sabato 31 agosto 2013

Inizio dell’Indizione, cioè del nuovo anno

1° SETTEMBRE
Inizio dell’Indizione, cioè del nuovo anno, e memoria del nostro santo padre Simeone stilita (459); inoltre, celebrazione della Santissima Madre-di-Dio del monastero dei Miaseni, del santo martire Aeitala (355), delle sante 40 donne (312) e di Ammone diacono, loro maestro; memoria dei santi martiri Callista, Evodio e Ermogene, fratelli (303-304); memoria di Gesú figlio di Nave e commemorazione del grande incendio (461).
VESPRO
Si salmeggia la prima stasi di Beato l’uomo (ss. 1-3). Al Signore, ho gridato, 10 stichi con 3 stichirà dell’Indizione, 3 prosómia del santo, e, ancora per il santo, 4 idiómela.
Dell’Indizione. Tono 1. Esultanza delle schiere celesti.
Appresa la preghiera dal divino insegnamento * a noi impartito da Cristo stesso, * gridiamo ogni giorno al Creatore: * Padre nostro, che dimori nei cieli, * donaci il pane quotidiano, * senza far conto delle nostre colpe°.
Come un tempo furono giustamente * disseminati nel deserto * i cadaveri degli ebrei * che si erano ribellati a te, Sovrano dell’universo°, * cosí anche ora disperdi presso l’ade, o Cristo, * le ossa degli agareni empi e infedeli, * come dice il salmo°.
Tu che un tempo sul monte Sinai * hai scritto le tavole della Legge°, * tu stesso, nella carne, * hai ricevuto a Nazaret * un libro profetico da leggere, * o Cristo Dio, * e apertolo insegnavi ai popoli * che in te si era compiuta la Scrittura°.
Stichirá prosómia, del santo.
Tono pl. 1. Padre santo. Aftómelon.
Padre santo, * hai trovato una bella scala * con la quale sei salito nelle altezze, * come la trovò Elia nel carro di fuoco°: * ma egli non lasciò ad altri quella via di ascesa, * mentre tu, dopo la morte, * hai ancora la tua colonna. * Uomo celeste, * angelo terrestre, * astro insonne della terra, * Simeone santo, * intercedi per la salvezza delle anime nostre.
Padre santo, * se la colonna potesse parlare, * non cesserebbe di proclamare le tue pene, * le tue fatiche, i tuoi gemiti; * sí, essa che ti sosteneva, veniva in realtà sostenuta, * come albero impinguato dalle tue lacrime; * sbigottirono gli angeli, * stupirono gli uomini, * ebbero timore i demoni * per la tua pazienza. * Simeone santo, * intercedi per la salvezza del-le anime nostre.
Padre santo, * imitando il tuo Sovrano * per la potenza del divino Spirito, * sei salito sulla colonna come sulla croce: * egli ha cancellato l’attestazione scritta * delle colpe di tutti°, * tu invece hai messo fine all’insorgere delle passioni; * egli come pecora°, * e tu come vittima; * egli sulla croce, * e tu sulla colonna. * Simeone santo, * intercedi per la salvezza delle anime nostre.
Ancora 4 stichirà del santo, idiómela. Tono 2.
Da radice buona * è nato un buon frutto, * Simeone, sin dall’infanzia santo, * nutrito piú di grazia che di latte; * sollevato il corpo sulla pietra°, * ed elevata la mente sino a Dio, * si costruí con le virtú un’eterea dimora, * e volando nelle altezze insieme alle divine schiere, * divenne tabernacolo del Cristo Dio, * Salvatore delle anime nostre.
Rimane nei secoli la tua memoria, * santo padre Simeone, * e la mitezza del tuo cuore, * o servo beato, * poiché anche se tra di noi te ne sei andato, * o buon pastore, * non ti sei separato da noi con lo spirito, * tenendoti davanti a Dio con amore * e unendoti ai cori degli angeli nei cieli: * insieme a loro supplica * per la salvezza delle anime nostre.
Stesso tono. Di Cipriano.
L’urna delle tue reliquie, * padre degno di ogni lode, * fa scaturire guarigioni; * e la tua santa anima, unita agli angeli, * giustamente esulta. * Poiché dunque hai famigliarità col Signore, * o santo, * e con gli incorporei fai coro nei cieli, * supplicalo per la salvezza delle anime nostre.
Stesso tono. Di Germano.
Hai amato, o teòforo, la celeste filosofia, * sei uscito dal mondo * per vivere al di sopra delle realtà visibili, * e sei divenuto divino specchio di Dio senza macchia; * sempre unito alla luce, * aggiungevi luce a luce, * e piú luminosa avesti in sorte la beata fine: * intercedi per le anime nostre, * sapiente Simeone.
Gloria. Del santo. Tono pl. 2. Di Germano.
La divina grazia aleggia sull’urna delle tue reliquie, * Simeone consacrato: * per questo all’odore del profumo dei tuoi prodigi noi correremo°, * per attingere la guarigione dei nostri mali. * Padre santo, * supplica dunque il Cristo Dio * per le anime nostre.
Ora e sempre. Dell’Indizione. Stesso tono. Di Byzantios.
Tu, congiunto al santo Spirito, * Verbo senza principio e Figlio, * con lui creatore e artefice * di tutte le cose visibili e invisibili, * benedici la corona dell’anno°, * custodendo nella pace i popoli di retta fede, * per intercessione della Madre-di-Dio * e di tutti i tuoi santi.
Ingresso, Luce gioiosa, il prokímenon del giorno e le letture.
Lettura della profezia di Isaia (61,1-10).
Lo Spirito del Signore è su di me, poiché egli mi ha unto; mi ha inviato a evangelizzare i poveri, a sanare i contriti di cuore, ad annunciare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a proclamare l’anno accetto del Signore, e il giorno della retribuzione per il nostro Dio; a consolare tutti quelli che sono in lutto, a dare a quelli che fanno lutto su Sion gioia invece di cenere, unzione di allegrezza per quelli che fanno lutto, abito di gloria invece di spirito abbattuto; e si chiameranno generazione di giustizia, piantagione del Signore a sua gloria. Ed edificheranno i deserti antichi, rialzeranno luoghi prima desolati e rinnoveranno città deserte, desolate da generazioni e generazioni. E verranno stranieri a pascolare le tue pecore, estranei saranno tuoi aratori e vignaioli. Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del vostro Dio. Vi si dirà: Mangerete il vigore delle genti, e sarete ammirati per la loro ricchezza. In cambio della vostra duplice vergogna e della confusione, tripudierà la loro parte. Perciò erediteranno una seconda volta la loro terra, e letizia eterna sarà sul loro capo. Perché io sono il Signore che ama la giustizia e odia le inique rapine: darò ai giusti il compenso della loro fatica, e stabilirò con loro un patto eterno. Sarà nota tra le genti la loro discendenza, e la loro prole in mezzo ai popoli: chi li vedrà riconoscerà che essi sono la discendenza benedetta da Dio nei secoli, e essi si allieteranno gioiosi nel Signore.
Lettura del libro del Levitico (dal cap. 26).
Il Signore parlò ai figli d’Israele, dicendo: Se camminerete secondo i miei precetti e osserverete i miei comandamenti e li metterete in pratica, io darò la pioggia a suo tempo e la terra darà i suoi prodotti e gli alberi dei campi daranno i loro frutti. Il tempo della trebbiatura si congiungerà per voi a quello della vendemmia, e quello della vendemmia a quello della semina. Mangerete a sazietà il vostro pane, abiterete con sicurezza nella vostra terra e non ci sarà chi vi spaventi. Distruggerò le belve dalla vostra terra e la guerra non attraverserà la vostra terra; i vostri nemici cadranno davanti a voi e cinque di voi ne inseguiranno cento, e cento di voi ne inseguiranno decine di migliaia. Io volgerò lo sguardo su di voi e vi benedirò, vi farò crescere e vi moltiplicherò e stabilirò con voi il mio patto. Mangerete i prodotti vecchi e quelli piú vecchi ancora e porterete via quelli vecchi per far posto ai nuovi. La mia anima non vi avrà in orrore, camminerò tra voi e sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo.
Ma se non mi ascolterete e non metterete in pratica questi miei precetti e vi ribellerete ad
essi e la vostra anima prenderà in orrore i miei giudizi, cosí da non mettere in pratica tutti i miei comandamenti, io a mia volta farò con voi cosí: farò venire su di voi la penuria, seminerete invano i vostri semi, e i vostri avversari mangeranno le vostre fatiche. Porrò il mio volto contro di voi e cadrete davanti ai vostri nemici, vi inseguiranno e fuggirete senza che nessuno vi insegua. Spezzerò l’alterigia della vostra superbia; renderò per voi il cielo come ferro, e la terra come bronzo.
Vana sarà la vostra forza, e la vostra terra non darà il suo seme e gli alberi del campo non daranno il loro frutto. Manderò contro di voi le belve selvagge della terra che distrug-geranno il vostro bestiame, e passerà la spada e vi ridurrà in pochi. La vostra terra sarà deserta e le vostre abitazioni saranno deserte: se avrete camminato opponendovi a me, an-ch’io procederò contro di voi con animo ostile, dice il Signore Dio, il santo d’Israele.
Lettura del libro della Sapienza di Salomone (4,7-15).
Il giusto, quand’anche giunga a morire, sarà nel riposo: poiché vecchiaia venerabile non è quella di un lungo tempo di vita, né si misura col numero degli anni. Ma la prudenza equivale per gli uomini alla canizie, e età avanzata è una vita senza macchia. Divenuto gradito a Dio, è stato da lui amato, e poiché viveva tra peccatori, è stato trasferito. È stato rapito perché la malizia non alterasse la sua intelligenza e l’inganno non sviasse la sua anima. Poiché il cattivo fascino del male oscura il bene, e l’agitarsi della concupiscenza guasta la mente innocente. Reso in breve perfetto, ha portato a termine un lungo corso: la sua anima era infatti gradita al Signore, per questo si è affrettato a toglierlo di mezzo alla malvagità. I popoli hanno visto ma non hanno compreso, né hanno posto mente a questo fatto: che grazia e misericordia sono con i suoi santi, ed egli visita i suoi eletti.
Allo stico, stichirá idiómela dell’Indizione.
Tono 1. Di Giovanni monaco.
È giunto l’inizio dell’anno, * e ci invita ad onorare coloro che lo illustrano, * i fratelli lottatori Callista, Evodio ed Ermogene; * Simeone pari agli angeli; * Gesú figlio di Nave; * i sette fanciulli di Efeso; * il coro quaranta volte risplendente delle sante donne: * unendoci alla loro memoria, * o amici di questa festa, * gridiamo con fervore: * Signore, benedici le o-pere delle tue mani, * e concedici di passare utilmente il ciclo dell’anno.
Stico: A te si addice l’inno, o Dio, in Sion, e a te si renderà il voto in Gerusalemme.
Cristo Dio nostro, * che hai creato l’universo con sapienza°, * e dal nulla lo hai tratto all’essere°, * benedici la corona dell’anno°, * e custodisci libera da assedio la nostra città; * rallegra con la tua potenza * i nostri re fedeli°, * concedendo loro vittoria contro gli avversari, * donando al mondo la grande misericordia°, * per la mediazione della Madre-di-Dio.
Stico: Ci sazieremo dei beni della tua casa: santo è il tuo tempio, mirabile nella giustizia.
Tono 2. Di Cipriano.
Mirabile sei, o Dio, * mirabili le tue opere, * e imperscrutabili le tue vie: * sei sapienza di Dio°, * ipòstasi perfetta e potenza, * sinergía coeterna, con lui senza principio; * tu dunque, con onnipotente potestà * sei venuto nel mondo, * ineffabilmente nato da Madre ignara d’uomo, * senza mutamento nella Divinità, * per cercare la creatura che avevi fatta bella, * disponendo termini e tempi a nostra salvezza°, * o immutabile; * per questo a te acclamiamo: * Signore buono, gloria a te.
Stico: Benedici la corona dell’anno della tua benignità, Signore.
Stesso tono. Di Giovanni monaco.
Tu che hai creato l’universo con sapienza°, * Verbo del Padre che sei prima dei secoli, * e formato tutta la creazione con la tua parola onnipotente°, * benedici la corona dell’anno della tua benignità°, * e, con la mediazione della Madre-di-Dio, * distruggi le eresie, * nella tua bontà e nel tuo amore per gli uomini.
Gloria. Del santo. Tono pl. 1.
Padre santo, * hai trovato una bella scala * con la quale sei salito nelle altezze, * come la trovò Elia nel carro di fuoco°: * ma egli non lasciò ad altri quella via di ascesa, * mentre tu, dopo la morte, * hai ancora la tua colonna. * Uomo celeste, * angelo terrestre, * astro insonne della terra, * Simeone santo, * intercedi per la salvezza delle anime nostre.
Ora e sempre. Dell’Indizione.
Stesso tono. Di Giovanni monaco.
Tu, o Re, * tu che sei e rimani * per i secoli senza fine, * ricevi la preghiera dei peccatori che chiedono salvezza, * e concedi, o amico degli uomini, * fertilità alla tua terra, * donando climi temperati; * combatti insieme al nostro fedelissimo re * contro i barbari atei, * come facesti un tempo con Davide: * poiché sono venuti nelle tue dimore * e hanno contaminato il luogo santissimo, o Salvatore°; * ma tu dona vittoria, o Cristo Dio, * per l’intercessione della Madre-di-Dio: * perché tu sei vittoria e vanto degli ortodossi.
Apolytíkion dell’Indizione. Tono 2.
Artefice di tutto il creato, * che hai posto in tuo potere tempi e momenti°, * benedici la corona dell’anno * della tua benignità, Signore°, * custodendo nella pace i tuoi re e la tua città, * per intercessione della Madre-di-Dio: * e salvaci.
Gloria. Del santo. Tono 1.
Sei divenuto colonna di pazienza, * emulando i progenitori, o santo: * Giobbe nei patimenti, * Giuseppe nelle tentazioni, * e il modo di vita degli incorporei, * pur essendo in un corpo. * Simeone, santo padre nostro, * intercedi presso il Cristo Dio * per la salvezza delle anime nostre.
Ora e sempre. Della Madre-di-Dio. Tono grave.
Gioisci, piena di grazia°, * Vergine Madre-di-Dio, * porto e protezione del genere umano: * da te infatti si è incarnato il Redentore del mondo, * e tu sola sei madre e vergine, * sempre benedetta e glorificata: * intercedi presso il Cristo Dio * perché doni pace a tutta la terra.
ORTHROS
Dopo la prima sticología, káthisma dell’Indizione.
Tono pl. 4. Ineffabilmente concepita in grembo.
Tu che dai stagioni fruttifere * e piogge dal cielo agli abitanti della terra, * accogliendo anche ora le preghiere dei tuoi servi, * libera da ogni angustia la tua città: * poiché le tue compassioni sono per tutte le tue opere°. * Benedicendo dunque l’entrare e l’uscire°, * dirigi per noi le opere delle nostre mani°, * e donaci, o Dio, * la remissione delle colpe: * tu infatti, nella tua potenza, * hai tratto dal nulla all’essere tutte le cose°.
Gloria. Ora e sempre. Lo stesso tropario.
Dopo la seconda sticología, káthisma del santo.
Tono pl. 1. Cantiamo, fedeli.
Adornando la tua vita con la continenza * e mortificando il corpo, * tu hai annientato gli assalti del nemico, * padre beato; * e te ne sei andato verso Dio, * nella vita eterna, * quale degno erede: * non cessare dunque di intercedere * perché sia fatta misericordia alle anime nostre.
Gloria. Tono 4. Presto intervieni.
Sei entrata con fede * nell’arena del martirio, o Callista, * annunciando Cristo Dio nostro, * insieme ai tuoi due fratelli: * poiché, allevandoli con amore, * li avevi resi veri strumenti spirituali * della Chiesa di Cristo; * per questo sei stata unita a loro, o martire, * nella vita di lassú.
Ora e sempre. Theotokíon, stessa melodia.
Presto accogli, o Sovrana, * le nostre suppliche, * e presentale al tuo Figlio e Dio, * o Signora tutta immacolata. * Sciogli le difficoltà di quanti a te accorrono, * sventa le insidie e gli attacchi sfrontati, * o Vergine, * di quanti ora si armano * contro i tuoi servi.
Dopo il polyéleos, káthisma delle sante donne.
Tono 1. I soldati a guardia della tua tomba.
Agnelle razionali, * siete state offerte nella fede, * mediante il martirio, * all’agnello e pastore°, * dopo aver compiuta la corsa e conservata la fede°: * perciò noi oggi, pieni di gioia, * celebriamo la vostra sacra memoria, * o degne di ammirazione, * magnificando Cristo.
Gloria. Ora e sempre. Tono 4. Restò attonito Giuseppe.
Ci prostriamo con fede a te, * Sovrano dell’universo che provvedi ogni bene, * e con ardore esclamiamo: * Mosso dalla tua amorosa compassione, * o Salvatore, * e dalle preghiere di colei che ti ha generato * e di tutti coloro che sempre ti sono stati graditi, * concedi nella tua bontà * a coloro che ti onorano nelle tue due nature * e ti glorificano con fede, * di condurre un anno a te accetto.
Anavathmí. Antifona 1. del tono 4.
Prokímenon. Tono 4.
Preziosa davanti al Signore la morte del suo santo.
Stico: Che cosa renderemo al Signore per tutto ciò che ci ha dato?
Vangelo del santo.
Lettura del santo vangelo secondo Luca (6,17-23).
In quel tempo Gesú si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla dei suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesú diceva: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli.
Salmo 50. Gloria. Per l’intercessione del tuo santo. Ora e sempre. Per l’intercessione della Madre-di-Dio.
Poi lo stico: Pietà di me, o Dio.
Stichirón idiómelon. Dell’Indizione. Tono 2.
Tu che hai creato l’universo con sapienza°, * Verbo del Padre che sei prima dei secoli, * e formato tutta la creazione con la tua parola onnipotente°, * benedici la corona dell’anno della tua benignità°, * e, con la mediazione della Madre-di-Dio, * distruggi le eresie, * nella tua bontà e nel tuo amore per gli uomini.
Salva, o Dio, il tuo popolo, ecc.
Kondákion dell’Indizione.
Tono 4. Tu che volontariamente.
Creatore e Sovrano dei secoli, * Dio dell’universo, * veramente sovrasostanziale, * benedici questo ciclo annuale, * salvando con la tua infinita misericordia, * o com-passionevole, * tutti coloro che rendono culto a te, * unico Sovrano, * e che con timore gridano a te, * o Redentore: * Concedi che per tutti * quest’anno sia propizio.
Un altro kondákion, del santo. Tono 2. Aftómelon.
Cercando le cose dell’alto°, * mentre eri congiunto a quelle di quaggiú, * e facendo della colonna un carro di fuoco°, * per essa, o santo, * sei divenuto compagno degli angeli, * con i quali incessantemente * per noi tutti intercedi * presso il Cristo Dio.
Ikos.
Quale lingua umana potrà mai narrare * la vita irreprensibile di Simeone, * a sua lode? * E tuttavia, con la sapienza di Dio, * canterò i combattimenti dell’eroe * e le lotte di colui che sulla terra * è apparso a tutti i mortali come un astro, * colui che per la sua costanza, * ha straordinariamente rifulso nel coro degli angeli: * incessantemente con essi, infatti, cantando a Cristo, * con la continenza ha acquisito la purezza, * e incessantemente per noi tutti intercede.
Sinassario.
Settembre, mese di 30 giorni.
Il 1° di questo stesso mese, inizio dell’Indizione, cioè del nuovo anno.
Memoria del miracolo compiuto dalla santa Madre-di-Dio nel monastero dei Miaseni; e commemorazione dell’incendio.
Memoria del santo padre nostro Simeone stilita.
Memoria di santa Marta, madre di san Simeone, della santa Evanzia e del giusto Gesú di Nave.
Memoria delle sante 40 martiri, vergini e ascete, e del diacono Ammone, loro maestro.
Memoria dei santi fratelli martiri Evodio, Callista e Ermogene.
Per la loro santa intercessione, o Dio, abbi pietà di noi. Amen.
Canone dell’Indizione. Poema di Giovanni monaco.
Ode 9. Tono 1. Irmós.
Il roveto ardente che non si consumava° * ci ha mostrato una figura del tuo parto puro. * Estingui ora, ti preghiamo, * la fornace delle tentazioni * che infuria contro di noi, * affinché, o Madre-di-Dio, * incessantemente ti magnifichiamo°.
Tropari.
Verbo e potenza di Dio, * vera sapienza enipostatica°, * che sapientemente sostieni e governi l’universo, * dirigi anche ora in tranquilla quiete * questo tempo che sta innanzi ai tuoi servi.
Sola sei prima dei secoli, * perché hai creato i secoli e su di essi regni, * o Deità trisipostatica, una e indivisa: * per le suppliche della pura Madre-di-Dio, * fa’ che quest’anno * porti alla tua eredità vittorie.
Theotokíon.
Salvatore e ordinatore dell’universo, * artefice e signore del creato, * per le suppliche di colei che ti ha verginalmente generato, * dona al tuo mondo la pace, * e custodisci la tua Chiesa * sempre libera da sconvolgimenti.
Katavasía.
Sei mistico paradiso * che, senza coltivazione, o Madre-di-Dio, * ha prodotto il Cristo, * dal quale è stato piantato sulla terra * l’albero vivificante della croce: * adorando lui, per essa che ora viene esaltata, * noi magnifichiamo te.
Exapostilárion dell’Indizione.
Con i discepoli conveniamo.
Dio degli dèi e Signore, * natura trisipostatica, * inaccessibile, eterna, increata, * artefice onnipotente di tutte le cose, * a te noi tutti ci prostriamo, * e te imploriamo: * Benedicendo nella tua bontà questo anno, * custodisci nella pace i re * e tutto il tuo popolo, * o compassionevole.
Del santo, stessa melodia.
Come un astro, o santo, * la tua vita apportatrice di luce * ha brillato e ha illuminato tutta la terra * con i raggi dei prodigi: * poiché con una colonna, o padre, * sei salito come per una scala a Dio, * dove è realmente il culmine, * o Simeone, * dei desideri di tutti, * e là preghi, o beato, * per noi che ti onoriamo.
Theotokíon, stessa melodia.
Tu che sei artefice e ordinatore di tutto il creato, * e hai posto in tuo potere tempi e momenti°, * corona, o compassionevole, il ciclo dell’anno * con le benedizioni della tua beni-gnità°, * custodendo il tuo popolo nella pace, * incolume, illeso; * ti supplichiamo per l’inter-cessione di colei che ti ha partorito * e degli angeli divini.
Alle lodi, 4 stichi e i seguenti stichirá idiómela.
Tono 3. Di Giovanni monaco.
Verbo del Padre che sei prima del tempo, * tu che sei in forma di Dio°, * che hai composto il creato, * traendolo dal non essere all’essere°, * e hai posto in tuo potere tempi e momenti°, * benedici la corona dell’anno della tua benignità°, * donando pace alle tue Chiese, * vittorie al fedelissimo re, * fertilità alla terra, * e a noi, la grande misericordia°.
Dello stesso. Tono 4.
Il tuo regno, Cristo Dio, * è regno di tutti i secoli, * e il tuo potere è in ogni generazione°: * poiché tutto hai fatto con sapienza°, * predisponendo per noi tempi e momenti°. * Noi dunque, rendendo grazie in tutto e per tutto, gridiamo: * Benedici la corona dell’anno della tua benignità°, * e rendici degni di acclamare, * senza che ci sia di condanna: * Signore, gloria a te.
Stesso tono. Di Andrea Pyros.
Le tue vie, o Dio, * le tue vie sono grandi e meravigliose: * noi magnifichiamo la potenza della tua economia perché, * luce da luce, * tu sei venuto nel tuo misero mondo, * e hai tolto la maledizione del vecchio Adamo°, * secondo il tuo beneplacito, o Verbo, * e con sapienza hai stabilito per noi tempi e momenti° * per glorificare la tua onnipotente bontà. * Signore, gloria a te.
Tono 2. Di Germano.
Quando con la tua passione, Signore, * hai reso salda la terra°, * allora anche i deboli si sono cinti di potenza°. * Le donne si sono fatte coraggiose * contro il durissimo tiranno, * e riparata la sconfitta della madre, * di nuovo sono tornate al gaudio del paradiso, * a gloria tua, * che sei nato da una donna * e hai salvato il genere umano.
Gloria. Del santo. Tono 2.
Da radice buona * è nato un buon frutto, * Simeone, sin dall’infanzia santo, * nutrito piú di grazia che di latte; * sollevato il corpo sulla pietra°, * ed elevata la mente sino a Dio, * si costruí con le virtú un’eterea dimora, * e volando nelle altezze insieme alle divine schiere, * divenne tabernacolo del Cristo Dio, * Salvatore delle anime nostre.
Ora e sempre.
Dell’Indizione. Tono pl. 4. Di Germano.
Tu che con ineffabile sapienza * hai formato l’universo, * o Verbo, Cristo Dio, * tu che hai predisposto tempi e momenti°, * benedici le opere delle tue mani; * rallegra il re fedele con la tua potenza°, * dandogli forza contro i barbari, * poiché solo sei buono e amico degli uomini.
Grande dossologia, apolytikíon e apólysis.
AVVERTENZA. Dal 24 agosto al 21 settembre si cantano le katavasíe della festa dell’Esaltazione della Croce: Tracciando una croce.
Estratto da “ANTHOLOGHION” di tutto l’anno – Vol. I – LIPA srl, Roma 1999
Traduzione dal greco di Maria Benedetta Artioli
Introduzione di p. Olivier Raquez osb


Regola di S. Benedetto. L'obbedienza.

Capitolo V - L'obbedienza

1. Il segno più evidente dell'umiltà è la prontezza nell'obbedienza. 2. Questa è caratteristica dei monaci che non hanno niente più caro di Cristo 3. e, a motivo del servizio santo a cui si sono consacrati o anche per il timore dell'inferno e in vista della gloria eterna, 4. appena ricevono un ordine dal superiore non si concedono dilazioni nella sua esecuzione, come se esso venisse direttamente da Dio. 5. E' di loro che il Signore dice: " Appena hai udito, mi hai obbedito" 5. mentre rivolgendosi ai superiori dichiara: "Chi ascolta voi, ascolta me".

Tratto dal libro "Cristo Ideale del Monaco" di Don Columba Marmion O.S.B. - Scritti monastici - Monaci Benedettini di Praglia
Capitolo XII
Bonum obedientiae
(Il bene dell'obbedienza)

Fondamento della vita spirituale, nella scuola di S. Benedetto e di S. Tommaso, è l'umiltà, in quanto è virtù necessaria e preparatoria alla carità perfetta: "Mox ad caritatem Dei perveniet illam quae perfecta [est] (Giungerà subito a quella carità che è divenuta perfetta) " (RSB = Regola S. Benedetto 7, 67). Ma il N. S. Padre dimostra come l'espressione pratica dell'umiltà per il monaco sia l'obbedienza: quando l'anima è colma di riverenza verso Dio si sottomette a lui e a chi lo rappresenta, per adempiere in tutto la sua volontà: "Humilitas proprie respicit reverentiam qua homo Deo subjicitur... propter quam etiam aliis humiliando se subjicit (L'umiltà consiste principalmente nella subordinazione dell'uomo a Dio e, di conseguenza, quando si è umili ci si sottomette anche agli altri) " (S. Tommaso, Somma Teologica, Libro II, quest.161). Ecco appunto l'obbedienza, virtù che è frutto e corona dell'umiltà, detta da S. Caterina da Siena, la nutrice che l'alimenta; perché obbedisce solo chi è umile e non si potrebbe esser umili senza obbedire L'umiltà ha per compagna inseparabile l'obbedienza; questa da lei procede, e morrebbe senza la nutrice che le dà vita; non può durare in un'anima senza l'umiltà (S. Caterina da Siena, Dialogo, t. 2).
L'obbedienza., così intesa, finisce di sgombrare gli ostacoli all'unione divina: la povertà ha tolto via il pericolo dei beni esteriori; la conversione dei costumi ha reciso le tendenze della concupiscenza e tutto ciò che sarebbe imperfetto; l'umiltà, con lavoro più profondo, frena la sregolata stima di se; ma rimane ancora da immolare la volontà propria cittadella dell'io: ceduta. anche questa per mezzo dell'obbedienza, si è dato tutto; l'anima non possiede più nulla come suo, e Dio può fare in lei ciò che vuole: non ci sono più ostacoli.
Per l'obbedienza perfetta, l'uomo vive nella verità del suo essere e della sua condizione ; per questo è virtù fondamentale e tanto cara a Dio; il quale, come pienezza dell'Essere, non ha bisogno di nulla e ha creato l'uomo liberamente per amore; da questo fatto primordiale derivano le nostre relazioni con lui e la nostra dipendenza essenziale come creature, perché in lui abbiamo vita, movimento, essere: "In ipso vivimus et movemur et sumus (In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo) " (At 17, 28); per cui se non riconoscessimo la nostra condizione con l'assoluta sottomissione a Dio, mancheremmo alla legge eterna. Dalle viscere stesse del creato esce questo grido: " Venite, adoremus: Venite, adoriamo il Signore, perché è il nostro Dio e creatore: Est Dominus Deus noster". Come creature ragionevoli dobbiamo manifestarci dipendenti coll'adorare e sottometterci, ossia obbedendo; e noi vediamo Dio esigere quest'omaggio da tutte le generazioni umane: i Santi dell'Antico Testamento sono luminari d'obbedienza; ripetono come Abramo, padre dei credenti: "Adsum!" (Gen 22, 1; 11) Eccomi! Gesù Cristo viene in terra per farci figli di Dio; e da quel momento l'obbedienza prende un altro aspetto; è una risposta d'amore; ma non cessa per questo di essere fondamentalmente un atto d'umiltà e di riverenza religiosa.
L'obbedienza non solo è grata a Dio, ma è salutare all'anima; perché Dio ne diventa assoluto padrone, vi fa ciò che vuole, e infinitamente buono com'è, le concede molti doni e grazie; è accennata ultima nella formula dei voti, ma come grado supremo. Studiamo ora da quale sorgente deriva, quale ne sia la natura, che qualità deve avere e da quali deviazioni bisogna preservarla.
I
L'obbedienza è necessaria a noi monaci, perchè riassume tutti gli altri mezzi di andare a Dio; siamo venuti in monastero e vi dimoriamo per questo solo fine: cercar Dio e tendere a lui con tutta la forza del nostro essere, e per questo dobbiamo seguire le orme di Gesù, che solo riconduce l'umanità al Padre: "Ego sum via; nemo venit ad Patrem nisi per me (Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14, 6). Quest'opera gigantesca egli la compie con l'obbedienza; e noi dobbiamo seguirlo sullo stesso cammino.
Contempliamo per alcuni istanti Gesù, perfetto modello di santità: "Tu solus sanctus, Jesu Christe" (Gloria della Messa) e vedremo come la prima disposizione dell'anima sua santa., - alla quale si riannodano tutte le altre, - è l'obbedienza amorosa al Padre: ce lo insegna chiaramente S. Paolo rivelandoci il divino segreto che nessun altro apostolo ha svelato, il primo palpito del Cuore di Cristo. Il Verbo s'incarna per glorificare il Padre e salvare l'umanità, apportandole la grazia; ma la disposizione caratteristica della sua anima nell'intraprendere la grande opera è l'obbedienza: "Entrando nel mondo per riscattarlo egli disse: Eccomi, Signore per fare la tua volontà. - Ingrediens mundum dicit: Ecce venio; in capite libri scriptum est de me ut faciam, Deus, voluntatem tuam" (Eb 10, 5-7). L'anima di Gesù contempla le divine perfezioni, la sovranità infinita di Dio, la maestà del suo Essere; e in atto di profonda riverenza, di adorazione e di sommissione, si abbandona tutta al compimento della volontà divina: il primo atto del Verbo incarnato è l'obbedienza piena e perfetta con cui accetta il tremendo carico di dolori e di umiliazioni, che subirà durante la Passione; e in questo atto egli riassume e impegna per sempre tutta la sua vita.
Si slancia egli quindi come gigante nella via a lui aperta dal Padre: "Exultavit ut gigas ad currendam viam (esulta come prode che percorre la via) " (Sal 19 (18), 6); in essa, tutto è indicato dall'obbedienza, tutto deriva dalla prima donazione non mai ritrattata: dirà egli stesso che non è venuto per fare la sua volontà, bensì quella del Padre (Gv 6, 38); e l'obbedienza è così compenetrata alla sua natura che egli la chiama suo cibo: "Meus cibus est ut faciam voluntatem ejus qui misit me (Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 4, 34). Per trent'anni obbedisce a due creature, Maria e Giuseppe: "Et erat subditus illis (e stava loro sottomesso) " (Lc 2, 51); quantunque possegga la trascendenza divina, e sia il supremo legislatore non soggetto alla legge, il Cristo dice che: "Jota unum aut unus apex non praeteribit a lege donec omnia fiant (non passerà neppure uno iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto) " (Mt 5, 18); e ne vuol compiere anche i minimi precetti. Anzi tutto, egli vuol sempre e in ogni cosa ciò che piace al Padre: "Quae placita sunt ei facio semper (io faccio sempre le cose che gli sono gradite) " (Gv 8, 29); e accetta la Passione perché è volontà del Padre suo: "Sicut mandatum dedit mihi Pater sic facio (faccio quello che il Padre mi ha comandato) " (Gv 14, 31).
Allora si dimostra più specialmente la sua obbedienza. Durante la terribile agonia di tre ore, la parte sensibile del suo essere è atterrita alla vista del calice d'amarezza: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! - Pater, si vis, transfer calicem istum a me"; pure la sua volontà superiore rimane sempre sottomessa al divino comando: "Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà. - Verumtamen non mea voluntas, sed tua fiat" (Lc 22, 42). L'arrestano come un malfattore, ed egli potrebbe liberarsi, perché a una sua parola i nemici cadono a terra; potrebbe pregare il Padre che gli mandi legioni di angeli; ma vuole che si compia la volontà divina manifestata dalle Scritture: "Sed ut adimpleantur Scripturae (Si adempiano dunque le Scritture!) " (Mc 14, 49); per questo si dà in balìa dei suoi mortali nemici. Obbedisce a Pilato, benché pagano, perché rappresenta l'autorità suprema; obbedisce ai carnefici; e sul punto di spirare, per compiere una profezia, si lamenta di aver sete: "Postea, sciens Jesus quia omnia, consummata sunt, ut consummaretur Scriptura, dixit: Sitio (Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: Ho sete". Muore quando tutto è compiuto; in ,atto d'obbedienza perfetta: "Dixit: consummatum est; et inclinato capite, tradidit spiritum (Gesù disse: Tutto è compiuto!. E, chinato il capo, spirò" (Gv 19, 11; 28; 30). Il consummatum est forma l'espressione più vera e più adeguata di tutta la sua vita di obbedienza; e corrisponde all'Ecce venio dell'Incarnazione: -sono due gridi di obbedienza, e l'esistenza terrestre di Cristo è come racchiusa tra loro.
L'Apostolo ci insegna che, come per la disobbedienza di Adamo siamo diventati peccatori e nemici di Dio, così per l'obbedienza di Cristo siamo giustificati e salvati. Una grave disobbedienza e un'eroica obbedienza sono causa di perdita e di riscatto per la famiglia umana; lo dice chiaramente S. Paolo, l'araldo di Cristo: "Sicut per inobedientiam unius hominis peccatores constituti sunt multi, ita et per unius obeditionem, justi constituentur multi (Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti) " (Rm 5, 19). Quest'obbedienza di Cristo fu il mezzo da Dio preordinato, e accettato da Gesù, per salvare il mondo e rendergli la celeste eredità. espiando la disobbedienza di Adamo, nostro primo padre; e noi andiamo a Dio unendoci all'obbedienza di Gesù, nostro capo; tutte le conseguenze del peccato di Adamo ci caddero addosso perché eravamo con lui solidali; partecipando all'obbedienza di Cristo, avremo parte alle benedizioni della sua santa anima; l'economia del disegno divino circa la nostra santificazione si riassume nell'obbedienza. Quando il Padre mandò il suo Figlio in terra, disse ai Giudei: "Ecco il mio figlio prediletto, ascoltatelo. - Ipsum audite" (Mt 18, 5); come se dicesse: Fate quello che vi dirà; obbeditelo; non vi chiedo altro per considerarvi come miei amici. Per questo diede al Fig1io ogni potere: "Omnia dedit in manu ejus (gli ha dato in mano ogni cosa) " (Gv 3, 35), e vuole che tutto gli sia sottomesso: "Omnia subjecisti sub pedibus ejus (tutto hai posto sotto i suoi piedi) " (Sal 8, 8). Il Padre dà gloria al Figlio, facendolo capo supremo nel regno della grazia: "Ego autem constitutus sum rex ab eo super Sion montem sanctum ejus (Io l'ho costituito mio sovrano sul Sion mio santo monte) " (Sal 2, 6); e noi pure dobbiamo sottometterci pienamente a Gesù, per conformarci alla volontà del Padre.
Egli ha lasciato la terra ed è tornato in cielo; ma come attestato della sua regalità ha costituito la Chiesa e le ha trasmesso i suoi poteri: "Data est mihi omnis potestas in coelo et in terra; euntes ergo, docete omnes gentes servare omnia quaecumque mandavi vobis (Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato) " (Mt 28, 18-20): in virtù della potenza che il Padre mi ha dato, e che io delego a voi, insegnate a tutte le nazioni l'obbedienza ai miei comandamenti; perché chi ascolta voi ascolta me; chi vi disprezza, disprezza me stesso.. La Chiesta ha l'autorità di Cristo; parla e comanda in suo nome; e l'essenza del cattolicesimo sta nella sottomissione dell'intelletto all'insegnamento di Cristo, trasmesso dalla Chiesa, nella sottomissione della volontà all'autorità di Cristo, da lei esercitata.
Qui sta la differenza tra protestanti e cattolici, più che nel numero di verità ammesse dagli uni e dagli altri: ci sono protestanti che accettano materialmente quasi tutto il credo cattolico, eppure restano protestanti fino nel midollo delle ossa, perchè la differenza tra noi e loro è più profonda e radicale, e dipende dalla sottomissione dell'intelletto e della volontà all'autorità della Chiesa, che insegna e governa in nome di Cristo. Il cattolico accetta il dogma e ne fa regola alla sua vita perché nella Chiesa, - e nel capo di lei il Romano Pontefice, - vede Cristo che insegna e governa; il protestante ammette questa o quella verità perchè la scopre, o s'immagina scoprirla, col suo lume intellettuale; e in nome del libero esame, non si lascia guidare da altri; esaminando la Bibbia, sceglie come la ragione gli suggerisce; ognuno di essi, con la propria facoltà di scelta, è Papa di se stesso. Mentre il protestante ammette, il cattolico crede; considera Cristo nella Chiesa, e quando essa parla. le si sottomette docile, come al Cristo medesimo. Ricordate la scena del Vangelo descritta da S. Giovanni al cap. 6° : Gesù parla alle turbe, da lui nutrite miracolosamente la vigilia, e annuncia loro il pane eucaristico: "Ego sum panis. vivus. - Io sono il pane di vita, disceso dal cielo; chi ne mangia vivrà eternamente". Ma gli uditori si dividono in due gruppi: alcuni vogliono ragionare; sono i protestanti: "Quomodo (Come può dunque)"? e allora Gesù non spiega meglio le sue parole, no; afferma anzi con maggior insistenza: "Amen, amen dico vobis. - In verità, in verità vi dico: chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non avrà la vita eterna". Ed essi, trovano le parole incomprensibili: Durus est hic sermo, et quis potest eum audire (Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?)"? e se ne vanno: "Jam non cum illo ambulabant (non andavano più con lui)". Ma c'è un altro gruppo, formato dagli Apostoli; essi non ne capivano nulla pure; ma ebbero fede nella parola di Cristo, rimasero con lui e lo seguirono sempre: "Domine, ad quem ibimus? verba vitae aeternae habes (Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna)" (Gv 6, 41-69). Chi crede così, si salva: bisogna ascoltare Cristo, e la Chiesa; accettarne la dottrina, sottomettersi alle sue decisioni; chi la disprezza, disprezza Cristo. I protestanti non fanno parte del suo gregge; (eccetto quelli in buona fede, che appartengono all'anima della Chiesa) sono pecorelle che si guidano da se stesse a loro capriccio; senza ascoltare la voce del padrone; il Cristo non le riconosce per sue: "Non estis ex ovibus meis(non siete mie pecore)" (Gv 10, 26).
L'obbedienza dell'intelletto e della volontà è dunque via di salute per il cristiano: "Qui vos audit me audit (Chi ascolta voi ascolta me)" (Lc 10, 16); "qui sequitur me non ambulat in tenebris; sed habebit lumen vitae (chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita)" (Gv 8, 12). Per esser figli del Padre celeste bisogna ascoltare Gesù, e sulla terra obbediamo a Cristo nella Chiesa; è l'economia soprannaturale stabilita da Dio stesso, e fuori dell'obbedienza ispirata dalla fede non c'è via di scampo: lo insegnava a S. Caterina l'Eterno Padre, quando le diceva che nessuno può entrare nella vita eterna se non è obbediente; senza di essa, si resta fuori, perché l'obbedienza è la chiave con cui s'apre quella porta, che la disobbedienza d'Adamo aveva chiusa (S. Caterina da Siena - Dialogo: Dell'obbedienza, cap. 1).






"Icona" della Natività; Cappella Palatina; Palermo.


“Il Signore si mette una seconda volta in comunione con l’uomo, e in comunione molto più straordinaria della prima, in quanto la prima volta Egli mi fece partecipare alla natura migliore, ora invece è Lui che partecipa all’elemento peggiore. Questo fatto è più divino del primo; questo è più sublime dell’altro, per coloro che hanno senno.” 
(San Gregorio Nazanzieno, Omelie sulla Natività)


Durante il periodo normanno, la Sicilia sperimentò un momento di immensa grandezza, che i sovrani vollero esprimere anche attraverso l’arte, cercando in tutti i modi di somigliare agli imperatori bizantini, universalmente noti per il loro fasto. Ruggero II si rivolse quindi ad Oriente per importare in Sicilia una nuova stagione “Bizantina”. Vennero chiamate le migliori maestranze di Bisanzio, che ben volentieri accettarono di lavorare nella più moderna e libera delle corti dell’epoca. Nel mondo bizantino la scrittura delle Icone era regolata ”seguendo in tutto e per tutto l'ispirato insegnamento dei nostri santi padri e la tradizione della chiesa cattolica”(II concilio di Nicea, 787). Pertanto, presto i maestri bizantini, adusi ai loro moduli iconografici prefissati, ove le proporzioni verticali erano intoccabili, mentre le orizzontali divenivano funzione delle prime, si scontrarono con le architetture fatimite e con un finissimo “gusto arabo”. Fu il clima di grande tolleranza che regnava allora, assieme alle licenze dal dogma ecclesiastico che Ruggero II, come legato pontificio poteva concedere, a far sì che dal connubio di quanto di meglio si trovasse nel Mediterraneo nascesse un nuovo stile, tutto siciliano, che divenne presto noto con il termine di “maniera bizantina”. La forma espressiva preferita fu il mosaico, non tanto per motivi religiosi, quanto perché per la sua stessa natura - gli ori, la fastosità e la luce che naturalmente da esso derivano - meglio si prestava alla rappresentazione di un programma ideologico estremamente ambizioso che porterà addirittura all’unificazione dell’Italia meridionale sotto il trono palermitano. Il giorno di Natale del 1130, Ruggero II si fa incoronare, dal Legato del papa Anacleto II, "Rex Siciliae et Italiae", succedendo al gran conte Ruggero. E' un sovrano colto, conosce 4 lingue; educato da sapienti arabi e greci, è abituato al sottile gioco diplomatico, ma anche alla determinazione dell'intervento armato. Nel 1143, per espresso desiderio del re, e con grande celerità, fu completata la chiesa del palazzo reale. Risulta accertato che il programma iconografico fu elaborato dallo stesso Ruggero II e dai suoi consiglieri più intimi. Il risultato fu mozzafiato: dal soffitto ligneo alveolato e riccamente intagliato con stalattiti di legno decorate, ad una estesissima superficie musiva di eccezionale pregio, fino ai meravigliosi pavimenti di marmi policromi disposti in modo da formare incantevoli disegni geometrici. Le due navate laterali della Cappella Palatina sono dedicate rispettivamente, quella di sinistra ad episodi della vita di San Pietro, quella di destra, l’ultima ad essere realizzata, a San Paolo. Sulla parete destra del transetto, proprio sopra l’abside di San Paolo e sotto l’Immagine di Gesù benedicente, vi è “scritta” la Natività oggetto del nostro studio; sulla sinistra, nella navata centrale, l’Annunciazione, sulla destra il “sogno” di San Giuseppe.




La festività del Natale

Attorno alla reale data di nascita di Gesù fin dall’antichità c’è da sempre stato un vivo dibattito, al punto da far ritenere che nei primi secoli del cristianesimo il Natale non dovesse essere festeggiato se non insieme alla ricorrenza della Teofania:“dato che l’Incarnazione era stata resa manifesta con l’apparizione del Cristo al popolo mediante le parole del Padre "Tu sei il mio Figlio diletto"”(Gaetano Passarelli, Icone delle dodici grandi festività bizantine). La data del 25 Dicembre è principalmente dovuta alla Chiesa d’Occidente, che la introdusse a partire dal 354: per favorire la conversione dei pagani, si volle far coincidere il giorno del Natale con quello dedicato al “Sole Invitto”, il dio Mitra vincitore delle tenebre, con quello della celebrazione della nascita del “Sol Justitie”. Recenti studi fondati su una interpretazione dei manoscritti di Qumran tendono comunque ad accreditare l'ipotesi del 25 Dicembre. A Costantinopoli, a partire dal 380, la data del 25 farà la sua comparsa grazie a San Gregorio Nazanzieno. “Dio si è manifestato nascendo. Il verbo prende spessore, l’invisibile si lascia vedere, l’intangibile diventa palpabile, l’intemporale entra nel tempo, il Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo”.(San Gregorio Nazanzieno, Sermoni). La festa non tarderà a passare anche alla Chiesa di Antiochia grazie a San Giovanni Crisostomo: “Fra tutte le feste la più veneranda e la più sacra, che potrebbe chiamarsi senza tema di errare la metropoli di tutte le feste.”(San Giovanni Crisostomo, Omelia del 25 dicembre 386/87). In Terra Santa la festa si celebrava il 6 gennaio, fin tanto che il vescovo Giovenale la spostò al 25 dicembre (Basilio di Seleucia). In Oriente moltissime chiese per molto tempo ancora celebrarono la festa il 6 Gennaio, quanto meno fino al VII secolo, quando il canone di Gerusalemme ne fissò stabilmente la data il 25 Dicembre. Per tutti questi motivi e, come vedremo, per via di una tradizione legata ai vangeli apocrifi, le chiese bizantine ricordano in occasione del Natale, il 25 Dicembre, anche l’adorazione dei Magi. Ecco perchè fin dal formarsi di questo modulo iconografico i Magi hanno occupato un posto di grande rilievo nell’iconografia della festa. Nell’arte del IV secolo l’adorazione dei Magi rappresentava in qualche modo l’accoglienza, che il genere umano, o quanto meno quella parte di esso alla ricerca della Verità, aveva riservato al Cristo. Nella nostra icona il tema dei Magi è rappresentato due volte: li vediamo prima a cavallo alla sinistra della Vergine e poi a destra in atto di adorazione, ciò per significare la loro tensione verso la ricerca di Dio. In questo studio immagineremo di seguire i Magi nel loro viaggio all'interno di questa meravigliosa scena.



La Montagna Sacra attorno al quale i Magi si muovono
Nel grande mosaico della Cappella Palatina viene canonicamente dato un grande rilievo alla “Montagna” al cui centro si trova la Grotta. Si tratta della montagna messianica: “Il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: "Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri". Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. (…) Egli agiterà la mano verso il monte della figlia di Sion, verso il colle di Gerusalemme”(Is. 2,2; 10,32.) Questa montagna oltrepassa ogni altra, essa simboleggia il Cristo, ed attorno ad essa gli angeli testimoniano la presenza di Dio. Nella nostra Icona, in effetti appaiono tre montagne tutte uguali in altezza, che simboleggiano la Trinità. La prima montagna Dio Padre, come testimonia la presenza dei tre angeli, che sarà anche il tema ricorrente per la rappresentazione della Trinità. La seconda, quella in cui sono iscritti i Magi, simboleggia lo Spirito Santo: "Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire "Gesù è anàtema", così nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo."(1 Cor. 12,3). La terza, la montagna messianica, come abbiamo visto, raffigura il Cristo. Il colore marrone è comune alla prima ed alla terza montagna: esso richiama la terra, per via dell'incarnazione appena avvenuta. Le montagne sono di uguale altezza perchè "chi ha visto me ha visto il padre"(Gv. 14,9). Al centro della scena campeggia la montagna verde dello Spirito datore di Vita: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio"(Lc. 1,35). Il verde in effetti nell'Icone esprime la vita, la crescita; Dionigi l'Aeropagita indica la più bella caratteristica del verde: "E' la giovinezza e la vitalità"
I Magi appaiono per la prima volta a cavallo a sinistra della montagna. Essi rappresentano il popolo in cerca di Dio e della Sapienza; in loro scorgiamo inoltre le tre età della vita: sono guidati dal più anziano dalla barba e dai capelli bianchi, che è anche il primo, come vedremo in seguito, a rendere omaggio al Bambino. Segue un uomo nell'età della forza, egli ha barba più corta e capelli castani. L'ultimo è un giovane imberbe. Il costume dei Magi è una semplificazione di quello più antico, il tipico berretto frigio appare appena stilizzato, ma restano ancora la tunica corta e variopinta ed i pantaloni aderenti. Nella tradizione occidentale questo abbigliamento designava gli stranieri provenienti dalla Media o dalla Persia, oppure gli adepti al culto del dio Mitra; in Oriente questo abbigliamento non aveva alcun particolare significato (vedi G. Veyzin, L'adoration et le cycle des Mages dans l'art chétien primitif). 
I tre sapienti con le proprie risorse (i cavalli) cercano di scalare la "Montagna Sacra", provano a spingersi in alto, verso la vetta più elevata, ma non riusciranno a fare altro che aggirarla per “attingere” direttamente al Cristo ancora in fasce. “Nella loro cavalcata dall’Oriente verso l’alto, verso le stelle, i Magi sono il simbolo dell’umanità alla ricerca del Paradiso perduto, dell’ascesa della mente verso Dio”(T. Spidlik, M.I.Rupnik, La fede secondo le icone). Nella rappresentazione classica della Natività, stabilizzatasi intorno al VI secolo, la montagna viene rappresentata come una cima altissima, inaccessibile, come le altezze di Dio, spesso divisa in due sommità per simboleggiare la duplice natura del Cristo. Nella nostra Icona, invece, la montagna pur mantenendo il suo aspetto di indubbia solidità ed imponenza, non si presenta impervia, ma arrotondata; solo sulla sommità vengono raffigurate le rocce. “Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”(Lc. 3,5-6). La deificazione dell'uomo è la conseguenza dell'Incarnazione di Gesù: "Dio si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare Dio" (Sant’Ireneo); “Iddio si fece uomo affinché noi fossimo fatti divini” (Atanasio il Grande, BPC, 30, 119). “Non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti.”(Mt. 10,26-27). La montagna resta solidissima, ma la sua cima è "piegata", perché per grazia di Dio la Salvezza è stata garantita agli uomini. Si noti che contestualmente anche le altre due montagne appaiono ribassate personificando il mistero dell'Unità della Santissima Trinità. 





I Magi contemplano la stella, da cui sono guidati fino alla Verità

I Magi sono guidati dalla stella e su di essa posano il loro sguardo. "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere."(Is. 60,1-3). La stella è presente in tutti i modelli della Natività a partire dal IV secolo in poi, ed è intimamente legata alla presenza dei Magi come ci illustra Matteo: "Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo" (Mt. 2,1-2). Anche il vangelo apocrifo dello pseudo Matteo, rifacendosi al passo di Isaia, parla della stella, segno per tutte le genti: "Una enorme stella splendeva dalla sera al mattino sopra la grotta; così grande non si era mai vista dalla creazione del mondo. I profeti che erano a Gerusalemme dicevano che questa stella segnalava la nascita di Cristo, che avrebbe realizzato la promessa fatta non solo a Israele, ma anche a tutte le genti.". La forma della stella, dopo molteplici variazioni, si stabilizzerà intorno all' XI secolo: essa appare in un arco di cerchio, composto a sua volta da cerchi concentrici, dei medesimi colori che troveremo sulle icone della trasfigurazione: il più interno di colore blu scuro, rappresenta la luce increata di Dio, gli altri assumono tonalità sempre più chiare fino al bianco purissimo, luce che la nostra sensibilità ci permette di percepire. "La sua maestà ricopre i cieli, delle sue lodi è piena la terra. Il suo splendore è come la luce, bagliori di folgore escono dalle sue mani: là si cela la sua potenza."(Abacuc, 3,3-4). "Il Verbo di Dio è al di sopra di tutto, di conseguenza il solo capace di ricreare tutte le cose, di soffrire per tutti gli uomini" (S. Atanasio, De Incarnatione).Dalla stella un raggio di luce si dirige sul Bambino, segnato dal nimbo cruciforme e come San Giovanni Damasceno giustamente osserva: "Il Padre e lo Spirito Santo hanno partecipato all'Incarnazione di Dio Verbo solo con l'affetto ed il loro volere" (De fide orthodossa). 
 


Gli angeli annunziano l'Incarnazione alla koinè

Sul lato destro della stella, nel nostro caso sulla parete adiacente ad angolo retto, un arcangelo annunzia la Teofania a due pastori. "Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (Lc. 2,9-12). Gli uomini di buona volontà, quelli "che egli ama"(cfr. Lc. 2,14), si sono rischiarati nella luce della Conoscenza, hanno cercato il Signore e hanno visto un frutto di giustizia, "perchè è tempo di cercare il Signore, finchè egli venga e diffonda su di voi la giustizia."(Os. 10,12), "Poiché come la terra produce la vegetazione e come un giardino fa germogliare i semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutti i popoli."(Is. 61,11). Il gruppo dei pastori è formato soltanto da due uomini, uno vecchio con una fluente barba bianca (Isaia?) ed uno giovane, imberbe. I due pastori rappresentano l'intero popolo di Dio (la koinè): il più anziano, Israele, il popolo della vecchia alleanza, quello imberbe i Gentili, il popolo che Cristo ha attratto a sè con la Croce. "Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo, del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza." (Ef. 3,5-7). La rappresentazione si ispira anche ad un racconto molto presente nei vangeli apocrifi dell'Infanzia: "Mentre Giuseppe e Maria camminavano lungo la strada che conduce a Betlemme, Maria disse a Giuseppe: 'Vedo davanti a me due popoli, uno piange e l’altro è contento'. Giuseppe le rispose: 'Stattene seduta sul tuo giumento e non dire parole superflue'. Apparve poi davanti a loro un bel giovane vestito di abito bianco, - esattamente come nella nostra immagine - e disse a Giuseppe: “Perché hai detto che erano parole superflue quelle dette da Maria a proposito dei due popoli? Vide infatti il popolo giudaico piangere, essendosi allontanato dal suo Dio, e il popolo pagano gioire, perché oramai si è accostato e avvicinato al Signore, secondo quanto aveva promesso ai padri nostri Abramo, Isacco, e Giacobbe: difatti, è giunto il tempo nel quale, nella discendenza di Abramo, è concessa la benedizione a tutte le genti” (Pseudo vangelo di Matteo). Non a caso l'intero mosaico è stato posto nella navata dedicata a Paolo e più esattamente fra la sua immagine e quella del Cristo.



La prefigurazione della Passione e Resurrezione di nostro Signore

Alle spalle dei due personaggi, sopra una collina sorge un grande albero a tre rami con frutti invitanti, prefigurazione dell'albero "datore di Vita": la Croce. L'albero che prima era inaccessibile all'uomo, adesso attraverso la Passione e Resurrezione del Cristo è stato donato all'Umanità per grazia di Dio. "Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male."(Gn 2,9), all'uomo impedì soltanto la libera fruizione di questi ultimi alberi: "Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti""(Gn 2,16-17). Come sappiamo, la disubbidienza dell'uomo portò alla morte il primo Adamo. Iniziava però il tempo dell'attesa, della speranza e della promessa: "Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno"(Gn 3,15). Il piano di Salvezza prevedeva che all’albero sul quale era maturato l'amaro frutto del peccato, che aveva condotto alla morte tutti gli uomini, venisse sostituito un albero nuovo sul quale fosse "attaccato" un dolce e gustoso Frutto datore di vita: l’albero della croce. "Per noi dolce legno, che porti appeso il Signore del mondo. […] Or piega i tuoi rami frondosi, distendi le rigide fibre, s’allenti quel rigido legno che porti con te per tua natura; accogli su un morbido tronco le membra del Signore. […] Tu fosti l’albero degno di reggere il nostro riscatto."(messale romano, Venerdì santo, Passione del Signore, Inno). "Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa" (Lezionario Festivo, Pasqua di risurrezione del Signore, Sequenza). I rami dell'albero sono stati però potati in modo che diano maggior frutto. Posto sul braccio destro dell'albero il bianco Sudario (sempre rigorosamente bianco, secondo quanto prescritto dal I Sinodo Romano tenuto nel 327), simbolo della morte e resurrezione del Signore. Era uso comune durante le processioni del Venerdì Santo uscire dalla chiesa con la croce nuda recante su un braccio il Santo Sudario. Tale regola è ancora osservata dalla Chiesa Cattolica. 
 


Il paesaggio

Più in basso, nella scena, appaiono delle capre mediterranee, immobili, alcune fissano il Bambino, altre la Stella in alto; di esse, due sono bianche ed una nera, prefigurazione, se vogliamo, di quella parte della società, composta da emarginati, esclusi, derelitti e peccatori ai quali sarà tanto vicino Gesù, "Gesù li udì e disse: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati""(Mt. 9,12). La natura stessa del paesaggio è caratterizzata da strane piante dal fusto bianco, come da alcuni gruppi di erbe nere, tutto sembra descrivere lo stupore della natura di fronte all'Incarnazione; ecco i poetici versi del protovangelo di Giacomo che descrivono la scena: "Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell'aria e vidi l'aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non l'alzavano dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull'acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso." (Proto Vangelo di Giacomo, 18,2-3). In basso, un pastore munge una pecora in un calice, sia con evidenti allusioni eucaristiche, sia in riferimento alle parole di Isaia:"Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene."(Is. 7,14-15). L'intero cielo è reso in oro, esprimendo così la realtà senza tempo di Dio, la trans-temporalità di questa Icona, ove tutto è presente: la nascita, il battesimo, l'evangelizzazione, la morte e la Resurrezione e Gloria del Cristo. Una delle caratteristiche più affascinanti di queste opere dello Spirito consiste nel più alto tentativo dell'uomo di rappresentare la realtà divina, avulsa dal tempo, così come essa è.
 


I Magi giungono finalmente alla grotta ove è nato il Salvatore

Dopo un lungo viaggio, durato diversi mesi e dopo aver girato attorno alla Montagna Sacra senza riuscirvi a salire, i Magi appaiono di nuovo nell'Icona, "(...)uniti insieme per ordine di Dio, arrivarono nel momento in cui la Vergine diveniva madre. Essi avevano affrettato il passo e si trovarono là al tempo preciso della nascita di Gesù"(Vangelo armeno dell'infanzia). Le Chiese di tradizione bizantina ricordano infatti nello stesso giorno sia il Natale che l'adorazione dei Magi. I sapienti portano dei doni al Bambino, ma nell'Immagine non vengono raffigurati quelli canonici, oro, incenso e mirra, ma delle uova. “L’uovo è simbolo della fecondità, del rinnovamento, della nascita e della rinascita.”(M. Eliade, Trattato di storia delle religioni). I Magi recano le loro offerte su un piatto, mentre le loro mani sono coperte da un lembo del mantello, segno di purezza e di rispetto, come sancito nel cerimoniale imperiale romano; inchinatisi in adorazione, offrono le uova al Bambino e a Maria, prefigurando l'immensa fecondità della Chiesa. 



Il lavaggio di Gesù

Sotto i Magi, due donne accudiscono il Bambino lavandolo. L’origine di questo modulo è da ricercarsi nella tradizione ellenistica prima che nei testi apocrifi. L’arte ellenistica, in effetti, ha esercitato una grande influenza su quella cristiana. La natività dei grandi personaggi è stata da sempre un elemento ricorrente dell’arte ellenistica, fino allo stabilirsi di veri e propri modelli figurativi,“cicli”, perchè contribuiva ad esaltarne la grandezza (si veda Juhel, Le bain de l’Enfant Jésus des origines à la fin du XII-ème siècle). L'arte cristiana si è poi arricchita di ulteriori valenze: volendo pienamente rappresentare l’umanità reale e non apparente di Cristo, si è fatto ricorso ad un atto ordinario ed assolutamente umano: "(...) pur continuando a considerare immutabile la natura divina, dice che essa si è estremamente mutata per accondiscendere alla nostra debolezza e ha assunto la somiglianza della nostra natura"(San Gregorio di Nissa). Il bagno di Gesù è allo stesso tempo prefigurazione del battesimo (Teofania) e della Sua sepoltura; il Bambino viene immerso totalmente nell'acqua, proprio come nelle Icone del Battesimo ove il Cristo appare sepolto dal liquido. Circa l’identità delle due donne, il proto vangelo di Giacomo, al capitolo 19, fornisce un racconto abbastanza dettagliato. Giuseppe ritenendo il parto imminente lasciò sola Maria nella grotta e corse a cercare un’ostetrica. “Vidi una donna discendere dalla collina e mi disse: "Dove vai, uomo?". Risposi: " Cerco una ostetrica ebrea". E lei: "Sei di Israele?". "Sì" le risposi. E lei proseguì: "E chi è che partorisce nella grotta?". "La mia promessa sposa" le risposi. Mi domandò: "Non è tua moglie?". Risposi: "E' Maria, allevata nel tempio del Signore. Io l'ebbi in sorte per moglie, e non è mia moglie, bensì ha concepito per opera dello Spirito Santo". L'ostetrica gli domandò: "E' vero questo?". Giuseppe rispose: "Vieni e vedi". E la ostetrica andò con lui. Si fermarono al luogo della grotta ed ecco che una nube splendente copriva la grotta. L'ostetrica disse: "Oggi è stata magnificata l'anima mia, perché i miei occhi hanno visto delle meraviglie e perché è nata la salvezza per Israele". Subito dopo la nube si ritrasse dalla grotta, e nella grotta apparve una gran luce che gli occhi non potevano sopportare. Poco dopo quella luce andò dileguandosi fino a che apparve il Bambino: venne e prese la poppa di Maria, sua madre. L'ostetrica esclamò: "Oggi è per me un gran giorno, perché ho visto questo nuovo miracolo". Uscita dalla grotta l'ostetrica si incontrò con Salomè, e le disse: "Salomè, Salomè! Ho un miracolo inaudito da raccontarti: una vergine ha partorito, ciò di cui non è capace la sua natura". Rispose Salomè: "(Come è vero che) vive il Signore, se non ci metto il dito e non esamino la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito". Salomè, precursore di Tommaso, non credendo che alla sua ragione, solita mancanza di fede, volle verificare la natura di questo evento straordinario, ma venendo a contatto con la potenza di Dio, si ustionò la mano. Salomè come Tommaso, capisce, si pente con tutto il cuore per la sua mancanza di fede ed ecco che le appare un angelo e le dice:“Salomè, Salomè, il Signore ti ha esaudito: accosta la tua mano al Bambino e prendilo su, e te ne verrà salute e gioia”. Salomè fu “giustificata” e da allora giurò di prendersi per sempre cura del Bambino. Il racconto è pieno di simboli, non solo viene "certificata" con una doppia prova l’autenticità del miracolo: “la Vergine partorirà un figlio”, ma viene “giustificata”Salomè che, come riporta anche il Vangelo armeno dell’infanzia, è in realtà la prima Eva. “E la nostra prima madre prese il bambino fra le braccia e si mise ad accarezzarlo ed abbracciarlo con tenerezza e benediceva Dio.”(Vangelo armeno dell’infanzia). La disubbidienza di Eva, la sua mancanza di fede, il suo “razionalismo a tutti i costi” viene “giustificato”“La morte fu introdotta per opera di una Vergine: Eva(…) Era conveniente allora che la vita avesse origine per opera di una Vergine”(S. Cirillo di Gerusalemme, Catechesi XII). La donna si pente, riconosce Dio ed ecco che le appare un angelo che le addita il “Farmaco della vita”. Salomè abbraccia Gesù, lo accetta portandolo al suo cuore ed ecco è “giustificata”. Grazie alla seconda Eva, Maria, e con la "giustificazione" della prima, Eva, viene data all’intera umanità la possibilità di accedere alla Salvezza. Il cerchio simbolicamente aperto con Salomè-Eva si chiuderà con la morte e Resurrezione di Gesù: la sua discesa agli inferi e la sua ascesa al regno del Padre con tutte quelle anime che così "giustificate" vengono ammesse alla gloria di Dio. La scena del bagno, nell’icona, è probabilmente ispirata ad una nota omelia attribuita al Patriarca Teofilo di Alessandria, che molto suggestionò gli animi durante tutto il medioevo. Teofilo narra di una visione avuta da lui stesso, in cui è la stessa Vergine a parlare: “Salimmo per il monte a questa casa deserta e vi entrammo, (…) trovammo un pozzo d’acqua perché potessi lavare mio figlio e lo condussi presso il pozzo (…). Entrati nell’interno della casa e sedutici, io e Giuseppe e Salomè e il mio figlio diletto. Salomè si aggirò e trovò così un bacino ed un olla, come se fossero stati preparati per noi. Era sempre Salomè che lavava mio figlio, mentre io gli davo il latte.” 
 


San Giuseppe simbolo del travaglio dell'intera Umanità

In basso, nell'angolo opposto, San Giuseppe siede pensoso, "Con il cuore in tumulto fra pensieri contrari il savio Giuseppe ondeggiava"(inno Akathistos, VI stanza); il suo capo è rivolto verso la scena della natività per indicarla, ma il suo sguardo è diretto verso l'osservatore, quasi volesse intavolare con lui un dialogo. E' tradizione ormai consolidata nel modulo iconografico della Natività rappresentare Giuseppe fuori dalla grotta ed impegnato in un dialogo con un pastore vestito di pelli, che alcuni identificano in Tirso, nome che richiama il bastone utilizzato dalle baccanti nelle processioni dedicate al culto pagano di Bacco. Si vuole in questo modo creare un parallelo con la tradizione misterico-esoterica pagana ed il razionalismo sterile e demoniaco di chi pretende di umanizzare ciò che è divino, illudendosi di poter comprendere e gestire l'intero creato, mettendo così se stesso al centro dell'universo e sostituendosi a Dio. "Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato l'estensione dei cieli con il palmo? Chi ha misurato con il moggio la polvere della terra, ha pesato con la stadera le montagne e i colli con la bilancia? Chi ha diretto lo spirito del Signore e come suo consigliere gli ha dato suggerimenti? A chi ha chiesto consiglio, perché lo istruisse e gli insegnasse il sentiero della giustizia e lo ammaestrasse nella scienza e gli rivelasse la via della prudenza? Ecco, le nazioni son come una goccia da un secchio, contano come il pulviscolo sulla bilancia; ecco, le isole pesano quanto un granello di polvere. "(Is.40,12-15). Tirso-Satana interroga Giuseppe, lo pungola tentando di porre in lui dei dubbi sulla verginità di Maria. Anche nella nostra icona Tirso è presente! Egli è rappresentato "fuori scena". Dobbiamo immaginarlo accanto a noi, proprio come nella realtà avviene. Ecco perchè Giuseppe è rivolto verso lo spettatore. Satana vuole distruggere tutto quello che di buono è stato edificato da Dio. Vuole trasformare in umano ciò che è divino. Vuole trasformare tutte le grazie in cose per cui gli uomini possano deridere chi ha fede. Non bisogna avere paura di nulla, opponendosi coraggiosamente a lui con la preghiera e non con le nostre forze perché egli deride il nostro orgoglio. Satana vuole avvelenare tutti i germogli che hanno cominciato a nascere. Bisogna avere fede, non paura e pregare con sincerità di cuore. "Non chiamate congiura ciò che questo popolo chiama congiura, non temete ciò che esso teme e non abbiate paura". Il Signore degli eserciti, lui solo ritenete Santo. Egli sia l'oggetto del vostro timore, della vostra paura. Egli sarà laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa cadere per le due case di Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme. Tra di loro molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno, saranno presi e catturati."(Is. 8,12-15). Giuseppe rappresenta l'intero dramma umano: la paura, il dubbio e l'incertezza di fronte al mistero. Noi come lui siamo tentati dal dubbio, dalla paura, dalla mancanza di fede. I vangeli apocrifi descrivono nel dettaglio il travaglio del padre putativo di Gesù. Ma "Il creatore di ogni cosa, Dio Verbo, ha composto un libro nuovo, scaturito dal cuore del Padre per essere scritto con un calamo dallo Spirito nella lingua di Dio. Fu dato all'uomo che conosceva le lettere, ma non lo lesse. Giuseppe in effetti, non conobbe affatto Maria, nè il significato del mistero."(S. Giovanni Damasceno). Ruggero II è dunque ben attento a mettere in evidenza la tentazione dello scetticismo dettato dallo sterile razionalismo di chi chiude il proprio cuore a Dio, rifiutando la vera scienza. Ma Giuseppe per Grazia di Dio lo sa, ed allora "Come sappiamo tutt'ora, mirandoti intatta sospetta segreti sponsali, o illibata! Quando Madre ti seppe da Spirito Santo, esclamò: Alleluja!"(inno Akathistos, VI stanza)
 


I Magi di fronte al Bambino e Maria

Nell'iconografia tradizionale della Natività, nei periodi successivi (XIV secolo), Maria viene rappresentata fuori dalla grotta per via delle influenze dei racconti della mistica Santa Brigida di Svezia e dello Pseudo-Bonaventura. In questa Icona la Madre di Dio viene posta nel cuore della "Montagna di Dio", al centro della scena, giusto di fronte all'ingresso della grotta buia. Viene raffigurata la scena della Natività come descritta nel noto testo del pseudo Matteo "(..) l’angelo ordinò di fermare il giumento, essendo giunto il tempo di partorire; comandò poi alla beata Maria di scendere dall’animale e di entrare in una grotta sotto una caverna nella quale non entrava mai la luce ma c’erano sempre tenebre, non potendo ricevere la luce del giorno. Allorché la beata Maria entrò in essa, tutta si illuminò di splendore quasi fosse l’ora sesta del giorno. La luce divina illuminò la grotta in modo tale che né di giorno né di notte, fino a quando vi rimase la beata Maria, la luce non mancò "(Pseudo Matteo). Se osserviamo i bordi dell'ingresso della grotta e le sue pareti interne le vediamo illuminate a giorno dalla presenza di Maria. L'interno della grotta, prefigurazione, come vedremo, dell'inferno resta sempre nell'oscurità perchè "la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta"(Gv. 1,5). La Madonna raffigura la luce promanante dal roveto ardente del monte Sinai: "In esso, infatti, scorgiamo la premessa del mistero della Vergine dal cui parto è sorta sul mondo la luce di Dio. Questa lasciò intatto il roveto da cui proveniva come il parto non ha inaridito il fiore della sua verginità" (San Gregorio di Nissa)
 


Il Santo Bambino giace nella mangiatoia

Il Bambino viene deposto da Maria sulla mangiatoia e sembra che questi esca dalla grotta, probabilmente illustrazione della quarta Ode del Canone della Natività: "(...) Il Bambino è uscito dalla montagna (che è) la Vergine, il Verbo per la restaurazione degli uomini". L'oscurità della grotta simboleggia l'inferno che tenta di ingoiare il Bambino, si tratta della stessa cavità posta sotto Gesù nelle Icone della resurrezione. "Egli è entrato nelle fauci dell'inferno e come Giona nel ventre del cetaceo ha soggiornato tra i morti, non perchè vinto, ma per recuperare, quale novello Adamo, la dramma perduta: il genere umano. I cieli si inchinano fin nel profondo dell'abisso, nelle profonde tenebre del peccato. Fiaccola portatrice di luce, la carne di Dio, sottoterra dissipa le tenebre dell'inferno. La Luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno vista" (Origene, Commentario su San Giovanni). Gesù è avvolto in un bendaggio a fasce incrociate ed intrecciate che rievoca quello di Lazzaro, divenendo l'anticipazione della morte di Gesù. La forma stessa della mangiatoia, che ricorda molto da vicino un sarcofago, è un richiamo alla morte del Cristo. La condanna cui Eva, ed il genere umano assieme a lei furono sottoposti, fu quella di partorire figli destinati alla morte. Anche Maria a sua volta partorisce Gesù, che come vero uomo, è anche Egli destinato alla morte, viene quindi deposto in un sepolcro. Ma le bende in cui Gesù è avvolto, il suo Sudario, sono anche un segno di resurrezione, sarà questo il segno tangibile della resurrezione di Gesù per le donne che si recheranno al sepolcro. Nelle Icone della Resurrezione sono presenti gli stessi elementi e le bende con lo stesso intreccio sono vuote. Attorno alla mangiatoia il bue e l'asino, avverarsi della profezia di Isaia: "Udite, cieli; ascolta, terra, perché il Signore dice: "Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende"(Is. 1,2-3). E nello pseudo Matteo:"Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Abacuc, con le parole: "Ti farai conoscere in mezzo a due animali"."Secondo Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo e Ambrogio di Milano, il bue rappresenta il popolo giudeo, l'asino i gentili. Leone Magno rafforza questo parallelismo intravedendolo anche nel binomio Magi-Gentili, Pastori-Giudei.
 


Lo sguardo accorato di Maria

Lo sguardo di Maria è diretto verso l'osservatore, la sua espressione è accorata. Ella avvolta nel suo letto medita l'intero piano della Salvezza che il Padre aveva preparato per gli uomini: "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore"(Lc.2,19). La Madonna sembra dirci: "Dalla Sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto". Dalla cacciata di Adamo, l'uomo sperimenta la sua corporeità in modo animalesco, vive nel terrore della morte. "L'uomo vive da allora in una continua ricerca dell'autosalvezza, allo stesso modo in cui la bestia deve mangiare per sopravvivere. Così egli trova la sua mangiatoia - cioè il peccato - per soddisfare questo istinto di sopravvivenza. Ognuno di noi ha un peccato che compie ripetutamente, perchè da questo peccato si aspetta un po' di gratificazione, di affermazione. (...) L'uomo pecca perchè crede ancora nel serpente e spera di diventare come Dio."(T. Spidlik, M.I. Rupnik, La fede secondo le icone). Ecco che la mangiatoia-sarcofago luogo di morte, perchè di peccato, diviene il punto di incontro di Dio con l'Uomo. Ecco l'infinito mistero dell'Amore di Dio, che spogliandosi di ciò che è divino incontrò l'uomo là dove sapeva di trovarlo. Dio viene ad abitare la fragilità dell’uomo perché l’uomo possa sperimentare la potenza di Dio. "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce."(Fil. 2,5-8). Così "Come il pane viene distrutto per essere mangiato, ma così è causa di sopravvivenza, così Cristo si lascerà distruggere, perchè solo quando l'uomo l'avrà ucciso comprenderà quanto Dio è buono."(T. Spidlik, M.I. Rupnik, La fede secondo le icone). Ecco cosa meditava Maria nel suo cuore, ecco come l'Icona del Natale diviene il primo annuncio dell'Eucarestia, la Pasqua e la Resurrezione del Signore, tutti questi eventi in modo trans-temporale sono simultaneamente rappresentati in questa unica Immagine, indubbia opera dello Spirito. Ecco infine cosa Maria vuole dirci, mentre pienamente cosciente di quanto sta per realizzarsi, medita in sè tutte le sofferenze che affronterà, senza paura e con il grande scopo di porgere a tutta l'umanità il Suo figlio diletto: "Amate e non abbiate paura, figli miei, perché nell’amore non c’è timore. Se i vostri cuori sono aperti al Padre e se sono pieni di amore per lui, perché aver paura di quello che accadrà? Hanno paura quelli che non amano perché aspettano il castigo sapendo quanto sono vuoti e duri. Figli miei, io vi invito all’amore verso il caro Padre. Io vi guido verso la vita eterna. La vita eterna è mio Figlio: accettatelo e avrete accettato l’amore!"
Vale veramente la pena concludere questo breve studio con le parole di S. Ambrogio nella sua Esposizione sul Vangelo di Luca: "Egli fu stretto in fasce, affinché tu fossi sciolto dai lacci della morte; egli nella stalla, per porre te sugli altari; egli in terra affinché tu raggiungessi le stelle; egli non trovò posto in quell’albergo, affinché tu avessi nei cieli molte dimore. Quella indigenza è dunque la mia ricchezza e la debolezza del Signore è la mia forza".