domenica 18 agosto 2013

La donna e la Parola di Pavel Evdokimov


Le Sante Mirofore

 
 Da “Catéchèse” n. 16 (1964) Centre National de l’Enseignement Religieux.

 

La presente riflessione si ispira a nozioni antropologiche desunte dalla Bibbia, al pensiero patristico e alla spiritualità, detta orientale, della Chiesa Ortodossa. Secondo l’immagine luminosa di S. Paolo, la Chiesa, “Corpo intero, ben coerente e fortemente unito da tutte le giunture che fanno comunicare le sue parti, trae il suo accrescimento secondo la forza data a ciascuna di esse” (Ef 4, 16). Il contesto di questo versetto parla chiaramente dei carismi, dei doni che ciascuno riceve per essere a servizio di tutta la Chiesa, nella quale ciascuno è complementare agli altri. La realtà carismatica di ogni persona è dunque essenziale per il nostro tema.

Nella storia, la rottura dell’equilibrio delle componenti umane dà facilmente luogo al formularsi di false questioni. Così è della “questione femminile”: quando l’uomo la pone senza porre la propria, si isola in se stesso, si separa dalle sorgenti limpide della vita, denuncia il suo artificio e si dimostra irrealista.

In un mondo essenzialmente maschilista, in cui tutto è posto sotto il segno del patriarcato, l’uomo, armato della sua ragione, razionalizza l’essere e l’esistenza, perde i suoi collegamenti cosmici con il cielo e con la natura, e anche con la donna, in quanto mistero complementare del proprio essere. Eliminando la metafisica e la mistica che lo mettono a disagio scivolando verso astrazioni cerebrali, l’uomo vede chiudersi davanti a lui la dimensione della profondità, quella dello Spirito Santo. Egli traccia le grandi strade della civiltà, ben calcolate, dove il posto della donna deve essere quello di un essere inferiore.

Per istinto di autodifesa egocentrica, l’uomo incatena la donna come una potenza malefica, perenne minaccia alla sua libertà. Questa resterà sottomessa al potere supremo del capo, all’autorità indiscutibile dell’uomo. Il principio solare, la chiarezza, è l’uomo. “I1 principio buono crea l’ordine, la luce, l’uomo; il principio cattivo crea il caos, le tenebre, la donna”, enuncia una sentenza pitagorica.

L’uomo cerca di affermarsi superando ciò che lo limita. Ora, ogni donna è un limite, perché è “altra”, e pone l’alterità; l’uomo vede in essa una prigione che restringe i suoi orizzonti e limita il suo spirito.

La coscienza collettiva esprime miti menzogneri, alle donne cristiane di oggi si applicano ancora prescrizioni rituali stabilite all’epoca rabbinica, nella quale risuonava la preghiera: “Benedetto sii tu, Adonai, che non mi hai creato donna”. Il complesso di Adamo - quanto “maschile!” - si rifugia in quelle parole: “La donna mi ha dato il frutto dell’albero...”. La rivoluzione operata dall’Evangelo esigerà un tempo assai lungo; gli stessi discepoli del Signore restano sorpresi del semplice fatto che Cristo conversa con una donna (Gv 4, 27).

1. I carismi della donna

La donna ha la sua maniera d’essere, un suo modo di esistenza, il dono di tessere il proprio essere con la sua relazione particolare con Dio, con gli altri, con se stessa. Nonostante le deformazioni storiche di fondo di sé il mistero del suo essere e dei suoi carismi: ciò che S. Paolo designa con il simbolo eternamente ricco del “velo” (1 Cor. 11), segno evidente del sacro. Al contrario, la grande Prostituta di Babilonia (Ap. 17) profana e degrada la propria femminilità in quanto essenza religiosa del femminile; essa strappa il suo“velo”, si denuda, si disincarna del mistero femminile, del fiat pronunciato alla sua eterna maternità. Ogni donna deve decifrare questo mistero per leggervi il suo destino, la sua vocazione, i suoi carismi.

Il racconto biblico della prima monade umana Adamo-Eva mostra in essa l’archetipo originale della consustanzialità dei principi complementari. La caduta li polarizza, e da allora o sono dei contrari in lotta, o delle alterità che si accettano e si completano, per farne una “nuova creatura” in Cristo.

L’uomo supera il proprio essere, è più esteriorizzato; il suo carisma di espansione dirige il suo sguardo al di là di sé: egli riempie il mondo delle sue energie creatrici, si impone, padrone e conquistatore, ingegnere e costruttore. Riceve accanto e sé la donna, suo aiuto. Questa è insieme sua fidanzata, sua sposa e sua madre.

Più interiorizzata, la donna resta agevolmente nei limiti del suo essere, di cui riempie il mondo con la sua presenza irradiante. “Gloria dell’uomo” (1 Cor 11, 7), nella sua purezza luminosa è come uno specchio che riflette il volto dell’incontro tra Dio e l’uomo. Lo rivela a se stesso, e con ciò lo corregge. Così aiuta l’uomo a comprendersi e ad attuare il senso del proprio essere: lo completa decifrando il suo destino, perché è con l’aiuto della donna che l’uomo diventa più facilmente ciò che è.

La parola di san Pietro (1 Pt. 3, 4) si rivolge a ogni donna e contiene tutto un evangelo del femminile sulla sua maternità spirituale. Questo testo definisce con esattezza il suo carisma fondamentale: la generazione dell’uomo nascosto nel suo cuore, homo cordis absconditus.

L’uomo è più incline ad interessarsi solo della propria causa; al contrario l’istinto materno della donna come nelle nozze di Cana (Gv 2, 1 e segg.) scopre immediatamente la sete dello spirito anche degli uomini e trova la sorgente eucaristica per estinguerla. Il rapporto sociologico madre-figlio fa che la donna,Eva-fonte di vita, vigili su tutto l’essere, protegga la vita del mondo. Il suo carisma della “maternità”interiorizzata e universale porta ogni donna verso l’affamato e il bisognoso, e precisa mirabilmente l’essenza femminile; vergine o sposa, ogni donna è madre in aeternum: è il carattere sacramentale iscritto nel suo stesso essere. Le componenti della sua anima la predispongono a “covare” tutto ciò che trova sul suo cammino, a scoprire nell’essere più virile e più forte un fanciullo debole e senza difesa.

Se si definisce l’amore maschile: “amare è avere bisogno”, per la donna “amare è soddisfare un bisogno”, prevenirlo e precorrerlo. “Gesù vedendo sua madre e vicino a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna ecco tuo figlio”. Parola fondamentale che fa della Vergine Maria, figura della Chiesa-Madre e di ogni donna, un essere ecclesiale: l’eterno-virgineo, l’eterno-femminino che ne deriva, e l’eterno-materno, archetipo della Magna Mater.

2. Il valore religioso del femminile

Conquistatore, avventuriero, costruttore, l’uomo non è eterno nella sua essenza. Un antico testo liturgico proietta sulla maternità della Vergine la luce della paternità divina: “Tu hai generato il Figlio senza padre, quel Figlio che il Padre prima dei secoli ha generato senza madre”. La maternità della Vergine si pone così come figura umana della Paternità divina.

Questo ordine spiega perché il principio religioso di dipendenza dall’aldilà, di recettività, di comunione, si esprime più immediatamente per mezzo della donna; la sensibilità particolare allo spirituale puro risiede maggiormente nell’anima che nell’animus: è l’anima femminile che s’avvicina maggiormente alle sorgenti, alle origini, alla genesi. La Bibbia fa della donna l’organo della recettività spirituale della natura umana, infatti, la promessa della salvezza è stata fatta alla donna, la donna riceve l’Annunciazione, a lei il Risorto appare per prima, la donna “vestita di sole” raffigura la Chiesa e la Città celeste nell’Apocalisse. Allo stesso modo, Dio sceglie l’immagine della sposa e della fidanzata per esprimere il suo amore verso l’uomo, e la natura nuziale della comunione. Infine l’evento più importante: l’Incarnazione si compie nell’essere femminile della Vergine, è lei a dare al Verbo la sua carne e il suo sangue.

Alla Paternità divina come specifico dell’essere di Dio, risponde direttamente la maternità femminile come specificità religiosa della natura umana, la sua capacità recettiva del divino. Il fine della vita cristiana è di fare di ogni essere umano una madre, un essere predestinato al mistero della nascita: “affinché Cristo sia formato in voi” (Gal 4, 19).

La santificazione è l’azione dello Spirito che opera la nascita miracolosa di Gesù nel profondo dell’anima. Perciò la Natività simboleggia ed esprime il carisma di ogni donna, di generare Dio nelle anime devastate: “Il Verbo nasce sempre di nuovo nei cuori degli uomini”, dice la Lettera a Diogneto. Per San Massimo, il mistico è colui nel quale si manifesta la nascita del Signore. Quando San Paolo desidera esprimere la sua paternità spirituale, usa l’immagine della maternità: “Io provo i dolori del parto”.

3. L’essere della donna e la sua vocazione

La Bibbia indica nella donna il punto predestinato dell’incontro tra Dio e l’uomo. Se l’uomo partecipa all’Incarnazione con il suo silenzio, nella persona di San Giuseppe, è la donna invece a pronunciare il fiat a nome di tutti. Al fiat creativo del Padre risponde l’umile fiat della “serva del Signore”. Cristo non avrebbe potuto prendere carne e sangue umani se l’Umanità-Maria non glieli avesse dati liberamente, come dono, pura offerta. La Vergine è il punto di incontro, il luogo di convergenza dei due fiat. Figura della Chiesa, la Vergine personalizza il suo principio di protezione materna, orante; è la preghiera della Chiesa, quella che intercede.

In greco castità significa integrità e integrazione, la potenza stessa di unire. Un’antica preghiera liturgica chiede alla Purissima Madre di Dio: “Con il tuo amore, lega la mia anima” dall’aggregato di stati psichici, fa uscire l’unità, l’anima. Questa integrazione è la sola capace di arrestare l’opera di demolizione a cui si abbandona il genio maschile moderno. In verità, la salvezza della civiltà dipende dall’“eterno-materno”.

Si coglie la sua potenza salvatrice se si comprende che Eva non fu tentata in quanto “sesso debole”; al contrario, è stata sedotta perché è lei che rappresenta il principio dell’integrazione religiosa della natura umana; colpita al cuore, questa soccombe immediatamente: Adamo la segue, docilmente (“la donna mi ha offerto il frutto”), senza offrire alcuna resistenza, senza formulare domanda.

Lasciato a se stesso, l’uomo si smarrisce nell’infinito delle sue astrazioni, in tecniche perfezionate di avvilimento; degradato, diventa degradante e crea un mondo che risponde ai suoi postulati disumanizzati, l’uomo è in agonia.

L’uomo si prolunga nel mondo con l’utensile; la donna lo fa con il dono di sé. Nel suo essere stesso essa è legata ai ritmi della natura. Se la caratteristica dell’uomo è agire, quella della donna è essere: ed è lo stato religioso per eccellenza. L’uomo crea la scienza, la filosofia, l’arte, ma altera tutto con una tremenda obbiettivazione della “verità organizzata”.

La donna è l’opposto di ogni obbiettivazione, il suo forte non è la creazione ma la generazione. Nel suo essere stesso, essa è il criterio che corregge ogni astrazione per ricollocare al centro i valori, per fare in modo che si manifesti correttamente il verbo maschile. Istintivamente la donna difenderà sempre il primato dell’essere sulla teoria, dell’operativo sullo speculativo, dell’intuitivo sul discorsivo. Essa possiede il dono di penetrare immediatamente nell’esistenza dell’altro, la facoltà innata di cogliere l’imponderabile, di decifrare il destino. Proteggere il mondo degli uomini in qualità di madre, e purificarlo in qualità di vergine, dando a questo mondo un’anima, la sua anima: tale è la vocazione di ogni donna, religiosa, nubile o sposa.

L’uomo ex-statico è nell’estensione di se stesso, nella proiezione del suo genio al di fuori, per dominare il mondo; la donna in-statica è rivolta verso il proprio essere, verso l’essere. Il femminile si esercita a livello della struttura ontologica; non è il verbo ma l’esse, il grembo della creatura. È questa la manifestazione della santità, quella santità dell’essere che è insopportabile ai demoni; e non mediante gli atti ma nella sua purità-santità la donna ferisce il dragone alla testa.

In Eraclito, “la guerra è il padre di tutte le cose; al contrario, l’armonia, l’accordo, è la madre di ogni cosa”. Il padre-guerra è simboleggiato dall’arco, e la madre-sinfonia dalla cetra. Ora la cetra, si potrebbe dire, è l’arco sublimato, l’arco dalle molte corde; anziché la morte, essa canta la vita. Così il maschile guerriero, omicida, può essere accordato dal femminile e cambiato in vita, cultura, culto, liturgia dossologica.

4. I simboli e la storia

La Didaskalia lega ontologicamente il femminile al mistero dello Spirito Santo: “Il diacono ha il posto di Cristo, e voi lo amerete; onorerete le diaconesse al posto dello Spirito Santo”. Per questo nel simbolismo dell’assemblea liturgica, la donna è chiamata “l’altare” e rappresenta la preghiera. Immagine dell’anima in adorazione, essa è l’essere umano divenuto preghiera. Nell’affresco delle Catacombe di S. Callisto, l’uomo stende la sua mano sul pane dell’offerta, ed è il sacrificatore, il vescovo, colui che agisce, che celebra. Dietro a lui sta in piedi l’orante, la donna in preghiera, offerta pura e dono totale. Nel suo carisma di protezione essa eleva la vita, il mandato di insegnamento durante gli uffici gli uomini verso Dio. Essa è sotto il segno dello Spirito che aleggia, “cova”, secondo il termine ebraico del racconto della Creazione, segno del Paraclito, Avvocato e Consolatore.

Il sacerdozio di ordine, l’episcopato e il presbiterato, è una funzione maschile di testimonio: il vescovo attesta la validità salvatrice dei sacramenti e possiede il potere di celebrarli; ha il carisma di vigilare sulla purezza del deposito della fede ed esercita il potere pastorale.

Il ministero della donna appartiene al sacerdozio regale femminile, non è nell’attribuzione di funzioni ma nella sua natura. Il ministero d’ordine (il sacerdozio) non si trova nei suoi carismi: sarebbe tradire il suo essere; tuttavia la sua vocazione personalizzata nella Vergine Maria non è inferiore: è semplicemente diversa, e qui noi tocchiamo da vicino il nostro tema.

La spiritualità monastica è assai rivelatrice su questo punto: se su altri piani apparentemente la donna è un essere inferiore all’uomo, al contrario, sul piano carismatico l’uguaglianza tra uomini e donne è perfetta. Clemente Alessandrino nota: “La virtù dell’uomo e della donna è una medesima virtù, una stessa natura di condotta”[1]. Teodoreto osserva che certe donne “hanno lottato non meno, se non di più degli uomini…; con una natura più debole hanno mostrato la stessa risolutezza degli uomini”[2].

Il loro forte è la “divina carità”, e una grazia particolare per appassionarsi di Cristo. Nessuno le ritiene inferiori: sono giudicate capaci di dare la direzione spirituale alle religiose, alle stesse condizioni degli uomini. Una donna carismatica, theophotistos, illuminata da Dio, riceve il titolo di ammas, madre spirituale[3]. In genere sono le madri del loro monastero, come Pacomio lo era del suo. La gente di fuori veniva a trovarle e a chiedere loro consigli (Santa Eufrasia, Santa Irene).

L’abate Isaia compone un libro di sentenze delle Madri, il Materikon, simile al Paterikon, sentenze dei Padri. All’infuori del potere sacramentale, e di tenere le omelie nelle chiese durante gli uffici (riservato all’episcopato e al sacerdozio d’ordine), le Madri avevano esattamente le stesse prerogative e doveri dei Padri presso i monaci. Esse non sono le madri delle Chiese, prerogativa esclusiva dei Padri, dei Vescovi e dei Dottori, ma sono le madri spirituali e partecipano alla propagazione della dottrina. I testi liturgici celebrano come “uguali agli apostoli” quelle che predicano l’Evangelo ai pagani, li illuminano con l’insegnamento del catechismo, partecipano attivamente all’evangelizzazione (Santa Elena, Santa Nino).

Si può ricordare l’istituzione delle diaconesse. La Didaskalia (III, 8) attribuisce loro il potere di imporre le mani ai malati. Le Costituzioni apostoliche (VIII, 19, 20) parlano dell’ordinazione con imposizione delle mani e invocazione dello Spirito Santo: ciò che designa un ordine minore. Il Testamento di nostro Signore (I, 40, 43) precisa i loro compiti e menziona quello di “istruire le donne catecumene”; ugualmente, secondo le Costituzioni apostoliche (II, 26), le diaconesse “insegnano alle donne gli elementi della dottrina”. Nella Chiesa nestoriana esse leggono gli Evangeli nelle assemblee di donne. Su antiche pietre tombali si legge: Vidua seditrimasta vedova, catechizzò ed esortò, sedendo sulla cathedra.

Tra quelle che hanno servito gloriosamente la Chiesa, troviamo Olimpiade, discepola e amica di S. Giovanni Crisostomo, Procula e Pentadia, Anastasia, corrispondente di Severo di Antiochia, Macrina, sorella di S. Basilio, Lampadia sua amica, Teosobia, moglie di S. Gregorio Nisseno, e tante altre, conosciute e sconosciute.


L’apparizione del Risorto alla santa isoapostola Maria Maddalena

 

5. La donna e la parola, oggi

La coscienza cristiana si evolve. Se al tempo della letteratura rabbinica, un certo dottore in Israele dichiarava preferibile bruciare le parole della Legge piuttosto che affidarle a donne, ancora oggi alcuni ripetono il detto di S. Paolo: “Mulieres in ecclesiis taceant”.

Il racconto di Marta e Maria mostra che l’Evangelo eleva la donna a quel vertice spirituale in cui si apre l’accesso alla “sola cosa necessaria”. San Paolo, proclamando che “in Cristo non c’è né uomo né donna” ispira la pratica della Chiesa, ed egli stesso associa parecchie donne al proprio ministero apostolico. Basta ricordare i nomi celebri di Febe e di Priscilla[4], che hanno esercitato un vero apostolato.

Altre donne furono ripiene di Spirito Santo e profetavano (At 21, 9). Se San Paolo, sollecito dell’ordine, regola le condizioni e in certe circostanze impedisce alle donne di parlare, resta la grande verità: “Non estinguete lo Spirito, non disprezzate le profezie” (1 Ts 5, 19). Accanto a 1 Cor 14, un altro passo della medesima lettera (11, 3-16) ammette la legittimità della profezia e della parola da parte della donna, allo stesso titolo che da parte dell’uomo.

C’era la parola che turbava l’ordine e quella che era dono di profezia. Certo, il mandato di insegnamento durante gli uffici è compito dell’Episcopato. La donna è predestinata dai suoi carismi ad uffici che tengono conto della sua natura particolare e del sacerdozio dei laici. Nell’apostolato laico, tutti e due, l’uomo e la donna, occupano ugualmente, ciascuno nella sua maniera propria, “la prima linea” nel combattimento per il regno di Dio nel mondo. Ed è anzitutto il servizio della fede mediante la parola e la testimonianza vivente. Il primo compito di insegnamento è nella famiglia e nella scuola; ma la donna ha pure una funzione kerigmatica nella parrocchia, nel lavoro dei catechisti laici. È ancora lei, forse con il silenzio orante più ancora che con la parola, a partecipare alla funzione liturgica della comunione dei Santi. “Mai nel corso della storia, diceva Pio XII, gli avvenimenti hanno richiesto dalla donna tanto eroismo quanto ai nostri giorni”.

“Vi sono diversità di carismi..., di ministeri..., di operazioni... Tutto è opera di un solo medesimo Spirito che distribuisce i suoi doni a ciascuno in particolare, come egli vuole”, dice San Paolo (l Cor 12, 4-5). Lo stato coniugale, o di celibato, o religioso, rappresenta diverse forme di vocazioni personalissime delladiakonia. L’immagine originale della pura essenza femminile toglie di mezzo le frontiere empiriche della natura e fa apparire la grazia della “madre spirituale” e della “diaconessa”.

Alla Russia del XX secolo è stato dato di passare attraverso il baratro di un destino storico unico; questa esperienza è ricolma di un senso profetico per quelli che sanno leggerla nel libro del tempo. I grandi spirituali, gli startzy, hanno manifestato un interesse tutto speciale verso la diaconia della donna. Così glistartzy Macario e Ambrogio di Optina, seguendo l’esempio profetico di San Serafino di Sarov, si sono consacrati alla missione femminile, alla formazione apostolica della donna, e ciò testimonia la loro sorprendente chiaroveggenza.

La donna ha una percezione intuitiva, dal suo stesso grembo, dei valori dello Spirito: è dotata di senso religioso; “l’anima è naturalmente cristiana” è detto anzitutto delle donne. I marxisti l’hanno avvertito perfettamente. L’emancipazione delle donne e l’uguaglianza dei sessi sono in primo piano nelle loro preoccupazioni. La virilizzazione della donna tende a modificare il suo tipo antropologico, a tenderla perfino nella sua “psiche” identica all’uomo.

Questo progetto di livellamento nasconde una lotta fra le più violente contro la legge di Dio e mira all’annientamento dello stato carismatico femminile. Ora, la testimonianza è oggi unanime: la fede nella Russia sovietica è conservata dalla donna russa; e tutti sono meravigliati per la parte della donna nella trasmissione della fede. Il rinnovamento religioso e la continuità della tradizione sono dovute alla sposa e alla madre. La donna, la ragazza russa, in pieno movimento di socializzazione, aspirano il più spesso e in una maniera sorprendente a interiorizzare e a vivere la verità che esse leggono sulle icone dellaTheotokos. La loro femminilità discreta sembra ispirarsi più alle “Vergini della tenerezza” che all’ideale essenzialmente virile del regime. È la donna russa, con i suoi carismi, che, senza violenza, conserva i valori eterni, e rifà dal di dentro la Russia cristiana.

Dopo aver formulato il fiat, è ancora la donna predestinata a dire: Non, non sic futurum esse, non possumus. Non senza motivo i grandi spirituali hanno prestato un’attenzione unanime, illuminata di speranza, all’approfondimento del ministero femminile carismatico.

Dal cuore della donna scaturisce spontaneamente, istintivamente, la resistenza invincibile al materialismo e a tutti gli elementi demoniaci della decomposizione della civiltà moderna. La salvezza del mondo non verrà che dalla santità; ora, questa è più interiore alla donna nelle condizioni della vita moderna.

Secondo gli spirituali, il silenzio possiede un valore immenso. Il silenzio attivo è popolato di presenze: “Chi sa ascoltare il Verbo, sa ascoltare il silenzio”. In un certo senso, anche la liturgia è il silenzio dello spirito che ascolta cantando, e questo silenzio è parte integrale dell’ufficio, come lo sono i silenzi di una sinfonia. Così la Vergine “conservava le parole del Figlio nel suo cuore” (Lc 2, 51).

Ogni donna ha una intimità innata, quasi una complicità con la tradizione, la continuità della vita. “Le parole conservate nel suo cuore” sono quelle che la donna può annunciare, come “Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli” ciò che aveva visto ed ascoltato; come le donne mirofore “annunciarono tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri”; come le donne chiamate dalla liturgia “uguali agli apostoli”. La donna ha questo ministero carismatico di testimoniare e di essere serva della Parola, alla sua maniera, alla maniera dello Spirito Santo che manifesta, rivela il Verbo e si nasconde dietro la figura della colomba e della lingua di fuoco pentecostale.

Il “velo”, segno del sacro e del mistero, di cui parla San Paolo, passa, nel tempo pre-apocalittico, all’immagine della donna vestita di sole, della donna rivestita del Verbo. Con tutto il suo essere essa lo predica; con una irradiazione ontologica, lo genera; dalle profondità del suo grembo, del suo cuore, essa porge la Parola al mondo.

 

[1] PG 8, 260 C.
[2] PG 82, 1489 B.
[3] Vitae Patrum, V, 19 19
[4] Harnack vedeva in essa l’autore della Lettera agli Ebrei.
 

 

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