sabato 31 agosto 2013

Regola di S. Benedetto. L'obbedienza.

Capitolo V - L'obbedienza

1. Il segno più evidente dell'umiltà è la prontezza nell'obbedienza. 2. Questa è caratteristica dei monaci che non hanno niente più caro di Cristo 3. e, a motivo del servizio santo a cui si sono consacrati o anche per il timore dell'inferno e in vista della gloria eterna, 4. appena ricevono un ordine dal superiore non si concedono dilazioni nella sua esecuzione, come se esso venisse direttamente da Dio. 5. E' di loro che il Signore dice: " Appena hai udito, mi hai obbedito" 5. mentre rivolgendosi ai superiori dichiara: "Chi ascolta voi, ascolta me".

Tratto dal libro "Cristo Ideale del Monaco" di Don Columba Marmion O.S.B. - Scritti monastici - Monaci Benedettini di Praglia
Capitolo XII
Bonum obedientiae
(Il bene dell'obbedienza)

Fondamento della vita spirituale, nella scuola di S. Benedetto e di S. Tommaso, è l'umiltà, in quanto è virtù necessaria e preparatoria alla carità perfetta: "Mox ad caritatem Dei perveniet illam quae perfecta [est] (Giungerà subito a quella carità che è divenuta perfetta) " (RSB = Regola S. Benedetto 7, 67). Ma il N. S. Padre dimostra come l'espressione pratica dell'umiltà per il monaco sia l'obbedienza: quando l'anima è colma di riverenza verso Dio si sottomette a lui e a chi lo rappresenta, per adempiere in tutto la sua volontà: "Humilitas proprie respicit reverentiam qua homo Deo subjicitur... propter quam etiam aliis humiliando se subjicit (L'umiltà consiste principalmente nella subordinazione dell'uomo a Dio e, di conseguenza, quando si è umili ci si sottomette anche agli altri) " (S. Tommaso, Somma Teologica, Libro II, quest.161). Ecco appunto l'obbedienza, virtù che è frutto e corona dell'umiltà, detta da S. Caterina da Siena, la nutrice che l'alimenta; perché obbedisce solo chi è umile e non si potrebbe esser umili senza obbedire L'umiltà ha per compagna inseparabile l'obbedienza; questa da lei procede, e morrebbe senza la nutrice che le dà vita; non può durare in un'anima senza l'umiltà (S. Caterina da Siena, Dialogo, t. 2).
L'obbedienza., così intesa, finisce di sgombrare gli ostacoli all'unione divina: la povertà ha tolto via il pericolo dei beni esteriori; la conversione dei costumi ha reciso le tendenze della concupiscenza e tutto ciò che sarebbe imperfetto; l'umiltà, con lavoro più profondo, frena la sregolata stima di se; ma rimane ancora da immolare la volontà propria cittadella dell'io: ceduta. anche questa per mezzo dell'obbedienza, si è dato tutto; l'anima non possiede più nulla come suo, e Dio può fare in lei ciò che vuole: non ci sono più ostacoli.
Per l'obbedienza perfetta, l'uomo vive nella verità del suo essere e della sua condizione ; per questo è virtù fondamentale e tanto cara a Dio; il quale, come pienezza dell'Essere, non ha bisogno di nulla e ha creato l'uomo liberamente per amore; da questo fatto primordiale derivano le nostre relazioni con lui e la nostra dipendenza essenziale come creature, perché in lui abbiamo vita, movimento, essere: "In ipso vivimus et movemur et sumus (In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo) " (At 17, 28); per cui se non riconoscessimo la nostra condizione con l'assoluta sottomissione a Dio, mancheremmo alla legge eterna. Dalle viscere stesse del creato esce questo grido: " Venite, adoremus: Venite, adoriamo il Signore, perché è il nostro Dio e creatore: Est Dominus Deus noster". Come creature ragionevoli dobbiamo manifestarci dipendenti coll'adorare e sottometterci, ossia obbedendo; e noi vediamo Dio esigere quest'omaggio da tutte le generazioni umane: i Santi dell'Antico Testamento sono luminari d'obbedienza; ripetono come Abramo, padre dei credenti: "Adsum!" (Gen 22, 1; 11) Eccomi! Gesù Cristo viene in terra per farci figli di Dio; e da quel momento l'obbedienza prende un altro aspetto; è una risposta d'amore; ma non cessa per questo di essere fondamentalmente un atto d'umiltà e di riverenza religiosa.
L'obbedienza non solo è grata a Dio, ma è salutare all'anima; perché Dio ne diventa assoluto padrone, vi fa ciò che vuole, e infinitamente buono com'è, le concede molti doni e grazie; è accennata ultima nella formula dei voti, ma come grado supremo. Studiamo ora da quale sorgente deriva, quale ne sia la natura, che qualità deve avere e da quali deviazioni bisogna preservarla.
I
L'obbedienza è necessaria a noi monaci, perchè riassume tutti gli altri mezzi di andare a Dio; siamo venuti in monastero e vi dimoriamo per questo solo fine: cercar Dio e tendere a lui con tutta la forza del nostro essere, e per questo dobbiamo seguire le orme di Gesù, che solo riconduce l'umanità al Padre: "Ego sum via; nemo venit ad Patrem nisi per me (Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14, 6). Quest'opera gigantesca egli la compie con l'obbedienza; e noi dobbiamo seguirlo sullo stesso cammino.
Contempliamo per alcuni istanti Gesù, perfetto modello di santità: "Tu solus sanctus, Jesu Christe" (Gloria della Messa) e vedremo come la prima disposizione dell'anima sua santa., - alla quale si riannodano tutte le altre, - è l'obbedienza amorosa al Padre: ce lo insegna chiaramente S. Paolo rivelandoci il divino segreto che nessun altro apostolo ha svelato, il primo palpito del Cuore di Cristo. Il Verbo s'incarna per glorificare il Padre e salvare l'umanità, apportandole la grazia; ma la disposizione caratteristica della sua anima nell'intraprendere la grande opera è l'obbedienza: "Entrando nel mondo per riscattarlo egli disse: Eccomi, Signore per fare la tua volontà. - Ingrediens mundum dicit: Ecce venio; in capite libri scriptum est de me ut faciam, Deus, voluntatem tuam" (Eb 10, 5-7). L'anima di Gesù contempla le divine perfezioni, la sovranità infinita di Dio, la maestà del suo Essere; e in atto di profonda riverenza, di adorazione e di sommissione, si abbandona tutta al compimento della volontà divina: il primo atto del Verbo incarnato è l'obbedienza piena e perfetta con cui accetta il tremendo carico di dolori e di umiliazioni, che subirà durante la Passione; e in questo atto egli riassume e impegna per sempre tutta la sua vita.
Si slancia egli quindi come gigante nella via a lui aperta dal Padre: "Exultavit ut gigas ad currendam viam (esulta come prode che percorre la via) " (Sal 19 (18), 6); in essa, tutto è indicato dall'obbedienza, tutto deriva dalla prima donazione non mai ritrattata: dirà egli stesso che non è venuto per fare la sua volontà, bensì quella del Padre (Gv 6, 38); e l'obbedienza è così compenetrata alla sua natura che egli la chiama suo cibo: "Meus cibus est ut faciam voluntatem ejus qui misit me (Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 4, 34). Per trent'anni obbedisce a due creature, Maria e Giuseppe: "Et erat subditus illis (e stava loro sottomesso) " (Lc 2, 51); quantunque possegga la trascendenza divina, e sia il supremo legislatore non soggetto alla legge, il Cristo dice che: "Jota unum aut unus apex non praeteribit a lege donec omnia fiant (non passerà neppure uno iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto) " (Mt 5, 18); e ne vuol compiere anche i minimi precetti. Anzi tutto, egli vuol sempre e in ogni cosa ciò che piace al Padre: "Quae placita sunt ei facio semper (io faccio sempre le cose che gli sono gradite) " (Gv 8, 29); e accetta la Passione perché è volontà del Padre suo: "Sicut mandatum dedit mihi Pater sic facio (faccio quello che il Padre mi ha comandato) " (Gv 14, 31).
Allora si dimostra più specialmente la sua obbedienza. Durante la terribile agonia di tre ore, la parte sensibile del suo essere è atterrita alla vista del calice d'amarezza: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! - Pater, si vis, transfer calicem istum a me"; pure la sua volontà superiore rimane sempre sottomessa al divino comando: "Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà. - Verumtamen non mea voluntas, sed tua fiat" (Lc 22, 42). L'arrestano come un malfattore, ed egli potrebbe liberarsi, perché a una sua parola i nemici cadono a terra; potrebbe pregare il Padre che gli mandi legioni di angeli; ma vuole che si compia la volontà divina manifestata dalle Scritture: "Sed ut adimpleantur Scripturae (Si adempiano dunque le Scritture!) " (Mc 14, 49); per questo si dà in balìa dei suoi mortali nemici. Obbedisce a Pilato, benché pagano, perché rappresenta l'autorità suprema; obbedisce ai carnefici; e sul punto di spirare, per compiere una profezia, si lamenta di aver sete: "Postea, sciens Jesus quia omnia, consummata sunt, ut consummaretur Scriptura, dixit: Sitio (Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: Ho sete". Muore quando tutto è compiuto; in ,atto d'obbedienza perfetta: "Dixit: consummatum est; et inclinato capite, tradidit spiritum (Gesù disse: Tutto è compiuto!. E, chinato il capo, spirò" (Gv 19, 11; 28; 30). Il consummatum est forma l'espressione più vera e più adeguata di tutta la sua vita di obbedienza; e corrisponde all'Ecce venio dell'Incarnazione: -sono due gridi di obbedienza, e l'esistenza terrestre di Cristo è come racchiusa tra loro.
L'Apostolo ci insegna che, come per la disobbedienza di Adamo siamo diventati peccatori e nemici di Dio, così per l'obbedienza di Cristo siamo giustificati e salvati. Una grave disobbedienza e un'eroica obbedienza sono causa di perdita e di riscatto per la famiglia umana; lo dice chiaramente S. Paolo, l'araldo di Cristo: "Sicut per inobedientiam unius hominis peccatores constituti sunt multi, ita et per unius obeditionem, justi constituentur multi (Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti) " (Rm 5, 19). Quest'obbedienza di Cristo fu il mezzo da Dio preordinato, e accettato da Gesù, per salvare il mondo e rendergli la celeste eredità. espiando la disobbedienza di Adamo, nostro primo padre; e noi andiamo a Dio unendoci all'obbedienza di Gesù, nostro capo; tutte le conseguenze del peccato di Adamo ci caddero addosso perché eravamo con lui solidali; partecipando all'obbedienza di Cristo, avremo parte alle benedizioni della sua santa anima; l'economia del disegno divino circa la nostra santificazione si riassume nell'obbedienza. Quando il Padre mandò il suo Figlio in terra, disse ai Giudei: "Ecco il mio figlio prediletto, ascoltatelo. - Ipsum audite" (Mt 18, 5); come se dicesse: Fate quello che vi dirà; obbeditelo; non vi chiedo altro per considerarvi come miei amici. Per questo diede al Fig1io ogni potere: "Omnia dedit in manu ejus (gli ha dato in mano ogni cosa) " (Gv 3, 35), e vuole che tutto gli sia sottomesso: "Omnia subjecisti sub pedibus ejus (tutto hai posto sotto i suoi piedi) " (Sal 8, 8). Il Padre dà gloria al Figlio, facendolo capo supremo nel regno della grazia: "Ego autem constitutus sum rex ab eo super Sion montem sanctum ejus (Io l'ho costituito mio sovrano sul Sion mio santo monte) " (Sal 2, 6); e noi pure dobbiamo sottometterci pienamente a Gesù, per conformarci alla volontà del Padre.
Egli ha lasciato la terra ed è tornato in cielo; ma come attestato della sua regalità ha costituito la Chiesa e le ha trasmesso i suoi poteri: "Data est mihi omnis potestas in coelo et in terra; euntes ergo, docete omnes gentes servare omnia quaecumque mandavi vobis (Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato) " (Mt 28, 18-20): in virtù della potenza che il Padre mi ha dato, e che io delego a voi, insegnate a tutte le nazioni l'obbedienza ai miei comandamenti; perché chi ascolta voi ascolta me; chi vi disprezza, disprezza me stesso.. La Chiesta ha l'autorità di Cristo; parla e comanda in suo nome; e l'essenza del cattolicesimo sta nella sottomissione dell'intelletto all'insegnamento di Cristo, trasmesso dalla Chiesa, nella sottomissione della volontà all'autorità di Cristo, da lei esercitata.
Qui sta la differenza tra protestanti e cattolici, più che nel numero di verità ammesse dagli uni e dagli altri: ci sono protestanti che accettano materialmente quasi tutto il credo cattolico, eppure restano protestanti fino nel midollo delle ossa, perchè la differenza tra noi e loro è più profonda e radicale, e dipende dalla sottomissione dell'intelletto e della volontà all'autorità della Chiesa, che insegna e governa in nome di Cristo. Il cattolico accetta il dogma e ne fa regola alla sua vita perché nella Chiesa, - e nel capo di lei il Romano Pontefice, - vede Cristo che insegna e governa; il protestante ammette questa o quella verità perchè la scopre, o s'immagina scoprirla, col suo lume intellettuale; e in nome del libero esame, non si lascia guidare da altri; esaminando la Bibbia, sceglie come la ragione gli suggerisce; ognuno di essi, con la propria facoltà di scelta, è Papa di se stesso. Mentre il protestante ammette, il cattolico crede; considera Cristo nella Chiesa, e quando essa parla. le si sottomette docile, come al Cristo medesimo. Ricordate la scena del Vangelo descritta da S. Giovanni al cap. 6° : Gesù parla alle turbe, da lui nutrite miracolosamente la vigilia, e annuncia loro il pane eucaristico: "Ego sum panis. vivus. - Io sono il pane di vita, disceso dal cielo; chi ne mangia vivrà eternamente". Ma gli uditori si dividono in due gruppi: alcuni vogliono ragionare; sono i protestanti: "Quomodo (Come può dunque)"? e allora Gesù non spiega meglio le sue parole, no; afferma anzi con maggior insistenza: "Amen, amen dico vobis. - In verità, in verità vi dico: chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non avrà la vita eterna". Ed essi, trovano le parole incomprensibili: Durus est hic sermo, et quis potest eum audire (Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?)"? e se ne vanno: "Jam non cum illo ambulabant (non andavano più con lui)". Ma c'è un altro gruppo, formato dagli Apostoli; essi non ne capivano nulla pure; ma ebbero fede nella parola di Cristo, rimasero con lui e lo seguirono sempre: "Domine, ad quem ibimus? verba vitae aeternae habes (Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna)" (Gv 6, 41-69). Chi crede così, si salva: bisogna ascoltare Cristo, e la Chiesa; accettarne la dottrina, sottomettersi alle sue decisioni; chi la disprezza, disprezza Cristo. I protestanti non fanno parte del suo gregge; (eccetto quelli in buona fede, che appartengono all'anima della Chiesa) sono pecorelle che si guidano da se stesse a loro capriccio; senza ascoltare la voce del padrone; il Cristo non le riconosce per sue: "Non estis ex ovibus meis(non siete mie pecore)" (Gv 10, 26).
L'obbedienza dell'intelletto e della volontà è dunque via di salute per il cristiano: "Qui vos audit me audit (Chi ascolta voi ascolta me)" (Lc 10, 16); "qui sequitur me non ambulat in tenebris; sed habebit lumen vitae (chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita)" (Gv 8, 12). Per esser figli del Padre celeste bisogna ascoltare Gesù, e sulla terra obbediamo a Cristo nella Chiesa; è l'economia soprannaturale stabilita da Dio stesso, e fuori dell'obbedienza ispirata dalla fede non c'è via di scampo: lo insegnava a S. Caterina l'Eterno Padre, quando le diceva che nessuno può entrare nella vita eterna se non è obbediente; senza di essa, si resta fuori, perché l'obbedienza è la chiave con cui s'apre quella porta, che la disobbedienza d'Adamo aveva chiusa (S. Caterina da Siena - Dialogo: Dell'obbedienza, cap. 1).






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