giovedì 31 ottobre 2013

Sulle Sacre Scritture nella vita di Padre Zosima

  
Amici e maestri, ho sentito più volte, soprattutto negli ultimi tempi, che da noi i sacerdoti di Dio, soprattutto nelle zone di campagna, si lamentano ovunque del loro misero stipendio e delle loro umilianti condizioni di vita, e dichiarano, anche per mezzo della stampa (l’ho letto io stesso) di non essere più in grado di spiegare le Scritture al popolo, perché hanno pochi mezzi, e che se i luterani e gli eretici arrivassero a portar via il loro gregge, lo lascerebbero andare, perché, come dicono, hanno poche risorse. Signore Iddio! Che tu li benedica aumentando le loro risorse (perché il loro reclamo è giusto), ma in verità vi dico: se qualcuno è colpevole di questo, allora per metà siamo colpevoli noi stessi! Infatti, anche se non hanno tempo, anche se dicono giustamente di essere presi per tutto il tempo da attività e servizi, ma non sarà per tutto il tempo, perché, dopo tutto, avranno almeno un'ora libera in tutta la settimana per ricordare Dio. E poi non si lavora tutto l'anno. Che un sacerdote raccolga attorno a sé una volta alla settimana, in un’ora serale, anche solo i bambini, in un primo momento – poi i padri lo sapranno e incominceranno a venire anche loro. E non occorre costruire un palazzo per queste cose, basta accoglierli nella sua izba [casetta], non tema che gli si riempia di fango la casa, ci rimarranno solo un'ora. Apra questo libro e inizi a leggere senza parole difficili e senza presunzione, senza elevarsi al di sopra di loro, e con tenerezza e mitezza, felice di leggere con i fedeli, e che questi lo ascoltino e lo comprendano, con amore per le parole della lettura, che si fermi solo di rado per spiegare le parole che i più semplici non riescono a capire, e che non si preoccupi, tutti capiranno, tutto capisce il cuore ortodosso! Che legga la storia di Abramo e Sara, di Isacco e Rebecca, di come Giacobbe andò da Labano e lottò con il Signore in sogno e gli disse: "Questo posto è terribile", e questo rimarrà impresso nelle menti devote della gente più semplice. Che legga, soprattutto ai bambini, come i fratelli vendettero come schiavo Giuseppe, il caro ragazzo, sognatore e il grande profeta, e poi dissero al padre che una belva aveva divorato suo figlio, mostrandogli la sua veste insanguinata. Legga come poi i fratelli arrivarono in Egitto per comprare il pane, e Giuseppe, diventato già un grande dignitario, senza essere riconosciuto da loro, li tormentò, li accusò, imprigionò il fratello Beniamino, e tutto ciò pur amandoli ancora, "Vi voglio bene e per amore vi tormento". Infatti, per tutta la sua vita, si era costantemente ricordato di come l'avevano venduto ai mercanti là nella steppa ardente, vicino al pozzo, e di come lui, torcendosi le mani, piangeva e pregava i fratelli di non venderlo come schiavo in terra straniera. Ed ecco, rivedendoli dopo tanti anni, sentiva di nuovo per loro un amore immenso, ma li perseguitò e li fece soffrire, pur amandoli. Infine si allontanò da loro, non potendo sopportare il dolore nel suo cuore, si gettò sul letto e pianse. Poi si asciugò il volto, tornò da loro sereno e raggiante, ed esclamò: "Fratelli, io sono Giuseppe, vostro fratello". Vada ancora avanti, e legga come il vecchio Giacobbe si rallegrò nel sentire che il suo caro ragazzo era vivo, e come si trascinò fino in Egitto, abbandonando anche la patria, e come morì in terra straniera, dopo aver annunziato, per tutti i secoli dei secoli, la grande parola, che era rimasta misteriosamente chiusa nel suo cuore timido e mansueto tutta la vita, e cioè che dalla sua progenie, dalla stirpe di Giuda, sarebbe uscita la grande speranza del mondo, il pacificatore, il Salvatore! Padri e maestri, perdonatemi, e non vi adirate se parlo come un bambino di cose che già da molto conoscete, e che potete insegnare a me in modo cento più qualificato ed eloquente del mio. Io parlo così per entusiasmo, e perdonatemi se piango, ma amo questo libro! Che si metta a piangere anche lui, il sacerdote di Dio, e vedrà che i cuori di quelli che lo ascoltano gli risponderanno con un fremito. Basta un piccolo seme, un seme minuscolo: lo getti nell'anima dell'uomo semplice, e non morrà. Vivrà dentro di lui per tutta la vita, nascosto nel buio del suo cuore, in mezzo alla putredine dei suoi peccati, come un punto luminoso, come un grande richiamo.. E non c'è bisogno di spiegare molto, di insegnare molto, non ce n'è bisogno; capirà tutto facilmente. Credete forse che l'uomo comune non capisca? Provate a leggergli la storia, toccante e commovente, della bella Ester e dell’arrogante Vasti, o il meraviglioso racconto del profeta Giona nel ventre della balena. Non dimenticate di leggergli anche le parabole del Signore, soprattutto quelle del Vangelo secondo Luca (come ho fatto io), e poi dagli Atti degli Apostoli, la conversione di Saulo (quella è da leggere assolutamente, assolutamente!) E, infine, dalle Vite dei Santi, almeno la vita di Alessio, l'uomo di Dio, e della grande tra le grandi beate lottatrici, Maria l'Egiziaca, che vide Dio e portò Cristo in sé. Con queste storie semplici penetrerete nel suo cuore, e basterà un'ora la settimana, malgrado lo stipendio minuscolo, un'ora soltanto! E allora vedrà che il nostro popolo è misericordioso e riconoscente, e che lo ricompenserà cento volte; ricordandosi del suo zelo e delle sue parole commosse, lo aiuterà volentieri nel suo campo, lo aiuterà anche in casa, e lo rispetterà molto più di prima, ed ecco che così le sue condizioni di vita saranno subito migliori. È una cosa talmente semplice, che a volte si ha perfino paura di dirla, perché qualcuno si burlerà certo di noi, eppure è così vera! Chi non crede in Dio, non crederà neppure nel popolo di Dio. Chi, invece, ha creduto nel popolo di Dio, arriverà sicuramente a comprendere la santità, anche se prima non ci credeva affatto. Soltanto il popolo con la sua forza spirituale futura convertirà i nostri atei, che si sono staccati dalla loro terra natale. E che cos'è la parola di Cristo senza l'esempio? Guai al popolo, se gli manca la parola di Dio, perché la sua anima ha sete di questa parola e di ogni buona impressione.

 

Fëdor Mikhajlovich Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Seconda parte, Sesto libro, II. b

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