sabato 16 novembre 2013

Salmo 2 “Perché le genti congiurano”


[1]Perché le genti congiurano
perché invano cospirano i popoli?
[2]Insorgono i re della terra
e i principi congiurano insieme
contro il Signore e contro il suo Messia:
[3]«Spezziamo le loro catene,
gettiamo via i loro legami».
[4]Se ne ride chi abita i cieli,
li schernisce dall'alto il Signore.
[5]Egli parla loro con ira,
li spaventa nel suo sdegno:
[6]«Io l'ho costituito mio sovrano
sul Sion mio santo monte».
[7]Annunzierò il decreto del Signore.
Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato.
[8]Chiedi a me, ti darò in possesso le genti
e in dominio i confini della terra.
[9]Le spezzerai con scettro di ferro,
come vasi di argilla le frantumerai».
[10]E ora, sovrani, siate saggi
istruitevi, giudici della terra;
[11]servite Dio con timore
e con tremore esultate;
[12]che non si sdegni e voi perdiate la via.
Improvvisa divampa la sua ira.
Beato chi in lui si rifugia.

Questo Salmo è un testo classico della preghiera messianica cristiana. Come punto di partenza, però, il carme suppone la liturgia di incoronazione di un sovrano ebraico.
All’orizzonte del primi versetti (vv. 1-3) si intuisce infatti la tensione, si odono rumori di guerra, si intravedono congiure, ribellioni e attentati. Ora, l’interregno che precedeva l’incoronazione del nuovo monarca era una fase di crisi politica non solo a causa del vuoto di potere, ma soprattutto perché questo momento era propizio per i vassalli per scrollarsi di dosso il peso del potere centrale. La gioia e l’entusiasmo delle feste per l’incoronazione erano quindi smorzati dall’incubo della guerriglia ai confini dello Stato e nella liturgia dell’intronizzazione si inseriva l’augurio della vittoria e della pace.
Questo aspetto concreto è visibile nella strofa iniziale e in quella finale del Salmo (vv. 1-3 e vv. 10-
12). Nella prima appare la rivolta dei vassalli (“re della terra”) a cui però si oppone Ywhè che protegge il suo messia. Nella strofa finale sono in scena i vassalli che ormai sono costretti alla sottomissione a Ywhè e al suo messia: la parola, come è noto, in ebraico significa “consacrato”.
Alle macchinazioni dei principi di questo mondo si oppone una grandiosa scena celeste dominata dalla monumentale figura di Ywhè assiso in trono. Egli rompe il silenzio con un “riso” ironico, fonte di terrore ed espressione di superiorità nei confronti di ogni forma di ribellione (vv. 4-6). Il Signore stesso si è alleato col re gettando in campo il peso della sua superiorità. E la sua solenne dichiarazione: “Io l’ho costituito mio sovrano…” (v. 6), sancisce la solidità della dinastia davidica.
Il sovrano si accinge ora a parlare. Egli vuole proclamare ufficialmente il cosiddetto “protocollo regale” (“Annunzierò il decreto del Signore”) che legittimava il potere sovrano del re davidico come rappresentante di Dio sulla terra: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato”.
Ma c’è una differenza fondamentale tra il testo del Salmo e quello dei protocolli dell’antico oriente.
Per questi ultimi il re era fisicamente generato dalla divinità: è per questo motivo che la divinità pagana prende spesso la forma di una dea madre. Per Israele, invece, una tale concezione è decisamente impossibile perché incomparabile con la fermezza del monoteismo e della trascendenza divina. Perciò questo decreto dichiara soltanto che il re ebraico diviene figlio di Dio per adozione e non per generazione naturale.
Nelle rilettura neotestamentaria, invece, il Cristo (versione greca dell’ebraico “messia”) attua in sé
pienamente quel decreto essendo Egli realmente e non per adozione “il Figlio unigenito che è nel seno del Padre” (Gv 1,18). L’applicazione di questo Salmo proprio in questo punto decisivo diventa normale nella cristologia neotestamentaria: “Dio ha attuato la promessa risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel Salmo secondo: “Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato” (Atti 13, 32-33).
E ancora: “A quale degli angeli Dio ha mai detto: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? E ancora: “Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio?” (Ebrei 1,5).
Con questo Salmo, riletto in chiave escatologica e cristiana, tutta la storia acquista una linearità e un significato insospettati: la successione, spesso oscura e corrotta, della dinastia davidica umana si muove nel caos della storia su un itinerario tracciato da Dio. Non è un cieco agitarsi di destini o un processo meccanico di forze che si scontrano e si superano. E’ invece l’esistenza di un filo conduttore che, pur nascosto sotto la superficie non esaltante degli eventi, porta verso il punto definitivo il regno di Dio e verso la persona decisiva, il Cristo “figlio di Abramo, figlio di Davide”  (Mt 1,1), in cui “si ricapitolano tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,10).



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