sabato 5 ottobre 2013

L'icona di Siponto


Siponto, colonia romana, collegamento con l'Oriente, è sede di un'antica diocesi.

La tradizione attribuisce a San Pietro la consacrazione del primo vescovo di Siponto, San Giustino; tra i suoi pastori c'è San Lorenzo Maiorano, parente dell'imperatore d'Oriente Zenone (474 - 491) e protagonista del racconto sulle apparizioni dell'Arcangelo Michele.

L'icona si conserva nel santuario di S. Maria Maggiore (oggi cattedrale della "nuova" Manfredonia). Il santuario sorge sulla via sacra Longobardorum che parte da Monte Sant'Angelo, accanto ai resti di una basilica paleocristiana che si fa risalire al vescovo Lorenzo; la tradizione locale riporta le origini della chiesa a S. Giustino (I secolo d.C.). L’unica data documentata è il 1117, anno della solenne consacrazione e della deposizione delle reliquie di San Lorenzo sotto l’altare maggiore. Molto dibattuta, tra gli studiosi, la questione sull'origine dell'edificio; fu probabilmente edificato tra XI e XII secolo sotto il vescovo Leone, usando anche materiali preesistenti: si sono trovati durante i recenti restauri (1973 e 1975) iscrizioni con il nome del vescovo committente Leone, degli artefici Acceptus e David, con la data 1039. 

L'immagine della Madonna, su legno di cedro, è quella classica delle icone ispirate alla tradizione orientale.Già assegnata al XIII secolo, un restauro nel 1927 (a Roma per mano di Aronne Del Vecchi) ha trovato ai margini verticali del quadro, due fasce ornamentali con finissime figure di santi del più puro stile bizantino, facendola quindi molto più antica di quanto non si ritenesse (XI secolo).
Si trovano cenni sul "Sacro Tavolo della Madonna di Siponto" nella Cronologia sarnelliana: intorno al 1300, l'arcivescovo Sasso aveva avuto "tenera divozione verso la Beatissima Vergine, la cui miracolosa effigie quivi frequentemente riveriva"; altro devoto all'icona fu l'arcivescovo fra Dionisio De Robertis (1554 - 1560). Dal Mastrobuoni si ricava che fu l'arcivescovo Francesco Rivera (1742 - 1777), nel 1745, a curare la rivestitura d'argento dell'icona. La comparsa dell'icona della Vergine risalirebbe al 1060 (?) e la tradizione va oltre: l'icona sarebbe stata donata dall'imperatore Zenone al vescovo Lorenzo dopo le apparizioni di San Michele. Per secoli, inoltre, circolò la leggenda, che l'immagine della Vergine fosse stata dipinta da S. Luca.
Leandro Alberti, visitò la chiesa nel 1525.

L'icona veniva portata in processione in occasione di calamità e avversità. Man mano questa pratica processionale si ripeté in una data fissa fino a trasformarsi in una vera e propria ricorrenza e festa patronale. Secondo alcuni, la festa che tuttora si svolge ebbe origine tra il 1840 e il 1841 dopo un'epidemia colerica e a partire dal 1849 fu spostata da settembre al 30 agosto. Nel 1872, durante la festa, il sacro tavolo subì gravi danni per un incendio.

Ma l'icona non è l'unica immagine della Vergine che ci ha lasciato Siponto.
Nella cripta della basilica si venera la statua di una Madonna nera, detta la "Sipontina".



Secondo Alfredo Petrucci, nel 1927, era "abbandonata e ricoperta di polvere".

La Madonna è seduta in trono con il Bambino benedicente sulle ginocchia, gli occhi allargati in atteggiamento di doloroso stupore, e il mento coperto di strane macchie biancastre: lo scrittore la rinominò "Madonna dagli occhi sbarrati".
Il Petrucci collegò questo sguardo ad una leggenda narratagli qualche tempo prima da un vecchio popolano. Tanto, tanto tempo fa una giovinetta era stata violentata da un parente del vescovo dell'epoca davanti all'immagine della Madonna la quale "dal momento in cui fu consumata la nefandezza inaudita, si trasfigurò: i suoi occhi, già dolci e suadenti, furon visti diventare ogni giorno più grandi e finalmente restarono sbarrati come due finestre su una notte di procella". Anche la scomparsa di Siponto è collegata a questa leggenda. La ragazza cercò la morte, ma il mare la riportò a terra. Le sue lacrime allora si raccolsero formando il lago Salso che fu causa delle paludi che porteranno alla fine di Siponto.
Questo racconto ricorda quello di Catella, figlia di Evangelio, diacono della chiesa sipontina, stuprata dal nipote del vescovo Felice. La vicenda è riportata nelle lettere (fine del sec. VI) di S. Gregorio Magno al suddiacono Pietro, al notaio Pantaleone e al vescovo Felice, perché la colpa fosse punita. 
La leggenda aggiunge ancora che le macchie bianche sul mento della statua, sono il resto del vomito prodotto dalla Vergine a causa del mare grosso durante la traversata da Costantinopoli a Siponto. 
La "Sipontina", secondo quanto riferisce Serafino Montorio nel suo Zodiaco di Maria, fu rapita durante il sacco dei Turchi del 1620 ed in tale occasione due dita della mano furono recise. Ma, la Vergine, con materna premura "da se stessa tornossene à quelle spiaggie; e perché fosse assai più chiaramente conosciuta la sua protezione, e perciò con più fervore venerata, non posossi nella propria Chiesa, ma trà giunchi delle vicine paludi" . Ma se la "Sipontina" consentì a mani infedeli comunque di rimuoverla dal suo luogo, la stessa cosa impedì che facessero mani cristiane e quando i cittadini di Manfredonia, in un'epoca imprecisata, è ancora il Montorio che racconta, tentarono di trasportarla nella città, per imperscrutabile volere divino, "svegliossi nell'aria sì furiosa tempesta di grandini, pioggia, lampi, tuoni, e saette, che parea volesse inabissarsi il Mondo; perlocché spaventati cessarono da tale attentato". Sempre secondo il Montorio, i guardiani di pecore, capre ed altri animali godono di una speciale protezione da parte della Madonna, tanto che a Lei offrono "le primizie de' loro armenti".


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