giovedì 1 agosto 2013

SERAFINO DI SAROV

Procario Moschnin nacque nel 1759 a Kursk da una famiglia di mercanti. Fin dalla fanciullezza nella sua pietà straordinaria fece conoscere che Dio l'aveva visitato e l'aveva scelto. A quindici anni dopo aver ricevuta la benedizione della madre si partì a piedi e andò al monastero Petcierskj di Kiev. Il vegliardo Dosifeo lo accolse e benedì il suo proposito di recarsi nel deserto di Sarov. In quell'eremo prese gli ordini religiosi cambiando il suo nome in Serafino nel 1786 e vi rimase fino alla morte, nonostante risulti iscritto nel monastero di Gorokhov. Nei primi anni della vita religiosa una malattia lunga e misteriosa lo colpì tenendolo per diciotto mesi fra la vita e la morte finché non gli apparve, in una grande luce, la Santa Vergine con gli apostoli Pietro e Giovanni. La Vergine mise la mano destra sopra il capo di Serafino e rivolta all'apostolo Giovanni disse: «Questo è della nostra stirpe». Guarito, passò circa quaranta anni di vita eremitica, in gran parte nel più folto della foresta, celebre per la sua eroica penitenza, per la quasi ininterrotta preghiera. Ebbe una venerazione particolare per San Giovanni apostolo e per San Clemente papa, ebbe soprattutto una tenerissima devozione alla Vergine. L'icona della Vergine della tenerezza fu fra tutte la sua prediletta: «la gioia di tutte le gioie» la diceva il santo eremita. Rimase per mille giorni e mille notti in ginocchio sopra una pietra; continuò a portare per lunghi anni, come San Giuseppe Benedetto Labre, un sacco di pietre e di sabbia; fu malmenato e bastonato dai ladri che lo ridussero in fin di vita senza che egli opponesse resistenza. Ma intanto Dio lo colmava di celesti favori: aveva visioni, estasi, viveva nel mondo di Dio. Sottoponeva il suo corpo a privazioni e a prove crudeli, ma Dio lo pasceva di ineffabili dolcezze, gli concedeva la potenza dei miracoli, la visione profetica dell'avvenire. Come Francesco di Assisi anche Serafino, nella sua nuova innocenza, ottenne di conversar con le fiere, di vivere amichevolmente con loro: un orso della foresta mangiava con lui, prendeva il pane dalle sue medesime mani.

A più di sessanta anni di età, dopo una nuova visione della Vergine che gli comandava di manifestarsi al mondo, cominciò a impartire i suoi insegnamenti a tutti coloro che andavano a lui. Allora fu un imponente pellegrinaggio da tutta l'immensa Russia verso il remoto e nascosto angolo che si era scelto, fino alla morte. Fondò a Diveev nuovi asceterii per uomini e per donne, suoi peni-tenti. Aveva una straordinaria dolcezza e pietà per tutte le miserie e sofferenze umane. La sua eroica austerità aveva maturato il suo cuore e l'aveva aperto, l'aveva intenerito e trasformato tutto in umile amore. Nessuno egli allontanò da sé, nessuno si partì da lui che non fosse consolato e aiutato. Non conosceva che la bontà, ma la bontà era così grande che frantumava e disfaceva tutte le durezze e le cattiverie degli uomini, così grande che naufragavano tutte le miserie e i peccati. Non ci si avvicinava a lui senza sentirsi partecipi, come in una nuova natività interiore, della sua levità spirituale, della sua stessa bontà. Assumeva su di sé la responsabilità dei penitenti facilitando il loro cammino verso Dio; dopo la confessione li abbracciava: - In ogni giorno dell'anno, Cristo è risorto - diceva. Profetizzò che dopo la sua morte e la sua glorificazione, sulla Russia si sarebbe abbattuto un grande disastro: le anime vivrebbero in tale ansia e spavento quale non fu mai e gli angeli non sarebbero abbastanza per presentare a Dio tutte le anime degli uccisi e dei morti, ma dopo un certo tempo la santa Russia sarebbe risorta. Avanti di morire ebbe un'ultima visione della Vergine Madre di Dio. Era l'alba: presso di lui si trovava Suor Eudosia. Si sentì come un gran colpo di vento. Egli disse: - Non aver paura: avremo la grazia del Signore -. La porta si è aperta subitamente e la piccola cella è stata invasa da una gran luce. Serafino si è gettato in ginocchio, invocando: - O benedetta purissima Vergine! - E la Vergine è apparsa in un trionfo di fiori accompagnata da San Giovanni il Battista e da San Giovanni l'apostolo, ha benedetto l'umile monaco ai suoi piedi, annunciando: - Il nostro prediletto sarà presto con noi! -
Dopo la visione il vegliardo è andato deperendo e indebolendosi sempre più, come consunto dal desiderio del cielo. Il primo gennaio 1833 si è comunicato l'ultima volta; come a prender congedo dalla sua chiesa si è accostato a baciare tutte le icone, ha preso poi congedo dai monaci. La sera il monaco vicino di cella ascoltò riverente e stupito il vecchio staretz che cantava: la cella dello staretz Serafino era piena di canto, il canto della resurrezione pasquale. La mattina dopo, per paura di incendio, si bussò, poi si forzò la porta da cui usciva del fumo. Baluginava appena: nell'interno della cella, al fuoco dei libri e di alcune pezze di tela già usate dal monaco, si vide il vegliardo in ginocchio, immobile, con la testa inclinata e le mani sul petto come in preghiera: era morto.
La venerazione di tutto il popolo russo verso di lui andò sempre crescendo, anche dopo la sua morte, tanto da far superare tutti gli ostacoli e le difficoltà per la sua canonizzazione che avvenne nel luglio 1903 alla presenza dello stesso imperatore. Fu l'ultima grande giornata della santa Russia, avanti la lunga notte della rivoluzione. Oggi il monastero santificato da lui non esiste più e le sue ceneri sono disperse.

La dottrina

Serafino di Sarov è certo il santo più popolare e venerato dai russi. I suoi scritti, che Filarete di Mosca aveva raccolti per esaminarli in vista della canonizzazione, sono andati perduti. Il suo insegnamento ci è stato tramandato nelle deposizioni e nelle memorie di Motovilov, il discepolo affezionato e fedele: poche pagine che sono la testimonianza di un'alta santità che onora tutta la Chiesa orientale.
La meta della vita cristiana è la grazia, il possesso dello Spirito Santo: questo possesso costituisce d'altra parte il Regno di Dio. Con questo possesso dello Spirito divino il grande staretz vuol significare la vita mistica, l'intima fruizione di Dio. La grazia dello Spirito Santo è soprattutto una luce interiore che illumina l'uomo, è la grazia paradisiaca perduta da Adamo. Lo Spirito di Dio avanti la venuta di Gesù Cristo operava solo al di fuori ma dopo questa venuta si infonde nuovamente nella sua pienezza nel cristiano ortodosso come in Adamo. «Quando Nostro Signore Gesù Cristo avendo compiuto la sua opera di Redenzione dopo la sua Resurrezione alitò sugli apostoli, con ciò stesso rinnovò in loro quell'alito vitale che era stato perduto da Adamo e donò loro quella grazia adamitica del Santissimo Spirito divino. Poi nel giorno della Pentecoste Egli inviò loro lo Spirito Santo che in alito tempestoso sotto forma di lingue di fuoco si posò su loro, entrò in loro come fiamma, li riempì con la forza della grazia divina che spira rugiadosa freschezza e arreca letizia. Questa grazia fiammeggiante viene largita a tutti i fedeli cristiani...». «La grazia dello Spirito Santo emanante dal Padre, riposante nel Figlio e per tramite suo diffusa nel mondo» non è un dono inerente solo all'anima, ma al corpo stesso che partecipa con l'anima all'incorruttibilità, all'immortalità di Dio. Non è necessario sottolineare nelle parole dello staretz l'eco della più primitiva spiritualità cristiana.
«Quando Dio infuse nel volto di Adamo il respiro della vita, allora, come dice Mosè, Adamo ebbe un'anima vivente cioè simile in tutto a Dio e come Lui immortale per l'eternità. Adamo divenne allora talmente invulnerabile dalle altre potenze create da Dio che né l'acqua poteva annegarlo, né il fuoco bruciarlo, né la terra inghiottirlo né suoi abissi, né l'aria danneggiarlo con la sua azione».
Così anche oggi, gli effetti che produce questa ineffabile comunicazione di Dio non soltanto inebriano l'anima, la dilatano, la rischiarano di luce, ma ridondano anche sul corpo, su tutta la vita: sono la pace sovrasensibile, la dolcezza ineffabile che scorre e discioglie come olio le membra, la letizia che è pregustamento della gioia celeste, un tepore che riscalda, un odore penetrante che inebria. L'uomo riacquista con l'uso dei sensi spirituali il potere di «percepire» Dio: ora può «vedere e intendere Dio, comprendere le sue parole, conversare con gli angeli». Essere nello Spirito Santo è partecipare alla trasfigurazione di Cristo divenendo come Lui risplendenti e più chiari del sole, è possedere la gioia divina. «Quando lo Spirito Santo scende nell'uomo e l'illumina con la pienezza della sua ispirazione, allora l'anima umana si riempie di gioia ineffabile, perchè lo Spirito divino letifica tutto ciò che tocca». Nella grazia presente noi «assaporiamo un principio della letizia» futura. «Il Regno di Dio non è cibo e bevanda ma giustizia e pace e gioia nello Spirito Santo» egli ripete, e insiste nella sostanziale identità di questa vita con la vita celeste quando applica a queste anime mistiche le parole di Gesù: - « Alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte prima d'aver visto il Figlio dell'uomo venir nel suo Regno». Insegna però che «solo il bene operato nel nome di Cristo ci assicura il possesso dello Spirito divino, mentre, quanto si fa senza operar nel Suo nome, non ci apporterà alcun beneficio nella vita futura, né ci assicurerà in questa vita la grazia divina». E ancora: «Lo Spirito divino ci ricorda le parole di Gesù Cristo Nostro Signore e Salvatore ed agisce d'accordo con Lui sempre solennemente riempiendo di gioia i nostri cuori e indirizzando i nostri passi nella via della pace». Gesù è dunque per Serafino la causa meritoria di questa vita divina del possesso dello Spirito Santo e questo stesso Spirito divino ci riconduce a Gesù, continua la vita di Gesù in noi ricordando le sue parole, realizzandole in noi.
Nella vita paradisiaca dell'anima redenta è il Verbo che tiene il posto dell'albero della vita situato nel centro dell'Eden. Non tanto la dottrina cristiana come in Origene, ma la reale comunione col Verbo nel Sacramento eucaristico. È importante notare questo avvicinamento, non certo fortuito, della vita sacramentale con la vita mistica : la vita interiore è immersa nella vita liturgica e l'azione sacramentale dell'Eucarestia nella vita mistica dice la dipendenza di questa da Cristo che opera attraverso i sacramenti. «Mercè i frutti dell'albero della vita Adamo ed Eva e i loro discendenti avrebbero potuto mantenere intatta la forza vivificante della grazia divina, la pienezza giovane ed eterna delle forze del corpo, la costante giovinezza del loro stato beato e immortale». Ora è la «Comunione col purissimo e vivificante mistero del corpo e del sangue dell'Agnello immacolato... che ci dà quel frutto dell'Albero della vita, di cui il nemico dell'uomo aveva voluto privare l'umanità».
L'esercizio delle virtù non s'identifica con la vita cristiana. La dottrina spirituale di Serafino non si identifica con l'etica naturale. Esalta la verginità come la più eccelsa virtù che innalza l'uomo alla condizione angelica e in questo egli è d'accordo con gli antichi Padri: San Gregorio di Nissa, San Giovanni Climaco... che vedono nella verginità il ritorno alla vita paradisiaca; ma è anche d'accordo coi più grandi scrittori religiosi russi che vedono nella verginità la condizione della vita definitiva e perfetta, della vita paradisiaca: Dostojewskij, Solovjov, Berdiajev. Solovjov insegna che quando la castità perfetta sarà universale l'umanità entrerà nel regno di Dio: è in questa castità universale che avverrà la fine del tempo, la fine del mondo presente e avrà inizio l'eternità, il inondo futuro. Ma Dostojewskij sembra più vicino all'insegnamento di Serafino: egli ha veduto più chiaramente l'ambiguità della castità perfetta. Anche il grande scrittore vede nella castità la condizione della vita definitiva, ma non ancora della vita divina. È Kirillov, l'asceta tenebroso che vuole uccidere Dio, che parla di questa verginità futura di tutti gli uomini. Anche per Serafino la castità è la virtù per eccellenza ed innalza l'uomo alla condizione angelica: ma la condizione angelica è di per sé ambigua, può essere assimilazione e partecipazione alla vita demoniaca come in Kirillov. La castità non è la grazia, nella quale si identifica la vita cristiana; non innalza di per sé l'uomo alla condizione divina, non salva l'uomo, non lo divinizza. «Alcuni dicono che il difetto dell'olio presso le vergini stolte simboleggia il difetto delle opere buone nel corso della loro vita terrena. Ciò non è del tutto esatto. Come vi può esser difetto di opere buone se, pure essendo stolte, sono denominate vergini? La verginità è una delle più eccelse virtù, e ci fa pari alla condizione angelica, da sola potrebbe sostituire tutte le virtù. Io, misero, penso che a loro difettasse proprio la grazia dello Spirito Santo. Ecco abbiamo operato con virtù, abbiamo cioè compiuto un'opera divina, esse dicevano, e non si curavano di vedere se avevano veramente acquistata la grazia dello Spirito divino». L'esercizio delle virtù dà così alle vergini solo la presunzione e l'orgoglio che conduce alla perdizione. «Le sacre Scritture alludono a questo modo di vivere basato unicamente su l'esercizio delle virtù..., quando dicono che esiste una strada che sembra retta al principio, ma il suo termine porta all'inferno». La parola dell'umile staretz diviene forte e terribile nel condannare questa orgogliosa sufficienza della virtù umana. La vita cristiana è dono dello Spirito divino e mezzo per conseguire la grazia, il dono dello Spirito è la preghiera. La carità verso il prossimo non ha l'importanza che ha per Serafino la preghiera come mezzo per eccellenza onde l'uomo consegue l'esperienza di Dio. Egli si mantiene nelle vie tracciate dai maestri orientali della vita spirituale. L'elevazione dell'anima corrisponde al grado della sua preghiera. «Naturalmente qualunque virtù esercitata nel nome di Gesù Cristo ci procura la grazia dello Spirito Santo, ma soprattutto la preghiera...» egli dice.
Per Serafino a nulla giova dunque l'esercizio delle virtù se queste non ci assicurano il possesso della vita mistica, al conseguimento di questa grazia deve essere ordinata la vita ascetica: operare il bene per il bene non vale a darci salvezza, ma le opere buone e le virtù sono il mezzo necessario all'acquisto della «grazia dello Spirito Santo». Questa grazia è la ragione ed è il frutto principale delle virtù, tanto che è inutile e dannoso moltiplicare le opere, gli atti di virtù, la stessa preghiera quando abbiamo conseguito la grazia: allora dobbiamo far silenzio, con le nostre parole e le nostre opere, per godere di Dio. «Il nostro compito cristiano non consiste nel moltiplicare le opere buone... ma nel ricavarne il massimo profitto, cioè maggiori e più numerosi doni dello Spirito Santo».
Così la meta della vita cristiana è la gioia, il ritorno al Paradiso perduto, all'intimità dolce e profonda con Dio. Dio parla con l'uomo, e l'uomo vive con Dio, lo vede, lo intende: il mondo acquista per l'anima una trasparenza divina, nulla più di estraneo o di ostile, tutto è vicino e noto, tutto è amico e fraterno: l'uomo parla con gli angeli, parla con le fiere dei boschi. Se la grazia è «una luce che illumina l'uomo» e lo rinnova, è anche una luce che irraggia da lui e trasfigura tutte le cose. Ci sembra, dice il Santo, incomprensibile e strana la testimonianza di questa vita che ci danno le Sante Scritture a proposito di Adamo e degli apostoli, eppure nulla è più naturale e più semplice. «Ai santi era talmente chiaro quello che sembra oscuro e inconcepibile a noi, da ritener naturale, anche nei comuni discorsi, il concetto delle apparizioni di Dio». A chi gli domanda come possa riconoscere di possedere questa grazia e di trovarsi nello Spirito Santo, Serafino risponde: «Tutto è semplice per colui che consegue l'intelligenza. Il nostro male sta appunto nel fatto che noi non cerchiamo questa intelligenza divina che non è chiassosa perchè non è di questo mondo. Questa intelligenza fatta di amore per Iddio e per il prossimo prepara ogni uomo alla sua salvezza». La prova del possesso della grazia è proprio la stessa esperienza di Dio, che Egli è pronto a concedere a tutte le anime perché di tutte Egli vuol la salvezza: come fiume di amore la grazia divina trabocca dal seno della Divinità e si effonde nel mondo fino dalla Creazione dell'uomo, poi lungo la storia nel popolo ebraico preparando la venuta di Cristo, senza escludere nemmeno il popolo pagano. Anche oggi, ci assicura lo staretz, nonostante che «ci siamo allontanati dalla semplicità della primitiva fede cristiana» basta che «spinti dalla Sapienza divina ci decidiamo alla trepidazione e alle veglie onde assicurare la nostra salvezza col pentimento dei peccati e l'esercizio delle virtù, per conseguire lo Spirito Santo entro di noi operante e apprestante il Regno dei Cieli». Il Cielo concede «in abbondanza» la grazia dello Spirito e non fa distinzione fra il monaco e il laico: «Dio ascolta ugualmente il monaco e il semplice cristiano purché amino Dio con tutta la profondità dell'animo loro e nutrano nel loro cuore una fede grande sia pur quanto un granello di senapa».
In lui ritorna un'antica dottrina del tutto dimenticata oggi da noi occidentali: che cioè l'anima una volta sia stata toccata da Dio, una volta abbia conseguito il possesso di questa grazia divina non possa più andare per sempre perduta. «Chiunque abbia conseguito con la retta fede in Cristo la grazia dello Spirito Santo, anche se per umana debolezza dovesse morire spiritualmente per un qualche peccato, pure non morirà per l'eternità... La grazia dello Spirito Santo nonostante i peccati, nonostante le tenebre che avvolgono l'anima, riluce nel cuore come l'antica, divina inestinguibile fiamma dei meriti di Cristo ». La luce otterrà sempre il pentimento al peccatore e lo rivestirà « con le vesti dell'eternità».
Una volta Dio si è donato all'anima, la presenza dello Spirito Santo non sarà più perduta, non viene più ritirata. Ogni peccato anche minimo può rendere opaca e impenetrabile l'anima, ma non spegne questa fiamma divina che dall'intimo illumina l'uomo. La grazia benché presente viene oscurata dal male ma non sarà mai più soffocata del tutto vincerà le tenebre del cuore e lentamente trasfigurerà la natura dell'uomo. «Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca, ma la divina generazione lo conserva» aveva scritto San Giovanni, l'apostolo più amato e ascoltato dalla Chiesa Orientale.
«Un'ansia divina che il mondo non conosce si annida nel cuore degli eremiti» e di tutti coloro che hanno conosciuto Dio e come un pungolo li spinge in una ascensione che non conosce riposo, fintanto che non si sono trasformati essi pure nella luce, non son divenuti luce nella luce, fintanto non si realizzano le parole profetiche: nella tua luce noi vedremo la luce.
La relazione di Motovilov sulla trasfigurazione di Serafino è di grandissima importanza per la mistica orientale: «nella sua semplicità contiene tutta la dottrina dei Padri Orientali sulla gnosi, coscienza della grazia che raggiunge il suo grado supremo nella visione della luce divina. Questa luce riempie la persona umana pervenuta all'unione con Dio. Non è più un'estasi, stato passeggero di rapimento, che strappa l'essere umano alla sua esperienza abituale, ma una vita cosciente nella luce, in una incessante comunione con Dio.... Cominciando già da questa terra, la trasfigurazione della natura creata è una promessa del nuovo cielo e della nuova terra, l'ingresso della creatura nella vita eterna avanti la morte e la resurrezione. Poche persone anche fra i più grandi santi arrivano a questo stato nella vita terrena (Losskj). Questa luce è la gloria di Dio che traboccando dal seno della Trinità penetra e riempie tutte le cose, è la luce increata di cui parla Gregorio Palamas che apparve la prima volta nella trasfigurazione di Cristo: la luce del Tabor che non ha avuto inizio e non avrà mai fine, luce senza forma, infinita, impalpabile, incomprensibile: tutto l'uomo vede Dio. Così prega Serafino per ottenere a Motovilov di contemplarlo nello stato di ineffabile indìamento [divinizzazione] ormai raggiunto dal grande eremita di Sarov: - « Signore rendilo degno di veder chiaramente con i suoi occhi corporei questa discesa del tuo Spirito, di cui tu favorisci i tuoi servitori allorché ti degni apparir loro nella luce meravigliosa della tua gloria».
È nella visione anche corporea di questa luce divina che emana da Dio ed è Dio stesso - Dio è luce, scrive Giovanni - l'esperienza più alta della mistica orientale: tutto l'essere umano, trasfigurato, entra nel Regno di Dio e vive come immerso nella luce della Divinità. «Sappiamo - dice ancora Giovanni - che quando apparirà, saremo simili a Lui perchè lo vedremo come Egli è». Lo stato di queste anime perfette, pur nella differenza delle esperienze, - sembra che Dio stesso si adatti in questo a tradizioni teologiche diverse - è nel suo fondo uguale allo stato di Unione trasformante di cui parlano i Santi dell'Occidente. Del resto le espressioni stesse dei nostri santi richiamano stranamente le esperienze dei mistici orientali per la insistenza singolarissima su termini che indicano visione: luce, fuoco, fiamma viva, lampade di fuoco, incendio di amore...
Si dispiega ora nell'anima il riposo di Dio, l'uomo è inondato dalla gioia divina: nessun turbamento o aridità sottraggono più all'uomo il sentimento e la visione di Dio, e l'anima, come perduta nella luce, tuttavia possiede in Dio una coscienza intera e perfetta di sé: «è nella pienezza dello Spirito Santo» dice con la sua pura semplicità Serafino di Sarov. L'uomo, anima e corpo. è divinizzato, i suoi sensi sono spiritualizzati, il corpo è come glorificato: vede la luce divina, non è soggetto al freddo, non è soggetto alla corruzione...
Questa mistica ha un carattere più primitivo, meno elaborato della mistica cattolica certo, una psicologia mistica rudimentale in confronto alla mistica psicologica spagnola, una mistica ingenua ignara di problemi filosofici in confronto alla mistica speculativa tedesca; ma anch'essa ha un suo fascino profondo: è la mistica tutta teologica e scritturale dei primi Padri della Chiesa, ha la semplicità e serenità delle grandi cose, la purità delle altezze.
Serafino di Sarov non è un poeta. Il suo linguaggio non è soltanto umile, è povero, misero. Il lungo silenzio in cui si era sepolto sembra abbia tolto al monaco l'uso della parola: la parola sembra risalire da profondità abissali e rimaner come attonita nella luce. Sembra essere senza accento, rarefatta come l'aria nelle altezze nevose: l'anima è rimasta assente, lontana. Ogni suono, ogni accento sembra disfarsi e sciogliersi in quella grande pace in cui vive lo spirito del grande eremita.
Il linguaggio medesimo spira la pace: una luce che riposa, una dolcezza che quieta le ansietà e i turbamenti interiori. In queste parole veramente si ascolta una voce che viene da altro mondo del nostro: parla con un linguaggio umile, piano, fiorito d'immagini e similitudini povere e quotidiane, ma si appoggia sulla Parola di Dio e sembra partecipare nella sua semplicità all'autorità di quella Parola. Le fonti dirette di questa mistica, prescindendo dalla esperienza viva di Dio, non sono filosofiche: sono oltre la liturgia, la Sacra Scrittura e i Padri orientali, i libri apocrifi e le leggende agiografiche della Cetyi – Minej.
Sia pur umile questo linguaggio, l'insegnamento non è per questo meno preciso e definitivo, non è per questo meno grande e salutare la sua influenza.
Serafino di Sarov vede nella vita mistica il coronamento naturale e necessario della vita cristiana. Egli allarga infinitamente la dimora degli amici di Dio, dei segnati dalla grazia: non soltanto invita tutti i cristiani ad entrarvi, ma li premura con dolce e forte violenza, perchè questa sola è per lui la via della salvezza. Dio è veramente di una larghezza infinita nei suoi doni, un Amore senza misura «che dà e concede anche a chi non invoca il suo nome». La preghiera umile del povero è irresistibile sul suo Cuore divino: basta che si innalzi anche senza segni esteriori ed è «sull'istante» esaudita. Quello che Serafino di Sarov esige dall'anima è soltanto la semplicità della fede: la sua mistica in verità è una mistica soprannaturale assolutamente estranea al misticismo plotinico o indiano, non è in nessun modo riducibile a un processo dell'intelligenza come in Plotino, o il risultato psicofisico di certe pratiche ascetiche come nella mistica indiana. È qui la sua grandezza più vera. «Col pretesto della cultura siamo giunti a tale tenebra di ignoranza» che ci rimane oggi incomprensibile il linguaggio della Sacra Scrittura e dei Santi, ma per chi ha fede anche oggi tutto è possibile perchè Dio opera nell'uomo secondo la misura della sua fede: l'immensa generosità di Dio attende solo che l'uomo apra il suo cuore per effondersi in lui e colmarne gli abissi.
Quando Motovilov infermo andò a Sarov per implorare il miracolo della sua guarigione, Serafino gli domandò: - Credete voi che Dio il quale in passato ha sanato istantaneamente con la sua sola parola o il suo solo contatto i malati, possa anche oggi con altrettanta rapidità e facilità sanare coloro che implorano il suo aiuto? Che l'intercessione della Madre di Dio è onnipotente?
Lo credo, lo credo fermamente... - gli rispose il malato.
- Ma se avete questa fede, siete già guarito - disse allora lo staretz fissando con occhi pieni di pura letizia colui che era già risanato.
Tanto è naturale e profonda l'unione di Serafino con Dio che non sembra esserci più differenza fra il Paradiso e la terra: la vita terrena diviene, nella fede semplice e nell'umiltà pura dell'anima, il principio della vita celeste. Come le acque di un fiume che si stendono larghe placidamente fino a perdersi nell'immensità dell'Oceano, così l'anima di Serafino già gode di una gioia celeste ed entra nella pace divina. Il discorso delle beatitudini non è più parola estranea alla terra, poesia di altri mondi: il Vangelo vive in lui. L'Eden non è più un ricordo lontano, una antica segreta nostalgia dell'umanità: egli lo ha ritrovato e ce ne indica egli stesso la via. L'angelo non difende più la sua porta, la via è facile e piana. L'anima ci giunge in un volo, come senza sapere.
Poche volte la serenità luminosa del cielo si è specchiata in acque più limpide e pure.
Effettivamente la dottrina mistica di Serafino di Sarov è colma di un sereno ottimismo soprannaturale, pura come la luce, ha la freschezza e la gioia del miracolo, una novità, una levità che supera l'attesa del desiderio e della speranza. Dostojewskij si è ispiralo a lui. Non soltanto nel voler abolita la distinzione fra monaco e laico perchè questa esperienza di Dio, questa visione di bellezza spirituale irradiasse nel mondo, ma anche più particolarmente a Serafino nel presentarci la nobile figura dello staretz Zossima nei «Fratelli Karamazov». Alcuni hanno pensato allo staretzAmbrogio, ma senza ragione. Non per nulla i monaci di Optina, secondo quanto scriveva Leontjev, ridevano della creazione artistica di Zossima. Certo Dostojewskij ha pensato anche a lui, ma egli si è ispirato piuttosto alla semplicità meravigliosa e all'amore attivo di Tichon di Sadonsk una delle anime più pure che abbia conosciuto la Russia, e, per la gioia trasfigurante, a Serafino di Sarow.
Una prova che Dostojewskij aveva, presente Serafino di Sarov quando parlava di Zossima è l'accenno, fatto dallo staretz, di un gran santo che offre da mangiare a un orso feroce: è una pagina della vita di Serafino e ci ricorda i fioretti e il lupo di Gubbio. Se lo scrittore non volle attribuire questo miracolo direttamente al suo staretz, è perchè egli volle escludere il miracolo esterno dalla sua vita e dalla sua morte. Zossima allora pellegrinava attraverso la Russia, racconta Dostojewskij. Una volta si trovò a passare la notte sulla riva di un fiume insieme a un giovane pescatore. «Io gli raccontai come un orso venne un giorno presso un eremita che faceva la sua preghiera nella foresta, nella sua piccola cella. Il Santo fu intenerito e senza timore gli andò incontro e gli offrì nella sua mano un boccone di pane, come per dire: - Va', e che Cristo ti accompagni! - e la bestia feroce obbedì e si ritirò senza fargli alcun male. Il giovane pescatore rimase colpito dalla docilità dell'animale e che Cristo fosse anche con lui.
- Com'è bello - egli disse. - Come tutto quello che Dio ha fatto è bello e meraviglioso!...».
Lo scandalo per la corruzione dello staretz dopo la morte ricorda certo le difficoltà opposte alla canonizzazione di Serafino di cui non si trovarono alla esumazione che le ossa. Si diceva richiesto dalla legislazione canonica ortodossa per la glorificazione di un servo di Dio, la perfetta incorruzione del corpo, condizione che non si era avverata in Serafino. Le parole del monaco Giuseppe nei Karamazov che «non era certo un dogma della Chiesa ortodossa la necessità della incorruzione del corpo dei giusti, ma una opinione: che persino nei paesi più ortodossi, per esempio sul Monte Athos, nessuno si turbava per l'odore cadaverico perchè l'incorruzione non era considerata il segno principale della glorificazione degli eletti...», sono esattamente le ragioni che si portarono dal metropolita Antonio di Pietrogrado per addivenire alla canonizzazione di Serafino. Soprattutto però è ispirata a Serafino la concezione di tutto il Cristianesimo di Dostojewskij, il riconoscimento che la vita è un paradiso e siamo noi a non volercene rendere conto. È il pensiero cui torna continuamente con profonda e commossa convinzione il grandissimo scrittore, il motivo più vivo del «suo» cristianesimo, che sembra a volte anche troppo legato alla visione di quel paradiso terrestre che era per Serafino solo un inizio e un pregustamento dell'altro. (Vedi tutto il libro IV dei «Fratelli Karamazov», Il sogno di un uomo ridicolo, L'età dell'oro nei «Dèmoni» e nell'«Adolescente»).
Di fatto nessun Santo della Chiesa russa poteva dare a Dostojewskij il senso della trasfigurazione spirituale, in una pienezza traboccante di gioia come Serafino di Sarov. Anche se Dostojewskij non poté conoscere il colloquio con Motovilov che fu ritrovato soltanto nel 1903, egli poté però conoscere Serafino da altre fonti, dai ricordi personali forse di coloro stessi che l'avevano veduto. Era proprio questo irraggiamento luminoso dello spirito, questa sovrabbondanza trionfante di gioia pasquale il carattere tipico della santità dell'eremita di Sarov, che meravigliava e avvinceva.
Dice Serafino di Sarov: «Dio non ci rimprovera se usufruiamo dei beni terreni... Dio vuole la nostra gioia, non esiste al mondo nulla di meglio della devozione congiunta alla gioia. Anche la Santa Chiesa prega affinché questa ci venga concessa dal Signore: sebbene infatti la sofferenza e la sventura e tutti i vari affanni siano inseparabili dalla nostra vita terrena, pure Dio non ha voluto e non vuole che noi viviamo solo tra affanni e sventure e perciò ci comanda per bocca degli apostoli di portare il peso l'uno dell'altro e con ciò adempiere al comandamento di Cristo. Gesù stesso ci impose il comandamento di amarci l'un l'altro, per modo che la consolazione di questo reciproco amore ci faciliti l'angusto e doloroso nostro cammino verso la patria celeste. E perchè mai sarebbe Egli venuto a noi dai cieli se non per assumersi la nostra miseria e arricchirci con i tesori della sua bontà e dei suoi ineffabili doni? Non è certo venuto perchè noi gli serviamo, ma per servire Lui stesso gli altri e per dare l'anima sua per la nostra salvezza. Così voi, anima devotissima, operate e dopo aver chiaramente visto la benevolenza divina che vi sarà stata concessa, comunicatela a chiunque desideri la propria salvezza». Come non ricordare le pagine mirabili di Dostojewskij quando Alioscia dinanzi al feretro dello staretz ascolta la lettura delle nozze di Cana? E gli insegnamenti sull'amore di Zossima non sembrano essere una variazione, una traduzione letteraria di queste umili parole? Non si può dire che Serafino ci perda anche letterariamente dinanzi a Dostojewskij: là c'è forse più fuoco, più contenuta potenza, qua più candore, più luce: la semplicità pura della parola di un Santo. Anche nella letteratura mistica occidentale non molte pagine si potrebbero mettere accanto a questa: forse lo stupore estatico dei Fioretti, la casta luminosità di certe pagine dell'Imitazione di Cristo.
Nei primi anni del secolo si parlò molto in Russia di una Chiesa dello Spirito Santo (qualcosa di simile avvenne nel Medioevo da noi). Serafino di Sarov, per gli intellettuali russi estranei e ostili alla mentalità ascetica bizantina dell'Ortodossia, fu il tipo di una nuova spiritualità carismatica: alla religione gerarchica del Figlio, ascetica e giuridica fino nel mistero suo fondamentale della Redenzione, subentrava la religione dello Spirito Santo, la religione della libertà e dell'amore. Serafino fu il rappresentante di questa santità nuova di ordine pneumatologico piuttosto che cristo-logico. Poi si arrivò persino a parlare dell'incarnazione dello Spirito Santo in Giovanni di Cronstadt.
Il vero Cristianesimo russo, quello più originale, è senza dubbio più nel Cristianesimo profetico e «spirituale » di Dostojewskij, di Solovjov che in Leontjev, e Serafino di Sarov, Sergio di Radonež, Giovanni di Cronstadt ne sono i rappresentanti migliori. È il Cristianesimo luminoso della Resurrezione. Il mondo è come penetrato di Dio e diviene trasparente. Il peccato non pesa più sul mondo redento. L'anima va a Dio per un movimento spontaneo, e Dio non è lontano dall'uomo. «La pietà per il peccato» così caratteristica al Cristianesimo russo è giustificata dalla ricchezza di una Misericordia che non può conoscer confini e trabocca infinita su tutto: nemmeno il peccato può arrestar la sua piena. Il mondo non ha più il sapore del peccato e del male: all'anima la creazione riappare «buona» come apparve a Dio al principio dei giorni. Tutto ha di nuovo la semplicità pura dell'innocenza. Il legame con Dio è tanto intimo e dolce, tanto profondo e naturale che non avviene fra spirito e spirito, ma Dio si unisce all'uomo attraverso tutta la sua vita: tutta la sua vita fisica e spirituale diviene una comunione con Dio. Questo Cristianesimo non spezza i legami dell'uomo col mondo, dell'anima col suo corpo, ma vuole e opera la santificazione di tutto e tutto nella sua indivisibile unità eleva a Dio, fa veicolo di grazia, immagine della Divinità. Ma il Cristianesimo russo oscilla paurosamente, senza trovare un equilibrio in se stesso, fra un ascetismo monastico di tipo bizantino che si esprime nella rinunzia e nella assoluta negazione del mondo e uno spiritualismo panico, una religiosità vaga in cui l'adesione alla terra è quasi fisica e come animale.
Rozanov, con evidente esagerazione, ha scritto: «l'Oriente fu sempre animale, nel senso non fisiologico della parola, ma mistico religioso». Tuttavia sviluppando questa adesione mistica e religiosa alla vita terrestre fino all'ultima conseguenza, arrivò egli stesso a sentirsi estraneo al Cristianesimo, anzi ostile e nemico. Nel Cristianesimo russo che celebra l'unione della terra con Dio e della carne con lo spirito, di fatto rimane sempre un'insidia segreta un qualcosa di torbido che lascia perplessi. La gioia pasquale, la trasfigurazione, l'irraggiamento luminoso dello Spirito Santo nella pace ineffabile è per coloro che hanno già partecipato al mistero della Crocifissione nel distacco dal mondo. «Chi ama il mondo non può evitare di essere afflitto, ma colui che ha dispregiato il mondo è sempre nella gioia» insegna Serafino. Il ritorno al Paradiso perduto si ottiene soltanto attraverso l'ascesi e non può dispensar dall'ascesi, insegna il gran penitente. di Sarov. Solo così, nei santi l'equilibrio è raggiunto. Essi soli realizzano le parole di Cristo: «Beati i miti perchè possederanno la terra». La loro santità rimane una santità cristiana. La religione dello Spirito Santo non si contrappone alla religione del Cristo, non è una nuova religione, è il vertice della stessa vita cristiana, essi ci dicono. L'anima non giunge alla libertà che attraverso l'austera legge della rinunzia e della mortificazione. Il Cristianesimo della Risurrezione suppone la Croce. Quando si parla di una religione dello Spirito Santo contrapponendola alla religione del Cristo, si parla in realtà soltanto di una religione della carne: torbida, opaca, animale. Non è l'annuncio di una nuova età religiosa più pura, ma il ritorno a un'età religiosa pagana, il riaffiorare, nella umida e calda aderenza alla terra, dei riti del matriarcato primitivo.

Altri testi

La «trasfigurazione di Serafino»

- Guardatemi semplicemente. Non temete : Dio è con noi.
Dopo queste parole alzai gli occhi e un riverente terrore mi assalì. Immaginate il volto dell'uomo col quale conversate situato al centro del sole nel più vivo splendore meridiano. Voi vedete il movimento delle sue labbra, l'espressione mutevole dei suoi occhi, udite la sua voce, sentite che qualcuno vi tiene per le spalle con le mani, ma non riuscite a vedere né queste mani, né la sua figura, né voi stesso: solo una luce accecante che si propaga lontano, per molti metri tutt'attorno e illumina di vivo splendore il manto di neve che copre il prato, la nivea farina che scende dall'alto, voi stesso e il grande vegliardo.
Non è possibile immaginare il mio stato in quel momento!... Io stesso ho visto con i miei propri occhi l'ineffabile splendore che emanava da lui e potrei confermarlo con giuramento. (Deposizione di Motovilov)
Ricchezza inesauribile
Distribuite i doni di grazia dello Spirito Santo a coloro che ne hanno bisogno, alla maniera di una candela di cera che dà luce lei stessa, bruciando in fiamma terrena ed accende altresì le altre candele per illuminare gli altri luoghi senza per questo perder nulla del proprio splendore. E se questo è vero riguardo alla fiamma terrena, cosa dovremmo dire della fiamma di grazia dello Spirito Santo? Poiché, per esempio, la ricchezza terrena diminuisce mano a mano che viene distribuita, mentre la ricchezza celeste si moltiplica tanto più, quanto più uno la distribuisce. È ciò che Dio stesso ha detto alla Samaritana: «Chiunque beve di quest'acqua avrà sete ancora: chi invece beve dell'acqua che io gli darò, non avrà sete in eterno, anzi l'acqua data da me diventerà in lui una sorgente d'acqua zampillante nella vita eterna». (Colloquio con Motovilov)
La grazia paradisiaca
C'è chi sostiene che il passaggio della Bibbia che dice «Dio infuse il respiro della vita nel primogenito Adamo» significa che prima di quell'istante Adamo non avesse posseduto l'anima e lo spirito umano, ma fosse costituito del solo corpo creato dalla terra. Tale interpretazione è errata poiché Nostro Signore Iddio creò Adamo dalla terra, dandogli quella conformazione che l'apostolo Paolo ricorda con le parole «all'avvento di Nostro Signor. Gesù Cristo sia perfetto il nostro spirito, la nostra anima, e il nostro corpo». Tutte e tre queste parti della nostra natura furono create dalla terra e Adamo fu creato similmente agli altri esseri animali viventi sulla terra come un essere animale vivente e non morto. Ma la differenza sta nel fatto che se Dio non gli avesse infuso nel volto l'alito della vita, cioè la grazia dello Spirito Santo emanante dal Padre, riposante nel Figlio e per tramite suo diffusa nel mondo, egli sarebbe stato bensì superiore alle altre creature per la sua struttura che era quella della perfezione creativa terrena, ma gli sarebbe sempre mancato interiormente lo Spirito Santo che lo eleva alla dignità della somiglianza divina... Quando Iddio infuse nel volto di Adamo l'alito della vita allora, come dice Mosè, Adamo ebbe «un'anima vivente» cioè simile in tutto a Dio e come Lui immortale per l'eternità. Adamo fu creato talmente invulnerabile che né l'acqua poteva annegarlo, né il fuoco bruciarlo, né la terra inghiottirlo nei suoi abissi, né l'aria danneggiarlo. Tutto era soggetto a lui, pupillo di Dio, re e dominatore del creato. E tutto ammirava in lui la perfezione suprema della Creazione divina. La sapienza che derivò Adamo da questo alito di vita fu tale quale nessun uomo del passato possedé mai, né probabilmente esisterà uomo che la potrà uguagliare. Quando Iddio gli comandò di dare un nome ad ogni creatura, a ciascuno egli seppe dare quel nome che significava appieno la qualità, la potenza e le particolarità che le spettavano per dono divino all'atto della sua creazione. Per questo dono di soprannaturale grazia divina Adamo poteva vedere e intendere Dio camminante nel Paradiso, comprendere le sue Parole, il conversare degli Angeli e la lingua di tutte le fiere... Dio concesse un'analoga sapienza, forza, onnipotenza anche ad Eva creandola non dalla terra, ma dalla costola di Adamo nell'Eden della dolcezza, nel Paradiso situato da Lui al centro della terra. Affinché essi potessero sempre alimentare in sé l'eterna e perfettissima essenza di quell'alito vitale, Dio piantò al centro del Paradiso l'albero della vita nei cui frutti era condensata l'essenza di quell'alito divino. E se non avessero peccato Adamo ed Eva con tutta la loro progenitura, avrebbero potuto, mercè la virtù dei frutti dell'albero della vita, mantenere intatta la forza vivificante della grazia divina, la pienezza giovane ed eterna del vigore del corpo e la costante giovinezza del loro stato beato e immortale quale noi non sapremmo neppure concepire. Ma perchè mangiarono i frutti dell'albero della conoscenza del bene e del male... furono privati del dono inestimabile della grazia divina: cosicché fino alla venuta nel mondo di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, lo Spirito Santo «non era nel mondo perchè Gesù non era stato glorificato». Lo Spirito Santo non era completamente assente dal mondo, ma la sua presenza non era così piena come in Adamo e come in noi cristiani ortodossi e si manifestava soltanto dal di fuori.

Nota

Proprio del Cristianesimo russo e in generale dell'Oriente è la volontà, il bisogno di riconoscere anche nelle dottrine religiose pagane l'orma di Dio, il tralucere della verità divina. L'occidente teme sempre di contaminare la purezza del messaggio evangelico, della religione biblica appellandosi alle religioni pagane: nel protestantesimo la cura di questa purezza biblica, questa volontà di purezza è ancor più accentuata, fino all'esclusione del ripensamento teologico dei Padri greci e latini (ma se il messaggio evangelico non potesse ripensarsi dagli uomini e dai vari popoli senza comprometterne la purezza, come potrebbero gli stessi protestanti germanici o anglo-sassoni avere una teologia cristiana? Il ripensamento di quel messaggio non è sempre necessariamente il ripensamento di uomini che appartengono a una data cultura, a un dato popolo?).
Nel Cristianesimo orientale, e russo in particolare, questo timore è assai meno vivo. Serafino di Sarov parla di una Provvidenza divina che prepara tutti i popoli alla salvezza, riconoscendo nelle religioni e nelle filosofie pagane un'azione positiva dello Spirito Santo. «Se pure con intensità minore che non nel popolo eletto, le manifestazioni dello Spirito divino si verificavano anche presso i popoli pagani che non avevano mai visto il vero Dio, perchè anche tra loro Dio trovava anime elette. Tali erano per esempio le vergini profetesse Sibille che offrivano la loro verginità a un Dio ignoto, Creatore e Reggitore dell'universo, quale lo concepivano anche i pagani. Così pure i filosofi pagani, pure errando nelle tenebre dell'ignoranza di Dio, con questa loro ricerca della verità, gradita a Dio, potevano esser partecipi dello Spirito Santo».
È comune ai teologi orientali dopo che ai Libri sacri dell'Antico Testamento e del Nuovo, appellarsi anche ai libri profetici pagani in particolare ai libri sibillini. E Solovjov non soltanto vedeva nel processo della storia umana universale l'azione del «Logos» ma soprattutto deve la sua formazione cristiana agli elementi più eterogenei: lo gnosticismo antico, la Kabala, Böhme, Paracelso.... e contempla, insieme a Jvanov e a Merezkowkij, nelle mitologie pagane la figura e l'ombra di Cristo, sicché Edipo, Giocasta, Pigmalione, Prometeo, Dioniso... hanno per loro un significato cristiano, hanno il loro senso vero nel Cristianesimo. È anzi proprio questa la più grande e luminosa originalità del pensiero religioso russo, Anche la sofiologia di Bulgakov non è in fondo che la giustificazione teologica cristiana della religione della terra madre propria della Russia pagana e il tentativo grandioso di una vera gnosi ortodossa. In questi tentativi, veramente suggestivi, i filosofi e teologi orientali e russi di oggi non ripetono forse i tentativi, a volte infelici, ma a volte mirabili per potenza speculativa e sentimento religioso, degli antichi Padri d'Oriente? Mentre coi Padri latini è particolare la cristianizzazione della morale stoica pagana (Seneca e Cicerone), negli orientali è la cristianizzazione degli stessi miti religiosi pagani, conosciuti attraverso la filosofia platonica, come si potrebbe vedere facilmente in Origene, in Sinesio di Cirene e perfino nella mistica di San Gregorio di Nissa.



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