egli dalla Resurrezione è reso «Spirito vivificante» (1Cor 15, 45b), dove il vecchio Adamo era solo «anima vivente » (Gen 2, 7 citato da 1Cor 15, 45a). Tutto questo avviene ad opera dello Spirito Santo, nel quale Cristo accetta la Croce del Padre (Eb 9, 14), nel quale risorge con potenza (Rm 1, 4; At 2, 32-33; Rm 8), e del quale il Risorto diventa il Donatore divino agli uomini perché possano essere la nuova creazione, la nuova immagine e somiglianza di Dio in funzione (At 2, 32-33; Gal 4, 4-6; Rm 8, 15). Così il piano divino è attuato per sempre. Esso deve essere attuato negli uomini, comunità e singoli fedeli. La vita di Cristo nello Spirito, che è la vita stessa della icona di Dio, è comunicata mediante lui dal Padre agli uomini. Gli uomini sono realmente «ri-creati» dallo Spirito ad immagine di Cristo, Icona di Dio (2Cor 3, 18-4, 6; Rm 8, 29). È così restaurato il dialogo di grazia in forza della Parola vivificante dell’Evangelo di Dio. È resa possibile la risposta di fede adorante. Con i Misteri della Morte e della Resurrezione del Figlio nello Spirito, il Padre finalmente ci recupera a lui stesso quali sue «icone» fedeli. In specie nel battesimo santo e nella confermazione trasformante, lo Spirito opera questa assimilazione a Cristo morto e risorto (Rm 6), rende gli uomini veri «figli di Dio». Lo Spirito, quale Grazia increata divina, inizia negli uomini la loro «trasfigurazione di gloria in gloria» (2 Cor 3, 18), che è il fine della creazione divina. Poiché il destino della nuova «immagine e somiglianza» creata è l’eternità beata: gli uomini debbono essere «simili a Dio e vederlo come Egli è» (1Gv 3, 1-2). Questa è la «divinizzazione» (v.). Infatti Cristo Dio per natura si è fatto come noi siamo, perché noi diventiamo per grazia come Egli è: «voi siete dèi!» (Gv 10, 34-35, che cita Sal 81, 6). Gli «dèi per grazia» così sono «comunicanti alla divina natura» (2Pt 1, 4). Il fine della creazione è raggiunto. Cfr. anche nota 31.
CRESIMA o CONFERMAZIONE. Cfr. alla voce «Unzione crismale».
CRISMA (το χρίσμα). È l’olio comune consacrato dal sacerdote per le unzioni prebattesimali, chiamato dalla liturgia battesimale «olio d’esultanza», έλαιον αγαλλιάσεως (Sal 44, 8). Esso serve a proteggere il battezzando, rendendolo invulnerabile dagli assalti del demonio. La unzione col crisma (crismazione) è compiuta dal sacerdote e continuata poi dal padrino. Il crisma è contenuto in apposito vaso porta olio (v.). Cfr. nota 95.
CRISTIANO. Nome distintivo dei seguaci di Gesù Cristo, coniato dai pagani di Antiochia intorno all’anno 43, confondendo il nome di Cristo con il nome proprio di Gesù (At 11, 26). Per lungo tempo fu usato solo dai pagani e come titolo di scherno, ma ben presto i cristiani se l’attribuirono, chiamandosi indifferentemente anche «fedeli», «eletti», «santi». Il termine greco χριστιανός, conservando la medesima radice per indiare sia il Cristo, l’Unto per eccellenza (ο Χριστός), sia coloro che partecipano della sua unzione (χρίσμα), cioè coloro che sono unti (χριόμενοι), designa assai bene i cristiani, chiamati da Cirillo di Gerusalemme χριστοίS. Cirillo di Gerus., Catechesis mystagogica III, 1; PG 33, 1088a). Cfr. nota 95.
CROCE. Da strumento di supplizio è passata a simbolo e ad oggetto di culto dei cristiani. Per essi la croce è mistero della sapienza e della potenza di Dio (1Cor 1, 17-18; 22-25; 2, 1-2) là dove gli uomini scorgono debolezza e follia. Nelle chiese, una gran croce sovrasta l’iconastasi (v.) e domina l’assemblea dei cristiani. La figura della croce ha sempre offerto ai Padri e all’iconografia motivi di tipologia biblica e di simbolismo liturgico. La Chiesa ne celebra solennemente la festa (v.) dell’Esaltazione il 14 settembre, accompagnandola con un giorno di digiuno (νηστεία).
croce benedizionale (Σταυρός ευλογίας). È la croce manuale per benedire i fedeli, usata dal sacerdote solamente durante la s. Liturgia e dal vescovo anche in altre occasioni.
croce pettorale. Trae la stessa origine dell’enkolpion (v.). Dal XIII sec. in Occidente venne portata solo dai vescovi, mentre in Oriente, portata all’inizio anche dai fedeli, venne riservata al solo clero, specialmente ai sacerdoti, come usano tuttora i russi, o ai soli dignitari (archimandriti, ecc.), come usano i greci, i cui vescovi, come segno distintivo, invece, portano l’enkolpion (v.).
CROCE (segno della). Si fa unendo il pollice, l’indice e il medio della mano destra (a simboleggiare la SS. Trinità), piegando su se stessi l’anulare e il mignolo (a simboleggiare le due nature di Cristo: divina ed umana unite nell’unica persona di Cristo). Portandoli quindi alla fronte si dice: Nel nome del Padre; al petto: e del Figlio; alla spalla destra: e del Santo; alla spalla sinistra: Spirito; unendo infine le mani: Amìn. Da notare che anche la Chiesa latina praticò quest’uso fino ai tempi di Innocenzo III (PL 217, 825). Il segno della croce accompagna sempre la metània (v.) e l’adorazione (v.), cioè il proskynima (v.) che i fedeli bizantini usano al posto della genuflessione. Gli orientali sogliono anche segnarsi ogni qualvolta viene nominata la Theotókos (v.) o qualche Santo.
DEIFICAZIONE. Cfr. alla voce «Divinizzazione».
DEISIS (η δέησις = preghiera). Si indicano con questo termine anche le petizioni del diacono durante la divina Liturgia, ma soprattutto, in iconografia, la rappresentazione che raffigura normalmente il Cristo assieme alla Madre di Dio e a S. Giovanni Battista, i quali due ultimi personificano tutta la intercessione della Chiesa al Signore.
DIACONESSE. Di loro parla S. Paolo (Rm 16, 1-2) e della loro costituzione parlano gli Atti (At 11, 1-6; 1Tm 5, 9-10). Le Costituzioni Apostoliche parlano diffusamente di esse, indicando quali erano le tradizioni al riguardo nel IV secolo. Tra queste, grande rilievo assumeva il loro compito di assistere le donne che, abbracciando il cristianesimo, entravano a far parte dei catecumeni e venivano poi battezzate. Sembra che ancora nel XVI sec. vi fossero diaconesse nelle Comunità italoalbanesi (G. FerrariLe diaconesse nella tradizione orientale, in «Oriente Cristiano», Anno XIV (1974), 1, pag. 28-50).
DIACONO (ο Διάκονος = servitore). È l’ecclesiastico a cui è stato conferito il primo degli ordini sacri maggiori. Egli aiuta il vescovo ed il sacerdote nelle varie cerimonie e nelle opere del loro ministero. In questi compiti, fin dall’istituzione diaconale vediamo i diaconi impegnati come «servitori della Chiesa di Dio» (S. Ignazio mart., Philad. II, 1). Della loro istituzione parlano gli Atti degli Apostoli, narrandoci dell’ordinazione di sette diaconi (At 6, 6).
DIAKONIKON. Cfr. alla voce «Santuario».
DIAVOLO (dal greco διαβάλλω = accuso, calunnio, da cui διάβολος accusatore, calunniatore. O anche metto male tra due, disunisco). Con questo nome si indicano gli angeli ribelli a Dio e perciò caduti nell’Inferno. Diavolo è sinonimo di tiranno immondo ed impuro, che provoca nell’uomo, tentandolo, perfidie bestiali ed ispira pensieri cattivi. È cacciato via in nome di Cristo. Il termine diavolo, secondo la tradizione rabbinica e patristica, non è sinonimo di demonio con cui, invece, sono indicati gli spiriti dei giganti, frutto del connubio tra i Bene-Elohim e le Cainite, mentre i diavoli sono gli angeli alle dirette dipendenze di Satana (v.). Nel N. T. spesso con τα δαιμόνια si intendono gli spiriti immondi, cioè τα πνεύματα ακάθαρτα al servizio del Diavolo.
DICÉRIO. Candeliere a due braccia, simboleggiante le due nature in Cristo: divina ed umana. Assieme al tricerio (candeliere a tre braccia, simboleggiante le tre Persone divine), il vescovo usa benedire i fedeli durante la liturgia pontificale. Sia l’uno che l’altro vengono chiamati con un solo termine «δικηροτρίκηρα».
DIO. Le tre divine Persone (v.) ovvero le tre Υποστάσεις della SS. Trinità, della stessa sostanza (ομοούσιαι) e distinte (διακεκριμέναι): il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, sono la sola Divinità, il solo Dio, l’Essere perfettissimo, a cui non si può attribuire un nome specifico, appunto perché nessun nome è sufficiente a significarlo, in quanto Dio vivente nella sua esistenza personale trascende radicalmente ogni concetto, ed ogni immagine è incompleta a suggerire la sua pienezza inoggettivabile ed inconoscibile. Egli è Colui che è (Ο Ών), cioè l’Essere per essenza, l’Eterno, l’Infinito, l’Immutabile, l’Onnipresente, l’Invisibile, l’Incomprensibile. Sono queste le proprietà (τα ιδιώματα) ossia gli attributi che sogliono riferirsi all’Essenza divina e di cui ci si serve per distinguerla dal restante mondo. Esse esprimono il movimento della vita divina, la quale, partendo dal Padre si comunica al Figlio e allo Spirito Santo, e ritorna al Padre in una circolazione eterna di amore (pericoresi).
DIO-PADRE. È la prima Persona della SS. Trinità, il «Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le realtà visibili ed invisibili» (Simbolo Niceno-costantinopolitano). Egli è l’αγέννητος, Colui che non conosce generazione, l’Increato; dal Padre, invece, procedono il Figlio e lo Spirito Santo. Per cui il Padre è il monarca, la sorgente unica (μόνη αρχή) della Divinità, il principio unico della Trinità. Al rapporto tra le tre Persone divine si riferisce l’evangelista Marco (Mc 14, 36) e S. Paolo (Rm 3, 15; Gal 4, 6), mentre il rapporto che esiste tra Dio-Padre e gli uomini riecheggia nella preghiera del Padre nostro (Mt 6, 9). Il Padre, rimasto invisibile agli uomini, non è raffigurato in iconografia, se non in forma simbolica.
DIO-FIGLIO. È la seconda Persona della SS. Trinità. È il Messia, vaticinato già nell’A. Testamento, che è una realtà sola col Padre (Gv 10, 30), l’Unigenito Figlio prediletto dal Padre (Mt 3, 17; 17, 5), confessato tale da Pietro (Mt 16, 16), il quale prende la natura di servo (Fil. 2, 6-11) per diventare il Redentore di tutti gli uomini. La sua opera è ben descritta nel simbolo Niceno-costantinopolitano (v.). Egli è il Λόγος (Verbo), di cui parla Giovanni nel prologo al suo Evangelo (Gv 1, 1 e sgg.); è il Cristo, l’Unto (da χρίω = ungo) per eccellenza; ed ancora, il Re promesso, fondatore del Regno di Dio. Egli è l’Alfa e l’Omega (Α Ω), sigla con cui è raffigurato nell’iconografia sacra, il Principio e la Fine. Nelle chiese è raffigurato nelle sembianze di Pantocrator (Onnipotente) al centro della cupola o nella parte superiore del catino dell’abside centrale. Nelle iconastasi (v.), la sua icona ha il posto d’onore, è la prima a destra di chi guarda la s. Mensa (v.), spesso in paludamenti imperiali bizantini e di Grande Sacerdote (Μέγας Αρχιερεύς). Nell’antichità cristiana, il suo monogramma, IC XC NI KA (Gesù Cristo vince), appariva anche nei labari, mentre la figura di un pesce ne era spesso il simbolo, in quanto le iniziali della parola greca «pesce» (ΙΧΘΥC) erano lette come iniziali di «Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore». Ancora, di lui è ben nota la sigla INBI, apposta sulla croce, corrispondente alle iniziali di «Gesù Nazareno Re (Βασιλεύς) dei Giudei», sigla scritta per scherno, che gli iconografi moderni preferiscono cambiare in (ΟΒCΛCΤΔΞC) che sta per «Il Re della gloria».
DIO-SPIRITO SANTO. È la terza Persona della SS. Trinità, «il Signore, il Vivificante, che procede dal Padre, ed assieme al Padre e al Figlio è adorato e glorificato, che ha parlato mediante i Profeti» (Simbolo Niceno-costantinopolitano). Con lo Spirito Santo si chiude il ciclo che riguarda la teologia trinitaria, cioè il mistero nascosto del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, di Dio Trinità immanente. Ma lo Spirito Santo ha un ruolo nella Chiesa. Egli è il Paraclito, lo Spirito di verità, che pervade tutta la vita della Chiesa. Per cui, nella Chiesa di Cristo non è possibile una vera vita senza una fede viva non solo nel «Padre» e nel «Figlio», ma anche nello «Spirito Santo». «Il Verbo ha assunto la carne – dice S. Atanasio – perché noi potessimo ricevere lo Spirito Santo. Dio si è fatto sarcofòro perché l’uomo potesse diventare pneumatofòro». «Tali – aggiunge S. Simeone il Nuovo Teologo – erano lo scopo e la destinazione dell’intera opera della nostra salvezza mediante il Cristo: che tutti i credenti ricevessero lo Spirito Santo». E Questi così, dopo che il Cristo ha manifestato la Chiesa fondata nell’Eucaristia, compie il secondo atto dell’imperscrutabile disegno divino, manifestando la Chiesa fondata sulla Pentecoste. Il Padre, dopo aver inviato il Figlio, invia lo Spirito perché resti tra noi a consolarci dell’assenza visibile del Cristo. Non c’è sacramento (v.) che non manifesti l’azione dello Spirito Santo, che avviene nell’epiclesi (v.). Simbolo dello Spirito Santo è la colomba, raffigurata quasi sempre ad ali spiegate, talvolta addirittura una vera colomba, come quella bianca che, nel Grande Aghiasmòs (v.) dell’Epifania, secondo un’antica tradizione della Chiesa siculo-albanese, la quale si riallaccerebbe a quella descritta nel Codice 105 del XIII sec. della Biblioteca di Patmos (Plac. de MeesterRituale benedizionale bizantino, Roma 1929, pag. 461), si usa fare scendere dall’alto di un campanile o di una casa sulle acque dove ha luogo l’aghiasmòs.
DISKOS (ο δίσκος, το δισκάριον)È un piatto circolare metallico con i bordi curvati in alto, che contiene le prosforà (v.). preparate nella protesi (v.). Con lo stesso termine è anche chiamato qualsiasi altro piatto, come quello sul quale sono posti i pani dell’artoclasia, che vengono distribuiti ai fedeli durante la veglia notturna.
DITTICI. Gruppo di due tavolette (dal greco δις e πτυχή) su cui venivano scritti in epoca paleocristiana i nomi di coloro, vivi e defunti, per i quali si desiderava la preghiera della Chiesa. Oggi questo termine designa il momento e la preghiera liturgica quando si commemorano vivi e defunti, anche in segno di comunione.
DIVINIZZAZIONE (o deificazione, η Θέωσις – ma vocabolario molto ampio). Al contrario di quanto si crede, il tema della divinizzazione non è «proprio dell’Oriente». Poiché esso proviene in linea diretta dalla Santa Scrittura, è ripreso dai Padri, vissuto nelle celebrazioni della Chiesa indivisa. Certo, dopo la separazione, l’occidente conosce il tema quasi solo nei grandi mistici, certamente non nella spiritualità corrente.
«Voi siete dèi» è il proclama divino biblico. Il Signore lo ripresenta in Gv 10, 34-36; «Non sta scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: Voi siete dèi!”? – e la Scrittura non può essere vanificata!». La citazione della «Legge» è il Sal 81, 6. Lo stesso Giovanni apostolo dice ai suoi fedeli che debbono stare attenti: «Guardate di quale amore ci ha donato il Padre: che siamo detti figli di Dio, e lo siamo!... Già siamo figli di Dio, e non si è ancora manifestato quello che saremo. Sappiamo che quando si sarà manifestato saremo simili a lui – poiché lo vedremo come è» (1Gv 3, 1-2). Per questo l’Apostolo dice che l’uomo è destinato ad essere «partecipante della divina natura» (2Pt 1, 4). Altri testi parlano di luce: l’uomo divinizzato è «figlio della Luce» increata divina (Gv 12, 36). Ma la divinizzazione, culmine dell’antropologia cristiana, è cristologica e pneumatologica. Infatti il Verbo, che ha unito per sempre alla sua divina Persona la sua carne animata dall’anima razionale e dalla volontà umana, carne «unta dallo Spirito Santo» (At 10, 38), la conduce alla vita storica, alla Croce ed alla Risurrezione. Così l’Umanità risorta del Signore diventa «Spirito vivificante» (1Cor 15, 45), datrice dello Spirito (At 2, 32-33), dunque luogo dell’infinita Potenza divina che da essa ci è trasmessa. Per cui in Cristo lo Spirito restaura in noi l’immagine e somiglianza di Dio offuscate dal peccato, e per la forza della Parola e dei Misteri del Signore conduce e ci incorpora a Cristo, ci fa vivere la vita stessa del Signore, ci rende figli del Padre celeste, ci introduce nel Regno della Luce e di Amore divino. Seguendo bene la linea di Calcedonia, è chiaro che l’umanità divinizzata non si confonde mai con la Divinità, ma secondo la migliore dottrina dei Padri, è ammessa a vivere «al modo della Divinità (S. Massimo Confessore), nell’amore totale. Tale è il nuovo statuto dell’uomo, che Dio nei secoli preeterni ha preparato per noi, ed ha realizzato mediante il Figlio nello Spirito. La visione beatifica è un aspetto della divinizzazione. Esiste anche quello di unione nuziale tra Cristo e la sua Chiesa, la sua propria «Icona di icone». I testi liturgici sono la celebrazione di tutto questo nel Mistero di Cristo, per l’unica adorazione alla Triade beata. Ma tutto questo non sarebbe possibile se non fosse dispiegato per intero il piano divino della salvezza, che i Padri greci hanno compendiato mirabilmente: «Il Dio per natura si è fatto uomo, affinché l’uomo diventi dio per grazia». Qui si ha il Mistero totalmente adempiuto. Cfr. anche alla nota 123.
DODECAORTION. Cfr. alla voce «Festa liturgica».
DOGMA (da δοκείν = prendere per vero, credere, accettare). Secondo la dottrina ortodossa, sono detti dogmi le verità immutabili di fede, manifestate da Dio nella Rivelazone, basate quindi sulla S. Scrittura, formulate come tali dai Concili ecumenici, e proposte dalla Chiesa all’insegnamento dei fedeli.
DOMINAZIONI. Categorie di angeli (v.), deputati a particolari compiti.
DONI dello spirito santo (χάρισμα = dono). Si tratta di doni gratuiti soprannaturali conferiti al singolo in vista dell’utilità generale, per la edificazione della Chiesa, corpo mistico di Cristo (1Cor 14, 7-12). La dottrina della Chiesa ne ha enumerato costantemente sette, quelli descritti da Isaia (Is 11, 1-2). Così anche i teologi ortodossi nelle loro Confessioni di fede e nei loro catechismi. Il metrop. di Filadelfia, Gabriele Severo (1541-1616) così li chiama nel Συνταγμάτιον sui santi e divini Misteri: il timore, la pietà, la fortezza, il consiglio, la sapienza, l’intelletto, la scienza. Spiega ancora lo stesso metropolita Gabriele: «Questi sette doni si oppongono con forza ai sette peccati mortali e li distruggono in modo definitivo. Il timore si oppone alla superbia; la pietà all’invidia; la sapienza all’ira; la fortezza all’accidia; il consiglio all’avarizia; l’intelletto alla gola; la scienza alla lussuria» (Gabriele Severo, metrop. di Fiadelfia, Συνταγμάτιον sui santi e divini Misteri, c. 5°, Venezia, 1600, pag. 42, riportato da A. AmatoIl sacramento della penitenza nella Teologia greco-ortodossa, in Analecta Vlatadon; Salonicco, 1982, pag. 90).
DONI (I SACRI doni). Con questa espressione s’intendono il pane e il vino che diventeranno o che già sono divenuti Corpo e Sangue di Cristo.
DONO. Altro nome del battesimo. Cfr. nota 103.
DOSSOLOGIA = Lode alla SS.ma Trinità: Padre, Figlio, Spirito Santo.
grande dossologia: canto festivo alla fine del Mattutino: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli…» (cfr Lc 2, 14). La stessa, con qualche piccola variante, che viene recitata durante la settimana e a Compieta, viene chiamata «Piccola Dossologia».
piccola dossologia: a conclusione di una preghiera.
ECCLISIASMOS (Εκκλησιασμός). È il rito con cui una persona viene offerta a Dio, facendo ingresso in chiesa. Se è già stata battezzata, è una riconferma; altrimenti, un anticipo. Nei due casi le preghiere del sacerdote comportano lievi differenze.
ECONOMIA (Οικονομία). Termine teologico che indica il piano e lo svolgimento della salvezza mediante l’Incarnazione del Verbo di Dio e la Redenzione. Con questo termine si indica anche la saggia applicazione di una legge. Non si tratta quindi di una epicheia (benevola interpretazione), né tanto meno di una modifica, di una deroga, di una dispensa ma solo di un’applicazione meno rigorosa della legge, proveniente dall’atteggiamento del legislatore o di chi è preposto per farla applicare, che tiene conto, entro certi limiti, di varie circostanze. L’Economìa si contrappone allaακρίβεια, che designa, invece, l’applicazione rigorosa della legge.
EFIMÉRIOS (ο Εφημέριος). Designa il sacerdote in cura d’anime, cui è affidata una parrocchia.
EKFONISIS (dal greco εκφωνέω = esclamare, gridare, proclamare ad alta voce). È detta ekfònisis la parte conclusiva (in genere dossologica) della preghiera che viene cantata o comunque detta ad alta voce, per distinguerla da quella che viene recitata sommessamente (μυστικώς) dal celebrante.
EKTÈNIA (η εκτενής). Serie di preghiere per vari bisogni dei fedeli della Chiesa locale (D. ComoMeditazioni sulla divina Liturgia di N. Gogol, Ed. «Oriente Cristiano», Palermo, 1972, pag. 40).
grande ektènia, è recitata dopo l’Evangelo.
piccola ektenia, è recitata: una, dopo il Grande Isodo; l’altra, a conclusione dell’Anàfora (v.).
ENKOLPION (το Εγκόλπιον). Medaglione ovale che anticamente conteneva carte su cui erano scritti dei brani della S. Scrittura ed in seguito delle reliquie. Oggi vi è quasi sempre raffigurata la Madre di Dio, la Panaghia (v.), simbolo della Chiesa, ed è portato dal vescovo come segno distintivo.
ENORIA. Designa una parrocchia o una cura parrocchiale affidata ad un sacerdote parroco. Εκκλησία ενοριακή = Chiesa parrocchiale.
EPENDITE (ο Επενδυτής)Cfr. alla voce «Altare» o «Sacra Mensa».
EPICLESI (dal greco η Επίκλησις = invocazione). Con questo termine si designa la preghiera d’invocazione che il sacerdote rivolge a Dio a nome dei fedeli riuniti perché operi con l’intervento del suo Santo Spirito la santificazione della materia, che, nel caso del battesimo, è l’acqua vivificante (ύδωρ ζών); nell’eucarestia, invece, sono il pane e il vino che vengono trasformati in Corpo e Sangue di Cristo. L’unanime tradizione patristica dell’Oriente attribuisce la potenza operativa, in tutti i «sacri riti», all’intervento della terza Persona della Trinità: allo Spirito Santo che procede dal Padre ed è inviato dal Figlio per il compimento universale dell’economia della salvezza. È proprio questa teologia trinitaria, che s’indirizza al Padre affinché lo Spirito Santo manifesti il Figlio a porre e a postulare l’epiclesi (Cfr. D. ComoMeditazioni sulla divina Liturgia di N. Gogol, Ediz. «Oriente Cristiano», Palermo, 1972, pag. 81).
EPIFITISIS (η Επιφοίτησις = Visita, venuta dello Spirito). È detta epifìtisis la infusione, la presenza dello Spirito Santo, invocata dal sacerdote, sull’acqua e sull’olio del battesimo (Cfr. «A Patristic greek Lexicon» G. W. H. Lampe, Oxford University Press, 1978, alla voce επιφοίτησις).
EPIGONATION. Cfr. alla voce «Ipogonation».
EPIMANIKIA (τα Επιμανίκια). Sono le soprammaniche che servono a tenere ferme ed aderenti le maniche dello sticharion (v.) usato dal diacono, dal sacerdote, dal vescovo. Essi ricoprono gli avambracci. Indossandoli, vengono recitati dei versetti che alludono alle opere che vanno compiute dalle mani dei ministri. Infilando quello della mano destra, il versetto allude al cantico di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso: «La tua destra, o Signore, si è resa gloriosa nella potenza; la tua destra, o Signore, ha percosso i nemici; nella pienezza della tua gloria hai annientato gli avversari» (Es 15, 6-7). Quindi, per la mano sinistra si recita: «Le tue mani mi hanno fatto e mi hanno plasmato; istruiscimi ed apprenderò i tuoi comandamenti» (Sal 118, 73).
EPISTOLA (η Επιστολή = epistola, missiva, lettera). Con questo termine si usa indicare il brano delle Lettere o degli Atti degli Apostoli che si legge nella divina Liturgia, e non tanto il libro che lo contiene, chiamato Apòstolos (v.).
EPITAFION (ο Επιτάφιος). Con questo termine s’intende indicare l’urna riccamente decorata e ricoperta di fiori, che rappresenta l’icona della κένωσις di Cristo. Essa contiene, ricamata in stoffa rossa, la raffigurazione del Cristo, già deposto dalla croce, che attende di essere collocato nel sepolcro, attorniato dalle pie donne, dall’apostolo Giovanni e da Giuseppe d’Arimatea. Viene esposta alla venerazione dei fedeli al Vespro del Venerdì Santo e nel Mattutino del Sabato Santo. La stessa raffigurazione si trova nell’antiminsion (v.). Si chiama cosi anche l’Ufficio che commemora il sacrificio di Cristo Redentore che si celebra nell’orthros del Grande Sabato.
EPITRACHILION (το Επιτραχήλιον). L’epitrachìlion è una stola sacerdotale assai lunga, che gira attorno (επί) al collo (τράχηλος) e scende davanti sullo sticharion (v.), fin sotto le ginocchia. Simbolicamente sta a significare «la grazia del sacerdozio, sparsa sul sacerdote, la quale poggia sul collo che ha ricevuto il giogo di Cristo. Discende sul petto fino ai piedi, addolcisce il cuore e santifica tutto il corpo» (N. CabasilasExplication de la divine Liturgie, Edit. du Cerf, Paris, 1967, pag. 365). Esso è l’insegna distintiva sacerdotale, comune ai vescovi ed ai presbiteri; è il segno della unzione spirituale che investe i sacerdoti e li abilita al servizio e alla distribuzione dei misteri di Dio.
EPITROPIA (η Επιτροπία). È chiamato così il consiglio parrocchiale o diocesano, i cui membri laici (epìtropi) provvedono all’amministrazione della parrocchia o della diocesi.
ESCATOLOGIA. Dottrina delle cose ultime (τα έσχατα), cioè degli ultimi destini riservati all’uomo e a tutte le realtà del cosmo, quando avverrà l’apocatastasi (v.). Specialmente nella letteratura cristiana primitiva anche il presente è considerato come ultimo tempo (At 2, 17), e si rivolge all’ultimo giorno, quando dopo la «risurrezione dei morti, il giudizio e la salvezza» (Gv 6, 39 sg; 11, 24; 12, 48), «Cristo consegnerà a Dio Padre il Regno, dopo aver ridotto a nulla ogni principato, ogni potestà o potenza» (1Cor 15, 24). Cfr. anche alla voce «Parusia» «Vita eterna», e alla nota 58.
ESICASMO (dal greco ησυχία = quiete, pace, tranquillità, silenzio). Dottrina ascetica, assai sviluppata in Oriente, le cui origini risalgono ai Padri del deserto (v.), i quali, in santa quiete, conducevano una severa vita eremitica. Il termine esicasmo ricorre già verso il 420 nella vita di Crisostomo di Palladio (Peter KawerauCristianesimo d’Oriente, nella collana «Storia delle Religioni» di Jaca Book, Milano 1981, pag. 144). Oggi, però, con il termine esicasmo s’intende comunemente l’indirizzo mistico, vivo nel monachesimo bizantino, che si sviluppò nel XIII-XIV secolo, soprattutto ad opera di Gregorio Sinaita (1255-1347), che fu monaco a Cipro, nel Sinai, a Creta e nell’Athos. Egli insegnava che per mezzo della meditazione silenziosa della «preghiera di Gesù» o «preghiera del cuore» ci si può elevare alla visione estatica di Dio. Ma altri monaci, che facevano capo a Barlaam Calabro (1290-1348) combatterono gli esicasti e le loro pratiche, chiamandoli «omphalopsychoi», cioè gente che ha l’anima nell’ombelico. Fu questa l’occasione che scatenò una lunga ed accesa polemica. In difesa degli esicasti si schierò Gregorio Palamas (v.), il quale scrisse subito una dissertazione in loro difesa e consacrò tutta la sua vita in difesa della loro causa, impiegando un ricco materiale patristico e formulando una base dottrinaria con una originale sintesi, riconosciuta presto in linea con l’ortodossia.
La dottrina esicasta così, anche se arrivava in un momento in cui lo spirito del rinascimento cominciava a soffiare a Bisanzio e l’Occidente cristiano subiva una trasformazione tra le più radicali della sua storia, finì per trionfare nel mondo greco e l’Athos ne divenne il focolare di espansione. Nei secoli successivi l’esicasmo ricevette nuovo vigore, specialmente ad opera di Nicodemo l’Agiorita (1748-1809), il quale, con l’aiuto del suo amico Macario, pubblicò nel 1782 un’immensa raccolta di testi patristici riferentisi alla preghiera, che chiamò Filocalia (= amore della bellezza). Alla diffusione dell’esicasmo contribuì anche decisamente Simeone il nuovo Teologo (v.). La dottrina esicasta passò anche nei paesi slavi, in Romania, in Bulgaria e particolarmente in Russia, ad opera di Nilo della Sora. Ma fu l’edizione slava della Filocalia del santo starec Paisij Velickovskij (1722-1794) assieme allo slancio datovi da S. Serafino di Sarov (1759-1833) a farla penetrare e a diffonderla ulteriormente. Frutto di questa influenza fu lo scritto misterioso intitolato Il racconto di un pellegrino russo, che, portando ad ammirare le vibrazioni dell’anima russa in quello che ha di più puro, fece conoscere la dottrina esicasta e quindi la preghiera del cuore anche in Occidente.
ESORCISMO (ο αφορκισμός = giuramento, esorcismo, scongiuro). Preghiera fatta dal sacerdote, dall’esorcista o da chi incaricato a questo compito, per scacciare gli spiriti cattivi ed immondi in nome di Cristo. Chi faceva l’esorcismo godeva di particolare stima e si distingueva nettamente dagli stregoni che, specie nell’antichità, seducevano le anime semplici e incutevano terrore alla gente. È chiamato così non solo l’esorcismo battesimale, ma ogni altro tipo di esorcismo, inteso a difendere l’umanità dall’azione degli spiriti maligni. È questa la dottrina dei Padri greci, riassunta da Michele Psellos (†1078) nel suo trattato sul potere dei diavoli (PG 122, 819-892). Da ciò deriva che certe orazioni (v.) sono adibite sia come esorcismi, sia come ricorsi alla benignità di Dio per cacciare – come dice la Ευχή εις πάσαν αρρώστιαν – «lo spirito dell’infermità». Per cui, vi sono esorcismi, εξορκισμοί ovvero απορκισμοί che vengono recitati sui campi (di cui è protettore S, Trifone, 1° febbr. e la cui paternità dell’orazione è a lui attribuita) per proteggerli contro animali nocivi; ed esorcismi recitati sulle persone, per preservarle contro qualsiasi azione del maligno, oppure per implorare su di esse la misericordia divina col dono della guarigione da particolari infermità.
ESORCISTA. Per le Chiese d’Oriente era il delegato dalla Chiesa ad esercitare il carisma dello Spirito Santo, principalmente col « dono delle guarigioni », imponendo le mani sui catecumeni. Anticamente vi poteva essere deputato anche un battezzato che non faceva parte del clero. La mansione di esorcista andò in declino col decadere del catecumenato, intorno al VI secolo.
ETIMASIA (η Ετοιμασία = preparazione). Nel V. Testamento questo termine designò l’intervento di Dio come creatore e la sua costante provvidenza nella natura e nella storia (Sal 64, 7; 146, 8; Gb 38, 25). Con lo stesso termine s’intendeva sottolineare l’azione di Dio che prepara il suo trono (Sal 102, 19; 92, 2; 88, 15): ετοιμασία του θρόνου Nel N. Testamento è usato per sollecitare la preparazione al ritorno del Signore (Mt 24, 44; Lc 12, 40). Questa preparazione i cristiani la devono vivere concretamente (EuesbioStoria ecclesiastica, 8, 15; PG 20, 788b) e con vigilanza, in attesa della parusia (v.), concetto messo ben in evidenza nella parabola delle dieci vergini (Mt 25, 1-13) e nei Padri (S. BasilioTrattato sullo Spirito Santo, 18; PG 32, 100b;Omelia sul Salmo 28, PG 30, 77c), In iconografia, l’etimasìa viene raffigurata da un trono posto in genere ai piedi del Cristo giudice, su cui, in rappresentanza di Cristo, vi è una croce con gli strumenti della passione, o un agnello. Alla Palatina di Palermo, l’etimasìa è posta sull’arcone dell’abside centrale, con gli strumenti della passione e, innanzi ad essi una colomba ad ali alzate, in piedi sul libro apocalittico chiuso con 7 sigilli. Iscrizione: Lancea, spongia, lignea crux, clavique, corona, dant ex parte metum, cogunt effundere fletum; peccator, plora cum videris haec, et adora. Sui montanti gli arcangeli Michele e Gabriele con labari.
ETISIS (η Αίτησις = domanda, impetrazione). È chiamata ètisis la serie di invocazioni pronunziata dal diacono, ciascuna delle quali termina con παρά του Κυρίου αιτησώμεθα = domandiamo al Signore, e alla quale il coro risponde: παράσχου Κύριε = concedi, o Signore. Per cui la ètisis assume un significato di richiesta pressante, con la quale si esige, si pretende dal Signore (Mt 21, 22) qualcosa di buono e di giusto (Mt 7, 11) secondo la sua volontà (1Gv 5, 14). Si distinguono due serie di ètisis: quelle contenute nella divina Liturgia (una prima e una dopo il Canone) e quelle chiamate più propriamente ektènie (v.) = litanie.
EUCARISTIA (η Ευχαριστία = azione di grazie o di riconoscenza, per una grazia ottenuta da Dio). Per cui, con questo termine si indicano anche le preghiere di ringraziamento che seguono la comunione (ευχαί της θείας Μεταλήψεως). L’Eucaristia è l’ultimo sacramento del Mistero dell’iniziazione cristiana, perché al culmine della vita e felicità completa, a cui conferisce perfezione, rendendoli pienamente efficaci. Ecco perché la cresima non può e non deve essere conferita dopo l’Eucaristia. Con la Eucaristia si fa la comunione del Corpo e del Sangue di Cristo; essa ci unisce alla sua divinità e ci deifica. Ecco perché l’Eucaristia è anche chiamata Pane santo (v.). Essendo unico farmaco contro il peccato, è ricevuta molte volte. Essa illumina chi è puro, purifica chi è impuro; immettendo in noi l’uomo nuovo, sradica il vecchio, preparandolo così e purificandolo in ordine alla beatitudine. Ricevendo l’Eucaristia, i credenti vanno incontro allo Sposo divino e vengono incorporati nel Corpo del Risorto. Il sangue vivificante della divinità scorre nelle loro vene e il fuoco immateriale, che un tempo bruciò il roveto ardente e che sotto forma di lingue di fuoco discese sull’assemblea degli Apostoli, infiamma i loro corpi e i loro cuori e fa loro cantare: «Abbiamo visto la vera Luce, abbiamo ricevuto lo Spirito sopraceleste, abbiamo trovato la vera fede, adorando l’indivisibile Trinità, poiché essa ci ha salvati» (Liturgia di S. Giov. Crisostomo). Adesso l’assemblea è stata vivificata, è divenuta Chiesa, Dio è in mezzo al suo popolo, tutti possono uscire in pace ed annunziare al mondo la risurrezione del loro Signore, nell’attesa gioiosa della sua seconda Venuta. L’Eucaristia è distribuita ai fedeli orientali sotto le specie del pane (fermentato) e del vino. La ben nota polemica sull’uso del pane azzimo, introdotto dall’Occidente, non ha oggi che importanza storica. L’orientale continua ad usare il pane fermentato perché attribuisce ad esso il significato del fermento = νούς, cioè la mente della natura umana dell’’Uomo-Dio. Per cui un pane eucaristico non fermentato equivarrebbe per loro alla negazione della completezza in Cristo della natura umana. Comunque, non vi può essere problema di validità, perché l’azzimo è pane come il fermentato. È solo questione di tradizione rispettabile pure quella dell’Occidente, anche se meno antica di quella osservata da sempre dall’Oriente, più conforme alla tradizione tramandata dagli Apostoli e, in origine, comune alla Chiesa universale.
EUCHOLOGIO o EUCOLOGIO (dal greco Ευχή = preghiera e λέγω = raccogliere). È il libro liturgico delle Chiese bizantine che contiene l’ordinario delle divine Liturgie e dei riti relativi al conferimento dei sacramenti, varie ufficiature, e un gran numero di benedizioni e di preghiere, ecc. È il libro del Vescovo, del sacerdote e del diacono. Vi sono due specie di Eucologi: grande e piccolo. Per la liturgia, però, si usa un volume a parte, chiamato Λειτουργικόν corrispondente al Messale dei latini.
eucologio BARBERINI, meglio definito greco 336 o Barberini di S. Marco, perché appartenuto al monastero domenicano di S. Marco in Firenze. Si tratta del più antico manoscritto liturgico (VIII sec.), proveniente dall’Italia meridionale. Una descrizione è stata fatta da A. Strittmetter in «Ephemerides liturgicae» 47 (1933), pag. 329-367.
eucologio di BESSARIONE. È il codice Γ β 1 di Grottaferrata del XII sec. Appartenuto al Card. Bessarione, venne da questi regalato alla Badia greca di Grottaferrata, dove attualmente si trova. Oltre che per il suo valore storico, è importante per il contenuto liturgico, per l’abbondante descrizione della tradizione liturgica di Costantinopoli del XII sec. Venne usato come testo ufficiale a Firenze nel 1439. Recentemente, nel 1982, è stato oggetto di una tesi di dottorato presso il Pont. Istituto Orientale di Roma del Rev. Giovanni Stassi, presbitero della Chiesa di Piana degli Albanesi.
eucologio di PORPHYRIO del X sec., forse di origine italo-greca. È Il manoscritto Leningrado 226, conservato fino al 1850 a S. Caterina del Monte Sinai, quando venne scoperto e acquistato da Porphyrio Uspenskij, al cui nome è rimasto legato. È stato descritto da A. Jacob in «Le Muséon» 78 (1965), pag. 173-214.
EVANGELIARIO (το Ευαγγέλιον = la buona novella). Libro liturgico che contiene le pericopi giornaliere dei quattro Evangelisti (Matteo, Marco, Luca, Giovanni), divise ed ordinate secondo il calendario liturgico bizantino, che inizia col Penticostarion (periodo che va da Pasqua a Pentecoste), segue con l’Octoichos, fino alla ripresa del Triodion, quando comincia la Grande Quaresima. Seguono quindi le pericopi evangeliche dell’anno ecclesiastico, che ha inizio col 1° settembre. Vengono, infine, quelle per le varie occasioni, come battesimo, ecc. Restare in piedi durante la lettura dell’Evangelo è un’usanza assai antica, menzionata già nelle Costituzioni apostoliche (II, 57) che, oltre a costituire un segno di rispetto, simboleggia la gioia, la libertà e la resurrezione spirituale, date all’umanità in grazia dell’Evangelo. Il libro degli Evangeli (Evangeliario) ha il posto d’onore nelle Chiese orientali: sta sempre sopra l’altare o santa Mensa (v.). Spesso il sacerdote, poggiandolo sul capo di un infermo, usa leggere un brano evangelico (Lc 9, 1-6; Mc 5, 24-34) oppure – com’è tradizione nella Chiesa bizantina di Sicilia – quello della festa (1 novembre) dei SS. Anargiri Cosma e Damiano (Mt 10, 1-8). Anche oggi si fa così per coloro che desiderano essere guariti da qualsiasi male fisico o morale, fiduciosi che il contatto con il libro sacro della parola di Dio li guarirà allo stesso modo in cui col contatto delle sue vesti Gesù guarì l’emorroissa e tanti altri di cui parlano gli Evangeli (Mc 5, 27-28; 6, 56; Lc 6, 19). Cfr. alla voce «Bibbia».
EVANGELI apòcrifi. Scritti spuri del II e III sec. d. C. non riconosciuti autentici, e quindi non canonici, dall’autorità della Chiesa. Alcuni ebbero grande diffusione ed influirono molto sull’arte e sull’iconografia cristiana. Il più diffuso di essi è il Protoevangelo di Giacomo, dedicato alla vita della Madre di Dio, a S. Giuseppe e all’infanzia di Gesù.
EVANGELI sinottici. Denominazione riferita ai tre primi Evangeli (Matteo, Marco, Luca) che, per i loro luoghi paralleli, descrizioni e somiglianze, si prestano ad una lettura comune e simultanea.
EVANGELISTI. Sono coloro che annunziano la buona novella. Nel N. Testamento così è chiamato il diacono Filippo (At 21, 8). L’appellativo di evangelista venne poi attribuito agli autori dei quattro evangeli canonici: Matteo, Marco, Luca, Giovanni, in quanto consegnatari del divino messaggio della vita e dottrina di Cristo. Essi furono ravvisati dai Padri nei quattro animali della visione di Ezechiele (Ez 1, 5-14), donde il simbolismo che sempre li accompagna nelle arti figurative. Secondo S. Girolamo (Comm. in Matth. Prol.; Comm. in Ez ad I, 7 e sg). Matteo è simboleggiato nell’uomo, perché il suo Evangelo inizia con la genealogia umana di Cristo; Marco nel leone, perché inizia con Giov. Battista nel deserto; Luca nel vitello, perche inizia con il sacrificio di Zaccaria; Giovanni nell’aquila, per la sublimità con cui descrive la divinità del Verbo.
EVLOGHIA (η Ευλογία = azione di lode, elogio). Con essa il Vescovo o il sacerdote benedice una o più persone o un oggetto, facendo un segno di croce e pronunziando nel contempo una breve formula. Con questo termine s’intende anche designare un pane benedetto o un oggetto sacro che si conserva in ricordo di un pellegrinaggio.
EVLOGHITOS (Ευλογητός). Con questo termine si designa una breve formula benedizionale, all’inizio di un’azione rituale, quella che nei libri liturgici è formulata con Ευλογητός ο Θεός ημών πάντοτε νύν και αεί... Essa è sostituita sempre con Ευλογημένη η Βασιλεία του Πατρός, quando all’azione rituale fa seguito la divina Liturgia.
FELONION (το φελώνιον; lat. «paenula» o «casula»). È un’ampia veste a manto, senza maniche, con unica apertura in alto per passarvi la testa, usata anticamente per i viaggi. In genere è di stoffa assai ricca, talvolta ricoperta di croci ornamentali (πολυσταύριον), ornata sul dorso con una vistosa croce. Il Cabasilas le attribuisce questo simbolismo: «il disimpegno del sacerdote da ogni attività umana, sia nella vita, dato che egli è come uscito dalla carne e dal mondo, sia nella stessa liturgia, dato che questa dipende interamente e solo dalla mano divina e il sacerdote non vi concorre con nessuna attività umana» (N. CabasilasExplication de la divine Liturgie, Édit. du Cerf, Paris, 1967, pag. 365). Indossandolo, il sacerdote recita: «I tuoi sacerdoti si rivestiranno di giustizia e i tuoi Santi esulteranno...» (Sal 131, 9). Per cui il felonion simboleggia anche la giustizia, donataci da Cristo, di cui i sacerdoti vengono colmati e che poi diffondono nel popolo.
FESTA liturgica. È un momento in cui con la celebrazione di un determinato rito si commemora un mistero divino o si onora un Santo della Chiesa. Le feste liturgiche si possono distinguere in a) feste mobili, celebrate secondo un preciso calcolo, dipendente dalla data pasquale; b) feste fisse, che cadono in determinati giorni del calendario ecclesiastico (v.). La Chiesa bizantina conosce tre tipi di feste: 1) feste Despòtiche (del Signore), cioè le Δεσποτικαί Εορταί; 2) Feste Mariane, chiamate appunto Θεομητορικαί Εορταί; 3) Feste dei Santi, celebrate con particolare solennità, chiamate Επίσημαι Εορταί. Le Grandi Feste sono 12, da cui l’appellativo di Δωδεκαόρτιον. Alcune cadono a data fissa, altre sono mobili. Esse, quando sono rappresentate nell’Iconastasi (v.) seguono quest’ordine: Annunziazione (25 marzo); Nascita di Cristo secondo la carne (25 dicembre); Battesimo del Signore o Teofania (6 gennaio); Trasfigurazione (6 agosto); Incontro con Simeone o Υπαπαντή (2 febbraio); Resurrezione di Lazzaro; Palme; Crocifissione di Cristo; Resurrezione di Cristo; Ascensione di Cristo; Pentecoste; Dormizione della Madre di Dio (15 agosto). Le Feste Mariane sono entrate nel Calendario ecclesiastico dopo il IV Conc. ecum. di Calcedonia del 451, e si distinguono in Grandi e Piccole Feste. A cominciare dall’inizio dell’Anno ecclesiastico (v.), le Grandi Feste Mariane sono: la Nascita della Madre di Dio, 8 settembre; l’Ingresso al Tempio (τα Εισόδια), 21 novembre; l’Annunziazione, 25 marzo, che è anche Festa Despotica; la Dormizione della Madre di Dio, 15 agosto, anche questa tra le Grandi Feste dell’anno liturgico. Tra le Piccole Feste Mariane, ricordiamo: la Σύναξις της Θεοτόκου (26 dicembre), in cui viene commemorata la maternità della Vergine; la Deposizione della veneranda Veste della Madre di Dio (2 luglio); la Deposizione della veneranda Cintura della Madre di Dio (31 agosto). Le Επίσημαι Εορταί comprendono quei Santi che, specie le Chiese locali (v.) celebrano con particolare solennità (Cfr. Eleuterio F. FortinoLiturgia greca, Roma 1970, pp. 119-131).
FILANTROPIA. Nel cristianesimo è l’amore sviscerato di Dio per l’uomo. Nelle preghiere della Chiesa bizantina ricorre spesso «Dio filantropo» = Dio che ama l’uomo. È proprio quest’amore divino che nella filosofia cristiana fa amare gli uomini tra loro, in quanto fratelli e figli di Dio, padre di tutte le creature. Ed è l’amore del prossimo, che è tutt’uno con l’amore di Dio, che caratterizza e da valore alla morale cristiana.
FONTE battesimale. Cfr. alla voce «kolymvìthra».
FOTIZOMENI (οι Φωτιζόμενοι). Catecumeni in attesa di ricevere l’illuminazione battesimale (v.).
GEENNA. Simbolo dell’inferno e dei tormenti eterni. Cfr. spiegazione alla nota n. 27. La geenna (γέενα) è il nome del Wadi er rababi, a sud di Gerusalemme, divenuto tristemente malfamato per esservi state sacrificate vittime a Moloch (2Re 15, 3; 21, 5), localizzato dalla letteratura apocalittica nella vallata di Hinnon, fin dal II sec. a.C. Essa ce lo ha tramandato come luogo dell’inferno di fuoco, che verrebbe dischiuso dopo il giudizio finale.
GRAZIA (η χάρις). Nella Santa Scrittura il vocabolario della «grazia» è semplicemente enorme, pressoché incontrollabile, e così si può notare a colpo d’occhio che anche gli «autori probati» che trattano della «grazia» nelle loro spiegazioni «di scuola», per lo più vanno ad orecchio, seguendo scelte arbitrarie ideologiche e filosofiche. Si noti intanto che già nell’A. T. il gr. chàris, la grazia, termine che ingiustamente è prevalso nell’uso, traduce ben 8 radici ebraiche, tra cui quella significativa di ben. Senza entrare in particolari, diciamo che grosso modo «grazia» – ma dunque intendendo recuperato tutto il suo vocabolario: conversione, ascolto della Parola, fede, speranza, carità, pace, gioia, dolcezza... carismi... Doni dello Spirito Santo... – vuole indicare «il Dono» gratuito divino immeritato ineffabile; offerto liberamente all’uomo concreto prima durante e dopo il suo essere ed agire. Questo già nell’A. T., dove «lo Spirito di Dio» è l’espressione che significa «Dio in quanto vuole comunicarsi agli uomini». Nel N. T. la «grazia» si rivela in pieno in tutti questi suoi significati: il Padre mediante il Figlio Risorto con lo Spirito entra in comunione di grazia con gli uomini. La grazia è «il Dono» trinitario indivisibile, Dono di comunione misteriosa interpersonale alla Vita divina, che mentre rende l’uomo «quale uomo secondo Dio – “ad immagine e somiglianza di Dio” – santo della divina Santità», lo trasforma nella sua pienezza intesa dal piano divino, dunque senza violenza, e lo «trasferisce a vivere al modo della Triade divina». L’effetto si inizia però già nella vita umana terrena. Di qui spiegazioni infinite ed interessanti della «grazia», già presso le scuole ebraiche, fino a noi; poi nelle scuole di teologia e spiritualità di tutto il cristianesimo. Gli Ebrei e l’Oriente insistono biblicamente per l’indicibilita della grazia divina, mentre l’Occidente ha insistito di più sugli aspetti psicologici, antropologici e giuridici. Per la complessità dell’argomento è dovere rinviare alle voci che trattato della grazia: Adamo; Aghiasmos; Angelo; Battesimo; Carisma; Creazione; Divinizzazione; Doni; Eucaristia; Icona; Myron; Mystirion; Peccato; Regno dei cieli; Unzione crismale. Cfr. anche nota 60. 63, 64.
IC XC NI KA. Monogramma che adorna spesso la raffigurazione della croce, sui cui bracci superiori spiccano le lettere IC XC (Gesù Cristo) e su quelli inferiori NI KA (vince).
ICHOS (ο ήχος = suono). Melodia compresa in una certa gamma di suoni. È la nota predominante di questi suoni e non l’insieme di essi che determina ed indica l’ìchos, ossia il tono. La musica ecclesiastica bizantina ha otto toni o modi, di cui quattro di base e quattro piagali.
ICONA, icone (η Εικών). È la rappresentazione figurata di Cristo in tutta la sua vita storica, della santa Theotókos Maria negli episodi storici della sua vita vissuta con il Figlio o prima della sua Nascita (ma per lo più Maria si rappresenta con il Figlio), dei fatti salvifici della Chiesa, degli angeli e dei santi della Chiesa. Dal sec. 4° in ambiente siro-palestinese cristiano si sviluppa l’idea centrale della «icona», che raggiungerà in ambiente greco il suo culmine artistico, ma che già nei Padri del sec. 4° stesso, soprattutto greci, però anche in s. Efrem Siro, è spiegata nella sua «teologia» (altro nome della «icona»). Il fondamento è che Cristo è l’unica «Icona del Dio Invisibile» nello Spirito Santo (Col 1, 15-20), rivelazione prima-ultima del Padre nello Spirito (Gv 1, 18), Impronta divina della Sussistenza del Padre e Icona della sua Bontà (Ebr 1, 1-4), per cui può dire «chi ha visto Me ha visto il Padre» (Gv 14, 6-9). Così, spiegano i Padri, quanto la Parola divina annuncia, il kérygma, la icona lo mostra. Per la struttura stessa dell’uomo, l’ascolto di fede della Parola rivelante postula la immagine che ne aiuta la contemplazione e l’assimilazione: e la stessa vita eterna è dialogo ineffabile con il Dio Vivente, e sua contemplazione eterna gioiosa amorosa (1Gv 3, 1-2). Dunque la icona liturgica, sempre oggetto di venerazione, specialmente la icona di Cristo – e subordinatamente tutte le altre – accompagna il kèrygma, ed essa stessa in qualche modo lo è (oggetto efficace di catechesi); è theôrìa, visione, contemplazione dell’Invisibile in forme accessibili simboliche concesse appunto dall’Invisibile; è anamnesi, in quanto fa memoriale delle realtà salvifiche portate dall’Evangelo; è dossologia, in quanto contempliamo in essa la futura Doxa divina; è illuminazione, perché nella Luce increata (raffigurata dall’oro) contempliamo la Luce; è «riassunzione», in quanto il Volto del Signore, Volto della Umanità beata e risorta della Persona divina del Verbo Dio, mostra l’unica carità della indivisibile Triade del Padre e del Figlio e dello Spirito. Perciò la icona occupa lo spazio sacro delle chiese – in Occidente almeno fino al sec. 13°... – come affreschi, mosaici, dipinti su tavola (la «icona» secondo la terminolgia alquanto restrittiva), servendosi di opportune «leggi» artistiche canonizzate dal Conc. di Nicea II (787), VII Ecumenico. Così rispetta insieme il «realismo ontologico», contro il naturalismo paganeggiante e l’informale, e l’«astrazione trasfigurante», contro l’allegorismo dell’arte figurativa di certe epoche. In sostanza, la «icona» nella sua preziosità è il culmine dell’arte cristiana, in quanto mistagogicamente mostra «Cristo come è – perché come è ha fatto i suoi santi – come è farà noi, trasfigurati in eterno» (i Padri). Dunque la icona è anche oggetto di preghiera al Signore per diventare «icone trasfigurate di gloria in gloria», come proclama l’Apostolo (2 Cor 3, 18). Cfr. su questo anche P. GionfriddoL’icone, in Oriente Cristiano (23/1 (1983) 5-37. Non va dimenticato che «icona» è anche la S. Croce del Signore, come tale sempre rivendicata dalla Chiesa, e oggetto di culto insigne con feste di primaria importanza (14 settembre, Domenica III di Quaresima, ed altre). Infine, se l’uomo è «icona di Dio», sua «immagine e somiglianza» (v.), recuperata da Cristo ed impressaci dallo Spirito nel battesimo e nella «sigillazione» crismale, più ampiamente, la Chiesa stessa è la Icona dello Sposo Cristo, sulla quale si deve rispecchiare la grazia e la bellezza dello Sposo Icona. Essa è per sua natura nuziale Madre feconda di altre «icone», dunque per lo Sposo forma la «Icona di icone», vera iconostasi nel mondo per la salvezza di tutti gli uomini. Questo tema è riccamente diffuso in tutta la Liturgia bizantina, con accenti di penitenza o di gioia secondo i momenti celebrativi «Anch’io sono icona della tua ineffabile gloria, anche se porto le stimmate delle colpe» (Ufficiatura bizantina dei defunti), ma sempre con la speranza certa di essere degni dell’Icona del Dio Invisibile che ci dona il suo Spirito.
ICONOCLASMO. Eresia dell’VIII e IX sec., condannata dal 2° Concilio di Nicea del 787. Tuttavia la teologia delle iconi, elaborata principalmente da S. Giov. Damasceno (†750), S. Teodoro Studita (†827) e dal Patriarca Niceforo di Costantinopoli (†828), si potè imporre definitivamente solo quando il siracusano S. Metodio, Patriarca di Costantinopoli, istituì nell’843 la festa dell’Ortodossia, con cui ogni anno nella prima domenica di grande quaresima la Chiesa orientale commemora il trionfo delle iconi. Queste vengono portate solennemente in processione e in quel giorno si leggono in forma di preghiera i documenti sinodali del Conc. di Nicea del 787 e di quello locale di Costantinopoli dell’843. «È vero che Dio è invisibile ed incircoscrivibile... ma il Verbo si fece carne; l’Eterno si fece temporaneo; l’Invisibile, visibile; l’Incorporeo, corporeo; l’Incircoscrivibile, circoscritto; l’Immenso, misurabile... Noi ci innalziamo alla contemplazione delle cose spirituali per mezzo delle figure sensibili» ... (Dalla lettera dei Patriarchi Cristoforo di Alessandria, Giobbe di Antiochia e Basilio di Gerusalemme all’imperatore Teofilo. Secolo IX). Per cui, «quanto più esse vengono viste nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di ciò che esse rappresentano e a tributare ad esse rispetto e venerazione» (Conc. ecum. di Nicea del 787).
ICONOSTASl (το Εικονοστάσιον, το Τέμπλον)Parete di iconi, creata per separare il vima (v.) dalla navata del tempio (v.), inizialmente provvista solo di qualche icona, al di sopra della «pergula». Dall’architrave portante, spesso riccamente decorata, pendevano non solo iconi (da cui l’appellativo di iconastasi), ma anche numerose lampade votive. L’iconostasi comunica col santuario (το ιερόν Βήματο Ιερατείον) o vima (v.), attraverso una grande porta centrale (η ωραία Πύλη) in dirczione del santo Altare o Mensa (v.) e altre due porte laterali più piccole, aventi destinazioni rituali precise: una in corrispondenza della protesi (v.) e l’altra, a destra di chi guarda l’abside della chiesa, del diakonikòn (v.). Nella porta centrale, costituita da due semiporte, è raffigurata l’Annunziazione, che segna l’inizio dell’opera redentrice di Cristo; attraverso quest’ingresso può passare solo il Vescovo e i sacerdoti quando celebrano. Nell’iconostasi vi sono le iconi di Cristo (raffigurato in genere come Re e Sacerdote), e del Battista: a destra di chi guarda l’abside; della Madre di Dio e del Santo a cui è dedicata la chiesa: a sinistra. Talvolta l’iconostasi è arricchita nei piani superiori delle iconi delle principali festività dell’anno liturgico, Dodecaòrtion (v.) e non mancano le iconi dei 12 Apostoli, sormontate dalla Croce (dipinta) con la deisis (v.), cioè la Vergine Maria dolente e S. Giovanni evangelista, l’apostolo prediletto. Così l’iconostasi, nata come parete separatoria è divenuta praticamente luogo di incontro. Infatti, oltre ad evidenziare una perfetta simbiosi tra iconi ed architettura liturgica, per la struttura stessa delle cerimonie che vi si svolgono, essa è fonte di ricchezza e, in una dimensione cosmica, realizza, sotto gli sguardi sereni dei Santi che vi sono raffigurati, l’unione tra liturgia terrestre e liturgia celeste, in cui tutti all’unisono cantano la gloria del Signore.
IERATIKON (το Ιερατικόν). Libro liturgico bizantino proprio del sacerdote (ιερεύς), contenente le liturgie eucaristiche e le ufficiature del Vespro, del Mattutino, e qualche altra piccola ufficiatura ad esse collegate.
ILITON (το Ειλητόν). Stoffa di uguale proporzioni dell’antiminsion (v.) che spesso lo avvolge. Secondo Simeone di Tessalonica simboleggia il sudario con cui venne avvolto il corpo di Gesù.
ILLUMINANDI (οι Φωτιζόμενοι). Cfr. alla voce «Fotizòmeni».
ILLUMINAZIONE (ο Φωτισμός). Altro nome del battesimo. Esso è chiamato anche έλλαμψις = splendore, illuminazione, perché il battezzato è illuminato dalla Grazia, energia divina, che illumina il cammino del cristiano verso Dio. Cfr. nota n. 47.
IMMERSIONE. Altro nome del Battesimo. Cfr. in Introduzione al Battesimo.
IMPOSIZIONE delle mani. Cfr. alle voci «Chirotesia» o «Chirotonìa».
INCENSIERE (το θυμιατήριον = brucia profumi). Coppa di metallo o d’argento, sostenuta da quattro (con quella che sostiene il coperchio a cupola) corte catenine, fornite di 12 sonaglietti d’argento (3 per ciascuna catenina), a simboleggiare i dodici Apostoli che annunziarono l’Evangelo di Cristo nel mondo. Nelle cerimonie delle Chiese orientali esso è molto usato, e quasi sempre dal diacono, il quale nei momenti stabiliti dalle rubriche incensa le iconi del tempio e le persone che partecipano alle cerimonie. Durante la quaresima, al suo posto, viene usato un incensiere manuale, senza catenine, chiamato κατζίον.
INDIZIONE. È un periodo di 15 anni, numerati progressivamente da 1 a 15, dopo di che si riprende la numerazione da 1. Si iniziò a calcolarla dopo l’anno 312, quando Costantino dette libertà alla Chiesa. Il sistema sussiste tuttora nei computi del calendario (v.) ecclesiastico.
INSUFFLAZIONE (Ενφύσημα). È il gesto col quale il presbitero o il vescovo soffiano sull’acqua o su altra materia per comunicare lo Spirito Santo. È chiaramente un’allusione al gesto del Redentore sugli Apostoli la sera di Pasqua. Cfr. alla nota 30.
IPOGONATION (το Υπογονάτιον oppure το Επιγονάτιον)Portato all’altezza del ginocchio destro, ha la forma di un rombo e fa parte degli abiti liturgici vescovili o di un dignitario ecclesiastico. Al centro di esso spicca il disegno ornamentale di una croce, di un angelo o di una spada. Anticamente vi si conservava il testo dell’omelia. Nell’indossarlo, viene recitata questa formula di benedizione: «Cingi la spada al fianco, o Potente, per tuo splendore e tua bellezza. Tendi l’arco e avanza felicemente e regna per la verità, la mitezza e la giustizia; ad imprese mirabili ti guiderà la tua destra; in ogni tempo, ora e sempre…» (Sal 44, 3-4).
IPOSTASI. Termine per designare le tre Persone della SS. Trinità, caratterizzate ognuna dalle rispettive proprietà di «paternità», «filiazione», della «virtù santificante». La tuttasanta Trinità (η παναγία Τριάς), infatti, è la Unica Divinità, una sola divina sostanza (essenza) o natura ουσία φύσις), ma si distingue in tre Ipostasi o Persone della medesima sostanza (ομοουσία): Padre, Figlio e Spirito Santo. Per cui le tre Persone della SS. Trinità non costituiscono tre simili sembianze (πρόσωπα) di una stessa Divinità (= eresia sabelliana), ma tre Persone (Υποστάσεις) divine della stessa sostanza, ciascuna delle quali costituisce una Sussistenza propria, non concettualizzabile, che contiene la natura divina, ed ha sue caratteristiche proprietà (ιδιώματα). Cfr. alla voce «Dio» e alla nota 101.
IRENIKA (τα Ειρηνικά). Sono le invocazioni per la pace, all’inizio della liturgia, cioè la serie di preghiere ireniche con cui il diacono invoca la pace degli uni verso gli altri, ma anche la pace interiore di ciascun fedele. Esse compongono la Grande Sinaptì (v.). «A questo proposito – scrive il Matrangolo – una traccia profonda del travaglio dogmatico e storico-sociale della cristianità di Oriente è il frequente pensiero della pace comunitaria nella liturgia, fino a costituirne uno dei caratteri dominanti»: Papàs Vincenzo MatrangoloLa divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo e la Chiesa bizantina, Arlesheim BL. (Svizzera), 1963.
ISODIKON. Canto eseguito nel piccolo Isodo (v.). Esso varia a secondo delle festività.
ISODO (η Είσοδος = ingresso). Piccolo Isodo: è la breve processione che segna l’ingresso dei ministri nel santuario (v.), all’inizio della Liturgia, mentre viene cantato il canto d’ingresso (Isodikòn). Fino all’VIII secolo, in questo momento aveva inizio la Liturgia. Anche oggi nelle Liturgie pontificali, il vescovo, rimasto fuori dal santuario (v.) vi fa l’ingresso solenne. La cerimonia dell’Isodos si svolge oggi con una breve processione dei concelebranti, preceduti dal diacono, il quale porta solennemente il libro degli Evangeli. Grande Ingresso: solenne processione dei concelebranti che portano i s. Doni, il pane e il vino, dall’altare della Protesi (v.) alla s. Mensa (v.) per consacrarli.
KALIMAFCHION (καλυμαύχιον = copricapo di pelle di cammello). Copricapo bizantino usato dai sacerdoti greci, a forma di cilindro, con una piccola sporgenza nella parte superiore.
KATAPÉTASMA (το Καταπέτασμα = tenda). Serve a chiudere completamente allo sguardo dei fedeli il Santuario (v.), durante alcuni particolari momenti della Liturgia.
KÉNOSI. «Gesù Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguagliarla con Dio, ma svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2, 67). Per cui, kènosi letteralmente significa spogliazione, annientamento di Dio, che diviene uomo per la salvezza degli uomini.
KINONIA (η θεία Κοινωνία = la divina Comunione). Con questo termine si indica il mistero per cui i cristiani divengono partecipi della vita, dell’amore e della gioia che caratterizzano la comunione delle divine Persone (v.) della SS. Trinità. Sinonimo di κοινωνία è μετάληψις, che indica ugualmente la partecipazione ai divini Misteri.
KINONIKON (το Κοινωνικόν). Canto di comunione. È un versetto tratto dai salmi ed applicato alla festa del giorno. Viene cantato durante la comunione (koinonìa) dei concelebranti.
KOLYMVITHRA (η Κολυμβήθρα vasca per nuotare, piscina, fonte battesimale). È chiamata anche λουτήρ o λουτρών. È di grandi dimensioni in modo che vi si possa agevolmente immergere e fare riemergere il battezzando, lavandolo nell’acqua santificata, detta appunto acqua lustrale. I termini Βαπτιστήριον Φωτιστήριον indicano non tanto la vasca battesimale quanto piuttosto il luogo dove essa è posta e dove avviene il battesimo. Essa, in genere, è situata nel nartece, specie se è fissa; quando invece è mobile, viene posta verso il centro della chiesa, nel luogo chiamatoομφαλός (ombelico), volendo la Chiesa così significare alla mente dei fedeli la visione di una nuova nascita, di cui essa si arricchisce, nuova nascita che avviene nella Chiesa e per la Chiesa. Lo stesso nostro Salvatore, infatti, per santificare l’acqua e come primogenito di ogni creatura, nostro esempio, rinasce dall’acqua nel giorno del battesimo, mentre la voce del Padre si fa udire dal cielo... Ecco il primo uomo che nasce da generazione spirituale. Ognuno che vorrà entrare nel Regno dei cieli dovrà passare per la stessa via: «Io sono la via, la verità e la vita». I seguaci del vecchio Adamo, nati dalla carne e dalle passioni, hanno come eredità la morte; i seguaci di Cristo, nuovo Adamo (v.), sono eredi della vita (G. FerrariIl Battesimo nella spiritualità bizantina, Ediz. «Oriente Cristiano», Palermo, 1964, pag. 19-20). Cfr. anche la voce «Acque battesimali» e la nota n. 75.
KONTAKION (= pergamena arrotolata attorno ad un piccolo bastone, chiamato κοντάξ). È un tropario che in genere riassume e spiega la festività ricorrente, e il cui posto caratteristico è dopo la VI Ode dell’Orthros o Mattutino, seguito nelle domeniche e nei giorni festivi dagli ìki, spesso in numero di 24, formanti in questo modo un poema liturgico. Tra i più noti compositori di kontàki è Romano il Melode (†565).
KYRIE ELÈISON (Κύριε ελέησον). Questa breve invocazione biblica al Signore, tanto cara all’eucologia tipica dell’Oriente cristiano, che i fedeli elevano dopo ciascuna domanda della litania diaconale, è una pressante istanza alla misericordia divina e nello stesso tempo azione di grazie e confessione per implorare l’avvento del Regno di Dio. Essa è rivolta dall’asceta, senza mai stancarsi, a Gesù, chiamandolo per il suo santo Nome: «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me».
LAVACRO. Altro nome del battesimo. Cfr. nota 70 e 87.
LAVIS (η λαβίς). Cucchiaino liturgico che serve per la distribuzione della santa Comunione (v.).
LITANIA. Nel rito bizantino sono chiamate così le preghiere che caratterizzano abitualmente la serie di petizioni diaconali che formano la synaptì (v.), l’ektènia (v,), la étisis (v.) e gli irenica (v.).
LITURGIA (η Λειτουργία = servizio cultuale per la comunità). È la azione pubblica per eccellenza che interessa tutto il popolo di Dio. «Essa rappresenta e rinnova la duplice manifestazione di Dio al mondo con la discesa del Verbo sulla terra, prima, per operarvi la redenzione, e con l’ascesa al cielo per attuare la Pentecoste, preludio ed inizio del suo ritorno nella gloria, poi, per stabilire nello stato glorioso il pleroma ecclesiale (Cristo e noi)... «La Liturgia bizantina per il suo denso contenuto dogmatico appare quasi una tunica tessuta tutta d’un pezzo (Gv 19, 23) e una epitome della fede nella Trinità e Unità di Dio, nei misteri della Incarnazione e Redenzione, della Madre di Dio, della Chiesa, della Comunione dei Santi, della consumazione parusiaca, della unità pleromatica dei viventi, angeli ed uomini, nel Cristo, immagine del pleroma trinitario... Per il tramite della santa Liturgia, l’umanità, per chiamata e per diritto, diventa partecipe della Liturgia corale dossologico-trinitaria celebrata dalla Chiesa Una, degli angeli e degli uomini, con a capo Cristo-Pontefice... Nella Liturgia sono fuse e compendiate la luce della verità (Oriente) e la legge della fede (Pietro), poiché essa racchiude tutto l’arco dei misteri cristiani dalla esinanizione del Verbo (kenosi) alla riconciliazione (eirene) alla Gloria (Doxa) cui la Chiesa tutta unita, con una sola bocca e un sol cuore, da la risposta corale eterna: Amìn»: PPapàs Vincenzo MatrangoloLa divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo e la Chiesa bizantina, Arlesheim BL (Svizzera), 1963. Su l’azione liturgica che si compie sulla terra, cfr. nota 58. Nella Chiesa bizantina sono in uso tre testi di divina Liturgia, tutti riportati dall’Eucologio (v.): 1) quello che si riferisce alla Liturgia detta di S. Giovanni Crisostomo, celebrata comunemente durante tutto l’anno liturgico; 2) la Liturgia di S. Basilio (celebrata nelle domeniche della Grande Quaresima, il Giovedì e il Sabato Santo, nelle vigilie del Natale e dell’Epifania, e il 1° gennaio, festa di S. Basilio); 3) la Liturgia dei Presantificati, detta anche di S. Gregorio il Dialogo, celebrata nei giorni della Grande Quaresima, eccetto il sabato e la domenica (Cfr. Eleuterlo F. FortinoLiturgia greca, Roma 1970; D. Como, Note a «Meditazioni sulla divina Liturgia» di N. Gogol, Palermo 1972). (Una quarta liturgia è quella detta di San Giacomo fratello del Signore, che viene celebrata il giorno della memoria del santo, e, localmente in qualche altra occasione).
liturgici (abiti). Cfr. alla voce di ciascun abito. I paramenti liturgici anche nel V. Testamento assumono particolare importanza ed hanno un carattere sacro, rivelatore della gloria salvifica del Signore. Essi sono usati nell’esercizio del culto. Esclama Isaia ripetendolo il sacerdote nell’indossare lo sticharion: «Esulta la mia anima nel mio Dio, perché mi ha rivestito della veste di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge di diadema e come una sposa che si adorna di gioielli» (Is 61, 10). Proprio questo stesso messaggio veterotestamentario viene ancora più sottolineato nel N. Testamento ed assume un significato ben preciso nell’espressione paolina: «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3, 27). Le vesti, infatti, sono veramente preziose e belle quando nel rivestirle si raggiunge uno scopo. Esse divengono segni delle realtà celesti, della salvezza che ci è stata data; ci aiutano, guidando il nostro cuore e la nostra mente, ad acquisire i beni futuri. Per cui i vestiti liturgici non sono altro che i segni di questa grazia sacerdotale, grazia che emana da Cristo e di cui i ministri di Dio si sono rivestiti.
a) del DIACONO: stichàrion, oràrion, epimanìkia;
b) del SACERDOTE: stichàrion, epitrachìlion, epìmanikia, zoni, felònion.
c) del VESCOVO: stichàrion, epitrachìlion, epimanìkia, zoni, epigonàtion, sàkkos, omofòrion. Inoltre, nelle cerimonie pontificali, il vescovo usa: il bastone pastorale, uno o più enkòlpia e la mitra. Nelle altre cerimonie indossa il mandias.
liturgici (libri). I principali libri liturgici sono: l’Eucologio (v.); l’Evangelo (v.); l’’Apòstolos (v.); il Salterio (v.); il Triòdion, che contiene le ufficiature della Quaresima e della Settimana Santa; il Penticostàrion, che contiene quelle che vanno dalla domenica di Pasqua alla domenica di tutti i Santi (= domenica dopo Pentecoste); l’Oktòichos o Paraklitikì, che contiene quelle che vanno dalla domenica di tutti i Santi all’inizio della grande Quaresima (domenica del Fariseo e Pubblicano); il Mineo, in 12 volumi, uno per ogni mese dell’anno, con l’ufficiatura dei Santi e delle feste fisse; l’Orològhion, che contiene le parti fisse dell’ufficiatura quotidiana delle Ore, i tropari dei Santi del Mineo e altre ufficiature devozionali; il Typikòn (v.). Fanno parte anche dei libri liturgici l’Archieratikòn (libro liturgico per il vescovo) e altri di minore importanza. Recentemente, rifacendosi ad una plurisecolare tradizione, la S. Congregazione per le Chiese Orientali ha pubblicato in quattro volumi, l’Anthologhion, antologia di testi liturgici.
LONCHI (η λόγχη = lancia). Coltello liturgico a doppio taglio, a forma di lancia, con l’estremità del manico a forma di croce. Serve al sacerdote nella protesi (v.), per tagliare la prosforà (v.) e simboleggia la lancia che trafisse il costato di Cristo.
MADRE di DIO. Cfr alla voce «Theotòkos».
MAGNIFICAT (μεγαλύνει). Prima parola del cantico di Maria (Lc 1, 46-55) che nella tradizione bizantina inneggia nel mattutino la Madre di Dio (v.), la quale porta sulle sue vesti tre stelle, simboleggianti la sua verginità prima, durante e dopo il parto.
MANDIAS (ο μανδύας). Ampio mantello vescovile di colore violaceo o rosso, le cui estremità sono congiunte al collo e al lembo inferiore. Vi si notano delle lunghe strisce di stoffa di differente colore, chiamate ποταμοί = fiumi, a simboleggiare appunto i fiumi di grazia che devono emanare dai vescovi. Ai quattro angoli (2 in alto all’altezza delle spalle e 2 in basso) sono cucite delle stoffe sfarzosamente ricamate e adornate di disegni vari, detti πόμα – letteralmente bevanda.
MARGARITA (μαργαρτίτης = perla). Particella di pane consacrato e distribuita in comunione ai fedeli. Il termine liturgico è derivato infatti dal significato che essa ha assunto nel N. Testamento, di oggetto di gran pregio (Ap 18, 12) e quindi come figura di quel tesoro salvifico che è il Regno di Dio (Mt 13, 45).
MEGALINARIA (τα μεγαλυνάρια). Tropari che accompagnano la IX Ode (cui fanno riferimento) del canone del mattutino. Sono detti Megalinària perché iniziano con «Magnifica (μεγαλύνει), anima mia, il Signore».
MENSA (sacra). In corrispondenza dell’abside centrale della chiesa, si trova la s. Mensa (η αγία τράπεζα). Quasi sempre di forma quadrata, è sorretta in genere, da quattro colonne. Su di essa vi si celebra la divina Liturgia. Quest’altare è rivestito in maniera particolare: ai quattro angoli, su stoffa, sono scritti i nomi dei quattro Evangelisti (v.), o raffigurati i rispettivi simboli. L’altare viene ricoperto da una grande stoffa bianca che ne ricopre la superficie, chiamata katasàrkion (= κατασάρκιον), simbolo del sudario che avvolse il corpo di Cristo. A sua volta, questo è ricoperto da un’altra stoffa di seta, chiamata τραπεζόφορονένδυτηεπενδυτής, ricca di ricami, a simboleggiare la gloria che attornia la Divinità. Su queste stoffe è posto l’αντιμήνσιον, su cui è dipinta la scena della deposizione della croce e del seppellimento di nostro Signore Gesù Cristo. Sull’antimìnsion (v.) sono cucite delle reliquie di Santi. Sopra di esso è poggiato il libro degli Evangeli, testamento di Cristo. Oltre all’Evangelo, poggiano sull’altare il tabernacolo (αρτοφόριον) e due candelieri, in genere a tre fiamme, e al centro un crocifisso dipinto. Spesso il crocifisso con ai lati le iconi della Vergine Maria dolente e dell’Apostolo Giovanni è posto immediatamente dietro, a contatto con la s. Mensa, quasi a simboleggiare la loro partecipazione alla con celebrazione eucaristica. Il Giovedì Santo, con un particolare cerimoniale, si usa fare l’abluzione dell’altare. Questa cerimonia richiama il concetto della purificazione del corpo e dell’anima per trattare il mistero del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. Alla grazia che si domanda in quell’occasione si aggiunge la preghiera che l’altare, simbolo della tomba di Cristo, sia anche pegno della nostra gloriosa resurrezione.
MERIDES (αι μερίδες). Particelle di pane, estratte dalla prosforà (v.), che vengono disposte nel diskos (v.) in ricordo dei vivi e dei defunti. Cfr. alla voce «Margarite».
METANIA (η μετάνοια = cambiare mente, cambiare opinione, convertirsi, dal verbo μετανοέω). Con questo termine si designa lo stato d’animo con cui il fedele, in segno di umiliazione e di adorazione, accompagna assai spesso il segno della croce.
piccola metania = profondo inchino.
grande metania = Prostrarsi con il corpo fino a toccare terra anche con la fronte e tutte e due le mani. Quando, invece, si tratta di un segno di venerazione, passando per esempio davanti ad una icona o anche come segno di rispetto ad una persona di riguardo, prende il nome di proskynima (v.), cioè riverenza, inchino, saluto. Stato d’animo opposto alla metània è l’accidia (η ακηδία = apatìa che impedisce l’azione della volontà).
MISTICISMO. Atteggiamento dello spirito, orientato verso l’unione con Dio, per mezzo della contemplazione estatica, che non può essere descritta dal linguaggio umano. L’unione mistica pone l’anima del mistico in diretto contatto con Dio. Tuttavia queste esperienze devono manifestarsi entro certe forme di religiosità, e non possono sfociare in pietismo, quietismo o fanatismo. Cfr. alla voce «Ascetismo».
MITRA (η μίτρα). Diadema che richiama la forma della corona imperiale bizantina, sormontato da una croce. È portato dal vescovo nella Liturgia pontificale, ed è segno di perfezione e di pienezza.
MUSA (η μούσα). È una spugna pressata e serve per raccogliere i frammenti eucaristici, margarite (v.) che sono nel diskos (v.) e versarli nel calice.
MYRON (το άγιον Μύρον = santo Unguento). Con questo termine s’intende designare l’unguento profumato, ricavato dall’olio e dal balsamo, misto a varie sostanze odorifere (G. Ferrari, in «Oriente Cristiano», Anno V (1965), 1, pag. 29-30), che si usa per l’amministrazione della Cresima, come segno visibile della trasmissione dei doni dello Spirito Santo ai battezzati. I vari ingredienti odoriferi stanno a simboleggiare i differenti doni dello Spirito Santo che riceve il cristiano. Circa il loro numero esiste al Patriarcato Ecumenico una lista ufficiale, risalente all’VIII sec., che ne enumera 57. In essa è pure descritta la loro preparazione e cottura, che si svolgono nel corso di un lungo rituale, che ha inizio la domenica delle Palme e si conclude il Giovedì Santo (Paolo metrop. di SveziaIl sacro Crisma, volume edito dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1982, e riassunte in «Episkepsis» n. 294 del 20-5-1983, pag. 12-13). Nel corso del XIX sec. si è tentato di rivedere il rito e la relativa ufficiatura. A questo scopo sono state fatte delle pubblicazioni nel 1890, 1912 e 1960. Anche oggi, secondo un’antica usanza della Chiesa greco-bizantina, la consacrazione del Myron avviene nel Giovedì della Settimana Santa. Il Myron, sempre secondo un’antica tradizione dei primi secoli del cristianesimo, veniva consacrato da qualsiasi vescovo. La spiegazione ce la fornisce Dionigi l’Areopagita: «esso deve essere consacrato solo dal supremo grado sacerdotale, munito del potere di perfezionamento, dal vescovo quindi, in quanto egli solo è santo e divinizzato, e non dalle classi imperfette della comunità. Il Vescovo, infatti, si trova nello stato divino dei gerarchi, che è il primo tra gli stati di coloro che vedono Dio, ed è anche il sommo e l’ultimo, perché in lui si completa e si conclude tutta la struttura della nostra gerarchia. Perciò il divino regolamento – scrive sempre Dionigi l’Areopagita – ha esclusivamente riservato al potere di perfezionamento del gerarca ripieno di Dio l’ordinazione dei ranghi sacerdotali, la consacrazione del divino Myron e la santa consacrazione dell’altare» (Dionigi l’Areopagita, PG 3, 505ac). Tuttavia questo diritto, di consacrare il Myron, che compete al Vescovo in forza della sua ordinazione episcopale, gli è oggi negato in Oriente per diritto ecclesiastico. Infatti, col tempo, il Myron è finito per essere consacrato dai vescovi delle Chiese più importanti, dai patriarchi e, infine, dal solo Patriarca ecumenico, il quale, man mano che si sono costituiti altri patriarcati, ha delegato questo suo potere ai Capi delle Chiese ortodosse locali. Cosicché il Myron viene oggi ugualmente consacrato dal Patriarca di Mosca, di Belgrado, di Bucarest, ecc. Tuttavia la centralizzazione di questo diritto non ha avuto il senso né di una sottomissione né di una dipendenza, quanto piuttosto essa è rimasta segno tangibile e visibile di unità, di fraternità e di comunione, tra il Patriarcato ecumenico e le Chiese del mondo ortodosso.
La consacrazione del Myron, poi, costituisce sempre un avvenimento eccezionale. Nel presente secolo, al Patriarcato ecumenico essa è avvenuta, secondo i dati forniti dal sopra citato Metrop. Paolo di Svezia, solamente otto volte: nel 1903 e nel 1912 dal Patriarca Gioacchino III; nel 1928 dal Patriarca Basilio III; nel 1939 dal Patriarca Beniamino I; nel 1951 e nel 1960 dal Patriarca Atenagora I; nel 1973 e nel 1983 dal Patriarca Demetrio I. D’altra parte esso merita particolare rispetto. «Ecco, non vogliate supporre che questo Myron sia ordinario. Come il pane della Eucarestia, dopo l’epiclesi dello Spirito Santo, non è più semplice pane ma Corpo di Cristo, così questo s. Myron non è più ordinario, per non dire comune, dopo l’epiclesi, ma è carisma del Cristo e presenza dello Spirito Santo, essendo divenuto energetico della sua divinità» (Cirillo di Gerus., Catechesi mistag. 3, 3; PG 33, 1092). Ecco perché esso è conservato nella myroteca (v.) entro il santuario (v.) o, se in altro posto, facendovi ardere una lampada. Secondo Dionigi l’Areopagita, il s. Myron conferisce la vera santità ad ogni azione compiuta nella Chiesa e mirante al perfezionamento, e ad ogni oggetto sacro usato nella chiesa, ed è perciò mistero, cioè sacramento vero e proprio (Dionigi l’Areopagita, PG 3, 497a-500b). E la dottrina ortodossa insegna che, ricevendo il sacramento della Confermazione, i nuovi battezzati – per i doni e i carismi dello Spirito Santo che vengono loro trasmessi – sono rinforzati nella vita in Cristo, nella quale sono entrati per il battesimo, e vengono armati nella lotta che devono sostenere contro il peccato, per progredire «nella edificazione del Corpo di Cristo» (Ef 4, 12). Il Myron era usato anche per l’unzione degli imperatori nella cerimonia della loro incoronazione; col Myron, infine, vengono consacrati gli altari, le chiese, vengono unte le reliquie dei Martiri.
In questo modo appare ancora più chiaro ed assume un suo specifico significato il fatto che il Vescovo nella Chiesa bizantina fa porre aderente all’altare il capo del candidato durante il conferimento degli ordini maggiori. «La imposizione delle mani sui sacerdoti e l’unzione del Myron sui re producono lo stesso effetto ed hanno la stessa potenza» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c., pag. 178; PG 150, 569b). Cfr. anche alla voce «Unzione crismale».
MYROTÉCA (η μυροθήκητο μυροδοχείον): vaso contenitore del Myron. Si tratta, in genere, di un vasetto di vetro, posto in un altro d’argento. Vi è dentro anche una piccola asta d’argento nella cui sommità si avvolge dell’ovatta: con questa si fanno le unzioni. È conservata dentro il santuario (v.). Tuttavia se per qualche ragione dovesse essere conservata in altro posto, è necessario farvi ardere una lampada.
MYSTIRIA. Sono cosi chiamati i sacramenti (v.) nella Chiesa bizantina.
MYSTIRION. Secondo Gabriele Severo, Metrop. di Filadelfia (1541-1616), si dice «Mystìrion da μύειν, e cioè dal fatto che gli iniziati chiudano la bocca, si che non possano comunicarlo a nessuno dei non iniziati. Per cui anche il Salvatore proibisce di gettare le cose sante ai cani, e le perle ai porci. Conseguentemente la Chiesa cattolica e apostolica d’Oriente, preso lo spunto da ciò, ingiunge di uscire ai catecumeni (v.) non iniziati, prima che si cominci a cantare l’inno cherubico (v.)... e in altro modo Mystìrion deriva da μυούμαι, cioè “sono ammaestrato” e “imparo le cose sacre”. Per cui il Salvatore disse ai discepoli, che gli si erano avvicinati e che lo interrogavano sul perché parlava in parabole: a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli» (Gabriele Severo, metropolita di Filadelfia, Συνταγμάτιον sui santi e divini Misteri, cap. 2°, testo pubblicato da R. Simon, Venezia, 1600, pag. 36, riportato da Angelo Amato, Il Sacramento della penitenza nella Teologia greco-ortodossa in Analecta Vlatadon, Istituto patriarcale di Studi patristici, Salonicco, 1982, pag. 82, 84). Per cui «il mystirion è qualcosa di sacro che cade sotto i sensi, che nasconde in se stesso una potenza divina, per mezzo della quale offre agli uomini la salvezza e quanto ad essa contribuisce. Ho detto mystìrion, infatti solo agli “iniziati” e ai fedeli conviene affidare e rivelare ciò.
Non si gettano, dice il Signore le cose sante ai cani, né le perle ai maiali, come è stato già detto. Ho detto “qualcosa che cade sotto i sensi”, perché non si dica che si tratti di qualcosa che non esiste e che viene creato solo dal nostro intelletto. Ho detto “sacro”, a differenza di quanto non è veramente e propriamente sacro. Ho detto “che nasconde in se stesso una potenza divina”, per mostrare che la potenza che c’è e che agisce in esso proviene da Dio attraverso il celebrante e non dall’uomo. Ho detto “per la salvezza e per quanto ad essa contribuisce”, per mostrare che alcuni sacramenti sono assolutamente necessari per la nostra salvezza, altri invece sono utili e in un certo modo contribuiscono alla salvezza» (ibidem, c. 4, pag. 84-86). Mystirion, in senso più ampio, indica la Chiesa, corpo di Cristo, come rivelazione del “mistero nascosto prima di tutti i secoli” (Col 1, 26), come partecipazione alla vita trinitaria. Ancora il termine «mystìrion» si applica a molteplici cose: ciò che è di fede, per esempio, è mistero (1Tm 3, 1); si chiama mystìrion la resurrezione di Cristo e la sua ascensione in cielo; la resurrezione di tutta la natura umana e la seconda venuta di nostro Signore, ecc. Cfr. alla voce «Sacramento».
NARTECE o PRÒNAO (ο νάρθηξ = bacchetta, sferza di cui si servivano gli antichi pedagoghi per correggere o punire gli scolari). È il vestibolo della chiesa, anticamente riservato ai catecumeni e ad alcune categorie di penitenti, oggi luogo dove i monaci recitano l’ufficiatura ordinaria e dove è situato il fonte battesimale. Attraverso il Nartece si accede nel tempio per le Porte regali o Porte regie (cfr. descrizione in D. ComoMeditazioni sulla divina Liturgia di N. Gogol, Ediz. «Oriente Cristiano», Palermo, 1972, pag. 17).
esonartece: parte interna del nartece.
exonartece: parte esterna del nartece, in genere arricchita di portici.
NAVATA. È la parte centrale del tempio (v.) riservata ai fedeli. Ai muri perimetrali di essa sono addossati i sedili (τα στασίδια).
NEOFITA (ο νεόφυτος). Letteralmente significa giovane pianta, nuova pianta. Il termine è poi passato a designare il convertito al cristianesimo e, in senso più stretto, il neo battezzato (1Tm 3, 6).
NEO-ILLUMINATI (οι νεοφώτιστοι). Sono coloro che hanno ricevuto da poco il battesimo, per cui sono stati illuminati dalla grazia dello Spirito Santo. Anticamente essi, per un’intera settimana (nella settimana detta di «rinnovamento», quella cioè che segue immediatamente la Pasqua) partecipavano, in veste bianca e con cero acceso, alla liturgia eucaristica e si comunicavano.
OBLATA: Ciò che è offerto in sacrificio. Comunemente si designano il pane e il vino offerti per la celebrazione della Liturgia. La preparazione delle oblate (προσφορά) avviene nell’altare della Protesi (v.). Nei primi tempi del cristianesimo ed anche oggi, in alcune chiese, specialmente nei giorni di festa, vengono offerti dai fedeli dei pani, destinati al sacrificio eucaristico. Il sacerdote, dopo avervi tracciato un segno di croce, ne prende una parte, la parte centrale che porta impresso il monogramma di Cristo (IC XC NI KA) (v.) ed alcuni altri pezzettini (μερίδες) che vengono disposti nel diskos (v.); il rimanente viene spezzettato e, dopo essere stato benedetto, è distribuito ai fedeli al termine della Liturgia come Antidoron (v.).
OBLAZIONE. È qualsiasi comune offerta. Come termine liturgico essa indica l’offerta di un sacrificio (cfr. «Anafora»).
OLIO (το έλαιον = olio d’oliva). È usato come combustibile per le lampade (Mt 25, 3), ma anche per le unzioni di ogni genere (Lc 7, 46; Mc 14, 3; Mt 26, 7) ed ancora come medicamento nelle più varie infermità (Mc 6, 13).
OLIO per unzioni PREBATTESIMALI. È l’olio comune, chiamato olio di esultanza, usato dal sacerdote dopo apposita preghiera consacratoria per le unzioni prebattesimali. Cfr. alla voce «Crisma» e alla nota 93.
OMFALOS (ο Ομφαλός = Ombelico). Posto centrale della chiesa, situato quasi all’ingresso dei cori, localizzato in genere da una lastra marmorea rotonda, dove viene posta la vasca battesimale, quando questa è mobile, appunto per simboleggiare la nascita a nuova vita del battezzato.
OMOFORION (το ωμοφόριον). Paramento liturgico proprio del Vescovo. È costituito da una lunga e larga banda di stoffa, riccamente decorata ed ornata di grandi croci, che il Vescovo indossa sopra il sakkos (v.), le cui estremità cadono una dietro le spalle e una davanti sul petto, scendendo fino all’altezza, delle ginocchia (= grande Omofòrion). Fuori della Liturgia pontificale, il Vescovo indossa, sopra il mandias (v.), il piccolo Omofòrion, che, come l’epitrachìlion (v.), gira attorno al collo ma scende solo fino all’altezza delle ginocchia, Corrisponde al «Pallium» dei vescovi latini. L’Omofórion è l’insegna episcopale, entrata nell’uso in Oriente fin dal sec. IV. Esso simboleggia l’umanità: anticamente, infatti, era confezionato con lana di pecora, ed assumeva il significato della pecorella smarrita dell’Evangelo, che il buon Pastore pone sulle sue spalle, dopo che l’ha ritrovata, tralasciando le altre novantanove, che – dicono i Padri – simboleggiano gli angeli e tutto il creato (Lc 15, 4-5). E il trionfo dell’umanità avviene simbolicamente durante l’azione drammatica della Liturgia, al «Grande Isodos» (Cfr. D. ComoMeditazioni sulla divina Liturgia di N. Gogol, nota 94, pag. 66).
ORARION (το ωράριον). Lunga e stretta banda di stoffa, indossata dal diacono, che, svolazzando quasi fossero ali angeliche, evoca la liturgia celeste e sottolinea la funzione primaria del diaconato che è quella di essere di servizio alla Chiesa di Dio. Una estremità di essa scende dietro la spalla sinistra e l’altra è tenuta in alto dalla mano destra del diacono mentre recita le invocazioni litaniche per invitare i fedeli alla preghiera o il celebrante a compiere un determinato rito.
ORAZIONE (η ευχή). Cfr. alla voce «Preghiera» e alla voce «Esorcismo».
ORTODOSSI. Vennero così chiamati nel V sec. i cristiani che, contrariamente ai monofisiti, accettarono le decisioni dogmatiche del Conc. di Calcedonia (451). E poiché in Oriente unici ad accettarle furono i cristiani bizantini, il nome ortodossi divenne a poco a poco sinonimo di cristiani bizantini. Con questo nome oggi vengono chiamati tutti i cristiani delle Chiese bizantine che fanno capo al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
ORTODOSSIA (η Ορθοδοξία = la retta fede). È la dottrina vera, riconosciuta tale dalla Chiesa. Con questo termine s’intende anche l’insieme delle Chiese ortodosse.
ortodossia (domenica della). È la prima domenica di quaresima, in cui si commemora il trionfo della vera fede, ottenuto con il ripristino del culto delle iconi (v.), sancito dal Conc. di Nicea del 787 e dal Sinodo locale di Costantinopoli dell’842.
OTTAVO GIORNO. Cfr. alla voce «Vita eterna».
PADRI apostolici sono gli Scrittori dell’epoca cristiana primitiva, i quali furono discepoli o ultimi uditori degli Apostoli, trasmettendoci la tradizione apostolica. Essi furono testimoni del passaggio del depositum fidei dagli autori ispirati alla prima generazione post-apostolica. Come tali, grande è la loro importanza per la conoscenza della comunità cristiana primitiva, specialmente nel suo impatto con gli elementi extracristiani, l’etica stoica-ellenistica, la gnosi misterica e il docetismo giudaico. Tra i più noti sono: Clemente di Roma, Policarpo di Smirne, Ignazio di Antiochia.
PADRI della chiesa. Fin dal IV sec, sono chiamati così gli autori ecclesiastici che eccellono per dottrina e santità di vita, e che sono stati testimoni privilegiati dell’insegnamento e della tradizione della Chiesa. Altri, invece, sono chiamati semplicemente SCRITTORI ECCLESIASTICI. Tra questi ebbero grande importanza gli Apologisti (o Apologetici), i quali seppero difendere la dottrina del cristianesimo in mezzo al mondo pagano, specialmente quelli formati alla Scuola Alessandrina. I Padri della Chiesa si sogliono raggruppare in: a) Padri Greci, quelli la cui opera teologica è legata alla lingua e al mondo di idee greche; b) Padri Latini, discepoli di quelli greci, i quali, specie con S. Agostino, pur rimanendo in unità di pensiero con i Padri greci, seppero adattarsi ad una differente cultura e, rivendicando conseguentemente una certa autonomia, illustrarono la teologia della latinità dell’Occidente.
santi PADRI e DOTTORI ecumenici sono chiamati: Basilio il Grande, Gregorio di Nazianzo, detto il Teologo, e Giovanni Crisostomo. In seguito ad una accesa disputa avutasi a Costantinopoli sotto l’imperatore Alessio Comneno verso il 1100, per conoscere a chi dei tre Gerarchi dovesse attribuirsi maggiore santità ed erudiziene, Giovanni, metrop. degli Eucaiti, dopo un’apparizione dei Santi Dottori, convinse i cittadini ad onorarli tutti tre assieme (così come li raffigura una splendida parete musiva della Palatina di Palermo), con una festa comune che la Chiesa greca celebra il 30 gennaio.
santi PADRI sono chiamati i 318 Padri che parteciparono al 1° Concilio di Nicea del 325, quando venne condannato Ario, come pure i 350 Padri del 2° Concilio di Nicea del 787 (VII Ecumenico), quando venne decretato il trionfo delle iconi. I primi vengono festeggiati dalla Chiesa greca nella VII domenica dopo Pasqua, gli altri nella prima domenica dopo l’11 ottobre.
Quei santi PADRI che parteciparono ai primi sei Concili ecumenici (Nicea del 325; Costantinopoli (1°) del 381; Efeso del 431; Calcedonia del 451; Costantinopoli (2°) del 553; Costantinopoli (3°) del 680) sono chiamati teofori e festeggiati nella prima domenica che segue il 13 luglio.
tutti i santi PADRI (da Abramo, nostro progenitore, a Giuseppe, sposo intemerato di Maria, secondo la genealogia di Mt 1, 1-16) sono celebrati nella domenica immediatamente prima del S. Natale.
PADRI cappadoci sono chiamati in genere i tre grandi esponenti della Teologia ortodossa del IV sec.: S. Basilio il Grande, S. Gregorio Nazianzeno e S. Gregorio Nisseno, i quali con la loro dottrina sconfissero l’arianesimo, facendo trionfare definitivamente il concetto di identità nella sostanza (ομοούσιος) delle tre Persone (v.) della SS. Trinità, propugnato da S. Atanasio. Con questo titolo si indicano anche altri Padri minori, nativi della Cappadocia.
PADRI del deserto. Mossi dal precetto evangelico di povertà e di abbandono del mondo, e anche dalla presenza di comunità ebraiche che già svolgevano vita cenobitica nel deserto (i monaci di Qumran), apparvero nel III-IV sec. dei gruppi di eremiti, i quali scelsero una vita anacoretica (da αναχωρέω = mi ritiro), popolando inizialmente il deserto dell’Alto Egitto. Furono questi i cosiddetti Padri del deserto, di cui i più noti rappresentanti sono: 1) per la vita eremitica, S. Antonio Abate (†356), discepolo di S. Paolo anacoreta, e Macario il Vecchio (IV sec.); per la vita cenobitica (vita comunitaria di monaci associati), S. Pacomio d’Egitto (†346). Cfr. alla voce «Esicasmo».
PADRINO. Cfr. alla voce «Anadochos». Il termine è usato per designare colui che presenta il battezzando al fonte battesimale e che per una fictio juris, derivante da antichissima usanza, ne garantisce una educazione cristiana, sostituendosi e pronunziando in suo nome (se infante o straniero) le parole del rituale battesimale. Tra padrino e battezzato viene a stabilirsi una parentela spirituale, anche ai fini degli impedimenti matrimoniali. Va da sé che il padrino dev’essere un battezzato cristiano; è uno solo, uomo o donna indifferentemente. La Chiesa greca non permette che facciano da padrino: i genitori del battezzato, i condannati per eresia, i chierici o i monaci, i bambini e gli ammalati di mente.
PANAGHIA (η Παναγία = tutta santa). È uno degli appellativi più frequenti con cui gli Orientali chiamano la Madre di Dio. Esso è anche usato per indicare la panicella di pane, a forma triangolare, che il sacerdote distacca dalla prosforà (v.), durante la protesi (v.) nella Liturgia, facendo memoria della Santissima Vergine. Con questo termine, infine, si intende indicare il medaglione portato dai vescovi, come insegna vescovile (chiamato anche εγκόλπιον), dove è raffigurata una piccola icona della Madre di Dio, simbolo della Chiesa.
PANE santo (ο Άγιος Άρτος)È cosi chiamata soltanto l’Eucarestìa (v.).
PARACLETO. Letteralmente significa avvocato, patrono in giudizio. È così chiamato lo Spirito Santo, il quale sostituisce il Figlio e lo rivela, rendendolo presente tra gli uomini, non lasciandoli orfani ed assistendoli efficacemente nel giudizio scatenato dal mondo e dal demonio contro i fedeli di Cristo.
PARUSIA (η Παρουσία = presenza, arrivo). Seconda venuta del Signore alla fine dei secoli, a conclusione definitiva del suo Regno messianico. Per cui la parusìa è ancorata alla storia, ma non è un evento storico, né tanto meno un puro simbolo atemporale; «essa indica piuttosto il punto in cui la storia è vinta dal Regno eterno di Dio… e rappresenta la rivelazione finale di quella realtà escatologica che già esiste» (A. Oepke alla voce παρουσία in «Grande Lessico del N. Testamento» di G. Kittel, Paideia-Brescia, 1974, Vol. IX, col. 875). Per cui la parusìa è un fenomeno reale benché meta-cosmico, che modifica la natura dell’universo intero. Il cambiamento che ne verrà fuori non sarà il risultato di una combinazione o di una esplosione delle forze cosmiche esclusivamente naturali, ma avverrà per l’intervento della forza soprannaturale divina. Il Padre invia il Figlio, che viene nella gloria dello Spirito Santo. Il fuoco, che è l’azione dello Spirito Santo, rinnova, glorifica, deifica tutta la creazione. Ecco perché sbaglia chi parla della possibilità reale di provocare la fine del mondo con la potenza di una esplosione atomica, con una disintegrazione materiale. L’azione dello Spirito Santo non può essere forzata, non si può provocare la parusìa. Una catastrofe atomica mondiale disintegrerebbe il nostro pianeta ma non il cosmo (P, Al. TurnicevUne approche de l’Eschalologie orthodoxe in «Contacts» n. 54, 1966). Cfr. alla voce «Vita eterna».
PASTORALE o bastone pastorale (ποιμαντική Ράβδος). In genere, di metallo prezioso, termina in cima con due teste di serpente che si guardano l’una e l’altra: è simbolo della prudenza che deve avere il vescovo nel dirigere il gregge affidatogli.
PECCATO. La Scrittura presenta un enorme, impressionante vocabolario del «peccato», in ogni sua sfumatura, che lo stesso greco, pur così ricco, non è in grado di tradurre in modo adeguato. Per fare degli esempi, αδικία traduce 36 voci ebraiche; ανομία 24; ασέβεια 14; αμαρτία 15; senza contare i verbi rispettivi, ed altri termini. L’esperienza biblica del peccato infatti è reale, carica di significato e di prospettive. Alcuni termini principali comuni all’A.T. e al N.T. sono: αδικία ingiustizia, lo stato contrario alla divina Misericordia permanente, che è la «giustizia» (δικαιοσύνη) come intervento permanente e soccorrevole; αμαρτία è lo stato di «fallimento del bersaglio», nel senso che la condizione e le opere del peccatore lo allontanano sempre più dal fine di grazia posto dal disegno divino; ανομία iniquità, è la consapevole infrazione della santa Legge del Signore data agli uomini per il solo loro bene, e consiste anche nell’impedire con malizia e violenza ad altri uomini di vivere quella Legge; ασέβεια, empietà, è la volontà umana perversa di frustrare la Volontà divina rivelata e redentrice, il disprezzo di quanto porta verso Dio ed il prossimo; κακία, è la condizione dolosa di malvagità in cui versa il peccatore, sempre più indurito e maligno nella coscienza; πταίσματα (raro), sono le cadute rovinose, dovute alla debolezza umana colpevole. A questo stato generale di peccato, vera condizione di vita, corrisponde poi il vocabolario dei singoli comportamenti peccaminosi nelle sfere rispettive ma conglobanti dei rapporti verso Dio, se stessi, il prossimo, il mondo. Basti qui rimandare all’elenco impressionante di Mc 7, 20-23, tutti i peccati che il Signore denuncia come sgorganti «dal cuore dell’uomo» per la sua rovina. Non altro sono le «requisitorie profetiche». Per comprendere il dato di fatto generale e sconvolgente di tutta la storia biblica fino al N. T., che è il «peccato» degli uomini, occorre tenere presente la condizione della «alleanza». Adamo è creato buono dal Signore (Gen 1, 26-27 e 31). È vincolato dall’alleanza universale, e con lui tutti gli uomini: è il rapporto di docilità al loro Creatore, che è anche conseguire il fine divino in ordine a Dio, a se stessi, al prossimo, al mondo. Mancare a questo è appunto «fallire il bersaglio», è il «peccato» (cfr. αμαρτία).
Con l’alleanza sinaitica il Signore esplicita la sua Volontà divina nella sua Legge, che implica in modo esigente la santità, il culto, la giustizia, la cura degli uomini da portare al Signore. Questo è il compito che investe il «popolo di Dio». Così che la «storia della salvezza» è l’opera divina di santificazione, e il contrario di essa che è il «peccato», la situazione di peccato.
Nel N. T. il Cristo è «il Santo di Dio» (Lc 1, 35), che viene a distruggere il peccato, a donare vita e santità, a rendere possibile il disegno divino per sempre. La profondità radicale del «peccato» umano, visto sia come condizione di vita sia come atti peccaminosi, è tale che il Figlio di Dio deve assumere la «carne» umana, farsi uomo vero (Gv 1, 14) per distruggere il «peccato» stesso «nella carne», per così dire «da dentro». Infatti il Padre lo ha addirittura «costituito peccato per noi» (Rm 8, 3), benché Cristo non conosca il peccato (Eb 4, 15) pur fattosi in tutto simile a noi (ivi). Ma proprio per poter distruggere il peccato per sempre (Rm 6, 6) è «costituito peccato per noi» (2Cor 5, 21). Poiché il peccato produce la morte, e viceversa (Rm 5, 12; 6, 16; 7, 13; 8, 6), esso è «il pungiglione della morte» (1Cor 15, 56), cosicché «salario del peccato è la morte» (Rm 6, 23). Precisamente Cristo con la Croce e la Resurrezione nello Spirito (Eb 9, 14; Rm 8) vince il peccato e la morte (1 Cor 15, 57), cosicché l’«ultima nemica di Dio, che è la morte, sarà distrutta» (1Cor 15, 26). S. Paolo in specie rivela la tragedia degli uomini sotto il peccato, per il «fallimento» di Adamo rispetto al piano divino. L’Apostolo con eccezionale vigore riafferma che tutti gli uomini sono peccatori (Rm 3, 4; 9-20.23). Ma Cristo è posto da Dio quale nuovo Adamo (Rm 5, 12-21); così che se per colpa di uno solo, il vecchio Adamo, tutti stanno sotto il peccato (Rm 5, 12-14), tuttavia per merito di uno solo, il Nuovo Adamo (v.), tutti sono redenti (Rm 5, 13-16). Poiché come uno solo cadde e trascinò con sé tutti nella rovina, tuttavia Uno solo risollevò tutti per la gloria (Rm 6, 17-21). Per pura grazia Dio ha permesso la caduta, per non ledere la libertà dell’uomo. Ma per pura grazia, più ancora sovrabbondante ha distrutto il peccato nel Figlio con lo Spirito, senza ledere la libertà dell’uomo. Questi adesso deve solo accettare la divina Misericordia, cioè la «economia ultima» di Dio.
Cristo risorto con lo Spirito porta dunque agli uomini questa Misericordia. Sul piano storico egli raggiunge gli uomini con lo Spirito in forza dell’Evangelo della grazia, dei Misteri della grazia, in specie il battesimo, il dono dello Spirito, i Santi Misteri celebrati. L’uomo così santificato è assimilato a Cristo, il Santo di Dio, è ricondotto alla comunità vitale dell’amore e della grazia, la Chiesa, è astretto all’Alleanza Nuova ed eterna attuata dalla Croce e sigillata dallo Spirito. Di qui viene la lotta che il fedele deve iniziare contro la «carne», l’esistenza che rifiuta la redenzione (Rm 6-7). Esiste un ottimismo fondamentale cristiano, che vede e descrive il peccato nella sua tragicità. Nella Nuova Alleanza il comportamento nuovo è la santità. Sì che meglio si comprende il grido di S. Paolo: «Di quale libertà Cristo ci ha liberati!» (Gal 5, 1). Il fine della santità è la divinizzazione (v.) dell’uomo.
PECCATO ORIGINALE. È l’habitus ereditato dai Progenitori, di cui sono simbolo le tuniche di pelle da essi ricevute dopo l’espulsione dall’Eden; le conseguenze del peccato dei progenitori (l natura decaduta e malata) sono state trasmesse all’umanità tutta, però (diversamente da quanto insegnano i latini) non viene trasmessa la colpa, ossia il peccato stesso non è stato ereditato dai figli di Adamo. Gli altri peccati, invece, sono da intendersi come atti peccaminosi, cioè mali da noi aggiunti. Cfr. nota 92.
PEGNO. Cfr. alla voce «Arra».
PERSONE divine. Cfr. alla voce «Ipostasi».
PORTE regali o porte regie. Cfr. alla voce «Nartece».
PREGHIERA (η ευχή – η προσευχή = preghiera, voto). La preghiera mette l’uomo in relazione con Dio, perché Dio nel suo disegno salvifico è entrato in relazione con l’uomo: si prega, infatti, prendendo motivo da ciò che è avvenuto, da ciò che avviene, ed affinché avvenga qualcosa. In questo modo l’uomo si pone di fronte all’appello e all’offerta di Dio. Per il suo carattere epifanico e contemplativo, la preghiera aiuta il cristiano a conservare costantemente la fedele memoria di Dio, in qualsiasi momento della vita quotidiana, e contribuisce a ravvivare nel cuore dell’orante l’invocazione di confessione (εξομολογήσεως), di ringraziamento (ευχαριαστίας) e di lode (δοξολογίας), dovuta a Dio-Padre, Creatore, a Dio-Figlio, Redentore, e allo Spirito Santo, il Paraclito. Essa generalmente si svolge sia comunitariamente in luogo sacro, in chiesa, sia in privato, in qualsiasi luogo, perché non c’è posto dove non sia presente e già unito all’uomo. Dio, amico degli uomini, il quale – come sappiamo – è più vicino a coloro che lo cercano di quanto non lo sia il loro stesso cuore. La preghiera aiuta l’orante nella sua tensione verso il dialogo-incontro con Cristo, in modo che in ogni luogo e ad ogni istante, per mezzo di essa è realizzata la presenza del Regno di Dio tra le creature. E queste, fin da quaggiù, acquistano il diritto di cittadinanza celeste. Per cui, in una dimensione cosmica, la loro liturgia terrestre partecipa e si unisce a quella celeste, e tutte e due cantano all’unisono la gloria del Signore (Cfr. D. ComoLe Ore nell’ufficiatura della Chiesa bizantina, Palermo, 1982, pag. 3-4).
PREGHIERA del signore gesù: Padre nostro (Mt 6, 7-13).
PRESBITERO (ο πρεσβύτερος = l’anziano, il responsabile di una comunità). È colui che ha il potere di celebrare il sacrificio eucaristico e tutti gli altri sacramenti, chiamato appunto «ministro delle cose sacre» (ιερεύς), in virtù della sua ordinazione (ιερωσύνη). A motivo di questa funzione sacerdotale, il Cristo è anche chiamato «Grande Sacerdote» (Eb 7, 21): Egli è infatti l’intermediario tra Dio e gli uomini, perché riveste della sua santità tutti i membri della sua Chiesa, comunica loro la sua funzione sacerdotale, fa di loro gli eredi del suo Regno e quindi futuri Re: «ha fatto di noi re e sacerdoti» (Ap 1, 6; 5, 10). Tutti i cristiani ricevono quello che comunemente viene detto «il sacerdozio regale dei laici» con la cresima, per cui essi costituiscono «una comunità sacerdotale e regale».
PROKIMENON (το προκείμενον = che è posto prima). È un versetto tratto generalmente dai Salmi (v.), posto prima di un brano del Nuovo o del Vecchio Testamento. Esso è seguito da uno o più versetti, chiamati stichi (στίχος = versetto graduale). I prokìmeni che precedono la lettura dell’Epistola (v.) sono chiamati prokimeni dell’Epistola, quelli che seguono, invece, Alliluiari, dato che vengono intercalati dal canto dell’Alliluia (v.). Il prokìmenon che si canta al Vespro è chiamato «prokìmenon del giorno» o «prokìmenon della sera».
PRONAO. Cfr. alla voce «Nartece».
PROSFORA (η προσφορά = offerta, dono). Con questo termine si usa designare il pane offerto dai fedeli per la celebrazione liturgica, la cui parte centrale porta impresso il monogramma di Cristo (IC XC NI KA = Gesù Cristo vince) (v.) e dal quale si prendono anche delle particelle che verranno consacrate per la comunione dei fedeli. Ciò che rimane viene benedetto e, alla fine della Liturgia, distribuito ai fedeli come antìdoron (v.). Cfr. anche alla voce «Oblazione-Oblate».
PROSKOMIDIA. Cfr. alla voce «Protesi».
PROSKYNIMA (το προσκύνημα = inchino, riverenza). Consiste nello inchinare la testa in segno di venerazione davanti ad una icona o ad una persona di riguardo. Quando nel N. Testamento si usa προσκυνείν, l’atto è rivolto sempre a qualcosa di divino o di presunto tale. Negli Evangeli, l’atteggiamento di proskynisis lo prendeva chiunque si avvicinava a Gesù (Mt 18, 26; 8, 2; 15, 25; 20, 20; Mc 1, 40; 7, 25; 10, 35; ecc.). Lo stesso significato assume il verbo προσκυνείν nella liturgia, ove l’atto è rivolto specificatamente al Cristo: Δεύτε προσκυνήσωμεν και προσπέσωμεν… (Piccolo Isodo (v.) della Liturgia).
PROSKYNITARION (προσκυνητάριον). È chiamato così il mobile dove poggiano le iconi o il posto dove esse si venerano. Nella tradizione greca sostituisce anche l’acquasantiera; gli orientali, entrando in chiesa, si portano subito a baciare le iconi (v.) che stanno nel proskynitàrian, segnandosi col segno della croce.
PROSTRATI. Categoria di catecumeni, ammessi entro le porte della chiesa. Cfr. «Introduzione ai riti prebattesimali e del catecumenato».
PROTESI (η πρόθεσις = presentazione, preparazione). Si indica con questo termine: a) la parte iniziale della Liturgia, detta anche προσκομιδή, che consiste nella preparazione della materia del sacrificio (pane e vino); b) l’altare dove si compie detta preparazione, situato nell’abside, a sinistra di chi guarda l’iconastasi (v.) (cfr. alla voce «Santuario»).
REGNO DEI CIELI. È un concetto centrale per l’economia della salvezza e costituisce l’oggetto immediato della predicazione di Gesù. Nella Scrittura Dio è il Re dell’universo, il Dio dei popoli (Ap 15, 3), il Re dei re, il Signore dei signori (Ap 19, 16; 17, 14), come anche si trova spesso scritto nella didascalia dell’icona di Cristo, Re e Grande Sacerdote, rappresentato in paludamenti regali bizantini, a ribadire il concetto di diarchia, tanto caro al mondo bizantino, secondo cui Egli riassume in sé il potere temporale e quello spirituale. Ma il suo Regno non è di questo mondo (Gv 18, 36). Il Regno di Dio abbraccia il presente e si protende nel futuro (Es 15, 18; Sal 145, 11; 146, 10) con la fondazione del Regno messianico universale, spirituale, eterno. Per cui, «ciò che passa è l’immagine di questo mondo» (1Cor 1, 31). La Chiesa è la figura e il segno del Regno di Dio, poiché il regno comincia a realizzarsi in germe e fermento in essa, quale continuatrice post-pasquale di Cristo, e nei nostri cuori, cioè «dentro di noi» (Lc 17, 21). Il Regno dei cieli è descritto dal Signore nel discorso della Montagna (Mt 5, 3-11; Lc 6, 17-44). Ma per raggiungere questa realtà soteriologica, il cristiano deve mettere in pratica il messaggio evangelico, deve principalmente convertirsi; dice Matteo: «convertitevi; si avvicina infatti il Regno dei cieli» (Mt 4, 17). Allude proprio al Regno dei cieli (Βασιλεία των ουρανών), che non è diverso dal Regno del Padre (Βασιλεία του Πατρός) di Matteo (13, 43; 26, 10), invocato all’inizio della Liturgia bizantina dal celebrante, né differisce dal significato di «venga il tuo Regno» della preghiera di Gesù (Padre nostro), quando la Liturgia dice: «Tu ci hai fatto dono del Regno avvenire», ed ancora quando domanda che i Doni santificati «divengano per coloro che li hanno ricevuto... pienezza del Regno dei cieli»; infine, quando prega sul cresimando: «confermalo nella retta fede... affinché... divenga figlio ed erede del tuo Regno sopraceleste», così come quando canta: «Berrò con voi, miei amici, un vino nuovo e ineffabile nel mio Regno; infatti, essendo Dio, vivrò con voi divinizzati, poiché il Padre mi ha inviato in questo mondo per il perdono dei peccati» (IV Ode del Mattutino del Giovedì Santo). L’ingresso nel Regno è bene simboleggiato dal passaggio sotto la tomba-trono del Signore nella notte tra il Venerdì e il Sabato Santo (Cfr. nota 52).
RINASCITA (η αναγέννησις) detta del battesimo. Il termine proviene dal colloquio che il Redentore ebbe con Nicodemo (Gv 3, 3 e seg.). Cfr. note 69, 85, e 87. Cfr. anche alla voce «Omfalós».
RINNOVAMENTO (settimana di) (= Εβδομάς της Διακαινησίμου). È quella che va dal giorno di Pasqua al sabato successivo, considerata tutta come unico giorno pasquale. Durante questa settimana i neo-battezzati partecipavano, in veste bianca e con cero acceso in mano, alla liturgia quotidiana, comunicandosi. Cfr. nota 105.
RIPIDION (το ριπίδιον = ventaglio, flabello). Strumento liturgico su cui è raffigurata una testa di Serafino con sei ali, da cui anche il nome di εξαπυέρυγον. Viene agitato durante la Liturgia sui santi Doni dal diacono, per tenere lontani da essi eventuali moscerini. A volte, specie in assenza del diacono, il sacerdote usa agitare in sua vece, l’aìr (v.) sui s. Doni (v.).
SACERDOTE. Cfr. alla voce «Presbitero».
SACERDOZIO regale. Questa espressione, è riferita a tutto il pleroma della Chiesa, alle membra del «Corpo di Cristo» (Rm 12, 5), che costituiscono il «βασίλειον ιεράτευμα, il sacerdozio regale» (1Pt 2, 9), cioè il «popolo di Dio» (Es 19, 6). Su questo insegnamento si basa il diritto dei laici, membri del popolo di Dio, a partecipare all’opera della Chiesa, in quanto mediante il Battesimo e la Cresima anch’essi partecipano della regale dignità di Cristo. Tuttavia permane una differenza tra il loro sacerdozio, battesimale, e quello ministeriale che riceve il clero e che lo abilita a celebrare i sacri Misteri e tutto ciò che riguarda il culto divino.
SACRAMENTO (το Μυστήριον = mistero, sacramento). È un segno sensibile della grazia invisibile di Dio, istituito da Gesù Cristo per la santificazione degli uomini. Per il battesimo, scrive Pietro Moghila (1596-1646): oltre alla materia idonea, che è l’acqua, si richiede che il celebrante, sacerdote o vescovo, sia stato legittimamente ordinato; ed ancora, l’invocazione dello Spirito Santo (P. MoghilaConfessione di fede ortodossa, riportato da A. AmatoIl Sacramento della penitenza nella Teologia greco-ortodossa, in Analecta Vlatadon, Salonicco, 1982, pag. 168). Ed aggiunge il Moghila, rispondendo alla domanda “perché furono istituiti i sacramenti?”: «Primo, perché siano segni dei veri figli di Dio... Secondo, perché avessimo un segno sicuro della nostra fede in Dio... e terzo, perché avessimo medicine infallibili per debellare le malattie dei nostri peccati» (Ibidem, pag. 170). Anche i greci enumerano sette sacramenti o mystìria (v.). In verità il numero sette è stato sempre considerato dai cristiani come numero sacro, simbolo escatologico dell’eternità: di sette settimane è il periodo che va da Pasqua a Pentecoste, cinquantesimo giorno dopo Pasqua, vertice e chiusura della Pasqua, in cui si celebra l’avvento del Regno di Dio, Regno eterno. Per cui sette settimane – eternità: il periodo, infatti, sta ad indicare l’eternità, assolutamente fuori dal tempo, in cui si identificano Pasqua e Pentecoste perché non separate dal tempo, in quanto trattandosi di avvenimenti soprannaturali non ci può essere il succedersi del tempo come nel mondo terrestre e nella vita sensibile. Il simbolismo settenario dei sacramenti è così riccamente spiegato dal metrop. Gabriele di Filadelfia (1541-1616): 1) perché sette sono le virtù (4 teologiche, 3 generali o morali); 2) perché sette sono i doni dello Spirito Santo; 3) perché sette sono le colonne con cui Cristo ha rafforzato la Chiesa; 4) perché sette erano le trombe che scrollarono dalle fondamenta le mura di Gerico; 5) perché sette erano le lampade, viste dal profeta Zaccaria sul candelabro, che li prefiguravano; 6) perché sette erano indicati dalle sette stelle che Giovanni vide nella mano destra del Figlio dell’uomo; 7) perché sette erano i lavacri nel Giordano di Naaman Siro; 8) perché sette sono le categorie di coloro che vogliono lavorare nella vigna del Signore; 9) perché sette sono i doni che riceveremo dopo la partenza da questa terra (Gabriele Severo, metrop. di Filadelfia, Συνταγμάτιον sui santi e divini Misteri, c. 5°, testo pubblicato da R. Simon, Venezia, 1600, pag. 39-50, riportato da A. Amato, Il sacramento della penitenza nella Teologia greco-ortodossa, in Analecta Vlatadon, Salonicco, 1982, pag. 86-100). Tuttavia il numero settenario dei sacramenti l’Oriente l’ha preso dall’influsso latino: battesimo, unzione crismale, eucaristia, penitenza, euchélion, ordine sacro, matrimonio. Formatesi in Occidente verso il XII secolo in modo definitivo, questa dottrina sui sacramenti venne confermata nel Concilio di Trento (1545-1563), ed in seguito è penetrata in Oriente. Tuttavia, già dal XIII secolo il numero settenario dei sacramenti è ricordato nella Confessione di Michele Paleologo e citato nel concilio unionistico di Lione (1274). La polemica con i teologi protestanti, al tempo del Patriarca Geremia II (†1595) condusse alla medesima affermazione del numero sette. Cirillo Lucaris, calvinizzante, ne accettava solo due. L’Enciclica dei Patriarchi orientali conferma il numero sette, precisando «né più né meno». Tuttavia, ancora al XV sec., Joasaph, metrop. di Efeso, cita 10 sacramenti. S. Dionigi aveva parlato di sei, e S. Giov. Damasceno ne aveva menzionato solo due. Alcuni testi annoverano tra i sacramenti: l’ordine monacale, l’ufficio dei morti, la grande Benedizione dell’acqua. Spesso nei Padri col termine «Battesimo» s’intendono i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana (P. EvdokimovL’Orthodoxie, Delachaux & Niestlé, Paris, 1959, pag. 263). Cfr. alla voce «Mystìrion».
SACRARIO. Cfr. alla voce «Choneftirion».
SACRESTIA. Cfr. alla voce «Skevofilakion».
SACRISTA o sagrestano (ο κανδηλανάπτης). È l’addetto al suono delle campane o del sìmandron (v.), alla custodia della suppellettile sacra nello skevofilàkion (v.) e alla pulizia del tempio (v.).
SAKKOS (ο σάκκος). Tunica liturgica vescovile, che cominciò ad essere usata già dall’XI sec. Essa è munita di due larghe mezze maniche. Sostituisce il felònion (v.), portato dai sacerdoti. In genere è di stoffa di seta e ricca di ornati e disegni vari.
SALMO (= azione con cui si fa vibrare la corda di uno strumento, aria Suonata da uno strumento a corde, salmo). Cantico composto da David o a lui attribuito. Alcuni salmi o gruppi di salmi assumono talvolta nomi speciali, come «exàpsalmos», «àmomos», «polyéleos». I salmi sono raccolti in un libro chiamato Salterio. La Chiesa greca sia per i Salmi sia per gli altri testi sacri dell’Antico Testamento segue la versione dei Settanta (v.).
SALTERIO (το Ψαλτήριον). Libro liturgico che contiene i Salmi, divisi in 20 gruppi o cathìsmata (τα καθίσματα).
SANTUARIO (το Ιερατείοντο Βήμα = santuario, vima). È la parte più sacra del tempio (v.), riservata ai ministri celebranti, il cui accesso è vietato a coloro che non hanno Ordini sacri. È divisa dal tempio, riservato ai fedeli, per mezzo dell’iconostasi (v.). Il vima, elevato con uno o più gradini rispetto al resto del tempio, a somiglianza dei palazzi di giustizia precristiani e pagani, in genere, è diviso in tre parti, corrispondenti alle tre absidi che chiudono le tre navate della chiesa. All’abside destra corrisponde il διακονικόν o σκευοφυλάκιον, appunto perché vi si conservano paramenti, libri e vari oggetti sacri; all’abside, a sinistra di chi guarda l’iconostasi, invece, corrisponde la protesi (v.), dove avviene la preparazione (proskomidia) del pane e del vino, per cui è chiamataπρόθεσις. In corrispondenza dell’abside centrale si trova la santa Mensa (v.) o Altare. Dietro l’altare, ai piedi del muro absidale, c’è la Cattedra vescovile (ανωκαθέδρα = Anocathedra (v.)), con a sinistra e a destra di essa dei sedili per i concelebranti (σύνθρονοι). Per una più ampia descrizione, cfr. D. ComoMeditazioni sulla divina Liturgia di N. Gogol, Ed. «Oriente Cristiano», Palermo, 1972, pag. 18 e sg.
SATANA. Parola ebraica, che significa «Avversario». Il profeta Isaia (Is 14, 12-15) ci presenta una creatura luminosa – Lucifero = portatore di luce – che osa esclamare: «rassomiglierò all’Altissimo». Noi l’abbiamo visto sotto la forma di serpente che ha fatto peccare Adamo ed Eva. Cfr. anche alla voce «Diavolo».
SÁVANON (το σάβανον = tela grossolana per asciugare, sudario). Con questo termine si usa chiamare: 1) la sopravveste bianca che indossa il Vescovo sopra gli abiti liturgici, quando consacra un altare; 2) la veste bianca del neo-battezzato.
SEGNO. Col significato di simbolo (v.) o col significato di sigillo (v.).
SERAFINI. Categoria di Angeli (v.) con compiti specifici.
SETTANTA (versione dei). Con tale nome (e con la sigla LXX) si indica la prima versione greca della Bibbia ebraica, fatta ad Alessandria di Egitto (per cui è detta anche Alessandrina) tra il III e il II sec. a.C. per gli ebrei ellenizzanti, colà residenti, che non capivano più l’ebraico. È detta dei LXX perché 70 (o 72) esperti di greco e di ebraico, a richiesta di Tolomeo Filadelfo (285-247), ne avrebbero redatto un testo greco, diffuso poi in tutta la diaspora e nel mondo greco-romano. Ad esso si rifanno nel N. T. Gesù Cristo, i Padri dei primi secoli cristiani; ed esso servì anche da base a molte versioni, tra cui quella latina, prima di quella di S. Girolarno (†420). La versione dei SETTANTA è seguita oggi dalle Chiese d’Oriente come testo ufficiale nelle ufficiature sacre; d’altra parte i Padri della Chiesa hanno sempre ritenuto il testo dei Settanta «ispirato» dallo Spirito Santo. Come testo critico, gli studiosi si rifanno all’edizione uscita nel 1586, sul manoscritto Vaticano B, al Sinaitico e ad altri manoscritti antichi.
SFRAGH1S. Cfr. alla voce «Sigillo». Cfr. nota 21.
SIGILLO (η σφραγίς). Col termine sigillo si indica sia lo strumento per sigillare (per es. l’anello-sigillo) sia l’impronta che esso lascia. Da un significato giuridico (apporre il sigillo ad un documento, quindi essere vincolati dal suo contenuto), il termine sigillo è passato ad un significato metaforico di attestare, confermare (per es. chi accoglie la testimonianza di Dio, attesta che Dio è verace: Gv 3, 33). Nei sacramenti il termine sigillo è usato per indicare il segno che si riceve con l’unzione nel battesimo (v. nota 117) e particolarmente con l’Unzione crismale (v.) cioè con il sacramento della Confermazione, mediante cui veniamo riconosciuti cristiani (v.), popolo eletto.
SIMANDRON (το σήμανδρον, dal greco σημαίνω = dare il segnale). È una spranga di legno o di metallo, che il sagrista (κανδηλανάπτης) percuote per annunziare l’ora di una cerimonia liturgica. Oggi, sostituita dalle campane, tuttavia è rimasta in alcuni monasteri.
SIMBOLO (dal greco συμβάλλω = metto insieme, unisco varie parti separate per formare un insieme). Nel linguaggio ecclesiastico il termine simbolo venne adoperato per indicare una formula di fede ufficiale, distintiva del cristiano. Molto antico è il simbolo cosidetto Atanasiano (che non è di S. Atanasio), limpida sintesi dottrinaria trinitaria e cristologica; ma più antico è il simbolo degli Apostoli, rimasto in uso nei primi secoli del cristianesimo sia in Oriente che in Occidente. Con la promulgazione del simbolo niceno-costaninopolitano, formulato nei Concili di Nicea (325) e di Costantinopoli (381), l’Oriente adottò universalmente questa professione di fede, che dal V sec. si affermò e sostituì tutti gli altri simboli locali. Cfr. nota 44. Alla parola simbolo sono accostate spesso le Confessioni di fede ortodossa, che contengono un’esposizione della dottrina professata da quella Chiesa, venute fuori dalla celebrazione di alcuni sinodi (v.) locali. Alla parola simbolo, ancora, è avvicinato il termine e il significato di segno, che già nell’antichità cristiana assurse subito a straordinaria importanza. Ricordiamo l’esempio del segno del pesce (ιχθυς), simbolo di «Gesù Cristo, Figlio di Dio Salvatore», che servì come tessera di riconoscimento dei primi cristiani; ed ancora, i simboli che contrassegnano i quattro evangelisti (v.). Anche oggi i segni, specialmente quelli che accompagnano le formule, le azioni e le cerimonie liturgiche, hanno un grande valore psicologico e pedagogico: con essi si richiama la presenza del soprannaturale e s’intende professare una particolare dottrina.
SINERGIA (η συνεργία = cooperazione). Cooperazione della grazia e della libertà, nel senso che Dio non può salvare l’uomo senza la cooperazione che si manifesta nel consenso di questi.
SINODO (η αγία σύνοδος = riunione, assemblea). Con questo termine si suole indicare qualsiasi Concilio, ecumenico (cioè assemblee eccezionali di vescovi a livello mondiale, le cui riunioni e decisioni sono recepite e riconosciute dalla coscienza della Chiesa) o locale (cioè, che interessa una o più Chiese ma non l’intera cristianità). Ancora con il termine «Sinodo», le Chiese dell’Oriente ortodosso sogliono designare l’assemblea di tutti i vescovi di una Chiesa nazionale (Grande Sinodo) che si interessa del disbrigo degli affari correnti di quella Chiesa. Quest’ultima viene eletta ordinariamente ogni anno.
SINODO o CONCILIO ecumenico. La Chiesa ortodossa riconosce come «ecumenici» solo i sette Concili: Nicea del 325; Costantinopoli del 381; Efeso del 431; Calcedonia del 451; Costantinopoli 2° del 553; Costantinopoli 3° del 680; Nicea 2° del 787. Dopo lo scisma del 1054, la Chiesa di Costantinopoli, «nuova Roma», ha assicurato nell’Ortodossia il ruolo – come dice S. Ignazio di Antiochia – di Chiesa «che presiede nell’amore», in attesa del giorno in cui Roma antica, ritornando alla fede dei Padri, riprenderà il posto che le spetta nella sinfonia di tutte le altre Chiese sorelle.
SINODO o CONCILIO locale. Per quanto riguarda i Concili locali dell’Ortodossia, tra i più importanti citiamo: a) quelli del XIV sec., riuniti a Costantinopoli nel 1341, 1342, 1351, che confermarono e definirono l’ortodossia dell’insegnamento della dottrina di S. Gregorio Palamas; b) quelli del XVII sec. (dal 1638 al 1691), celebrati a Costantinopoli, Jassy (Romania) e Gerusalemme, per difendere dal protestantesimo l’insegnamento dell’Ortodossia; e) in risposta all’Enciclica di papa Pio IX del 1848, «l’Enciclica della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica agli Ortodossi del mondo intero», sottoscritta dai Patriarchi di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, in cui si nega il riconoscimento alla supremazia del Papato romano, che, 22 anni dopo, nel Vaticano I (1870), viene invece definita dai romano-cattolici assieme all’infallibilità del Romano Pontefice.
SKEVOFILÁKION (το σκευοφυλάκιον). È il luogo ove si conservano i paramenti e la suppellettile sacra, la sacrestia.
SKUFOS (ο σκούφος = coppa). Copricapo proprio dei monaci e dei chierici greci. Differisce dal kalimàfchion (v.), perché non porta il bordo nella parte superiore.
SOFFIO. Come simbolo della vita. Cfr. nota 33.
SOLÉA (ο σωλέαςτο σωλείον = dal latino solea, solium). Gradino a semicerchio, che dal santuario (v.) το ιερατείον = dimora sacerdotale, si affaccia verso il tempio, sul cui diametro si aprono le «porte regali» dell’iconostasi. È il luogo da dove si distribuisce la comunione ed ha la forma di un seno vergine, a simboleggiare appunto la madre-vergine che nutre i suoi figli dal suo seno.
SPUGNA (ο σπόγγος). È la spugna marina allo stato naturale. Immersa nell’acqua pura corrente viene usata per le abluzioni (v.) del neo-battezzato, nelle parti dove è stato segnato col crisma.
SPUGNA per l’altare. Sempre allo stato naturale, essa serve per lavare l’altare.
SPUGNA liturgica. Serve per raccogliere i frammenti eucaristici e prende il nome di musa (v.).
STICHARION (το στοιχάριον da στοίχος = fila, rango). È una lunga tunica di stoffa a righe, in genere di seta, bianca o a colori, aderente al corpo, con maniche lunghe e strette per il sacerdote, ampia e con maniche larghe per il diacono. Corrisponde al camice latino. È in genere ornato di galloni attorno al collo, alle maniche e nella parte inferiore, dato che non si ammettono merletti. Entrato nell’uso liturgico fin dal IV sec., esso è comune a tutti i ministri maggiori (vescovo, sacerdote, diacono) e ne indica la missione specifica: celebrare e far celebrare dalla comunità cristiana la salvezza voluta da Cristo per l’umanità. Nell ‘indossarlo, viene recitato il brano di Isaia 61, 10 (cfr. alla voce «Liturgici (Abiti)».
STICHOS (ο στίχος = versetto). Versetto tratto dalla Santa Scrittura, che torna a ripetersi tra più brani liturgici. Cfr. alla voce «prokìmenon».
SYNAPTI (η συναπτή = legamento, colletta). Serie di invocazioni o suppliche recitate di seguito, alle quali il popolo risponde con «Kyrie elèison» (v.). Vi son due tipi di «synaptì»: la megàli (grande synaptì), che inizia con l’invito «in pace preghiamo il Signore» e contiene una lunga serie di invocazioni litaniche, e la mikrà (piccola synaptì), che è contenuta in appena due o tre invocazioni.
SYNASSI (η σύναξις). Riunione di fedeli per un Ufficio liturgico o una celebrazione.
TEMPIO (ο ναός). Propriamente designa la navata, cioè la parte centrale della chiesa-edificio, la quale comprende anche il santuario (v.) e il nartece (v.); solo in senso lato tempio è sinonimo di chiesa (η εκκλησία). In genere essa, orientata ad Est, ha una o tre navate ed è costruita secondo precisi canoni architettonici che si ispirano, così come le sue decorazioni iconografiche, al carattere escatologico della liturgia orientale, la quale, come motivo dominante, ha la seconda venuta di Cristo, la parusia (v.). Per cui, le caratteristiche architettoniche e quelle iconografiche dell’edificio-chiesa rispondono alle esigenze teologiche e mistiche della liturgia dell’Oriente cristiano. È in questa visione che S. Germano di Costantinopoli poteva affermare: «La Chiesa è la casa di Dio. Essa rappresenta il mondo, poiché Dio è dovunque ed abbraccia ogni cosa. La chiesa si divide in tre parti (santuario, tempio, nartece, N.d.R.) poiché Dio è Trinità. Essa raffigura la tenda della testimonianza e il tempio di Salomone...» (S. Germano di Costantinopoli, citato in S. D. StefanescuIconographie de la Bible, Genthner, Paris 1938, p. XVIII). Così «nella chiesa-edificio materiale – si avrebbero rappresentati tre momenti della vita della Chiesa-realtà mistica – dalla cupola, dove splende la Chiesa trionfante, si passa, per gradi, alla Chiesa militante, sia nella prefigurazione che nella fondazione e nella esplicitazione storica, e si conclude o nella grande scena del giudizio universale, oppure nella scena della «Etimasìa», simbolo polivalente del giudizio e della Chiesa. Nella cupola... trionfa la Chiesa celeste nel Cristo Pantocrator, adorato dagli angeli e dagli arcangeli. Nel tamburo della cupola, mistico legame che stringe l’Eterno al tempo, si succedono i profeti e i quattro evangelisti: è la Chiesa, diremmo quasi, sintetizzata nei suoi momenti essenziali e più perfetti. Dalla profondità spirituale e astratta della cupola, ove il Pantocrator guarda sovrano dal ciclo la terra, si passa gradatamente verso le realizzazioni terrestri più eccelse della Chiesa: la Vergine, la più alta espressione della Chiesa nella sua fase terrena, sintesi immacolata della sua anima. Al di sotto di lei, gli apostoli. che assieme ad essa sono la Chiesa nel suo primo e più fulgido momento» (P. Filippo RotoloMaria e la Chiesa nelle arti figurative siciliane in «Acta congressus Mariologici-Mariani» della Accademia Mariana Internationalis, Roma, 1960, Vol. IX, pag. 48-49). Completano la decorazione, quando non trovano posto nell’iconastasi (v.), le rappresentazioni del dodecaórtion (v.), cioè delle dodici festività principali dell’anno liturgico bizantino, nonché altre iconi di Santi, nell’ordine con cui il sacerdote li commemora nella preparazione dei s. Doni (v.), all’altarino della protesi (v.). Inoltre, elemento decorativo ma funzionale della chiesa-edificio è il coro (ο χορός), situato nella navata al limite con l’iconostasi, nel quale ci sono gli stalli (τα στασίδια) per i cantori. Non mancano, infine, sparse qua e là, numerose lampade che illuminano le iconi, e un grande policerio, riccamente rifinito, che scende dalla cupola. Prototipi di questo ordinamento possono considerarsi, con qualche leggera variante, la chiesa della Martorana e la Palatina di Palermo, nonché il duomo di Cefalù e di Monreale in Sicilia, veri capolavori d’arte, eseguiti nel XII sec., dove nulla è casuale ma tutto è ordinato a fare della chiesa-edificio un ideale ambiente pneumatoforo, che possa esprimere – come scriveva nel 1143 l’ammiraglio Giorgio di Antiochia che costruì la Martorana – «lode a Dio eccelso e grande, poiché, come tutti vedono e sanno, sono stato ritenuto degno di molti e grandissimi beni ed onori dalla Immacolata Madre del Dio e Salvatore del mondo; per piccolo e tenue compenso di tanti doni le ho eretto dalle fondamenta una casa dedicata al suo nome in questa da Dio custodita città di Palermo; e quanto amore e diligenza io abbia mostrato nel costruirla, farla bella e decorarla, l’opera stessa lo grida» (F. MeliL’arte in Sicilia, Palermo, 1929, pag. 30).
TESTAMENTO. Cfr. alla voce «Bibbia».
THEOTOKOS (η Θεοτόκος = Colei che ha partorito Dio, Deipara). È il titolo attribuito a Maria dal Concilio di Efeso (anno 431), per esaltare la divina maternità di Maria, contestata da Nestorio. Nella pietà dei cristiani d’Oriente è divenuto come un altro nome di Maria. La Theotokos nel culto liturgico delle Chiese d’Oriente occupa un posto assai eminente. Non c’è ufficiatura in cui la Madre di Dio non venga celebrata, al punto tale che ogni mistero – durante l’anno liturgico – è visto in rapporto a Lei. I misteri di Cristo sono anche misteri della Theotokos, per cui le più grandi feste (v.) mariane (Theomitoriké eorté) sono legate ai momenti supremi della storia della salvezza. Andrea di Creta (660-740) così mirabilmente riassume il ruolo della Madre di Dio: «Ave, dopo Dio,/ Tu che hai il secondo posto dopo la Triade./ Tu che hai ricevuto direttamente dei doni di Dio/ tutta la pienezza e a tutti/ angeli ed uomini la distribuisci./ Sposa del Padre, del Figlio Madre immacolata/ e dello Spirito Tempio santo, tutto luce,/ compimento ultimo e perfetto, o Tuttapura/ di tutta la creazione. Per te il mondo è stato fatto/ e alla tua nascita si è compiuto l’eterno consiglio del Creatore».
TONSURA. Cfr. alla voce «Trichokuria».
TRADITIO SYMBOLI. Per traditio symboli s’intendeva l’istruzione sugli articoli del simbolo, fatta solo ai «Competentes» nel corso di una cerimonia liturgica, dalla quale erano esclusi i semplici catecumeni, Cfr. alle voci «Catecumeni» e «Competentes».
TRADIZIONE sacra. È l’insegnamento di Cristo e degli Apostoli – αποστολική παράδοσις), trasmesso alla Chiesa sia oralmente sia attraverso i santi Evangeli, le opere dei Padri e i Concili ecumenici. Costituisce una delle fonti della fede cristiana; tutto ciò, invece, che proviene dalle tradizioni ecclesiastiche locali e dall’ethos dei popoli cristiani non ha la validità e l’autenticità della sacra tradizione.
TRICERIO. Candeliere a tre braccia simboleggianti le tre Persone divine, Cfr. alla voce «Dicerio».
TRICHOKOURIA (η τριχοκουρία = taglio dei capelli). È la tonsura dei capelli a forma di croce, indice del sacerdozio regale (v.), come dedizione a Dio, che il neobattezzato riceve dal sacerdote. Anticamente essa era anche congiunta all’abluzione; oggi, invece, viene spesso unita alla cerimonia del battesimo ed avviene subito dopo la cresima. Cfr. alle note 88 e 89.
TRINITÀ. Cfr. alle voci «Dio» e «Ipostasi».
TRISAGHION (το Τρισάγιον = tre volte Santo). Si tratta dell’invocazione «Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale», che si richiama alla visione d’Isaia (Is 6, 3) e che si riscontra, salvo qualche rara eccezione, in tutte le ufficiature delle Chiese bizantine (Per una più esauriente spiegazione di «trisaghion», cfr. D. ComoMeditazioni sulla divina Liturgia di N. Gogol, pag, 47-48). Comunemente col termine «trisaghion» si vuole indicare l’invocazione di cui sopra, seguita dalla breve preghiera alla Trinità (Panagia Triàs…) e dal Padre nostro.
TROPARIO (το τροπάριον = attitudine, ritmo, melodia). Breve composizione liturgica che varia a secondo delle feste. Dapprima venne usata in aggiunta e poi in sostituzione delle preghiere bibliche, tipiche dell’ufficiatura agli inizi del cristianesimo. Da brano di prosa, libero di qualsiasi regola, divenne ben presto composizione poetica con precise leggi ritmiche e melodiche, si da servire spesso da prototipo e da modello, di cui riscontriamo la funzione nell’attuale Irmos. L’irmos (ειρμός = collegamento, séguito) fa da collegamento alle successive composizioni, spesse volte indicato dai libri liturgici dalle sole prime parole. Così sono chiamati anche tropari le strofe che seguono l’Irmos, in quanto si rivolgono e si dirigono (τρέπωτρέπομαι) verso l’irmos, come a proprio prototipo e modello. Quei tropari, invece, che non mutuano né il ritmo né la melodia, ma hanno ritmo e melodia propria sono detti idiòmela o aftòmela. La ricchezza delle composizioni con cui gli innografi dotarono l’ufficiatura portò alla classificazione dei tropari. Ne citiamo solo alcuni, più comuni: anastàsimon, apolytìkion, apòstichon, eothinòn, doxastikòn, kontàkion, martirikòn, nekrosimon, proeòrtion…
TYPIKÀ (τα τυπικά). Nati come piccolo ufficio intercalato tra la Sesta e Nona Ora, sostituiscono con i salmi 102, 145 e le Beatitudini, rispettivamente la 1a, 2a e 3a Antifona (v.) nelle domeniche e in alcune feste.
TYPIKON (το τυπικόν = che serve da modello). Libro liturgico che contiene le regole secondo cui si svolgono le cerimonie religiose, fornendo e completando le indicazioni contenute nelle rubriche.
UNZIONE CRISMALE. È il secondo sacramento dell’iniziazione cristiana che trasmette l’energia dello Spirito Santo e i suoi molteplici doni al neo-battezzato per il cammino, la crescita e il perfezionamento nella nuova vita in Cristo, ricevuta dal battesimo. Essa viene conferita subito dopo il battesimo mediante l’unzione col myron (v.) sulle membra del neo-battezzato. Non c’è nella Scrittura una testimonianza diretta sul modo del conferimento del mistero, ma le indicazioni sono tante, con le promesse più volte ripetute da Cristo agli Apostoli «dell’invio dello Spirito» su coloro che credono in lui. Evidentemente questa promessa, diretta a tutti i cristiani, si realizza come collettività nella Pentecoste ed individualmente nell’Unzione crismale. Alle promesse del Redentore corrispondono molti brani scritturistici: At 8, 14-17; 19, 2-6; 2Cor 1, 21-22; 1Gv 2, 20-27. Questa sacra unzione, secondo la prassi cristiana antica e universale, va conferita subito dopo il battesimo che, senza di essa, la tradizione orientale considera incompleto. «Una volta usciti dalla purificazione del battesimo, veniamo unti dall’olio consacrato, secondo l’antico uso» (TertullianoDe Baptismo, 7; PL 1, 1315); dello stesso parere sono S. Cipriano (Epist. ad Januarium, 70; PL 3, 1078); S. Cirillo di Gerus. (Catechesi battesimali, 3, 5 & 1; PG 33, 1089). Il can. 48 di Laodicea recita; «Bisogna ungere con l’unzione celeste dopo il battesimo coloro che sono stati illuminati, perché divengano eredi del Regno di Cristo» (Pidalion, Ediz. Astìr, Atene, 1970, pag. 437 (in greco). Riceverla dopo l’Eucaristia, che è perfezionamento e completamento di ogni altro sacramento (mistìrion), per l’orientale non ha senso: è un problema di teologia e di fede, e non disciplinare ecclesiastico. Conferisce il sacramento ogni sacerdote: il potere di conferire la cresima gli deriva in virtù della sua ordinazione, allo stesso modo come quello di battezzare e di celebrare l’Eucaristia (P. N. TrembelasDogmatique de l’Église orthodoxe catholique, Edit. de Chevetogne, Desclée de Brouwer, Bruges, 1968, pag. 146). Il sacramento della cresima assume diversi nomi, a secondo del significato o dell’efficacia che esso imprime in chi lo riceve. Nel N. Testamento e nella Tradizione patristica esso è chiamato variamente: At 8, 17-18; Ebr 6, 2;Costituzioni Ap. II, 32, 3; S. AgostinoDe Baptismo, 3, 16-21; PL 43, 149; TertullianoDe Baptismo, 7; CiprianoEpist. 70; S. Cirillo di Gerus., Catechesi mistag., 3, 1, 4; PG 33, 1088, 1089, 1092; i Canoni 7 e 48 di Laodicea, ecc… La Chiesa ortodossa usa ripetere il sacramento dell’Unzione crismale sugli eterodossi e su coloro che rientrano nel suo seno, essendo unica depositaria della retta fede. Essa, infatti, li considera «come non cresimati, per cui vengono cresimati per la prima volta» (Giov. Gregorio Timaghes, alla voce χρίσμα in «Enciclopedia religiosa ed etica» (in greco), vol. 12, col. 171, Atene, 1968).
Ma, come viene conferita la cresima? Praticamente con l’unzione a forma di croce del myron nelle parti del corpo del neo-battezzato, stabilite dalle rubriche, anche se pure l’Oriente fa menzione dell’imposizione delle mani (χειροθεσία). Fa notare il Trembelas che Cirillo di Gerusalemme nelle sue catechesi sul sacramento della cresima non ne fa allusione e che non se ne parla neanche nei canoni dei Concili (Can. 7 del II Concilio ecum., Can. 7 e 48 di Laodicea, Can. 95 di Trullo), mentre è ben noto come la unzione del myron consacrato e l’imposizione delle mani siano considerate indispensabili al sacramento sia in Oriente che in Occidente (P. N. Trembelas, o. e., pag. 144). Lo stesso teologo greco, però, richiamandosi ad autori occidentali e al Sinodo di Magonza del 1649 afferma che l’imposizione della mano è stata rimpiazzata ed è contenuta nell’unzione crismale, solo elemento indispensabile ed essenziale per il conferimento del sacramento della cresima (ibidem, pag. 144). Il de Meester nel suo volume «Studi sui Sacramenti amministrati secondo il rito bizantino», Roma, 1947, non ne parla. Solo il noto teologo Jugie scrive In proposito: «È a questo punto che avviene l’imposizione delle mani, cioè nell’atto di ungere la fronte e le altre parti del corpo» (M. JugieTheologia dogmatica christianorum orientalium ab Ecclesia catholica dissidentium, tom. 3, Parigi, 1930, pag. 134). Altra, invece, è la spiegazione che fornisce il Metropolita Paolo di Svezia nel suo studio sul «Sacro Crisma», edito dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1982 e riassunto in «Episkepsis» n. 294 del 20-5-1983, pag. 11-14. Nei primi anni del cristianesimo – scrive il Metropolita – la trasmissione dei doni dello Spirito Santo ai battezzati avveniva attraverso gli Apostoli per «imposizione delle mani» (At 8, 14-17). Quando, però, le Chiese si moltiplicarono e il numero dei battezzati aumentò notevolmente, si rese impossibile l’applicazione di quella prassi e gli stessi Apostoli introdussero l’unzione col myron (v.). L’utilizzazione del s. Crisma è entrata nella Chiesa ad imitazione di una pratica veterotestamentaria: «Il Signore parlò a Mosé: “Procurati balsami pregiati: mirra vergine per il peso di cinquecento sicli, cinnamomo odorifero, la metà, cioè duecentocinquanta sicli, secondo il siclo del santuario, e un hin d’olio d’oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte del profumiere: sarà l’olio per l’unzione sacra» (Es 30, 22-25). Cfr. anche alla voce «Myron» e alla Introduzione (Unzione crismale). Su come avviene l’unzione col myron, cfr. nota 113.
VASCA battesimale. Cfr. alla voce «Kolymvithra».
VASO per il myron è contenuto nella Myroteca (v.).
VASO porta olio (το αγγείον Ελαίου)È il vaso che contiene l’olio, che di volta in volta viene consacrato dal celebrante per le unzioni prebattesimali. Una parte viene versata nella kolymvithra (v.) e mescolata con l’acqua; quella che rimane si usa farla bruciare nella lampada.
VESTE luminosa (ο χιτών φωτεινός ovvero η φωτοειδής στολή). È la veste bianca di cui sono rivestiti neo-battezzati. Segno della luce della grazia, è portata per sette giorni sopra le vesti comuni. È benedetta dal celebrante, ed è donata dal padrino (v.). È tutta d’un pezzo, aperta ai fianchi e in cima, per passare il capo. È chiamata anche sàvanon (v.). Cfr. nota 105.
VIMA (το βήμα). Cfr. alla voce «Santuario».
VITA eterna. La definizione è stata data dallo stesso Signore (Gv 17, 31). Essa consiste nella comunione vitale dell’uomo con Dio per mezzo di Cristo, quindi in uno stato escatologico di esistenza, fuori e al di là del tempo, che inizierà dopo il termine della storia e simultaneamente con la Parusia (v.) del Cristo. È lo stato che i Padri chiamano «Ottavo Giorno», che sarà senza tempo e senza fine.
ZÉON (το ζέον = acqua bollente). Con questo termine si designa sia l’acqua bollente sia il vasetto che la contiene. È versata nel calice immediatamente prima della comunione. Simboleggia il calore vivo e vivificante della grazia dello Spirito Santo che riceve colui che si accosta alla comunione, sottolineando in questo modo il carattere pentecostale della Liturgia.
ZONARION (το ζωνάριον – diminuitivo di ζώνη = cintura). È la cintura di stoffa attorno alla vita di qualsiasi tipo di abito.
ZONI (η ζώνη). Cintura di stoffa che serve a fermare lo sticharion (v.) e l’epitrachilion (v.). Cingendosene, il sacerdote la benedice e recita: «Benedetto il Dio, che mi cinge di forza e rende il mio cammino irreprensibile…» (Sal 17, 33).



NOTE BIOGRAFICHE 
Le note biografiche riguardano alcuni autori (Padri, Scrittori Ecclesiastici, Liturgisti) più frequentemente citati nel testo.

BASILIO (S.) il grande (Cesarea di Cappadocia, 330-379). Tra i grandi Padri Cappadoci (Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa) che contribuirono decisamente al trionfo dell’Ortodossia nel IV sec. è colui che più eccelle come uomo di governo e d’azione. Assieme a S. Gregorio di Nazianzo e a S. Giovanni Crisostomo, egli costituisce il gruppo dei Tre Santi Gerarchi, venerati il 30 gennaio di ogni anno nel mondo di tradizione bizantina, fin dal sec. XI: così ce li rappresenta anche una splendida raffigurazione musiva del XII sec. della Palatina di Palermo. Basilio ebbe quattro fratelli, di cui due vescovi: Gregorio di Nissa e Pietro di Sebaste, e cinque sorelle, delle quali la maggiore è santa Macrina. Ricevuto il battesimo al termine degli studi classici compiuti a Costantinopoli e ad Atene, dove si legò in amicizia con il Nazianzeno, visitò vari centri di vita ascetica dell’Egitto e si fece monaco. Venne ordinato sacerdote dal vescovo Eusebio, a cui successe nel governo di Cesarea nel 370. La produzione letteraria di Basilio è grandiosa: essa comprende omelie e sermoni, opere dogmatiche, ascetiche e pedagogiche, nonché un vasto epistolario. La sua oratoria, semplice e familiare, è adatta agli uditori più vari. I suoi scritti sono «i sobri documenti della sua cultura, ma soprattutto della sua vita interiore e della sua intensa azione pastorale» (Pellegrino). È stato detto che «Basilio è grave, sentenzioso, austero, anche nella dizione» (Fénelon). Citiamo qualche suo scritto: «Contra Eunomium» (364), è uno scritto contro il capo più rigido degli ariani (Migne, PG 29, 497-669); «De Spiritu Sancto» (375), PG 32, 68-217; «De Baptismo» (371-379), PG 31, 1513-1628; e Le Regole (brevi e lunghe) che riguardano la vita monastica (PG 31,1052-1305). Tutte le sue opere sono raccolte in Migne, vol. 29-32. La Chiesa greca lo festeggia in modo particolare il 1° gennaio.
CABASILAS nicola (1322-1396?). Celebre mistico bizantino del XIV secolo, la cui vita ci è nota solo in parte, attraverso gli intrighi politici e le controversie religiose del suo tempo, cui spesso venne coinvolto. Fu dapprima a fianco dei Paleologi, poi divenne fautore ed intimo di Giovanni VI Cantacuzeno, che se ne servì per missioni politiche. In campo religioso difese gli esicasti, che facevano capo a san Gregorio Palamas. Nipote di Nilo Cabasilas, Arciv. di Tessalonica, non è chiaro se sia appartenuto al clero. Versato nello studio dei Padri greci, con i suoi scritti, ancora oggi non del tutto pubblicati, seppe compendiarne e rilanciare la dottrina. Si occupò di spiritualità e scrisse molte omelie e panegirici; ma la sua fama è fondata soprattutto sull’opera «La vita in Cristo» (PG 150, 493-725), in sette libri. Importante è anche la sua «Spiegazione della divina Liturgia» (PG 150, 368-492), opera assai apprezzata dai liturgisti. Infine segnaliamo: «L’annunziazione e la dormizione della Madre di Dio».
CIRILLO (S.) di gerusalemme (313-387). Successe a S. Massimo nella sede della città santa nel 348. Sull’ortodossia della sua dottrina si ebbero testimonianze non sempre concordi e non sempre favorevoli, forse perché preferiva attaccarsi alla sostanza della fede nicena più che alle formule atte ad esprimerla. Tuttavia, dopo il Concilio Costantinopolitano del 381, lo troviamo chiaramente schierato a favore dell’omooùsios. La Chiesa d’Oriente così come quella d’Occidente ne celebrano la santa memoria il 18 marzo. La sua fama è legata alle celebri 24 catechesi, riportate dal Migne (PG 33, 331-1128). Particolarmente importanti le ultime cinque (19-24), concernenti i sacramenti, dette appunto mistagogiche. Allorché era ancora sacerdote nel 347 o 348, Cirillo preparò con le sue catechesi i catecumeni a ricevere il battesimo per la Pasqua.
CLEMENTE alessandrino (nato ad Atene verso il 150-160, morto ad Alessandria verso il 215). L’epiteto di Alessandrino è attribuito a Tito Flavio Clemente più per l’ambiente e la cultura spirituale in cui visse che per distinguere la persona. È un illustre Scrittore ecclesiastico del III sec. Della sua vita si hanno notizie frammentarie. Poco ci è rimasto delle sue opere, le cui principali, secondo un elenco di Eusebio (Hist. Eccl. VI, 13) sono: «Il Protreptico»: è un invito ai greci a lasciare il paganesimo e a convertirsi al cristianesimo; «Il Pedagogo»: vi sono dettate le norme di una vita cristiana per i convertiti; «Gli Stromata»: un confronto di varie culture col cristianesimo e con la sua dottrina sulla vita eterna.
giovanni CRISOSTOMO (n. ad Antiochia nel 344 ca – morto a Comana (Cappadocia), nel 407). È tra i più grandi oratori sacri della Chiesa d’Oriente; per la sua feconda eloquenza venne soprannominato χρυσόστομος (= bocca d’oro). Nel 381 ordinato diacono e poi presbitero, esercitò per 12 anni la predicazione, commentando la Scrittura ai fedeli e istruendo i catecumeni. Nel 397 succedette a Nettario nella sede di Costantinopoli. A motivo della sua risolutezza nel denunziare i vizi, dovette affrontare più d’una volta l’esilio, dove morì. Le sue spoglie furono portate a Costantinopoli nel 438 e poi, nel 1204, a Roma in S. Pietro. La produzione letteraria del Crisostomo riflette la tradizione antiochena e testimonia la dottrina e la fede della Chiesa di quei tempi. Essa supera in ampiezza tutti gli scrittori ecclesiastici orientali. La sua grandezza rifulge nella purezza del suo ideale morale e ascetico. Le sue opere possono dividersi in due grandi gruppi: omelie (esegetiche ed occasionali), trattati. Le omelie sono il suo capolavoro. Di esse ricordiamo: quelle sui Salmi e quelle sugli Evangeli, due catechesi «ad illuminandos» e altre sette catechesi sul battesimo, scoperte recentemente nel monte Athos. Ancora le omelie sul Natale, l’Epifania, la Pasqua, ecc. Dei trattati, citiamo quello sul Sacerdozio, sulla Verginità. Delle 236 Lettere, assumono particolare importanza quelle inviate alla diaconessa Olimpia. Le sue opere si trovano in Migne, PG voll. 47-74. È festeggiato dalla Chiesa greca il 13 novembre, anziché il 14 settembre, quando è morto, per non fare coincidere la sua festa con l’Esaltazione della S. Croce.
DE MEESTER dom placide (Anversa 1874 – Roma 1950). Dei 77 anni della sua vita ne trascorse 47 a Roma, prima come studente, poi con vari incarichi. Proveniente dal monastero benedettino belga di Maredsous, fu membro della Commissione della Volgata, Procuratore dei Benedettini belgi, Consultore di Congregazioni Romane, Collaboratore di alcune Riviste, tra cuiRevue bénédictineIrénikonAngelicumTabor. Ma dove profuse particolare impegno fu nell’insegnamento della Liturgia orientale agli alunni del Pont. Collegio Greco di Roma. Delle sue pubblicazioni ricordiamo: «Rituale benedizionale bizantino» (1930), Traduzione in varie lingue della Liturgia di S. Giov. Crisostomo (1925), «Studi sui Sacramenti amministrati secondo il rito bizantino» (1947), e non ultimo, uno studio assai apprezzato su «Les origines et les développements du texte grec de la liturgie de St. Jean Chrysostome», apparso in Χρυσοστομικά, Roma, 1908, pag. 245-353.
EVDOKIMOV paul nicolaievic (Pietroburgo (Russia) 1901 – Meudon (Francia) 1970). È considerato uno dei più grandi maestri della teologia e della spiritualità ortodossa russa del XX secolo. Di famiglia aristocratica, si rifugiò nel 1917, in seguito alla rivoluzione russa, dapprima a Kiev, poi a Costantinopoli, infine, nel 1923 giunse a Parigi. Appassionato di teologia, frequentò l’Istituto S. Sergio di Parigi, dove conobbe S. Bulgakov e N. Berdjaev e maturò e perfezionò la sua vocazione di teologo laico. Fu in seguito direttore del Centro di studi ortodossi di Parigi e svolse una intensa attività in campo ecumenico, partecipando, su invito del Segretariato per l’unione dei cristiani, all’ultima sessione del Vaticano II come osservatore. Tra le sue opere più famose ricordiamo: «Dostojevski e il problema del male» 1942), «Il matrimonio sacramento dell’amore» (1944), «La donna e la salvezza del mondo» (1944), «Le età della vita spirituale» (1964), «L’Ortodossia» (1959).
FERRARI archim. giuseppe. È nato a Frascineto (Cosenza), Eparchia di Lungro, il 19 marzo 1913. Alunno del Pont. Collegio Greco di Roma, compì gli studi filosofici e teologici presso la Pont. Università «Angelicum» di Roma. La sua formazione teologico-mistica – a dire dello stesso Ferrari – venne completata dal grande maestro russo, P. Sergio Verighin (†1938), il quale, scampato dalla rivoluzione russa del 1917, a differenza di tanti altri suoi connazionali finiti in Francia, si rifugiò a Roma, dove rimase fino alla morte, a contatto con uomini di cultura cattolica e con non pochi orientali colà residenti, svolgendo una silenziosa opera di propagazione del pensiero religioso russo. E se il P. Verighin gettò nella mente e nell’animo del Ferrari il seme della teologia mistica, il De Meester (v.) ne completò la formazione giuridica religiosa e liturgica greca. Questi due maestri, però, trovarono nel Ferrari un terreno fertile, per la carica di intelligente assimilazione che gli è stata sempre connaturale e che ha fatto di lui un teologo, un giurista, un liturgista di primo piano, il quale con la sua dottrina ha illustrato le facoltà teologiche di Bari e di Palermo, dove ha insegnato fin dal loro sorgere. Non minore lustro ha dato alla Università di Bari col suo insegnamento di Lingua e Letteratura albanese e con le sue numerose pubblicazioni al riguardo. Ancora, assai preziosa è stata la sua collaborazione alla stesura del Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali, per la profonda competenza con cui ha saputo interpretare la genuina tradizione delle istituzioni e delle leggi in uso nelle Chiese dell’Oriente bizantino. Né trascurabile è stato il suo impegno ecumenico, appoggiando le iniziative del vescovo Perniciaro (†1981), Direttore Naz. dell’Associazione per l’Oriente cristiano, della cui dottrina e umiltà è stato devoto ammiratore. Ha partecipato a tutte le Settimane orientali assieme al suo amico Papàs V. Matrangolo celebrate dall’ACIOC nelle principali città d’Italia nel trentennio 1930-1961, ammirato dappertutto per le doti della sua profonda cultura teologica orientale e la sua spiccata apertura ecumenica. Le sue produzioni teologiche occupano le pagine di varie riviste; particolarmente quelle che riguardano i sacramenti, i comandamenti e da quest’anno il Diritto nelle Chiese orientali, sono i temi più noti ed apprezzati pubblicati da «Oriente Cristiano».
GOAR jacques (Parigi 1601-1653). Orientalista dell’Ordine dei Padri Predicatori. Fin da giovane si applicò allo studio del greco per conoscere ed approfondire le istituzioni della Chiesa bizantina. Già nel 1631 lo troviamo a Chio, dove rimase per sei anni priore del locale convento. Questa fu la prima tappa dei suoi numerosi viaggi che lo portarono specialmente nella sua natia Parigi, Roma e Grottaferrata, dove ebbe modo di consultare biblioteche e di stringere amicizie con eruditi del suo tempo, tra cui il celebre collezionista codiciale Leone Allazio (1586-1669). Il suo capolavoro rimane l’Ευχολόγιον sive Rituale graecorum, stampato per la prima volta a Venezia nel 1638, poi pubblicato a Parigi nel 1647, ed in altra edizione a Venezia nel 1730, di cui H. Leclercq riporta l’indice completo, che fa seguito ad una breve biografia, nel Dictionnaire d’Archeologie chrétienne et de Liturgie, Tom. VI, 1 partie, Paris, 1924, col. 1368-1374. Il de Meester riporta anche queste notizie nell’«Enciclopedia cattolica», Città del Vaticano, 1951, alla voce Goar, Vol. VI, col. 884.
GREGORIO (S.) di nazianzo (329 ca-383). Ebbe un’accurata formazione prima a Cesarea di Cappadocia, poi anche in Egitto e in Grecia. Ritornato in patria, si legò di amicizia con Basilio, che raggiunse nel cenobio di Annesi, sulle sponde dell’Iris. Qui, collaborato da Basilo, compose la Filocalia (un’antologia degli scritti di Origene). Nel 362 ricevette gli ordini sacri dal padre, anch’egli di nome Gregorio, vesc. di Nazianzo. Nel 371 fu Basilio, divenuto Vescovo di Cesarea, a consacrarlo vescovo di Sasima, che Gregorio non volle però mai raggiungere. Andò in seguito a Costantinopoli, poi dopo la morte del padre, a Nazianzo, ritirandosi infine ad Arianzo, dove morì nel 383. Il meglio della sua produzione letteraria è contenuto nelle 45 Orazioni pronunziate a Costantinopoli contro gli ariani, e nelle 5 Orazioni teologiche, che gli meritarono il titolo di teologo per eccellenza, conferitegli in seguito dal Conc. di Calcedonia del 451. Lasciò inoltre numerose Lettere e Poesie. I suoi scritti sono in Migne, PG Voll. 35-38. Oltre a celebrarlo il 30 gennaio assieme ai Santi Gerarchi Basilio il Grande e S. Giovanni Crisostomo, la Chiesa greca lo festeggia il 25 gennaio.
GREGORIO (S.) di nissa (Cesarea di Cappadocia 335-394 ca). Fratello minore di S. Basilio, si formò nell’ambiente familiare, soprattutto sotto l’influsso della sorella maggiore, S. Macrina. Finì anch’egli nel cenobio di Annesi, fondato dal fratello Basilio, dal quale venne destinato in seguito alla sede episcopale di Nissa. Si distinse nella difesa dell’ortodossia nicena contro gli ariani, delle cui insidie fu vittima. Deposto da un conciliabolo, fu inviato in esilio nel 376. Reintegrato, partecipò al 2° Concilio Ecum. di Costantinopoli del 381. Di lui ci sono pervenute opere dogmatiche, scritti esegetici ed ascetici, omelie e varie lettere. Delle prime, ricordiamo «Contra Eunomium», in 12 libri. All’esegesi del V. Testamento, invece, appartengono due libri sull’iscrizione dei Salmi e il Cantico dei Cantici; del N. Testamento, ricordiamo le 8 omelie sulle beatitudini. Le opere di S. Gregorio nisseno sono raccolte in Migne, PG Voll. 44-46. La Chiesa greca ne celebra la memoria il 10 gennaio.
MASSIMO (S.) il confessore (Costantinopoli 580ca – Lazika 662). Trascorse buona parte della sua vita alla corte imperiale, come primo segretario dell’imperatore Eraclio. A 33 anni entrò nel monastero di Crisopoli. Prese parte al Concilio Lateranense del 649, sotto Papa Martino I, in cui vennero condannate tra l’altro le eresie di Costante II. Questi Io fece imprigionare e tradurre a Costantinopoli, dove fu sottoposto a crudeli torture (amputazione della lingua e della mano destra), donde l’epiteto di Confessare. Infine, condannato all’esilio in Lazika, vi morì nel 662. È uno dei più grandi Padri spirituali della Chiesa greca. Egli ci ha insegnato che la vita cristiana si fonda nell’unione con Cristo, che si ottiene attraverso l’amore di Dio e del prossimo. La sua produzione letteraria contiene opere di carattere esegetico, trattati dogmatici e polemici, tra cui «Disputatio cum Pirrho»; scritti di carattere ascetico, tra cui il «Liber asceticus», i «400 capita de caritate» e i «200 capita gnostica», noti sotto il nome di «Centurie»; infine, scritti liturgici ed ecclesiali. Tutti si trovano in Migne, PG Voll. 90-91. La Chiesa greca lo festeggia il 21 gennaio mentre il 13 agosto ne ricorda il trasporto delle reliquie da Lazika a Costantinopoli.
MEYENDORFF jean. Uno dei più qualificati studiosi e teologi ortodossi contemporanei. Nato nel 1926 a Parigi da una nobile ed antica famiglila russa, è cresciuto nell’ambiente religioso dell’emigrazione russa di Parigi. Ha studiato presso l’Istituto di Teologia Ortodossa S. Sergio della capitale francese. Ha approfondito molto, tanto da essere uno degli specialisti in campo mondiale, la figura di Gregorio Palamas. Ordinato sacerdote, alla fine degli anni 50 lascia, con la moglie e i figli, la Francia e si reca negli Stati Uniti dove continua la missione di sacerdote e di studioso, dando un valido contributo al progresso della Chiesa Ortodossa d’America. È stato professore al Seminario S. Vladimiro di New York. Ha fatto parte di varie commissioni del Consiglio mondiale delle Chiese di Ginevra.
MUSACCHIA P. giuseppe (Piana dei Greci, 6 nov. 1837-20 ott. 1910). Insegnò per lunghi anni nelle scuole di Piana, istillando nell’animo dei giovanetti l’amore verso le tradizioni, la lingua ed i riti nazionali. Scrisse, fra l’altro, una monografia di Piana dei Greci in lingua albanese (da Giuseppe SchiròCanti tradizionali ed altri saggi delle Colonie albanesi di Sicilia, Napoli, MCMXXIII, pag. CXVII). Tra i libri liturgici greci, pubblicati dal Musacchia, cui accenna sopra lo Schirò, è stato oggetto di studio «La liturgia del Battesimo e della Cresima della Chiesa Orientale», Palermo, 1876, citato spesso nel nostro testo. Esso rispecchia la tradizione liturgica delle Comunità greco-albanesi di Sicilia nella celebrazione di questi sacramenti, almeno quella della fine del secolo scorso. Dall’esposizione del Musacchia appare chiaro lo sforzo di mostrarla perfettamente accettabile al vigile mondo latino circostante, ai cui occhi i siculo-albanesi apparivano ancora in quel tempo in odore di eresia. Dal suo contesto d’altra parte si rileva non solo la profonda conoscenza dei riti ma anche la loro perfetta osservanza da parte del clero siculo-albanese, nonostante che le restrizioni – dovute soprattutto alla Bolla «Etsi pastoralis» di Benedetto XIV del 1742 – ne reclamassero saltuariamente una più rigida applicazione o ne permettessero una più blanda interpretazione. Da questo punto di vista, il lavoro del Musacchia costituisce una testimonianza rara ed una documentazione assai interessante.
PALAMAS S. gregorio (1296-1359). Aderì alla dottrina ascetica dell’esicasmo dando ad essa una base teologica, che divenne ufficiale nella Chiesa bizantina, grazie al Sinodo di Costantinopoli del 1341. Nel 1316 entrò nella vita monastica e visse venti anni nel Monte Athos. Nel 1347 fu consacrato vescovo di Tessalonica, dove morì nel 1359. Nel 1368 venne dichiarato santo, ed oggi è celebrato solennemente nella 2ª domenica della Grande Quaresima e additato come maestro di perfezione cristiana. I suoi scritti in difesa dell’esicasmo sono la prima sintesi teologica della spiritualità ortodossa, che non ha cessato mai di influenzare la teologia bizantina. La sua dottrina sulla teologia mistica, fondata nell’affermazione sul piano esistenziale dell’antinomia essenza-energie divine, venne combattuta principalmente da alcuni monaci che facevano capo a Barlaam Calabro. Gregorio Acindino e Niceforo Gregoras. La produzione letteraria del Palamas fu assai copiosa. Essa si trova completa in Migne, PG voll. 150 e 151.
SIMEONE di tessalonica (†1439). È l’ultimo teologo di Tessalonica dell’epoca della dominazione latina (1204-1430). Succedette al metropolita Gabriele nel governo della città verso il 1418. Della sua vita si sa che morì sei mesi prima della caduta di Tessalonica in potere dei Turchi. Giovanni il Lettore dice di lui che fu «un santo uomo» e «un buon pastore». È il più grande commentatore della Liturgia orientale, specialmente bizantina. La sua dottrina trinitaria, cristologica, sacramentaria è profonda. Assieme al Cabasilas è il più grande difensore ed assertore dell’epiclesi eucaristica. Fu un ardente palamita e combattè contro i latini. Delle sue opere citiamo: «Il divino Tempio e la Liturgia», un trattato «sui sacri Riti ossia i Sacramenti», «Esposizione del Simbolo», «Sul sacerdozio», «83 risposte a Gabriele, metropolita della Pentapoli», Le sue opere si trovano in Migne, PG vol. 155 e 151.
SIMEONE (S.) il nuovo teologo (n. a Galata (Paflagonia) nel 949, morto a Palukiton nel 1022). La sua vita ci è nota tramite il suo discepolo biografo Niceta Stethatos (1000-1090 ca). Nel 960 venne condotto dal padre a Costantinopoli, per compiervi gli studi. La corte imperiale, in quel tempo assai prestigiosa, non attrasse Simeone, il quale, invece, cercò la vita monastica, entrando nel 977 nel celebre monastero dello Studion. Qualche anno dopo passò nel monastero di S. Mamàs, dove si formò sotto la guida del santo monaco Simeone il Pio (†987), Non ebbe vita facile per la sua fedeltà intransigente alle regole monastiche e la sua dottrina coerente e coraggiosa di monaco, per cui incontrò vari ostacoli e nel 1009 fu costretto all’esilio. La ricchezza dell’opera di Simeone segna un momento altissimo nella storia della mistica cristiana, specialmente di quella bizantina. I suoi scritti, tutti di carattere pratico ed occasionale, si trovano in Migne, PG vol. 120, 324-687 e 709-12. È festeggiato il 13 febbraio.



i Epist. 26 ad Episcopos Sic.
ii Benef. Pappas G. MusacchiaLa liturgia del Battesimo e della Cresima della Chiesa orientale – Versione dal greco con note mistico-teologiche, Palermo, 1876, pag. 45.
iii M. RighettiStoria liturgica, IV, Ed. Ancora, Milano 1959, p. 57; A. HammanLe Sapiènte d’après les Pères de l’Église, Lettres chrétiennes, Grasset, Paris 1962, pag. 8 e seg.
iv G. FerrariIl Battesimo nella spiritualità bizantina, Edizioni «Oriente Cristiano», Palermo, 1964, pag. 37-38.
v M. RighettiStoria liturgica, o. c., IV, p. 70.
vi G. FerrariIl Battesimo, o. c., pp. 37-38.
vii G. MusacchiaLa Liturgia del Battesimo, o. e., pp. 51-53.
viii G. FerrariIl Battesimo, o. c., p. 38.
ix G. Musacchia, op. cit., p. 15.
x Id, op. cit., p. 16.
xi Id., op. cit., pp. 32-33.
xii Ibidem, pag. 35.
xiii N. CabasilasLa vita in Cristo, a cura di U. Neri, U.T.E.T. Torino 1971, pag. 171.
xiv Ibidem, p. 172.
xv Ibidem, pag. 112.
xvi 2 Cor 4,4; Ef 1, 18; 2 Tm 1, 10; Ef 5, 14.
xvii Gv 3, 5.
xviii Mt 28, 19.
xix Ef 5, 26.
xx Paul EvdokimovL’Orthodoxie, Delachaux & Niestlé, Neuchàtel 1959, p. 263.
xxi Clemente Al., Stromata, 1, 5.
xxii Giovanni Crisostomo, PG 57 507.
xxiii Ibidem, 62, 609.
xxiv G. FerrariLa Pentecoste, in «Oriente Cristiano», Anno XIX (1979), 1-2, pag. 67.
xxv Ibidem, pag. 67.
xxvi Gv 16,13-15.
xxvii G. Ferrari, op. c., pag. 68.
xxviii Ibidem, pag. 68.
xxix S. Cirillo di Gerusal., Catechesi mistag. 3, PG 33, 1092.
xxx Pseudo-DionigiEcclesiastica Hierarchia, II, 3, 8; PG 3, 404cd.
xxxi Mattutino della domenica, Tono plag. I, Ode I.
xxxii N. CabasilasLa vita in Cristo, 2, 1; PG 150, 524a.
xxxiii Ibidem, 572c.
xxxiv Ibidem, 573a.
xxxv S. IreneoAdversus haereses, 3,24; PG 7, 96ób.
xxxvi Gal 5, 22.
xxxvii Ef 2, 22.
xxxviii Συνταγμάτιον, Venezia, 1691.
xxxix Δογματική, Atene, 2a Ediz. 1956, pag. 344.
xxxx Dogmatique de l’Église orthodoxe catholique, Ed. de Chevetogne, 1968, pag. 156.
xxxxi G. FerrariIl sacramento della cresima nella Teologia bizantina, in « Oriente Cristiano», Anno V (1965) 2, pag. 56.
xxxxii S. IreneoOmelie catechetiche.
xxxxiii G. FerrariIl sacramento dell’Eucaristia nella Teologia bizantina, in «Oriente Cristiano» V (1965) 4, pag. 53-54.
xxxxiv Papàs Vincenzo MatrangoloLa divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo e la Chiesa bizantina, Alesheim (Svizzera) 1963.
xxxxv PG 33, 1089.
xxxxvi Paul EvdokimovL’Orthodoxie, o.c. pag. 267.
xxxxvii Ap 22,4.
xxxxviii Papàs Vincenzo Matrangoloibidem.
[1] La cerimonia, che si svolge anche oggi nel nartece della Chiesa, è indicata nei testi liturgici con Ευχή εις ποιήσαι κατηχούμενον, letteralmente «Preghiera per fare un catecumeno».
[2] Il sacerdote, prima di iniziare la cerimonia – come già annota il Goar (Jac. GoarΕΥΧΟΛΟΓΙΟΝ Sive Rituale Graecorum, II Ediz. Venezia, 1730, pag. 274) – slega le fasce del battezzando, lasciandolo discinto, gli scopre il capo e lo pone con le mani abbassate; avendo cura di rivolgerlo ad Oriente. La spoliazione qui vuole indicare l’abbandono della vita animale, di cui l’uomo si è rivestito col peccato originale. L’uomo, creato libero, ha optato, infatti, per la vita terrestre e Dio ne ha tollerato la scelta. Poi, il catecumeno che si sottopone ad esorcismo, cioè a rinunziare al demonio, deve tenere le mani abbassate, in quanto ancora si trova sotto l’oppressione del demonio; nello stesso tempo, però, deve essere posto in posizione retta, a dimostrare la forza d’animo e la prontezza nel ricevere il battesimo (J. GoarRituale Graecorum, p. 284). Infine, deve essere rivolto ad Oriente perché, secondo l’interpretazione dei Padri, egli così si rivolge verso il Paradiso, da dove è uscito il primo uomo, Adamo, e perché dall’Oriente è venuta la luce di Cristo, verso cui egli tende.
[3] «Soffia ». Più esattamente il verbo greco εμφυσάω sta ad indicare l’azione di soffiare sopra, di insufflare. Nei LXX è Dio che insuffla negli uomini il soffio della vita oppure soffia su di essi con il suo Spirito. Nel Nuovo Testamento questo verbo si trova in Gv 20, 22: anche qui nel senso di soffiare sopra, insufflare (E. Stautfer in «Grande Lessico del Nuovo Testamento» di G. Kittel, Ediz. ital., Paideia-Brescia, 1967, vol. III, col. 556 sg.).
[4] Il segno della croce, imposto sulla fronte e sul petto del candidato, sta a significare tra l’altro l’alleanza tra Dio e la creatura. Esso «suggellava il rito e la formula della cheirotonia, anche se talvolta, presso qualche Chiesa, non la precedeva» (Mario RighettiStoria liturgica, Ed. Ancora, Milano, 1959, Vol. IV, pag. 63).
[5] «Sulla fronte e sul petto». La fronte, perché da lì partono le energie che raggiungono ogni parte del corpo; il petto, perché è il centro vitale dell’essere umano. Nel Bessarione si legge: «sulla fronte, sulla bocca e sul petto» (f. 49r).
[6] Questa breve formula dossologica manca nel Bessarione (f. 49r).
[7] Questa preghiera, così come le successive, nel Bessarione è prevista per più persone, per cui le invocazioni che si riferiscono ai catecumeni sono al plurale.
[8] Questo invito alla preghiera d’introduzione manca nel Bessarione.
[9] Il gesto dell’imposizione delle mani (χειροθεσία) vuol significare un richiamo a Dio perché, eliminata ogni influenza nefasta, renda degno il candidato di essere aggregato alla Chiesa (Simeone di TessalonicaLe sacre Ordinazioni, 179, PG 155, 388b). La χειροθεσία designa propriamente un’imposizione generica delle mani. La χειροθεσία, invece, indica l’imposizione delle mani per il sacramento dell’ordinazione che viene conferito ai diaconi, presbiteri e vescovi.
[10] Riferimento al peccato dei Progenitori.
[11] Nell’Eucologio di Bessarione si legge: Συ μόνος Θεός αληθινός (f. 49r).
[12] L’espressione «libro della vita» sta ad indicare simbolicamente il libro che contiene i nomi degli eletti da Dio, cioè di coloro che, in forza del battesimo divengono partecipi dello Spirito Santo. La loro iscrizione nei libri della Chiesa avveniva nel giorno del battesimo, o dopo otto giorni, quando venivano completati i riti battesimali e si procedeva con apposite preghiere alla deposizione delle vesti del battesimo (Plac. de MeesterStudi sui Sacramenti amministrati secondo il rito bizantino, Ediz. Liturgiche, Roma, 1947, pag. 12). L’iscrizione nei libri della Chiesa era sempre motivo di gioia: «Mi avete dato i vostri nomi – diceva S. Gregorio Nisseno – perché io li iscriva con l’inchiostro, ma il Signore li scriverà su tavolette incorruttibili col proprio dito, come un giorno le tavolette della Legge» (S. Gregorio di Nissa, PG 46, 471b).
[13] Letteralmente: «della tua eredità».
[14] Il Codice Barberini, 329 del XII sec. riportato dal Goar sotto il n. 88 (J. GoarRituale, o. e. pag. 278, Variae lectiones, nota B), scrive: Esorcismo II, e, conseguentemente, i successivi due esorcismi li numera rispettivamente III e IV, avendo classificato la preghiera d’introduzione come Esorcismo I.
[15] Cfr. nota n. 8.
[16] «Ti redarguisce» dal greco επιτιμάω = sgridare, redarguire, punire, che s’incontra negli esorcismi, sta sempre nell’accezione di un diritto del signore, che compete prima di tutto a Dio. Questi, infatti, usandolo, annunzia così la sua condizione di signore, alla cui minaccia cedono i demoni che nell’uomo spiegano la loro malvagità (E. Stauffer in «Grande Lessico del N. Testamento» di G. Kittel, Ediz. ital. Paideia-Brescia, 1967, vol. 3, alla voce Επιτιμάω). Da notare l’esattezza scritturistica del testo iniziatico, in conformità all’epistola di S. Giuda al v. 9: «Quando l’arcangelo Michele, disputando altercava col diavolo pel corpo di Mosè, non ardì pronunciare sentenza di maledizione, ma soltanto disse: Ti comandi il Signore». Il «maledicte Diabole» ora è stato espunto anche dal Rituale latino. Così pure qui, come altrove, con esatta terminologia biblica, si distingue Diavolo da Demonio (v. alla relativa voce nel Glossario, in appendice).
[17] «Ha trionfato sul legno», cioè sul legno della croce, più avanti chiamato «legno della vita».
[18] «Esorcizzo te»: qui indica l’azione di scongiurare qualcuno per qualcuno (Joh. Schneider in «Grande Lessico del Nuovo Testamento» di G. Kittel, Ediz. ital., Paideia-Brescia, 1972, vol. VIII, alla voce ορκίζω). È una forma deprecativa di scongiuro che qui assume particolare solennità, poiché è fatta in nome di quel Dio che – come recita la preghiera – «siede sui Cherubini… innanzi a cui tremano il cielo e la terra…».
[19] «E retrocedi». Questa espressione manca in Goar (pag. 275).
[20] «nel tuo inferno». Il testo greco letteralmente va tradotto: «nel tuo tartaro», abisso situato nelle viscere della terra. È un termine mitico simbolico delle più antiche religioni cosmogoniche e teogoniche per indicare luoghi tristemente squallidi e bui. Nel Nuovo Testamento lo troviamo in 2Pt 2, 4, nel senso di inferno tenebroso dove Dio precipitò gli angeli che avevano peccato.
[21] Chi entrava a far parte della grande famiglia cristiana riceveva il sigillo e veniva segnato nella fronte, e quindi poteva dichiararsi autenticamente figlio di Dio, in quanto icona della sua ineffabile gloria, ed erede del Regno. Il sigillo, σφραγίς, entrò presto come sinonimo di battesimo (seconda metà del II sec.), alla stessa guisa di come già veniva usato per dare autenticità agli atti. Il vocabolo non si riscontra negli Evangeli ma appare in S. Paolo: «anche voi, dopo aver ascoltato la parola di verità… avete ricevuto il sigillo (εσφραγίσθητε) dello Spirito Santo» (Ef 1,13). Sempre in S. Paolo ricorre in: 1Cor 9, 2; 2Cor 1, 21-22; Rm 4, 11. Più tardi, però, il termine cominciò ad essere riferito prevalentemente al suggello della cresima (III-IV sec.), che seguiva immediatamente il battesimo. Ippolito Romano in Traditio Apostolica, 22, 1-3; S. Cirillo di Gerusalemme in Catechesi mistagogiche, 22, 7: ελαίω ελίπαινέ σου την κεφαλήν επί μετώπου δια την σφραγίδα ήν έχεις του Θεούίνα γένη εκτύπωμα σφραγίδοςαγίασμα Θεού (Ti unse con olio il capo sulla fronte per mezzo del sigillo che ricevi da parte di Dio, affinché tu divenissi impronta del sigillo [del tempio], santificazione del Signore).
[22] Nel Goar (pag. 275), si legge solo: «che fa suoi angeli il fuoco ardente».
[23] Cfr. nota n. 8.
[24] Riferimento chiaro all’episodio evangelico narrato da Matteo (Mt 8, 29-31), relativo alla guarigione degli indemoniati di Gadara. A Gesù i demoni rimproverano di «essere venuto prima del tempo», cioè prima del giorno del giudizio, quando i demoni godono di una certa libertà nella loro azione sulla terra (Ap 9, 5), prendendo possesso di preferenza degli uomini. Questa possessione è accompagnata spesso da malattia, che, come conseguenza del peccato, è anch’essa un’altra manifestazione dell’azione di Satana (Lc 13, 16). Così gli esorcismi dell’Evangelo si concludono spesso in forma di guarigione. Questo potere di esorcismo, che Gesù comunica ai suoi discepoli, assieme al potere delle guarigioni, distruggendo l’impero di Satana, inaugura il Regno messianico, di cui lo Spirito Santo è la promessa caratteristica (Is 11, 2; Gal 3, 1 e segg.).
[25] È stata ripresa qui, quasi alla lettera, una parte del Salmo 103 che, rifacendosi a sua volta alla cosmologia del Genesi 1, narra meravigliosamente gli splendori della creazione. Si rimanda all’esegesi di T. Federici, «Lodate il Signore» – Salmi dell’Ufficio bizantino, 1°, Il Vespro, in Oriente Cristiano 22/4(1982) 37-78. Il Sal 103 è «proimiaco» del Vespro bizantino della domenica (sabato sera).
[26] Il Bessarione aggiunge; «verrà infatti sulle nuvole, verrà e non...» (f. 51V).
[27] «Nella geenna di fuoco». La geenna è simbolo dell’inferno e dei tormenti riservati ai peccatori, chiamata anche luogo della tenebra esterna, regno del demonio (Mc 9, 45), dove è pianto e stridor di denti (Mt 8, 12; 22, 13; 25 30). È ancora il luogo dove «il verme non dorme e il fuoco non si spegne»: riferimento ad Isaia (66, 24), che descrive con terminologia apocalittica il castigo senza fine che attende coloro che non adoreranno il Signore (J. Jeremias, in «Grande Lessico del Nuovo Testamento» di G. Kittel, ed. ital. Paideia, Brescia 1966, vol. II, col. 375-380).
Il problema della durata delle pene infernali è stato spesso affrontato dai Padri. La Scrittura, è vero, parla di fuoco eterno (Mt 18, 8; 25, 41), di punizione eterna (Mt 25, 46) e di eterna dannazione (Mc 3, 29). Il termine usato in questi casi è αιών, che senz’altro si può tradurre «secolo», ma che può essere anche usato per indicare un periodo molto lungo, di durata indeterminata. Quando il riferimento, invece, è alla Gloria o al Regno di Dio, e cioè alla stessa eternità di Dio, senza principio e senza fine, la Scrittura usa costrutti del tipo εις αιώνας αιώνων (in saecula saeculorum): Rm 16, 27; Gal 1, 5; Fil 4, 20; 1Tm 1, 17; 2Tm 4, 18; 1Pt 4, 11; Ap 1, 6-18; 4, 9; 5, 13; 7, 12; 10, 6; 11, 15; 15, 7; 19, 3; 22, 5. Solo in due casi questa perifrasi è riferita alle pene infernali: precisamente in Ap 14, 11 e 20, 10, tuttavia entrambe le volte l’espressione manca in molti antichi codici. Si può forse dedurre che la durata delle pene infernali non ha la stessa enfasi di quella del Regno di Dio? La possibilità che alla fine dei tempi Dio annienti il male, perdonando tutti, va comunemente sotto il nome di «apocatastasi» che, nella visione origenista presentata dagli ammiratori del grande Alessandrino, fu rifiutata già dal V Conc. ecumenico (Αnatemi XIV e XV). Dopo un millennio, anche il Conc. di Trento (1545-63) riprese sostanzialmente l’atteggiamento del V Conc. ecum. di Costantinopoli del 553, per cui la situazione non può considerarsi mutata nemmeno in Occidente, anche se tra i teologi, secondo i tempi, i luoghi e le circostanze, sono continuati ad esistere differenti correnti di pensiero. Così, per rimanere solo tra i moderni teologi russi e greci, mentre Meyendorff asserisce che «l’apocatastasi va respinta perché presuppone un’ultimale limitazione alla libertà umana: la libertà di respingere Dio» (J. Meyendorff,Bizantine Theology, Fordham University Press, New York 1976, p. 163), Evdokimov obietta: «È mai pensabile che Dio prepari, accanto all’eternità del Regno di Dio, quella dell’Inferno, il che sarebbe in un certo senso uno scacco per il piano divino, una vittoria sia pure parziale del male? S. Paolo in 1ª ai Corinzi (15, 15) afferma il contrario. Se sant’Agostino disapprovava le misericordie era per evitare il libertinismo e il sentimentalismo» (P. EvdokimovL’Orthodoxie, o. c., p. 332). Ed aggiunge lo stesso teologo: «Il V Concilio ecumenico non ha esaminato la questione della durata delle pene infernali. L’imperatore Giustiniano (che in questo caso somiglia ai giusti della storia di Giona, delusi perché la punizione non ha colpito Ì colpevoli) presentò la sua dottrina personale al patriarca Menas nel 543. Il patriarca se ne servì per elaborare delle tesi contro il neo-origenismo» (Ibidem). Per cui – conclude Evdokimov – «questa dottrina è soltanto un’opinione personale e quella di san Gregorio Nisseno, che le si contrappone, non è stata mai condannata», facendo ancora rilevare come, parlando dell’apocatastasi, «san Massimo il Confessore inviti ad onorarla “in silenzio”, perché lo spirito della folla non è atto ad afferrare la profondità delle parole» (Ibidem). E il vescovo ortodosso Ware, appartenente ad una scuola teologica greca, così sintetizza le differenti posizioni: «È eretico dire che tutti debbono essere salvati, perché ciò è negare il libero arbitrio; ma è legittimo sperare che tutti possano essere salvati» (T. WareThe Orthodox Church, Penguin Books, New York 1978, p. 267).
In realtà vanno distinti due aspetti, invece, spesso confusi: nel cristianesimo, altro è il dato della Rivelazione, altro è quello della speranza del cristiano. Per quanto riguarda la redenzione universale, inclusi i dannati, il dato della Rilevazione ci dice solo che coloro che hanno rifiutato il dono di Dio sono consegnati al fuoco eterno. Cosa, però, avverrà nel futuro indeterminato è solo nella mente di Dio. Per cui, il V Concilio ecum. condanna non la speranza di una redenzione universale ma l’insegnamento di essa. E la catechesi cristiana deve insegnare soltanto quanto è stato rivelato e non andare oltre.
[28] Il Bessarione dice: «Poiché tua è la potenza, di Cristo…» (f. 51V).
[29] Cfr. nota n. 8.
[30] Scrive il Musacchia: «precedentemente a queste parole ed unitamente a questa orazione, certi Eucologi stampati a Venezia premettono queste parole: Είτα εισφέρεται εν τω ναώ ο κατηχούμενος, cioè “quindi viene introdotto nel tempio il catecumeno”, e benedicendo il sacerdote dice il trisagio, ed il resto...» (G. MusacchiaLa Liturgia del Battesimo e della Cresima della Chiesa orientale. Versione dal greco con note mistico-teologiche, Palermo, 1876, pag. 58). A battesimo avvenuto si procedeva in corteo verso il tempio per assistere alla Liturgia e completare, con la partecipazione all’Eucarestia, i sacramenti dell’iniziazione cristiana.
Questa preghiera introduce a quella parte del rito, anticamente riservata a coloro che venivano battezzati immediatamente dopo di essa. Molti, infatti, per vari motivi preferivano restare catecumeni, rimandando il battesimo ad età avanzata, alcuni addirittura sul punto di morte. Per cui, in molti testi liturgici, questa parte detiene ancora il titolo di «Preghiera sul catecumeno in procinto di essere battezzato». Anche in questa parte del rito riscontriamo le insufflazioni (che qui ancora più chiaramente assumono il significato di «exsufflationes» ed indicano l’azione di soffiare sopra per scacciare uno spirito), la replica della rubrica dello scioglimento delle vesti, la rinuncia a Satana e l’adesione a Cristo, la recita del simbolo di fede, ed una orazione conclusiva.
[31] Per gli orientali, la creazione ad immagine di Dio – scrive J. Daniélou, spiegando il pensiero di S. Gregorio Nisseno – significa «partecipazione reale a tutti gli attributi di Dio». E S. Gregorio è assai esplicito al riguardo: “Ciò che è stato creato ad immagine di Dio possiede una similitudine piena (πάντως) con il suo modello (αρχέτυπον): è spirituale (νοεράν) come lui è spirituale, incorporale (ασώματον) come lui è incorporale” (PG 46, 41c)» (J. DaniélouPlatonisme et Théologie mystìque. Aubier, Paris, 1944, pag. 49). «Si tratta, quindi – scrive Paul Evdokimov – essenzialmente di ristabilire la forma di prima, di restaurare l’immagine archetipa, l’imago Dei. Questa immagine è rilevata, nella sua assoluta purezza di modello, in Cristo, che i Padri chiamano archetipo. Al momento dell’incarnazione, Cristo, «immagine invisibile di Dio» (Col 1, 15), non cerca una qualsiasi forma angelica o astrale, e non si adatta neppure semplicemente alla forma umana; secondo i Padri, Dio, creando l’uomo, fissava già gli sguardi del suo pensiero verso il “Cristo prototipo”. Anche Tertulliano nel De carne Christi: «Quodcumque limus exprimebatur, Christus cogitabatur homo futurus…». Il Cristo “impronta del Padre” e il “Cristo ecce homo” riunisce in sé l’immagine di Dio e l’immagine dell’uomo… Dio s’incarna dunque nella sua icona vivente: Dio non è straniero, l’uomo è la faccia umana di Dio» (Paul EvdokimovL’Orthodoxie, Delachaux & Niestlé, Neuchâtel-Paris, 1959, pag. 78-79). Per cui S. Gregorio Nisseno può affermare: «In quanto terrestre, io sono attaccato alla vita di quaggiù, ma essendo una particella divina porto in seno il desiderio di una vita futura» (Gregorio di NissaPoemata dogmatica VIII, PG 37, 452). «L’immagine di Dio impressa nell’uomo – scrive il Ferrari – ha esigenza della grazia, per cui l’uomo è sitibondo di Dio… Il battesimo, cancellando il peccato e restituendoci l’immagine di Dio, ha sempre avuto, tra i suoi riti più significativi, la denudazione del battezzando, proprio ad indicare l’abbandono della vita animale, cioè dello stato di peccato» (G. FerrariIl battesimo, o. c. pag. 14). Si ha così «uno slancio dinamico di tutto il nostro essere verso il suo archetipo divino (Origene), un’aspirazione irresistibile del nostro spirito a Dio (san Basilio), l’eros umano proteso verso l’eros divino (san Gregorio Palamàs): è la sete inestinguibile, la intensità del desiderio di Dio espressa mirabilmente da S. Gregorio Nazianzeno: “Per te io vivo, parlo e canto”» (Paul Evdokimovibidem, pag. 80).
Secondo il Nisseno, in funzione della εικών (imago), il cristianesimo si definisce: «imitazione della natura di Dio» (PG 46, 244c). Il carattere trascendentale di questa dignità fa dire a S. Teofilo di Antiochia: “mostrami il tuo uomo e ti mostrerò il mio Dio” (Teofilo di AntiochiaEpist. ad Autolicum, PG 6, 1025b). Si coglie qui il significato profondo di quanto canta l’ufficiatura bizantina dei defunti: «Io che porto le stimmate delle mie iniquità, sono tuttavia immagine della tua indicibile gloria». È in questo modo che l’immagine predestina l’uomo alla théôsis. Tuttavia, percorrendo l’insegnamento del pensiero patristico, assai ricco e pieno di sfumature, si riscontra che c’è anche una differenza tra immagine e somiglianza. «L’immagine, fondamento oggettivo – scrive Evdokimov – chiama per la sua struttura dinamica alla somiglianza soggettiva, personale… In tutti i Padri troviamo una differenza molto accentuata, che S. Giovanni Damasceno così sintetizza: “a somiglianza” significa “somiglianza nella virtù”… L’immagine, fondamento oggettivo, non può manifestarsi in agire che nella somiglianza soggettiva. S. Gregorio Palamàs precisa: “nel nostro essere ad immagine, l’uomo è superiore agli Angeli, ma nella somiglianza egli è inferiore, perché instabile… dopo la caduta, abbiamo respinto la somiglianza, ma non abbiamo perduto l’essere ad immagine” (PG 150, 1148b)» (P. Evdokimov,ibidem, pag. 84-85). Infatti, «Dio fece l’uomo ad immagine della sua propria eternità» (Sap 2, 23). Perciò questo rapporto speciale con Dio, separa l’uomo dagli animali.
[32] Si prega Dio perché, conoscendo Egli la fragilità dell’uomo, lo ponga sotto le sue ali e lo protegga contro le insidie dell’avversario (è in questa accezione che si riscontra nei LXX e nel N.T.: Lc 13, 17; 21, 15: 1Cor 16, 9; Fil 1, 28; 2Tess 2, 4; 1Tim 5, 14), dall’incontro col maligno, ecc., più ampiamente descritti nel Salmo 90, cui allude questo passo della preghiera.
L’assegnazione di un angelo ad ogni cristiano, fin dal momento del battesimo, si inserisce in una tradizione molto radicata ed antica della Chiesa. Ne abbiamo eco in Origene (In Matthaeum XIII, 27, PG 13, 1165bc), il quale dice che essa avviene «dal momento della rigenerazione mediante il lavacro battesimale»; ed ancora, lo Pseudo Macario (Visiones de Angelis I, PG 34, 221b) dice: «ogni cristiano nell’ora del battesimo riceve da Dio un angelo a custodia e protezione». Infine, il Cabasilas conferma questa tradizione, scrivendo: «fin dall’inizio (= inizio della vita in Cristo, cioè fin dal battesimo) è stato dato un angelo a ciascun fedele» (N. Cabasilas in Explication de la divine Liturgie, Ed. du Cerf, Paris, 1967, pag. 217; PG 34, 445d). Ma già nella S. Scrittura, oltre che l’accenno all’angelo tutelare del Regno dei Persiani (Dn 10, 13) c’è l’accenno esplicito alla diffusa convinzione che ogni singola persona ha un angelo, capace perfino di assumere le sembianze del protetto (At 12, 15-16).
[33] Un commento della rubrica è stato già fatto alle note precedenti. Qui aggiungiamo: il celebrante soffia sulla bocca del catecumeno, come se questo fosse ancora senza vita e sotto l’oppressione del tiranno, e quindi lontano dalla possibilità di ereditare il Regno. Il soffio, infatti, dai primordi è simbolo della vita: «Dio plasmò l’uomo… soffiò (ενεφύσησεν) sul suo volto il soffio della vita» (Gen 2, 7). Per cui qui il soffio è in analogia col soffio di vita al momento della creazione dell’uomo e indica la nuova creazione battesimale.
[34] «Noi non ci siamo mossi verso Dio e siamo saliti a lui, è lui che è disceso ed è venuto a noi. Noi non abbiamo cercato, ma siamo stati cercati; la pecora non ha cercato il pastore; la dracma non ha cercato il padre di famiglia; ma lui si è chinato sulla terra, ha trovato l’immagine ed è andato nei luoghi ove la pecora si smarriva, per prenderla e ritirarla dall’errore. Non ci ha tolti da qui, ma lasciandoci in terra, ci ha resi anche celesti, ha infuso in noi la vita divina senza portarci in cielo, ma piegando ed abbassando il cielo fino a noi» N. CabasilasLa vita in Cristo, PG 150, 504b, Ediz. Utet, Traduz. di M. Gallo, Torino, 1971, pag. 78-79).
[35] «Vaso santificato, figlio della luce ed erede del Regno». Nel Goar si legge solo: «figlio ed erede del tuo Regno» (Goar, o. c., pag. 277).
[36] Il Bessarione dice: «dei tuoi Santi» (f 53r).
[37] Le rubriche degli Eucologi concordano tutte nel prescrivere che il battezzando viene svestito dal sacerdote, rimanendo con una sola veste, che gli verrà tolta al momento delle unzioni e dell’immersione. Questo rito, che sta ad indicare l’abbandono della vita animale, in modo che, cancellato il peccato, possiamo essere restituiti ad immagine di Dio, è identico per tutti i battezzandi, siano essi piccoli o adulti, maschi o femmine. Riferendosi alla tradizione mistagogica dei Padri greci sulla spogliazione e sulla deposizione dei calzari, soprattutto a Cirillo di Gerusalemme, che interpreta tale rito come «immagine della spogliazione del vecchio uomo con le sue opere» (Cirillo di Gerus., Cat. mystagogica II, 2, PG 53, 1077a); allo Pseudo Dionigi, che ne dà identica spiegazione, cioè di «spogliarsi della vita vecchia» (Pseudo-DionigiEcclesiastica Hierarchia II, 35, PG 3, 401a); e, infine, a Gregorio Palamàs, il quale dice: «sciogli questo calzare dai tuoi piedi: cioè non vivere più secondo la carne e il peccato» (Gregorio PalamasHomilia XI, PG 151, 128b), il Musacchia dice: «anche oggi si spoglia la creatura della tunica perché porta l’immagine del primo Adamo che nel paradiso terrestre era nudo, né aveva verecondia; e smesso l’uomo vecchio non ha vergogna di confessare Cristo» (G. MusacchiaLa Liturgia del battesimo…, o. c. pag. 62). Inoltre, essi rimangono con le mani protese, come i prigionieri al carro dei trionfatori, a sottolineare la prigionia in cui il Demonio teneva l’uomo prima della sua liberazione da parte di Cristo. «Prima della colpa – scrive il Palamas – Adamo partecipava del divino fulgore e splendore, e ne era rivestito come d’un manto di gloria; egli, quindi, non era nudo, ma molto più adorno di quel che possa dirsi... A motivo del peccato la nostra natura fu denudata» (Gr. PalamasHomilia XVI, PG 151, 220a). Per cui, «col gesto di denudarci completamente e di deporre fino all’ultima veste, dimostriamo di avere raggiunto la via che conduce all’Eden e alla vita paradisiaca» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 121). Sempre il Cabasilas scrive a tal proposito: «il rito di deporre le vesti è segno pure di un’altra cosa: ora si va puramente verso la luce vera, senza portare con sé nulla da cui possa venire l’ombra della morte...» (Cabasilasibidem).
Concludendo: si chiede che il battezzando sia riportato allo stato della giustizia originale che, come dicono i Padri greci, costituisce la vera natura dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Il trovarsi nel peccato, infatti, spogliato della grazia, non è uno stato di natura, ma di contro natura. Secondo il pensiero della scolastica occidentale, Dio crea l’uomo allo stato di natura, cioè senza la grazia, e poi vi aggiunge la grazia. Al contrario, per i Padri greci: uno stato di natura senza la grazia non può esistere se non come peccato o stato di peccato, cioè di contronatura, perché l’uomo fu creato ad immagine di Dio, per Dio; e ciò suppone necessariamente la grazia.
[38] Il catecumeno è rivolto ad Occidente, che simbolicamente – dice S. Cirillo di Gerusalemme – è il luogo della tenebra esteriore, poiché ad Occidente tramonta il sole. Ora Satana, che aveva avuto in sorte la tenebra, ha in essa anche il suo dominio. Per questo ha valore il simbolo che, guardando verso Occidente, si rinuncia a quel principe tenebroso ed oscuro (Cirillo di Gerus., Cat. mystagogica i, 4 PG 33, 1069a); e lo Pseudo Dionigi: «l’Occidente significa l’oscurità della vita presente» (Pseudo-DionigiEcclesiastica Hierarchia, V, 1; PG 3, 508a). Per cui, il neofita si rivolge ad Occidente quasi a mimare la lotta che dovrà sostenere nel corso della sua vita cristiana e la rinunzia solenne alla potenza di Satana.
[39] La cerimonia della rinunzia a Satana e dell’adesione a Cristo assumeva in Oriente una forma drammatica. Il candidato, scalzo, ricoperto appena di una sola tunica, doveva manifestare un’irriducibile opposizione al Demonio e a tutto quanto ha rapporto con lui, perché «la viva e quotidiana lotta contro l’idolatria – scrive il Righetti – ne faceva allora sentire pressante il bisogno e somma l’importanza» (M. RighettiStoria Liturgica, o. c. Vol. IV, pag. 84). La rinunzia a Satana aveva come oggetto specifico: le opere malefiche (τα έργα) che Satana ha fatto e induce a fare seducendo con le sue arti, i suoi metodi, le sue macchinazioni, le sue istigazioni, le sue vanità (le sue pompe), le quali, all’epoca di Tertulliano erano costituite principalmente dagli spettacoli idolatrici (Righetti,ibidem, pag. 85). «La cerimonia della rinunzia a Satana e dell’adesione a Cristo – scrive il Ferrari – si svolgeva in Oriente durante la Settimana Santa, alle prime ore del pomeriggio del Venerdì Santo: dall’ora sesta all’ora nona, infatti, secondo la tradizione bizantina ed orientale, si è svolto il dramma del peccato nel paradiso terrestre e, nelle stesse ore, la tragedia dell’Uomo-Dio sul Calvario; all’ora nona Adamo ed Eva furono cacciati dal paradiso, alla stessa ora il buon Ladrone fu accolto come primo cittadino del Paradiso...» (G. FerrariIl battesimo…, o. c. pag. 36).
[40] Precisiamo che il Barberini 336 (sec. VIII, f. 190 della numerazione superiore) e il Bessarione (f. 53r) – per citare due tra i più noti eucologi manoscritti – riportano αποτάσσωμαι, mentre il Goar(pag. 277) scrive αποτάσση. Poi, «L’uso del plurale o del singolare – spiega il de Meester – è regolato dai più antichi manoscritti. Il lettore si ricorderà che nel testo primitivo non si trova la forma interrogativa per introdurre le formule della rinunzia a Satana, dell’adesione a Cristo e della professione di fede. Queste interrogazioni sono state inserite posteriormente e, la seconda volta al passato, per confermare gli atti precedenti» (Plac. de MeesterStudi sui Sacramenti…, o. c., pag. 48). Il verbo greco αποτάσσομαι, usato al medio, sta nel senso di rinunziare, cioè di separarsi completamente, liberarsi, licenziare tutto ciò che è pagano, mondano, e pertanto in potere di Satana e dei suoi idoli (G. Delling, in «Grande Lessico del N. Testamento» di G. Kittel, Ediz. ital. Paideia-Brescia, 1981, vol. XIII, alla voce αποτάσσωμαι).
[41] «Soffiagli e sputagli contro». Questa frase – fa rilevare il Goar – nell’Eucologio di Bessarione (f. 53r) manca della seconda parte: “e sputagli contro” (GoarRituale…, o. c. pag. 278). Il ricorso a questo gesto dispregiativo per rompere subito l’incantesimo diabolico e sgomberare la via alla fede da qualsiasi ostacolo vuole esprimere il disprezzo per il demonio, in conseguenza della deliberazione del catecumeno di unirsi a Cristo. Questa conversione, che richiama il passo di Ezechiele (18, 30-31) è simboleggiata dal semi-giro che farà subito il battezzando verso Oriente, esclamando: Credo in lui come Re e Dio. Per cui «urge disprezzare un mondo ed onorare l’altro – dice il Cabasilas – morire ad una vita e vivere dell’altra, sfuggire risolutamente l’un maestro di vita e seguire l’altro con tutto l’ardore » (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 119).
[42] «Il sacerdote rivolge ad Oriente il battezzando»: a rievocare il paradiso terrestre, da dove è uscito il primo uomo, Adamo, e da dove viene la luce, come già spiegato nelle note precedenti. Qui e nei successivi momenti del rito iniziatico, giova osservare l’utilizzazione liturgica delle tenebre e della luce a fine psicologico e pedagogico: mentre la notte è ancora fonda, anche nell’anima del battezzando, questi resta con la faccia rivolta ad Oriente; ma quando albeggia ormai nello spirito e le spalle sono rivestite di luce, allora egli guarda ad Occidente, per rinunciare a Satana. Giova pure ricordare che nei secoli III e IV, a Gerusalemme, a Roma, ad Alessandria d’Egitto, durante la veglia pasquale, tenebre e luce corrispondevano alle ore notturne e al sorgere dell’aurora, così da rendere più suggestivo il sincronismo cosmico del rito. Il catecumeno rivolto a Oriente fa pensare alla bella similitudine dantesca:
«come l’augello... in su l’aperta frasca
con ardente affetto il sole aspetta

fiso guardando pur che l’alba nasca» (Par. 23°, 1-9).
[43] Facciamo notare che da qui e quanto segue, fino al simbolo Niceno-Costantinopolitano compreso, manca nel Bessarione, il quale arriva subito alla preghiera: «Sovrano Signore…».
Adesso il catecumeno «fuggendo le tenebre, corre verso il giorno, volto ad Oriente cerca il sole, liberato dalle mani del tiranno adora il Re; condannando l’usurpatore riconosce il signore legittimo, fa voto di essergli soggetto e di servirlo con tutta l’anima, ed in primo luogo di credere in lui come Dio e di riconoscere di lui quel che conviene» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 120).
[44] È la formula di fede ufficiale, distintiva dei cristiani, in uso in Oriente fin dal IV secolo. Di essa abbiamo voluto dare una traduzione che evidenzia il testo originale greco. È chiamata Simbolo Niceno-Costantinopolitano, in riferimento alla sua origine storica, che si basa su una struttura formulata nel Concilio di Nicea del 325, poi completata nel Concilio Costantinopolitano del 381 (Metrop. Chrysostomos KonstantinidisPresupposti storico-dogmatici dell’ecumenicità del II Concilio Ecumenico in «Oriente Cristiano», Anno XXI, n. 3, pagg. 32-58; Archim. Angelo AltanLa questione del Filioque, in «Oriente Cristiano» Anno XXI, n. 3, pagg. 62-68). Tra le professioni di fede, esso è il simbolo a cui gli orientali sono particolarmente legati e del quale non hanno mai mutato o aggiunto una virgola, recitandolo sempre nella formulazione originaria e come tradizionalmente viene presentato nei loro testi liturgici, suddiviso in dodici capoversi.
[45] Cfr. nota n. 8.
[46] Il Codice Bessarione dice solo: «Sovrano Dio...» (f. 53V).
[47] «L’importanza e il valore del battesimo sono tali da giustificare i vari appellativi attribuitigli, conformemente ai suoi effetti attivi nell’anima» (Panaghiotis N. TrembelasDogmatique de l’Église orthodoxe catholique, vol. 3, Edit. de Chevetogne, Desclée de Brouwer, 1968, pag. 81). Tuttavia, tra i vari appellativi è «illuminazione» (φωτισμός) il termine più usato dai Padri greci nella loro predicazione e nelle loro catechesi per designare il battesimo. L’Illuminazione così è spiegata dallo Pseudo Dionigi: «la sacra Illuminazione della conoscenza di Dio, poiché partecipa la prima luce ed è l’inizio delle superne illuminazioni di Dio… la celebriamo col vero nome di Illuminazione» (Pseudo-DionigiEcclesiastica Hierarchia III, 1; PG 3, 425a). Ed infatti «il battesimo è illuminazione perché… guidandoci verso la luce divina, ci separa dall’oscurità del male» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 115). «E uno, solo che sia stato generato, come indica la parola stessa “illuminato” (φωτισθείς), subito è liberato dalle tenebre e, per questo fatto, ha ricevuto la luce» (Clemente Al., Il pedagogo, Lib. I, cap. 6 in Ediz. Utet, Torino, 1971, pag. 219). E lo stesso Clemente Al. spiega: «come l’inesperienza scompare per l’esperienza, così necessariamente, per il battesimo scompaiono le tenebre. Le tenebre sono l’ignoranza per la quale cadiamo nei peccati, avendo la vista debole per la verità. Illuminazione è la gnosi che dissipa l’ignoranza e ristabilisce la vista» (Clemente Al., ibidem, pag. 221).
Simbolo di liberazione e di salvezza «questa illuminazione battesimale – scrive con lirismo il Nazianzeno – è splendore folgorante delle anime, che mette il nostro intimo nella quiete di Dio. Questa illuminazione è un soccorso alla nostra debolezza… questa illuminazione ci fa salire verso Dio... è la chiave del regno dei cieli... è trasformazione di vita, soppressione della schiavitù… liberazione dai legami, tra tutti i doni di Dio è il più bello e il più grande... è l’illuminazione per eccellenza, essendo essa la cosa più santa di tutte quelle della terra» (S. Gregorio di NazSermone sul santo battesimo, cap. 5 in T. FedericiLa liturgia dono divino della Libertà, Ho Theológos, Palermo 1979, pag. 49, ma il lunghissimo elenco prosegue alle pp. 50-52: «...essa rischiara il mondo intelligibile così come il sole rischiara il mondo sensibile»; «...luce, il bel astro precursore verso Betlem; luce, l’apparizione che col suo splendore avvolse Paolo... ma l’illuminazione battesimale è propriamente la vera luce». La parola «illuminazione» è usata in epoca ellenistica in termine di contrapposizione non del tutto completa alla «tenebra» (σκοτία), in quanto questa non costituisce propriamente un’avversa potenza attiva alla «luce», quanto piuttosto tutta una gamma del male morale, che veniva abbandonato (άγνοια) nello slancio mistico del raggiungimento della mutazione, e quindi della divinizzazione, attraverso l’illuminazione che dava la γνώσις. Nel Nuovo Testamento, invece, particolarmente dall’evangelista Giovanni ed in seguito dai Padri greci, il termine «illuminazione» è quasi sempre usato in antitesi alla «tenebra», e il dualismo tra luce e tenebra viene elevato a concettualità teologica (H. Conzelmann in «Grande Lessico del N. Testamento» di G. Kittel, Ediz. ital. Paideia-Brescia, Vol. XII, alla voceσκοτία). Per cui – aggiungiamo noi – tutto ciò che è λογικόν è φώς; tutto ciò, invece, che è άλογον è σκοτία, cioè privo di λόγοςάγνοια. Ancora, in quest’ultima accezione ci parla la teologia dei mosaici siciliani della Martorana e della Palatina di Palermo, e delle cattedrali di Cefalù e Monreale, dove l’oro delle pareti musive è «luce», e dove il Pantocrator, Fattore dell’uomo e dell’universo intero, lasciandoci assaporare una spiritualità sicuramente cara alle popolazioni cui venne destinata, ed illuminante, oggi come allora, sul mistero della luce taborica, ci da quasi in anticipo la visione di Dio faccia a faccia. E Gesù Cristo, il creatore della luce, nella scritta dell’evangeliario, che regge nella sua mano sinistra, si rivolge al mondo e dice: «Io sono la luce del cosmo. Chi segue me non camminerà nella tenebra ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12).
[48] Il battesimo, infatti, riscatta dal peccato ed infonde nuova vita. Ma, «prima del battesimo – scrive S. Basilio – è necessario diventare discepoli, rimovendo innanzitutto gli ostacoli che ci impediscono di essere tali, e rendendoci in tal modo pronti ad esserlo… affinché, conformandoci allo Spirito, diventiamo degni di essere battezzati nel nome del Figlio e di rivestire il Cristo (S. Basilio in «Basilio di Cesarea, Il Battesimo», trad. di Umberto Neri, Ed. Paideia, Brescia, 1976, pag. 276). «La natura umana – è sempre S. Basilio che parla – resa schiava dal peccato dei progenitori, non è più in grado ora, con le proprie forze di compiere il bene, ma ha bisogno che altri venga a restituirle la libertà» (S. BasilioIn Psalmum 48, PG 29, 437b). Libertà che non può essere distrutta dal battesimo ma, al contrario, «restaurata nella sua integrità e nella sua attualità» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 142). «L’uomo, infatti, fatto ad immagine della Divinità – dice S. Massimo il Confessore – è per natura libero (αυτοεξούσιος), come lo è per essenza la divina natura (S. Massimo il ConfessoreDisputatio cum Pirrho, PG 91, 304c). Per cui, «il battesimo non distrugge l’αυτεξουσίαν, ma ci dona la libertà di non essere più oppressi contro la nostra volontà dalla tirannide del demonio» (Simeone il Nuovo TeologoCapita Theologica cent. III, 89, 109). Così il Damasceno può cantare alla Vergine: «La nostra natura era rimasta danneggiata dall’antica pianta vietata e andava in perdizione, o Immacolata; il Verbo Dio incarnato nel tuo seno per amor nostro la ristabilì e ci iniziò al mistero della triplice Luce della divina Maestà» (Theotokìon dell’Ode I, Tono II, del Mesoniktikon della Domenica). Commenta il Cabasilas: «la vita in Dio è impossibile se non si è morti al peccato; ma Dio solo può uccidere il peccato… non era possibile per noi, già divenuti schiavi del peccato; come avremmo potuto essere più forti di colui al quale servivamo?» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o.c. pag. 94-95).
Il peccato, infatti, provoca uno scadimento ontologico, asservendoci ad una potenza più forte di noi, dalla quale non possiamo affrancarci da soli. Secondo la tradizione paolina e patristica greca, seguita dal Cabasilas, si distinguono due momenti: la condizione precedente al peccato, in cui si era liberi di resistere e di vincere, e quella seguente, che è di vera e propria schiavitù. La situazione di libertà è propria dello stato di innocenza; una volta, però, che si commette il peccato, ci si sottomette al suo giogo, e si è trascinati a fare ciò che non si vorrebbe, poiché prima del peccato l’azione demoniaca si svolge all’esterno dell’uomo (che è libero), e dopo il peccato l’azione demoniaca si svolge all’interno dell’uomo in cui ha preso dimora Satana. La volontà umana lo ha fatto entrare e non è capace di ricacciarlo fuori (Rm 1, 11-25). Per concludere, affermiamo con il Nisseno: «È il battesimo che purifica l’uomo e gli lava l’anima e il corpo da ogni colpa grave e gli rida la primiera bellezza che l’artista divino gli aveva donato creandolo» (S. Gregorio NissenoOmelia per l’Epifania in «Le baptême d’après les Pères de l’Église, Grasset, Paris 1962, p. 154).
[49] Il Bessarione dice: «Purificalo» (f. 53V).
[50] Spiega l’Apostolo Paolo ai Colossesi: «vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue opere ed avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di colui che l’ha creato» (Col 3, 9-10). «Nel battesimo – dice S. Cirillo di Gerusalemme – diamo una vita e, al suo posto, ne riceviamo un’altra; ma, mentre il dono della vita è morte in immagine e figura, la rigenerazione è vita vera» (S. Cirillo di GerusalemmeCatechesis mystagogica II, 5; PG 33, 1081a). Poiché «il battesimo – spiega il Cabasilas – prende gli uomini morti e corrotti e li introduce nella vita... in virtù dei sacri Misteri; infatti, siamo generati, plasmati, e divinamente congiunti al Salvatore» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 77). Ciò spiega come, nell’economia della salvezza, la morte precede la vita e la nascita al mondo coincide con la morte alla grazia. Per cui, il termine «corrotto», usato dal Cabasilas, è da intendersi in senso fisico, cioè di dissolvimento che segue la morte e che rende irriconoscibile nell’uomo l’immagine di Dio. Questo stesso argomento ci fa meglio comprendere il significato mistico dei «colivi» (dolce a base di frumento bollito), distribuiti nella Chiesa orientale in onore dei defunti: come il frumento per germogliare ha bisogno di essere sotterrato, così coloro che vogliono essere partecipi della eterna beatitudine, devono prima subire la morte; simbolismo ispirato alla frase giovannea: «se il grano di frumento caduto in terra non muore, non potrà produrre alcun frutto» (Gv 12, 24). Per cui, «morendo alla carne – ci insegna S. Basilio – noi nasciamo allo Spirito, come dice il Signore: «Io farò morire e farò rivivere» (Dt 32, 24). Pertanto moriamo per vivere. Uccidiamo la nostra mentalità carnale, quella che non può sottomettersi alla legge di Dio, perché nasca in noi potentemente la mentalità spirituale... ci seppelliamo assieme a Cristo che è morto per noi, messaggero della nostra resurrezione» (S. BasilioProtreptico del S. Battesimo, in «Le baptême d’après les Pères de l’Église», o. c. p. 95).
[51] «figlio della carne»: è la traduzione del greco: τέκνον σώματος. Si fa così risaltare meglio non tanto il dualismo antropologico tra anima e corpo, quanto, con più efficacia, il riferimento dell’espressione alla natura umana caduca, corrotta dal peccato rivoltasi contro Dio Creatore.
[52] L’ingresso nel Regno è bene espresso in un rito popolare che si svolge nelle chiese greche la notte tra Venerdì e Sabato Santo, durante l’Ufficiatura dell’Epitafios, icona della κένωσις redentrice del Verbo incarnato. «Tutta la massa dei fedeli – scrive il Ferrari – passa per tre volte sotto la tomba-trono che contiene l’icona della sepoltura del Signore, e così rientra in chiesa. Il significato è troppo chiaro, per avere bisogno di spiegazioni. Attraverso la morte del Signore si entra in cielo. È un rinnovo dei riti battesimali, con cerimonia indubbiamente espressiva. Il rientro in cielo: ecco ripreso il disegno di Dio, lo scopo, il fine ultimo per cui Dio ha creato l’uomo. Interrotto dal peccato, riprende il movimento circolare per cui tutto torna a Dio creatore» (G. FerrariIl battesimo, o. c. pag. 32).
Così tutta la creazione, ricapitolata in Cristo, viene nuovamente orientata al suo ultimo termine, il Padre, manifestandone tutto lo splendore, mediante un processo di glorificazione che già è in atto nell’umanità, per il mistero dell’Incarnazione, e in ogni creatura, per l’illuminazione battesimale. Così, l’opera di Dio, inauguratasi il primo giorno con la creazione della luce, si concluderà nel giorno della parusia nella glorificazione di tutto il creato. Alla luce primordiale risponderà la luce di cui splenderanno le creature nella gloria di Dio.
[53] A questo punto il Bessarione procede subito con le preghiere battesimali (f. 53V).
[54] I paramenti sacerdotali nel battesimo sono di colore bianco, perché – come scrive il Goar – «il bianco è simbolo di letizia, per la pecorella smarrita che viene ritrovata nel battesimo» (Goar,Rituale…, o. c. pag. 296). È noto altresì come nella cerimonia battesimale, oltre ai paramenti bianchi del sacerdote e alle vesti candide del battezzando, tutto è pieno di splendore: le lampade, i canti, i cori, le acclamazioni; non ci deve essere nulla che non sia luminoso, dall’altare fino al luogo della piscina battesimale, chiamato appunto φωτιστήριον. Nella Storia Ecclesiastica di Eusebio – riferisce il Musacchia – l’imperatore Costantino aveva fatto dono alla Chiesa di Gerusalemme di una veste tutta intessuta d’oro, da servire per la cerimonia del battesimo (G. MusacchiaLa Liturgia del Battesimo... o. e. pag. 78). Annota il Goar, e lo affermano altri liturgisti, che il sacerdote, oltre all’epitrachìlion e al felònion, indossa gli epimanìchia (GoarRituale…, o. c. pag. 287). Il de Meester, riferendosi all’Ευχολόγιον το μέγα, pag. 152, stampato dalla Poliglotta Vaticana nel 1873, osserva che «taluni a torto interpretano questa rubrica, nel senso che bisogna prendere tutti i paramenti sacerdotali, a cominciare dallo stichàrion. Se il sacerdote celebra la liturgia dopo il battesimo, può vestirsi completamente» (Pl. de MeesterStudi sui Sacramenti…, o. c. pag. 70, nota 3).
[55] L’uso dell’incenso anche qui assume il significato simbolico di mezzo di espiazione (G. MusacchiaLa Liturgia del Battesimo…, o. c. pag. 78).
[56] «Fa l’adorazione» sta a significare: si segna tre volte, accompagnando il gesto con profondo inchino.
[57] Questa formula, seguita dagli irinikà, si usa in genere, per la divina Liturgia o per una cerimonia solenne, legata alla celebrazione eucaristica. Il Bessarione la omette, perché inserisce il battesimo subito dopo l’isodos del Vespro (f. 53V).
[58] Con le invocazioni litaniche che seguono si domanda al Signore non solo la santificazione delle persone che partecipano al sacro rito, differenziandone naturalmente la richiesta secondo il ruolo che ciascuno è chiamato a svolgervi, ma anche degli oggetti e dei luoghi sacri in cui si svolge la cerimonia. Tutto, infatti, deve spiritualizzarsi, tutti devono essere fatti idonei della presenza mistica, ma nello stesso tempo vera e reale, delle Spirito Santo, a ricevere una trasformazione, una μεταβολή, in modo da essere resi atti alla funzione celeste, divina, cui ognuno partecipa. L’azione liturgica che si compie ora sulla terra, dove sono presenti ed attuali il momento e l’azione escatologica, è, infatti, un’azione celeste, dove tutto è eterno e non vi è successione di tempo. «Per l’Oriente, infatti, la liturgia non è solo una supplica, un atto di adorazione, ma è anche un’azione drammatica, in cui uomini di questa terra, rivestiti dal cielo di particolari poteri, sono dei veri attori e rappresentano personaggi e scene celesti anche future... È in questo senso che la spiritualità bizantina chiama liturgica o non liturgica una determinata funzione… Nelle azioni liturgiche, il Vescovo può rappresentare le due divine Persone, perché hanno la medesima natura e, per la stessa ragione, può rappresentare la Chiesa, terrena ed escatologica, a causa della théosis; ma sarebbe assurdo, nella concezione orientale, che un vescovo o un presbitero si vestisse e fungesse da diacono, perché sarebbe un degradare il divino» (G. FerrariIl Battesimo…, o. c. pag. 17-18).
Nei Codici vi sono delle varianti alla litania, rispetto allo svolgimento della cerimonia. In verità, l’akolouthìa battesimale si arricchisce di varianti soprattutto dopo il XV secolo. Queste varianti, però, così come quelle dei secoli precedenti, dovute al fatto che gli orientali, e soprattutto i greci, rifuggono da uno stretto giuridismo in materia liturgica, sono sempre rimaste entro i limiti di una tradizione costante, che non si è allontanata da una visione globale unitaria, né ha derogato da quello che è il filo conduttore di uno schema comune a tutte le Chiese bizantine sui riti battesimali, né, infine, ha mai creato differenze sostanziali a tale riguardo.
[59] Terminate con la precedente formula le suppliche comuni a tutte le irinikà della Grande Sinaptì, il diacono introduce le invocazioni che fanno da prologo alle specifiche preghiere per la santificazione delle acque battesimali.
[60] «La grazia della Redenzione». Grazia (χάρις) è la forza di Dio: «Voi riceverete potenza quando lo Spirito verrà su di voi» (At 1, 8). L’agente divino di questa potenza è «lo Spirito di grazia» (Ebr 10, 29). Ontologicamente, la grazia è così spiegata da Evdokimov: «L’enciclica dei Patriarchi distingue tra grazia preveniente, illuminativa, che si rivolge a ogni uomo, e la grazia santificante e giustificante: è quest’ultima che opera nei sacramenti e attua lo stato deificato» (P. EvdokimovL’Orthodoxie, o. c. pag. 267). Tutta la natura è divinizzata in potenza, cosicché la creazione dell’uomo ad immagine di Dio predestina e quindi predispone la natura umana alla comunione con Dio, la dischiude alla interiorità della grazia. Questa conformità è fondamentale perché essa mantiene intatta la libertà umana dell’opzione.
«La grazia viene postulata dalla libertà che vi trova il suo contenuto» (Evdokimovibidem). «Il peccato – scrive il Cabasilas – ha sconvolto l’ordine della natura stabilito da Dio. La restaurazione della natura si compie già con l’incarnazione… ma con questa non è ancora vinto il peccato in sé stesso, per il quale la volontà (γνώμη) si è allontanata da Dio: c’è infatti un duplice muro di separazione: quello della natura e quello della volontà. E quest’ultima non può essere liberata forzatamente dalla sua avversione a Dio, ma bisogna che accetti liberamente la salvezza offerta da Cristo, entrando in comunione con lui nell’amore» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 139, Nota 27). «È qui tutto il mistero dell’essere umano, della sua predestinazione celeste, liturgica, che non trova la sua verità e la sua pace che in Dio. L’appello non viene dallo esterno… ma dall’essere stesso dell’uomo (teandrico in funzione dell’immagine); esso si identifica con il suo desiderio più profondo e diviene libera appropriazione del suo destino iniziale e finale. È la grazia creativa: per i Padri della Chiesa l’uomo è creato con la grazia implicita nell’atto stesso della creazione. La natura pura, totalmente umana, non esiste; se fosse neutra non potrebbe che tendere all’autonomia demoniaca, ma le è dato di poter svuotarsi della sua natura deiforme; anche nel male l’uomo conserva la sua libertà, grazia pervertita eppure dono, capriccio di un dio del male; anche se l’uomo può pervertirsi divenendo scimmia demoniaca, questa non ha realtà che in riferimento all’immagine» (P. EvdokimovL’Orthodoxie, o. c. pag. 268). E conclude Evdokimov: «la grazia preveniente rende la natura sensibile ai “soffi dello Spirito” e “apre la mente” e salvaguarda interamente il libero arbitrio dell’opzione (At 16, 14); “se uno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò” (Ap 3, 20). Reso attento dallo Spirito, l’uomo può allora formulare il fiat decisivo per il suo destino» (Evdokimovibidem).
[61] Evocando gli avvenimenti del Giordano, il diacono raccoglie la voce della Chiesa per implorare che quella stessa virtù purificatrice della divina Trinità venga effusa anche ora su quelle acque battesimali per santificarle. E come allora le acque del Giordano permisero ad Israele di oltrepassare per entrare in possesso della terra promessa, così anche ora le acque santificate del battesimo possano donare alle anime il possesso del Regno dei cieli. È, l’identico leit-motiv dell’ufficiatura del Grande Aghiasmòs, che con impareggiabile lirismo, in una visione cosmica della salvezza, accosta i benefici goduti dall’umanità, per il battesimo di Cristo, agli ineffabili effetti che si ripetono sul battezzato per la potenza del Signore sulle acque: «…Oggi – recita la preghiera del Grande Aghiasmòs – il Signore si accosta al battesimo per sollevare in alto l’umanità… Oggi, Colui che non si è curvato s’inchina al proprio servo per liberarci dalla schiavitù. Oggi abbiamo acquistato il Regno dei cieli, e il Regno del Signore non avrà mai fine...» (Megas Aghiasmòs, traduzione ital. di Papàs Damiano Como, Palermo, 1957, pag. 22). Allora Gesù, battezzato nel Giordano, ricevette misteriosamente dal Padre la gloriosa testimonianza, oggi il battezzato esce dalla vasca del mistico Giordano come rivestito di luce folgorante, perché rinato ad una nuova vita, beata, divenuto membro reale del mistico Corpo di Cristo. E «come la cena prefigurò (προϋπέδειξε) l’Eucarestia – così afferma il Palamàs – il battesimo di Giovanni prefigurò il battesimo istituito da Cristo» (G. PalamasHomilia LX, 3 Oikonomos, 249). Spiega S. Basilio: «il battesimo di Giovanni era solo introduttorio (εισαγωγικόν), poiché consisteva nell’eliminazione del peccato e nella penitenza; quello di Cristo, invece, è percettivo (τελειωτικόν) poiché ci dona l’unione con Dio e l’adozione di figli» (Baptisma, 425a). «Tra il battesimo del Precursore e quelli dell’Antico Testamento è ancora possibile un confronto, ma il battesimo di Gesù è superiore in modo incomparabile» (Cirillo di Gerus., Catechesis mystagogica, III; PG 33, 346a). Infatti, afferma Origene (Fragm. 84 in Lucam) «mentre il battesimo di Giovanni, benché più perfetto dei precedenti, dipende ancora tutto dalla disposizione del soggetto e dà la remissione dei peccati in virtù della penitenza, solo quello di Gesù è efficace di per se stesso». Ecco perché l’acqua battesimale, veicolo dello Spirito Santo per la rigenerazione dell’anima, non può essere adibita ad altri usi: questa è anche la motivazione che da il de Meester, il quale, a conferma, cita Giacomo di Edessa (†708), fattosi eco autorevole di questa tradizione (Pl. de MeesterRituale benedizionale bizantino, Roma, 1930, pag. 417).
[62] Con le due precedenti invocazioni si domandava la santificazione delle acque ad opera dello Spirito Santo. Qui s’invoca la «supersustanziale Trinità»: infatti, «lo Spirito – afferma S. Basilio – è inseparabilmente unito al Padre e al Figlio in ogni azione» (PG 36, 437). Scrive Evdokimov: «S. Ireneo considera l’economia della salvezza come procedendo dal Padre per il Figlio, verso lo Spirito Santo; dalla creazione attraverso l’incarnazione tutto è volto verso la Pentecoste; e in questo primo mattino della Chiesa il movimento viene invertito: nel tempo della Chiesa lo Spirito conduce ed incorpora tutti i fedeli al corpo di Cristo che il Figlio deporrà alla fine nelle mani del Padre. Il mistero della Chiesa è cristologico, ma non pancristico; l’«epiclesi» rimane l’operazione preliminare necessaria alla cristificazione» (P. EvdokimovL’Orthodoxie, o. c. pag. 266-267).
[63] Ora il diacono passa in rassegna varie petizioni per ottenere dal Signore che il battezzando sia reso degno di ricevere vari doni, a cominciare dalla grazia «di essere illuminato dalla luce della conoscenza e della pietà», cioè dalla luce della fede, la quale ci dà il dono della conoscenza di Dio, cui è ordinata l’economia salvifica e da cui scaturisce l’amore e la gioia di possedere Dio in noi stessi. A proposito della conoscenza di Dio (Θεογνωσία), S. Basilio scrive: «la nostra mente, illuminata dallo Spirito, guarda il Figlio e vede in lui il Padre» (Epistola 226; PG 32, 849a). Per cui, secondo la dottrina tradizionale dei Padri, a partire da S. Ireneo, «il battesimo ci accorda la grazia della rigenerazione in Dio Padre mediante il Figlio nello Spirito Santo: perché coloro che portano lo Spirito di Dio, sono condotti al Verbo, cioè al Figlio, e il Figlio li presenta al Padre» (S. IreneoDemonstratio praedicationis apostolicae, VII, 41). Tuttavia la conoscenza che l’uomo può avere di Dio non dipende dal modo concettuale, ma si offre come evidenza. Essa, però, non è mai costrittiva ma presuppone e postula una certa cooperazione della recettività in modo da permetterne l’intelligenza carismatica e la comunicazione col divino: «riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di lui» (2Cor 3, 18). «La manifestazione divina, assolutamente gratuita, può andare tuttavia incontro ad un rifiuto – afferma Evdokimov – ma la priorità va sempre all’amore preveniente di Dio: “È il Signore che si è inchinato verso la terra e ha ritrovato la sua immagine” (N. Cabasilas)» (P. EvdokimovL’Orthodoxie, o. c. pag. 274).
[64] L’acqua battesimale diviene acqua viva (ύδωρ ζών), per le energie che le conferisce lo Spirito Santo nella sua parusia sacramentale; essa è così veicolo di grazia, acqua rigeneratrice, μήτρα ύδατος, come la chiama Clemente Alessandrino (Stromata, IV, 25; PG 8, 1369). La solenne epiclesi-invocazione che il celebrante rivolge al Signore perché faccia scendere il suo Santo Spirito a santificare le acque, e l’infusione dell’olio nel fonte battesimale consacrano la materia del sacrificio, l’acqua battesimale. In questo modo lo Spirito si unisce all’acqua e, santificandola, esercita in essa l’azione di purificarla da ogni influenza maligna, manifestandola repulsiva – come recita la preghiera del diacono – ad ogni insidia dei nemici visibili ed invisibili.
[65] Tutte le domande che, per bocca del diacono, la Chiesa rivolge al Signore per il battezzando si inquadrano nel disegno di operare la restaurazione (επανόρθωσις) dell’ordine della natura, sconvolto dal peccato. Ma, per risalire la china, l’uomo – come vedremo subito dopo – ha bisogno di morire e risuscitare con Cristo. E questa operazione è possibile attraverso il battesimo: «battezzati, noi siamo illuminati; illuminati, siamo adottati come figli; adottati come figli, siamo fatti perfetti; divenuti perfetti, riceviamo l’immortalità» (Clemente Al., Il Pedagogo, cap. I, 26, 1-2. in Ediz. Utet, a cura di M. G. Bianco, Torino, 1971, pag. 218). Così ai neofiti il Crisostomo potrà dire: «vi presenterete al Re, che vi accoglierà con premura, vi rivestirà dell’abito regale, e vi concederà tutti i doni che vorrete» (Giov. Crisostomo2a Catechesi battesimale, in «L’Iniziazione cristiana» a cura di A. Hamman, Marietti, 1982, pag. 80).
[66] «Santa Illuminazione», cfr. nota 47.
[67] «Figlio della luce ed erede dei beni…»: quindi, non più schiavo di Satana, principe delle tenebre, ma «uscendo dalla vasca, l’uomo acquista subito un colore splendido e la luce del suo spirito è più radiosa di quella del sole» (NarsaiI misteri della Chiesa e il battesimo in «L’Iniziazione cristiana», o. c. pag. 174).
[68] Infatti, dice S. Basilio: «Colui che è stato battezzato in Cristo, è stato battezzato nella morte; e non solo è con-sepolto (συνθάπτεται) col Cristo, ed è con-piantato con lui (συμφυτεύεται), ma prima è con-croci-fisso (συνσταυρούται). E come colui che è stato crocifisso, avendo subito la condanna di morte, si è separato da coloro che un tempo vivevano con lui, essendo divenuto più alto di ciò che striscia sulla terra, così colui che è stato crocifisso col Cristo mediante il battesimo si è totalmente separato da tutti coloro che vivono secondo questo secolo, avendo innalzato il proprio sentire alla cittadinanza celeste, così da poter dire con verità e franchezza: «la nostra cittadinanza è nei cieli» (S. Basilio, PG 31, 1459cd. in «Basilio di Cesarea, Il Battesimo» a cura di U. Neri, Paideia, Brescia, 1976, pag. 225).
Questa immersione-sepoltura con Cristo, di cui parla S. Basilio, rifacendosi a S. Paolo (Rm 6, 4-8; Col 2,12), è seguita da una emersione-resurrezione, per cui si stabilisce una solidarietà piena con Cristo. Così l’antico Adamo, che ogni uomo porta con sé, perisce sepolto nelle acque del battesimo; il nuovo Adamo, invece, quale è diventato il battezzato, per la sua incorporazione a Cristo, emerge da quelle acque e si riveste di Cristo (Gal 3, 17) e vive della sua stessa vita. Risulta chiaro perciò che il battesimo ha la sua efficacia di purificazione non tanto per volontà dell’uomo (Tt 3, 5) ma dal Cristo morto e risorto, per cui la vittoria di Cristo sul peccato del mondo e dei singoli è completa, perché in essa si inserisce il germe della vittoria escatologica (1Cor 6, 11; Ef 5, 26). Infatti tutto questo avviene «non in virtù di opere di giustizia da noi compiute» (Tt 3, 5), ma unicamente in virtù dello spirito di Dio, e dunque in maniera straordinaria, come è detto chiaramente in Ef 2, 8-9: «Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene». In questo modo il cristiano nel battesimo entra in comunione pneumatico-reale con Cristo e ne condivide il destino con tutti gli effetti e le conseguenze che esso comporta. Quindi col battesimo, che è morte e distruzione totale del peccato ed anche resurrezione, cioè inizio di una vita di incomparabile novità, noi partecipiamo alla morte e alla resurrezione di Cristo, in quanto siamo liberati e purificati da ogni peccato e veniamo iniziati ad una vita trasfigurata dalla grazia e dalle energie dello Spirito, vita che sarà resurrezione totale e definitiva solo alla fine dei tempi (1Cor 15, 12-13), anche se inizia a realizzarsi fin da ora: «(Dio), da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo; per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche resuscitati, e ci ha fatti sedere nei cieli, in Gesù Cristo» (Ef 2, 5-6).
[69] Il diacono, portavoce della santa Chiesa di Dio, continua a rivolgere al Signore istanze per il battezzando. Anticipando preghiere e riti che il sacerdote, sempre a nome della comunità ecclesiale, farà suoi subito dopo, chiede quegli effluvi di grazie che facciano rinascere a nuova vita e trasformino l’uomo in tempio e tabernacolo della divina gloria, così da far cantare al Damasceno: «Monade di triplice Luce divina sovrana, disperdi tutta la tenebra dei miei peccati e passioni con la partecipazione dolcissima ai tuoi raggi luminosi e fammi tempio e tabernacolo della tua inaccessibile gloria» (Mesoniktikon dell’Ufficiatura bizantina, Tono II, Ode II). Ed è proprio per quest’uomo, trasformato a nuova vita, puro ed immacolato nella veste battesimale, chiamata nella successiva invocazione, «veste d’incorruttibilità», e nella caparra dello Spirito, che s’invoca il Signore perché lo faccia pervenire così fino al giorno tremendo del giudizio, perché possa godere dell’ineffabile gloria divina.
[70] Il battesimo è anche lavacro: «infatti ci dona la possibilità di un puro commercio con la luce, distruggendo ogni macchia che, come un muro di separazione, tiene lontano il raggio divino dalle anime nostre… il dono, l’illuminazione e il lavacro portano allo stesso effetto della creazione e della nascita e, come tutti i nomi del battesimo, esprimono una realtà unica: il lavacro battesimale è nascita e principio in noi della vita in Cristo» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 116-117). Anche S. Paolo chiama il battesimo «lavacro di rigenerazione» (Tt 3, 5), però il concetto di fondo resta sempre lo «immergersi» o addirittura il «sommergersi», il «seppellirsi» nell’acqua. È questo «seppellimento» – vale la pena ricordare – che diventa «lavacro» e non viceversa. In parole povere: si fa il bagno battesimale non per lavarsi ma per morire e seppellirsi in Cristo, per poi risorgere con lui. «In aquam descendunt mortui et ascendunt vivi» (Pastore di Erma (a. 140-145) Sim. 9, 16; 17, 4). E il Crisostomo: «mentre immergiamo la testa sottacqua, come in un sepolcro, è l’uomo vecchio che viene seppellito: infatti, il sommerso è totalmente occultato; ma poi esce e sorge l’uomo nuovo» (Homil. 24 in Jo 3). E tutta la patristica parla costantemente di κατάδυσις = immersione e di ανάδυσις = emersione; discesa agli inferi per risalire. Del resto, anche etimologicamente [nota di T.C.: il Como di seguito non riporta un significato etimologico, bensì simbolicoβάπτισμα significa proprio questo: «precipitare, morire. αποπίπτω (precipito), donde πεπτωκότες = caduti in guerra, precipitati nella mischia». Perciò la vasca battesimale è un campo di battaglia per un tremendo combattimento spirituale: duello a morte, per la vita!
[71] Canta Isaia: «esulti la mia anima nel Signore, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza e mi ha avvolto con il manto della giustizia» (Is 61, 10). In effetti, qui non si tratta di un rivestimento esterno, quanto della natura stessa del nostro essere: la creatura già nata e plasmata, che aveva perso la forma primitiva, ora torna ad essa con una seconda nascita. Risalendo dalle acque battesimali, portiamo nelle nostre anime e in tutte le nostre membra il Cristo, cosicché potremmo dire che tutto il nostro essere è stato cristificato: la carne, infatti, non meno dello spirito, viene rivestita di Cristo. È questo il senso della frase di S. Paolo: «deposto l’uomo vecchio e svestita la tunica della malizia, abbiamo rivestito l’incorruttibilità di Cristo» (1Cor 15, 53; 2Cor 5, 17).
[72] Questa preghiera – annota il Goar (Rituale…, o. c. pag. 296) – viene recitata dal sacerdote segretamente e senza la parte finale ad alta voce, non solo perché tale è l’usanza liturgica greca, ma anche perché qui si tratta quasi di una confessione che il sacerdote, con cuore contrito e timore di Dio, fa al cospetto del Signore: «... tu che conosci tutto di me... passa sopra alle mie colpe... fa che io non ritorni umiliato e pieno di vergogna, ma inviami forza dall’alto...».
[73] Manca nel Bessarione (f. 54r) e manca anche in altri eucologi. In effetti non c’è motivo che la preghiera venga preceduta da του Κυρίου δεηθώμεν, visto che si recita segretamente, durante la litania diaconale.
[74] Nel Bessarione manca «tuoi» (f. 54V).
[75] Con questa solenne invocazione innica ha inizio la epiclesi che il sacerdote rivolge a Dio perché nell’azione liturgica che si sta compiendo la presenza dello Spirito Santo e l’infusione dell’olio (cfr. nota 64) santifichino la materia del sacrificio, l’acqua battesimale. «Non è il sacerdote individuo – scrive il Ferrari – ma il Cristo totale, cioè la Chiesa, Cristo-capo e le sue membra, che rivolgono a Dio Padre la supplica, l’invocazione, perciò essa è sempre esaudita. E il celebrante, pronunziando le parole, soffia sull’acqua non solo a significare l’azione di Dio Padre, ma anche perché lo Spirito Santo, procedente dal Padre, è per Iddio Figlio comunicato alla creatura, nel caso nostro alla κολυμβήθρα, la vasca battesimale, e all’acqua. E per la presenza dello Spirito Santificatore, la vasca in questo momento si trasforma in μήτρα ύδατος, alvo materno d’acqua, alvo della Chiesa Vergine-madre. L’acqua materiale subisce anch’essa gli effetti della Redenzione... e dalla presenza dello Spirito viene trasformata in ύδωρ ζών, acqua viva… Per creare l’uomo nuovo, il nuovo Adamo, lo Spirito aleggia sull’acqua e questa è resa feconda e colui che da essa nasce, nasce verginalmente dall’acqua e dallo Spirito. Per la potenza, l’energia, l’infusione dello stesso principio di santificazione, l’acqua diventa (dice la Liturgia) acqua di riposo, acqua di redenzione, acqua di santificazione, purificazione delle impurità della carne e dello spirito… Nella tradizione orientale l’acqua, come pure tutto il mondo materiale, riceve la sua santificazione il giorno dell’Epifania. S. Cirillo di Gerusalemme dice nella terza catechesi che «l’inizio dell’universo è l’acqua e l’inizio dell’Evangelo è il Giordano» (G. FerrariIl Battesimo…, o. c. pag. 18-19).
Il Bessarione non fa cenno della triplice ripetizione della invocazione iniziale (f. 55r).
[76] I quattro elementi cui si accenna sono: acqua, aria, terra e fuoco. Sull’origine di questi elementi o sostanze ritenute semplici, sulla loro evoluzione semantica, sulla loro comparizione nella letteratura cristiana, e più ancora sul significato che assumono nel Nuovo Testamento, rimandiamo al dotto articolo di G. Delling in Grande Lessico del N. Testamento, o. c., vol. XII, col. 1226-1274, alla voceστοιχείον). Aggiungiamo soltanto: in sede di numerologia patristica il 4 è considerato cifra di perfezione cosmica, perché rappresenta l’unità giunta alla sua completezza generativa, in quanto col 4, l’unità può partorire tutti i numeri possibili ed immaginabili (1 + 2 + 3 + 4 = 10). La sua immagine moderna è la rotella telefonica.
[77] Qui echeggia l’espressione che ricorre nella liturgia: πάντα πληρών ο απερίγραπτος, che il genio universale di Dante tradurrebbe: «non circoscritto e tutto circoscrive» (Par. 14, 30).
[78] La parola «loro» manca in Bessarione (f. 55V).
[79] Il Bessarione dice «santo» (f. 55V).
[80] Annota il Goar (Rituale…, o. c. pag. 296): «queste parole indicano che questa è la consacrazione delle acque lustrali... Ogni qualvolta i Greci amministrano il battesimo, rinnovano l’acqua». «Essa, dopo il battesimo, è versata in «loco sub altari excavato» (GoarRituale…, o. c. 296). Cfr. anche nota 61.
Quest’ultima invocazione, secondo la tradizione dell’Eparchia bizantina di Sicilia, così come avviene in occasione del «Grande Aghiasmòs» dell’Epifania, è declamata solennemente dal celebrante, il quale, alle parole «sii presente anche ora per l’infusione del tuo Santo Spirito», soffia ogni qualvolta sull’acqua a forma di croce e, quindi, alle parole «e santifica quest’acqua», benedice l’acqua, sfiorandola con la destra, sempre a forma di croce. Il soffio divino, infatti, è infusione di spirito, come nel testo del Genesi, in cui Dio da all’uomo, corpo-materia, la parte spirituale. Così qui, e in tutti i sacramenti, il soffio di Dio mediante il celebrante infonde lo Spirito santificatore, fonte di ogni santificazione, in modo che materia e Spirito possano operare il Mistero. Notiamo che nel Bessarione non c’è l’annotazione della triplice benedizione (f. 56r).
[81] Fino a questo punto, l’orazione è identica a quella che si recita nella solenne cerimonia della benedizione delle acque per l’Epifania (Ο Μέγας Αγιασμός). Essa viene attribuita da alcuni a S. Sofronio, Patriarca di Gerusalemme (634-638). Tuttavia «un codice del XII sec., proveniente dal monastero di S. Salvatore di Messina (l’Euchologio Bodleianus Auct. E. 5. 13) – riferisce il de Meester – designa S. Basilio il Grande quale compilatore dell’Akolouthia dell’Aghiasmòs. Incontriamo anche il nome di S. Sofronio, Patriarca di Gerusalemme, ma d’ordinario è l’orazione «Grande sei, o Signore…», o il suo prologo, che nei codici viene attribuita a qualche santo» (Pl. de MeesterRituale benedizionale bizantino, Roma, 1930, pag. 426). A questa notizia del de Meester aggiungiamo quella che ci proviene da Evang. Theodorou: «Nel prologo dell’Eucologio armeno viene riferita la tradizione secondo cui l’akolouthìa della Grande Benedizione delle acque fu compilata da S. Basilio, di ritorno da Gerusalemme» (E. Theodorou in Enciclopedia religiosa ed etica (in greco), Atene, 1962, vol. I, col. 226). Ancora, aggiunge il Theodorou che in un codice armeno del X secolo, l’akolouthìa è preceduta da un’annotazione: «la preghiera della santificazione delle acque è attribuita a S. Basilio, Arciv. di Cesarea di Cappadocia» (E. TheodorouIbidem). Infine, a conferma di questa tesi, si potrebbe aggiungere che nella solenne Benedizione delle acque c’è uno stile e un’esposizione teologica facilmente riscontrabile nell’anafora della Liturgia basiliana del Grande Cappadoce, per cui non è difficile affermare che almeno alcune preghiere di essa sono da attribuirsi a S. Basilio.
[82] La parola «veneranda» non c’è nel Bessarione (f. 56r).
[83] «Non senza motivo – annota il Goar – tutti i manoscritti mettono in risalto la signazione a forma di croce compiuta con la mano dal sacerdote per tre volte nell’acqua: la prima, in superficie; poi, immergendo la mano più in basso; e la terza volta, ancora più profondamente. In questo modo, gli spiriti impuri colà annidati, ovunque si trovano, vengono scacciati, e l’acqua è resa pura dall’arma invincibile della croce» (GoarRituale…, o. c., pag. 296). Notiamo che nel Bessarione non c’è l’annotazione della triplice invocazione (f. 56r).
[84] Nel composito umano, vi è la parte spirituale (ψυχή = anima) e la parte corporea (σάρξ – σώμα = carne – corpo). L’anima ha varie facoltà, di cui il νούς è la facoltà più spirituale, la più vicina a Dio, mentre il λογισμός (ragione) tende verso il multiplo, il basso, il mondo creato. Dio, nel composito umano, ha posto un ordine, con il νούς al vertice, ordine sconvolto dal peccato originale, quando soprattutto il νούς è rimasto ferito e piagato. E così quello che doveva essere il nocchiere dell’essere umano, molte volte viene travolto dalle facoltà inferiori, che l’antropologia biblica localizza nel fegato (memoria), nel cuore (volontà), nei reni (fantasia). Col battesimo si guariscono le piaghe, ma le conseguenze continuano a rimanere fino alla morte. Solo che l’uomo col battesimo non è più solo, ma viene sempre condotto ed aiutato dalla grazia.
[85] È qui ricapitolata la teologia patristica battesimale, declamata dal diacono, già all’inizio della cerimonia nelle preghiere litaniche. Essa attribuisce all’acqua santificata l’efficacia della santificazione, della redenzione, della purificazione del corpo e dello spirito... Ci sembra tuttavia utile riportare a questo punto qualche pensiero del grande Padre cappadoce, S. Basilio, ricavato dalla sua mirabile opera «Il Battesimo». In questo suo trattato, scrive tra l’altro: «Il battesimo è resurrezione, cioè inizio di una vita di incomparabile novità, così trasfigurata dalla grazia e dalle energie dello Spirito, che in essa risplendono le opere di Giustizia in Cristo più che qualunque pietra molto preziosa» (PG 31, 1544a, in «Basilio di CesareaIl Battesimo». Testo e traduz. a cura di U. Neri, o. e. pag. 209). «Il battesimo è rinascita, cioè autentica generazione dallo Spirito, per la quale diventiamo spirito e siamo trasferiti in un mondo spirituale: prima di tutto cambiando di luogo e trasformandoci nel modo di vivere, con l’essere rafforzati nell’uomo interiore mediante lo Spirito; così da poter dire “ma la nostra cittadinanza è nei cieli” trascinando il corpo come un’ombra sulla terra, e custodendo l’anima concittadina dei celesti» (PG 31, 1561c in «Basilio di CesareaIl Battesimo», o. c., pag. 258). Questa stessa dottrina sul battesimo, S. Basilio l’ha espressa in vari luoghi del trattato sullo “Spirito Santo”: «Il battesimo deve considerarsi vero inizio della vita (PG 32, 113b); per mezzo del battesimo, infatti, lo Spirito che ne vivifica l’acqua, ci rigenera a quella vita di cui Dio fece dono al primo uomo (PG 32, 120d); fin da ora siamo preparati alla risurrezione finale, con la radicale trasformazione del nostro essere di peccatori (PG 32, 157b); questo rinnovamento fa di noi, già da ora, degli abitatori del cielo» (PG 32,157c).
[86] Citazione letterale dal 1° oracolo del profeta Isaia: 1, 16 (cfr 1, 10-20). «Prendete dunque l’acqua razionale, lavatevi voi che siete insozzati, purificatevi dalla consuetudine dei padri con le gocce della verità. Puri bisogna ascendere in cielo: sei uomo – la realtà più comune – cerca Colui che ti ha creato; sei figlio – la realtà che ti è propria – riconosci il Padre» (Clemente Ales., Il Protrettico, cap. 10, 99 in Ediz. Utet, a cura di M. Grazia Bianco, Torino, 1971, pag. 168). Alcuni codici dicono «nostre anime»: il Bessarione (f. 56V); Porfido (f. 84V); il Barberini 336, invece, dice «vostre anime» (f. 205). I testi stampati, in genere, dicono: «nostre anime»: Goar pag. 289, l’Euchologio di Roma del 1873, quello di Atene del 1927.
[87] Scrive il Ferrari: «È il Signore stesso che ha posto questa nuova nascita dall’acqua e dallo Spirito, come condizione essenziale per entrare nel Regno di Dio. Chi nasce dalla carne è carne, perciò mortale; solo chi nasce dallo Spirito ha il dono dell’immortalità. È quindi necessaria una nuova nascita, diversa dalla nascita animale. Nicodemo, infatti, ben disposto a credere a quanto sentiva dalla bocca del Signore, credette ad una nuova nascita animale, e non riusciva a capire come potesse diversamente avvenire, se non rientrando nuovamente nel seno della propria madre, cosa che gli sembrava alquanto difficile. Ma il Signore, vista la buona fede del suo interlocutore, lo corresse, riaffermando il proprio pensiero: «Bisogna che siate di nuovo generati»: si tratta di una generazione verginale, conforme al primitivo disegno di Dio. La Liturgia e la tradizione patristica non fanno che interpretare il pensiero del Signore e dell’apostolo» (G. FerrariIl Battesimo… o. c., pag. 19).
[88] Il Bessarione precisa: «in questa acqua» (f. 56V).
[89] Il Bessarione dice: «immagine tua» (f. 56V).
[90] Il Bessarione scrive non «tua morte», ma «stessa morte» (f. 56V).
[91] Il Bessarione omette la parola «tua» (f. 56V).
[92] «Col progredire dell’umana natura – scrive il Cabasilas – e col propagarsi del genere umano… anche l’anima di ogni uomo eredita la malignità del primo Adamo… È questo l’uomo vecchio: questa semenza cattiva che abbiamo ricevuto dai progenitori assieme alla vita, per cui non abbiamo conosciuto nemmeno un giorno puro da peccato, nemmeno abbiamo cominciato a respirare liberi dal male… non solo… ma abbiamo aggiunto male a male… Da tutti questi mali ci libera il battesimo. Il Signore, però, con la sua morte ci ha dato il potere di uccidere il peccato, e con la sua resurrezione ci ha fatto eredi della nuova vita. La sua morte, in quanto morte, uccide la vita cattiva, e in quanto castigo, paga quella pena dei peccati, di cui ciascuno di noi era debitore per le proprie opere malvagie. Così il battesimo ci purifica da ogni abito e da ogni atto peccaminoso (N.d.R.: abito = peccato ereditato; atto peccaminoso = male da noi aggiunto), in quanto ci rende partecipi della morte vivificante di Cristo. Ma poiché per mezzo del lavacro battesimale partecipiamo anche alla sua risurrezione, il Cristo ci da un’altra vita... così io subito sono assolto dai peccati e immediatamente recupero la salute, proprio perché si tratta di pura opera di Dio, che non può essere soggetta al tempo» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 129-131). E concludiamo con S. Cirillo Al.: «…tutti, infatti, risorgeranno ad immagine di colui che è risorto per noi e che, essendo uomo, tutti contiene in sé; e come nel primo uomo siamo stati inclusi nella morte, così in colui che per noi è il Primogenito, tutti rivivranno dai morti» (S. Cirillo Al., In Ioannem, 4; PG 73, 568b).
Nel Bessarione (f. 57r) questa parte conclusiva è così formulata: «…in te Cristo Gesù Signore nostro, al quale sia gloria e potenza assieme al Padre…».
[93] Si tratta di olio d’ulivo semplice, senza miscuglio di sostanze odorifere, che viene consacrato dal sacerdote per funzione dei catecumeni, differente quindi dall’olio misto a svariati ingredienti profumati (cfr. Ferrari in «Oriente Cristiano» Anno V (1965) I, pag. 29-30), che i greci chiamano Santo Myron (το Άγιον Μύρον) e serve per l’amministrazione della cresima. «L’olio delle unzioni – riferisce il Mulacchia – viene consacrato dai sacerdoti per antica tradizione della Chiesa orientale. Così Arcudio, Libro V, cap. 2, lasciata in uso anche da Clemente VIII nella sua Istruzione per gli Italogreci» (G. MusacchiaLa Liturgia del Battesimo…, o. c., pag. 73). A proposito della consacrazione dell’olio delle unzioni, «i più antichi documenti – scrive il de Meester – riferiscono tutti la triplice insufflazione dell’olio, nonché l’unione dell’olio con l’acqua battesimale per mezzo di una triplice infusione in forma di croce, al canto dell’Alliluia» (Plac. de MeesterStudi sui Sacramenti…, o. c., pag. 20).
[94] Manca nel Bessarione, dove si legge solo: «soffia 3 volte, lo segna 3 volte e dice: “Sovrano, Signore…”» (f. 57r).
[95] Riferendosi alla Genesi (28, 18), così il Cabasilas spiega l’unzione con l’olio: «pensiamo alla stele che Giacobbe dedicò a Dio, ed ai re e sacerdoti consacrati a Dio e alla comunità con questo stesso rito. Essi non vivono più per sé stessi, ma per Dio e per il popolo per il quale sono stati costituiti; anche noi usciamo dalla nostra vita e da noi stessi per Dio… ecco perché l’unzione è un simbolo proprio e perfettamente conveniente al nome di cristiano. Infatti siamo unti, e colui cui cerchiamo di somigliare è appunto il Cristo, che ha unto la natura umana con la divina: anche noi così partecipiamo con lui del suo crisma» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 122). Il greco rende meglio e ancora più chiaramente il concetto del Cabasilas, per il fatto che le parole greche Χριστός = l’Unto per eccellenza, χρίσμα = unzione, χριστιανοί = cristiani, conservano in tutto il discorso la medesima radice.
Scrive S. Cirillo di Gerusalemme che, per la crismazione, «divenuti partecipi del Cristo, giustamente siete chiamati cristi» (Cirillo di Gerus., Catechesis mystagogica III, 1; PG 33, 1088a). E nella 2a Catechesi spiega: si unge tutto il corpo per avere la forza degli atleti e lottare contro i nemici di Cristo ed essere sempre forti nel confessare l’ortodossia. E Origene, spiegando il detto del Salmista «È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste» (Salmo 132, 2), asserisce: «coloro che partecipano del Cristo... partecipano anche della sua unzione; perciò, essendo il Cristo capo della Chiesa, l’unguento del Capo è sceso sulla barba» (OrigeneIn Canticum II; PG 13, 141c). Lo stesso significato ha avuto l’unzione nell’A. e nel N. Testamento, sia anche nella Liturgia. «Lo Spirito del Signore sta su di me, per mezzo di lui mi ha unto» (Is 61, 1); «Per questo ti ha unto il Dio, il Dio tuo, con olio d’esultanza» (Sal 44, 8); «Poi prenderai l’olio dell’unzione e lo verserai sulla tua testa e la ungerai» (Es 29, 7); «È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione (2Cor 1, 21); «L’Unzione (= lo Spirito) che avete ricevuto da lui resta in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri, ma con la sua Unzione vi insegna tutto, è veritiera e non mentisce, così siate saldi in lui…» (Gv 2, 27); «Ungerai per renderla perfetta l’essenza dei mortali, o Re senza principio, con la comunione dello Spirito» (S. Giov. DamascenoInno giambico del Mattutino dell’Epifania, Ode 9).
[96] Manca nel Bessarione la parola «tuo» (f. 57V).
[97] L’acqua della kolymvithra è tenuta a temperatura piuttosto calda, specie quando si tratta di un bambino. L’acqua calda, infatti, secondo un significato mistico attribuito a Germano di Amatunte, riportato da Goar (o. c. pag. 297) manifesta il fervore della grazia del battesimo. Anche la commistione dell’olio con l’acqua ne assume un altro: secondo Simeone di Tessalonica, citato da Goar (o. c. pag. 297) l’acqua sta a significare l’abluzione, la purificazione; l’olio, invece, la divina misericordia.
[98] Il Bessarione dice: «col dito» (f. 57V).
[99] La formula dell’unzione, così come le prime tre parti da ungere, specificate nella rubrica precedente, si trovano – asserisce il de Meester – nei più antichi documenti. Anticamente le altre parti del corpo venivano unte dal diacono o dalle diaconesse, se si trattava di donne. Solo più tardi s’introdusse l’uso di farle ungere dai padrini; e nel XVII secolo vennero introdotte le parole che accompagnano l’unzione a forma di croce delle singole parti del corpo (Plac. de Meester, I Sacramenti…, o. c. pag. 21).
[100] Nel Bessarione mancano le preghiere per le varie unzioni.
[101] Si tratta di una seconda creazione, migliore della prima; «l’immagine – dice il Cabasilas – è dipinta più esattamente di prima, la statua è plasmata più chiaramente sul modello divino; perciò anche l’archetipo deve essere proposto ora in modo più puro. Ecco perché i ministri del battesimo, invocando Iddio al fonte battesimale, non proclamano il nome Dio, che è comune alla Triade… ma con più grande esattezza e perfezione celebrano le proprietà di ciascuna Ipostasi... Il Padre ci ha plasmati, per mezzo del Figlio siamo stati riplasmati, e lo Spirito è vivificante. Anche nella prima creazione la Triade era come adombrata in figure: il Padre plasmava, il Figlio era la mano del Plasmatore, il Paraclito il soffio di chi inspirava la vita… Ecco perché nell’atto di ricevere il divino lavacro, quella santa creazione... bisogna distinguere le Ipostasi e invocare Dio nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 125-126). Circa la trina immersione, il Cabasilas così spiega il significato mistico di questo rito: «esso raffigura la morte di tre giorni e la resurrezione del Salvatore, che sono il compimento di tutta l’economia divina» (N. Cabasilasibidem).
Circa la formula del battesimo, il de Meester, appellandosi all’autorità di Simeone di Tessalonica, scrive: «Sino al XV secolo, non si aggiungeva Amìn alle invocazioni della SS. Trinità. Questa consuetudine comincia a farsi strada nel secolo XVI e fu introdotta non solo per la formula del battesimo ma in altre formule analoghe. La ritroviamo anche nel rito siro-antiocheno» (Plac. de Meester,Studi sui Sacramenti…, o. c. pag. 21). Anche nel Bessarione manca Amìn (f. 58r). Nella tradizione siculo-albanese sembra che l’Amìn sia stato in uso da antica data, forse proferito solennemente dai fedeli assistenti al battesimo più che dal sacerdote celebrante. Il Musacchia si scaglia contro questa usanza. Significativa l’argomentazione che adduce. Egli, preoccupato soprattutto di dimostrare al mondo latino circostante che nella formula battesimale dei greci non si ravvisano affatto eresie, difende la formula battesimale senza l’Amìn, «la quale invocazione se si vede aggiunta in alcuni rituali – asserisce il Musacrhia – è un errore degli impressori» (G. MusacchiaLa Liturgia del Battesimo… o. c. pag. 80). A sostegno di questa sua tesi, riferisce ancora che «Simeone di Tessalonica nel libro de Sacr. non parla di quella novità, ma dice così: il servo di Dio… viene battezzato nel nome del Padre, e s’immerge nell’acqua, del Figlio, e s’immerge, e dello Spirito Santo, e s’immerge, con dirsi infine senza dividere la S. Triade, Così sia» (G. Musacchiaibidem). Oggi i testi liturgici della Chiesa di Grecia riportano tutti Amìn, dopo l’invocazione di ciascuna beata Ipostasi della divina Trinità. In questo modo vengono ben sottolineate le distintive operazioni del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo. Infatti, nel battesimo, a compiere questa seconda azione di rigenerazione, migliore della prima, cioè della creazione, sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, cioè le tre Ipostasi (Υποστάσεις) della divina Trinità, le quali, pur avendo in comune la natura (ουσία), operano in maniera distinta (διακεκριμένως), caratterizzando ognuna le proprietà (ιδιώματα) rispettive della «paternità», della «filiazione», e della «virtù santificante»: ecco perché in questa operazione di infinito amore della divina Trinità, con cui ineffabilmente vengono rigenerati gli uomini, non viene nominata genericamente la divina Trinità, ma ciascuna delle sue tre beate Ipostasi: Padre, Figlio, Spirito Santo. E S. Basilio, analizzando questo aspetto, attraverso un cammino a ritroso, ne riassume così il contenuto: «battezzati nel nome dello Spirito Santo, siamo stati generati di nuovo; generati, poi e battezzati nel nome del Figlio, abbiamo rivestito il Cristo; e, rivestiti dell’uomo nuovo creato secondo Dio, siamo stati battezzati nel nome del Padre e proclamati figli di Dio» (S. BasilioIl Battesimo. PG 31, 1572ab). Così la vita, che discende dal Padre e che noi riceviamo mediante il Figlio nello Spirito Santo, risale dallo Spirito, mediante il Figlio, al Padre. E a giustificazione di questo ordine, lo stesso grande Cappadoce scrive: «ricevendo dei doni, prima incontriamo colui che li dona (= lo Spirito), poi pensiamo a colui che li manda (= il Figlio), e, infine, risaliamo col nostro pensiero a colui che è la fonte e la causa dei benefici (= il Padre)» (S. BasilioIbidem 133d) Cfr. anche la nostra Introduzione e il Glossario alla voce «Battesimo».
[102] Il Bessarione così continua: «dopo che l’arcidiacono ha detto “proskomen” i cantori iniziano il salmo “Beati…”» (f. 58r).
[103] Questo salmo è tutto un inno di ringraziamento che i fedeli presenti, associandosi al celebrante, rivolgono al Signore per avere concesso al neobattezzato, per mezzo di questo sacramento, un grande dono: il perdono e la cancellazione di tutte le colpe. Ben a ragione i Padri chiamano il battesimo anche dono. Ed, infatti, esso è dono perfetto e completo: «dono per il quale ci sono condonate le pene dovute ai nostri peccati... Sarebbe veramente assurdo chiamare un dono di Dio dono incompleto, perché Dio, essendo perfetto, senza dubbio dona grazie perfette» (Clemente Al., Il Pedagogo, o. c. pag. 218-219). Anticamente questo salmo era di introduzione alla Liturgia eucaristica e si cantava «quando dal battistero il corteo sacro si recava in chiesa. Questa processione sostituiva l’Isodos, e, in questo caso, erano omesse le Antifone con le rispettive Collette…» (Plac. de MeesterStudi sui Sacramenti…, o. c. pag. 24). È lodevole l’usanza di cantare tutto il Salmo 31, e non quella di ripetere 3 volte i soli primi tre versetti di esso. Questo salmo lo canta anche la Matelde dantesca nel Paradiso terrestre (Purg. 29°) come ministra di battesimo: infatti, con mossa esperta e vigorosa, immergerà Dante nel Lete (Purg. 31°, 91-102). S. Agostino amava tanto questo salmo che, ormai malato a morte (†430) se lo fece scrivere sul muro di fronte al giaciglio, onde averlo sempre sotto gli occhi.
[104] Dopo il Salmo, il Bessarione prosegue direttamente con la preghiera del Myron (f. 58r), che come le altre è al plurale.
[105] La veste bianca che i neofiti indossavano subito dopo il battesimo simboleggia la loro innocenza e il riscatto spirituale. Fin dai tempi più remoti la veste «luminosa», come dice il tropario cantato mentre viene rivestito il neofito, chiamata appunto dal Palamàs φωτοειδή (S. Greg. PalamasHomilia LIX, 4 Oikonomos 239) era considerata necessaria al rito battesimale, a tal punto che il non possederla era motivo di non ricevere il battesimo. «Dov’è la veste luminosa con cui rendermi splendente?» – domanda il Nazianzeno (S. Gregorio di Naz., Oratio XI in Sanctum Baptisma 24; PG 36, 393c). E il Crisostomo: «ora la veste che indossate e lo splendore dei vostri abiti attirano tutti gli sguardi» (S. Giov. CrisostomoCatechesi battesimale IV, 192). Sempre a proposito della veste bianca, scrive Teodoro di Mopsuestia: «Risalito dall’acqua, ti ricopri di un vestito splendente: è il segno di quel mondo radioso e splendido e dei suoi costumi in cui già ti introducono le figure. Quando risorgerai, ti rivestirai d’immortalità e di incorruttibilità; questo vestito ti sarà dunque del tutto inutile. Ma finché possederai la realtà solo in misteri e figura, questo vestito ti sarà necessario; esso annunzia veramente quei beni deliziosi, che ora non ti sono accessibili che in figure, mentre al tempo prestabilito entrerai in loro pieno possesso» (Teodoro di MopsuestiaOmelie catechetiche sul battesimo in «L’iniziazione cristiana» – Testi patristici a cura di A. Hamman. Ediz. Marietti, 1982, pag. 117-118).
Riferisce il Musacchia, basandosi sulla testimonianza del Menochio: «Baronio… rapporta di essere apparse miracolosamente delle croci sulle vesti bianche del battezzato, ed in memoria di quel miracolo derivò l’uso presso i greci russi di appendere al collo una croce d’oro o d’altro metallo ai battezzati. Devono portarla per tutta la loro vita e se in morte qualcuno se ne trovasse senza, è privato di ecclesiastica sepoltura» – Stefano Menochio, Tom. I, Cap. 95.
Durante questa settimana (= quella che segue immediatamente la Pasqua, N.d.R.) chiamata dai greci της Διακαινησίμου (di rinnovamento), i neofiti, in modo speciale, venivano addottrinati intorno ai misteri che non si potevano svelare che ai soli fedeli. Erano obbietto di venerazione per tutta la Chiesa sino a valersi del loro mezzo e della loro intercessione per ottenere qualche grazia dai re o dagli imperatori (FleuryStoria Eccl.) (G. MusacchiaLa Liturgia del battesimo…, o. c., pag. 84). E concludiamo, riportando un interessante commento di S. Ambrogio: «Dopo hai ricevuto le vesti bianche a riprova che ti eri spogliato della tunica pesante del peccato e ti eri rivestito dei casti veli dell’innocenza. A loro riguardo dice il Profeta “mi aspergerai con l’issopo e sarò mondo, mi laverai e diverrò più bianco della neve” (Sal 50, 9), Infatti il battezzato appare mondato secondo la Legge e secondo il Vangelo, le vesti del Cristo erano bianche come la neve quando mostrava nel Vangelo la gloria della sua resurrezione» (S. Ambrogio di MilanoTrattato sui Misteri, in «L’iniziazione cristiana» o. c. pag. 62).
[106] Questa preghiera riassume le grazie ricevute dal neo-illuminato (νεο-φώτιστος) e annuncia e fa da preambolo alle altre che lo aspettano, quando riceverà il Myron e l’Eucarestia. La preghiera viene recitata a bassa voce. Solo la dossologia finale – come prescrive la rubrica – è cantata dal celebrante. Vogliamo inoltre far notare che durante la sua recita, il celebrante non deve alzare le mani in gesto di imposizione sul neobattezzato: «questo è un abuso contro cui insorgono teologi e scrittori ecclesiastici» (Plac. de MeesterStudi sui Sacramenti…, o. c. pag. 22).
[107] Il testo del Bessarione dice: «nell’acqua santa» (f. 58r).
[108] La parola «universale» non c’è nel Bessarione (f. 58V).
[109] Manca la parola «tua» nel Bessarione (f. 58V).
[110] Viene ribadito l’effetto prodotto indossando la «veste candida», di cui alla nota 105.
[111] A questo punto il Bessarione prosegue: «Il sacerdote depone gli abiti usati per il battesimo e indossa quelli della Liturgia; mentre il cantore canta “Όσοι εις Χριστόν” il sacerdote celebra la cresima».
[112] Il Santo Myron (το άγιον Μύρον) è un unguento profumato ricavato da olio misto a vari ingredienti, come spiegato nel glossario in appendice alla relativa voce Myron, da non confondere con il Crisma (χρίσμα), che è olio semplice, consacrato dal sacerdote e usato per i riti prebattesimali.
[113] Le parti del corpo che vanno unte variano talvolta, a seconda delle usanze locali. Nell’ungerle si ripete sempre la medesima formula. «L’uso antico e comune prescrive che si facciano con un solo dito τω δακτύλω αυτού... Più tardi, le rubriche dell’Eucologio indicano due dita. I russi usano farli anche servendosi di un pennello» (Plac. de MeesterStudi sui Sacramenti…, o. c. pag. 28).
[114] Circa la denominazione di «sigillo»: «l’operazione in noi del battesimo ci forma e ci modella, incide nelle anime nostre come una immagine e una figura, rendendoci conformi alla resurrezione del Salvatore: da cui il nome di “sigillo”, perché imprime l’immagine regale, la forma beata» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 113).
[115] È questa l’unica formula indicata dai testi liturgici, che accompagna le unzioni delle parti del corpo specificate nella rubrica. È a questo punto, subito dopo la cresima, che bisogna inserire la tonsura del neofotisto – scrive il de Meester, rifacendosi all’autorità di Simeone di Tessalonica (Plac. de MeesterStudi sui Sacramenti…, o. c. pag. 35) e non dopo le letture dell’Epistola e dell’Evangelo, come entrato in uso tardivamente presso qualche Chiesa. Ed aggiunge lo stesso de Meester: «se in qualche regione (come nell’Italia meridionale) non fossero più in uso (= l’abluzione e la tonsura, N.d.R.), non sarebbe difficile al sacerdote rammentare, commentandoli, il loro profondo significato e inculcarli ai fedeli, così sensibili agli aspetti mistici e tradizionali della loro liturgia» (ibidem, pag. 36-37). Sempre il de Meester così definisce la tonsura: «il segno esterno dell’arrolamento del neofotisto tra le file dei servi di Dio e dei soldati di Cristo, come la tonsura clericale introduce al ministero dell’altare e quella monacale consacra il novizio nella vita ascetica» (ibidem, pag. 35).
[116] È un’antichissima cerimonia della Chiesa d’Oriente, simbolo di gioia e di esultanza. Essa si riscontra anche in altri sacramenti, come nel rito delle sacre chirotonìe e del matrimonio. Qui la comunità ecclesiale vuole esprimere il suo giubilo per il neofita che ne entra a far parte. Il padrino, che tiene sulle braccia il neo-illuminato ed una candela accesa, si associa al canto del coro e segue nel giro il celebrante.
[117] «Non si tratta di un rivestimento esterno – scrive il Cabasilas – ma della struttura stessa del nostro essere. Il battesimo, infatti, è anche chiamato veste e sigillo: poiché la forma avvolge la materia e non lascia apparire l’informe, chiamiamo questo mistero anche veste ed immersione. Ciò dunque significano veste e sigillo, come spiega Paolo quando dice ora che il Cristo è scolpito e plasmato, ora che è indossato come una veste, di cui l’iniziato si ricopre immergendosi nel Cristo» (N. CabasilasLa vita in Cristo, o. c. pag. 113).
È a questo punto che si ricollega il testo del Bessarione (cfr. nota 111).
[118] Invito ad invocare la Potenza divina che si manifesta.
[119] In attesa di unirsi completamente a Cristo per mezzo dell’Eucarestia, il neo-illuminato – come recita il prokimenon – per bocca del lettore canta: «Il Signore è mia luce e mio Salvatore», in forza del battesimo che ha testé ricevuto; «il Signore è protettore della mia vita», in virtù del sacramento della cresima. Adesso, avendo ricevuto il battesimo e la cresima, al neo-illuminato non rimane altro, per essere perfettamente concorporeo (σύσσωμος) con Cristo, che unirsi a lui mediante l’Eucarestia. «Il Cristo diventa nostro concorporeo e fa di noi un tempio di tutta la divinità corporealmente» (S. Greg. PalamasDifesa degli Esicasti, I, 3). Tuttavia, precisa S. Massimo il Confessore, «in Cristo… la pienezza della divinità abita corporalmente per natura (κατά ουσίαν); in noi, invece, per grazia (κατά χάριν)» (S. Massimo il Conf., Capita theologica et oeconomica, II, 21; PG 90, 1153d).
[120] Dopo il canto dell’epistola, di cui è stato dato un commento alla nota 68, quando non segue immediatamente la Liturgia, si passa subito al canto dell’Evangelo, senza farlo precedere da altri versetti (στίχοι) né da altri Alliluia. Gli eucologi non ne fanno cenno (cfr. Eucologio, stampato a Roma nel 1873, pag. 159); ne riporta, invece, uno solo, l’Apostolos, stampato a Roma nel 1881, pag. 329, che viene cantato regolarmente con i relativi Alliluia. Riguardo al testo dell’epistola qui vogliamo solo aggiungere: il Battesimo non è una pura somiglianza della morte del Cristo, ma la medesima forma e natura della morte del Cristo, così come l’Eucaristia non è l’immagine del Corpo del Cristo ma lo stesso Corpo del Cristo. Il brano dell’epistola paolina, infatti, col verbo συμφύω esprime bene l’unione intima, la crescita comune, e quindi la nostra compartecipazione nella somiglianza della morte di Cristo e della sua risurrezione (Cfr. A Patristic Greek LexiconG. W. H. Lampe, Oxford University Press 1961, alle voce συμφύω συμφυία).
[121] Nella tradizione dei siculo-albanesi si aggiunge: «per molti anni, o Sovrano».
[122] Il de Meester, continuando a spiegare lo svolgimento della cerimonia liturgica, scrive: «Al. Dmitrievskij, sulla fede dei manoscritti, riferisce questa interessante consuetudine del XV-XVI secolo: nel Grande Introito della Liturgia, il neobattezzato, se è adulto, precede il sacerdote che porta i sacri Doni, tenendo in mano una candela accesa; se è bambino, è portato dal suo padrino, che tiene una candela in mano» (Plac. de MeesterStudi su Sacramenti…, o. c. pag. 24, nota 3). Allo stesso modo farà il neobattezzato o il padrino al momento di ricevere l’Eucarestia. Questa stessa tradizione la riscontriamo presso gli Albanesi di Sicilia, dove viene raccomandata di praticarla anche quando, non essendo seguita la Liturgia subito dopo il battesimo, il neobattezzato riceve l’Eucarestia per la prima volta durante la Liturgia del successivo giorno festivo. Anche a Mezzojuso (Eparchia bizantina di Sicilia) c’è l’usanza di avvicinarsi alla Eucarestia con una candela accesa in mano nel Giovedì Santo, alla sera, quando viene allora celebrata la divina Liturgia, secondo il typikòn di S. Saba ivi in uso per la Settimana Santa. Il simbolismo della candela accesa è chiaro. Esso ci porta col pensiero ai riti dell’Anàstasis, quando, nella notte che precede la Pasqua, all’invito del celebrante: «venite a ricevere la luce dalla Luce che non conosce tramonto», la folla dei fedeli nella chiesa a luci spente, è rischiarata solo dallo sfavillio dei tremuli lucignoli delle candele, e i fedeli rimangono in febbrile attesa di scambiarsi vicendevolmente l’annunzio del Cristo risorto, primizia dei battezzati, risorti a nuova vita.
[123] Ricevendo l’Eucarestia – dice S. Atanasio – «diventiamo connaturali al Signore secondo il corpo; ... e avendo il corpo connaturale al corpo del Signore, prendiamo della sua pienezza ed in essa abbiamo la radice della risurrezione» (S. AtanasioDe sententia Dionysii, 10; PG 25, 496ab). E in questa prospettiva teologica di capitale importanza del pensiero patristico, soprattutto dell’Oriente, che sta la radice della dottrina della divinizzazione (θέωσις). Così ha parlato Cirillo di Gerusalemme nelle sue catechesi: «Perciò noi ne partecipiamo pienamente sicuri che si tratta del corpo e del sangue di Cristo. Sotto le specie del pane ti è dato il corpo e sotto quelle del vino il sangue, affinché, reso partecipe del corpo e del sangue di Cristo, tu divenga concorporeo e consanguineo con lui. In questo modo diventiamo cristiferi, in quanto il corpo e il sangue di Cristo si è distribuito per le nostre membra e, al dire del beato Pietro, noi diventiamo partecipi della natura divina» (Cirillo di Gerus.,Catechesi XXII, PG 33, 1100a). Così hanno anche parlato Clemente Alessandrino nella sua Epistola ad Nestorium; il Damasceno: «ora… tutta la nostra natura nel corpo di Cristo è divinizzata» (S. Giov. DamascenoCantra Jacobitas 52; PG 94, 1461a); S. Massimo il Confessore (PG 91, 1040c): «la carne, intimamente congiunta a Dio… fu divinizzata dal Verbo che la assumeva»; ed infine, S. Gregorio Palamàs, il quale, nella sua concezione della mistica esicasta, si riferisce continuamente alle nuove relazioni stabilitesi tra Cristo e gli uomini per la incarnazione, la morte e la resurrezione del Cristo. Questa nuova vita comune con Dio, che la creatura acquisisce a tal punto che il grande esicasta parla «di carne uguale a Dio (ομοθέου), arricchita e donata dalla gloria della divinità… per cui il Cristo ha fatto della sua carne un’inesauribile fonte di santità» (S. Greg. PalamasHomilia XVI, PG 151, 193b), è bene esposta e commentata da J. Meyendorff nella sua opera Introduction à l’étude de Grégoire Palamas, già da noi citata, alla quale rimandiamo i lettori, raccomandando particolarmente il Capitolo 3°, che tratta più approfonditamente dell’argomento: «Le Christ et l’humanité déifiée: Rédemption, Déification et Ecclesiologie» (pag. 223-256).
[124] Questa preghiera si trova solo in Goar, o. c. pag. 264, mentre manca in BessarioneBarberini 336, Porfirio, e in altri testi editi.
[125] Si tratta di aborto involontario e accidentale, ma la donna può sentirsi in colpa per qualche imprudenza o negligenza che potrebbe aver causato quella perdita di una vita umana.
[126] Il Bessarione (f. 60r) così continua: «(il sacerdote) prende una spugna nuova, la inumidisce, e segna la fronte, le orecchie e le altre parti dicendo: «Benedetto il Dio...».



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