giovedì 14 novembre 2013

Brevi note su san Silvano l'aghiorita


San Silvano l’aghiorita condusse una vita semplice e lineare come i contadini russi ed i monaci athoniti. Non fu un monaco dotto, ma divenne un santo monaco dell’Umiltà divina. Suo primo discepolo fu l’archimandrita Sofronio (Sergio Sakharov, Mosca, 22 settembre1896 – Tolleshunt, Essex, 11 luglio 1993) che poi divenne suo biografo. Sofronio conobbe padre Silvano nel 1931 e da allora suo unico scopo divenne impregnarsi dello spirito del suo staretz. Custode dei suoi scritti, ne curò la pubblicazione in russo, provvedendo poi alla loro traduzione nelle principali lingue moderne. Il padre di Silvano, Ivan Petrovic Antonov, fu il suo primo staretz per la grande umiltà, in vista della quale Silvano ricevette numerose grazie mistiche: udì la voce della Vergine Maria, ricevette il dono della preghiera continua e spontanea, vide nello Spirito Santo il Signore Risorto e udì il segreto della divina Umiltà dalla viva voce del Cristo disceso agli inferi. Ricolmato di così tanti doni, divenne splendido esempio della virtù evangelica dell’umiltà, riscoperta come qualità primordiale di Dio.
Viveva ancora nel mondo, immerso nella lussuria e nell’ira violenta, quando udì la dolcissima voce della Madre di Dio che lo richiamò dal peccato. La vocazione provocò la decisiva conversione cristiana di Silvano che maturò nella ferma decisione ad abbracciare la vita monastica.
Giunto al Monte Athos si gettò nella conversione e s’immerse nella preghiera e dopo sole tre settimane dal suo arrivo all’Athos, la preghiera penetrò a tal punto nel suo cuore che ne sgorgò spontanea e continua, come sorgente dissigillata. Questo dono prezioso non lo esentò dalle tentazioni della carne e dei demoni, al punto che Silvano giunse quasi a disperare della propria salvezza.
In questa tragica situazione, durante un vespro primaverile del 1893, mentre recitando la formula della preghiera del cuore guardava l’icona del Salvatore nella chiesa di sant’Elia, vide al suo posto la persona del Signore risorto e fu ripieno di Spirito Santo. Il Risorto non proferì parole ma con il suo sguardo calmo ed umile penetrò il cuore del novizio, colmandolo della grazia vivente dello Spirito Santo, sperimentato da Silvano nel corpo e nell’anima. Tale dolcezza indescrivibile scemò pian piano, plasmando così la sua anima con la forma del desiderio abissale di Dio. L’elogio inopportuno ricevuto da uno staretz per le grandi mete spirituali raggiunte in così giovane età, contagiò Silvano con il virus della vanità. Per quindici anni Silvano lottò contro il pensiero sottile e proteiforme dell’orgoglio, malattia spirituale che lo angustiò fino alla fine dei suoi giorni. La superbia è la radice ultima del peccato, tale pensiero diabolico è il più difficile da estirpare perché assume le forme più diverse, accompagnato spesso da visioni o falsamente celestiali secondo la natura luciferina del Maligno, o direttamente di demoni che torturano l’anima.
Duramente impegnato nel combattimento spirituale, durante una notte di veglia del 1908, Silvano dialogò con il Cristo disceso agli inferi: gli chiese di liberarlo dai demoni che gli impedivano la preghiera ed il Cristo gli svelò che la presenza dei diavoli era dovuta al suo orgoglio. Istruito dalla diagnosi di Cristo sulla vera natura del suo stato patologico, Silvano gli chiese di insegnargli la via dell’umiltà e Cristo gliela rivelò, dicendogli: “Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare”. Applicando la terapia di Cristo contro l’orgoglio Silvano ne acquisì l’umiltà, e così scoprì che l’Umiltà di Cristo è l’unica condizione per custodire lo Spirito Santo nel cuore.
La via dell’umiltà di Cristo, su cui Silvano si incamminò negli ultimi trent’anni della sua vita terrena, non è nuova, essendo stata aperta dalla divina Condiscendenza con il parlare le lingue degli uomini, fino ad assumere poi la carne umana. Tale antica via dell’umiltà è però una via stretta, tant’è che pochi sono quelli che la percorrono fino alla fine seguendo il Cristo fin negli inferi. Tra costoro vi sono l’anonimo ciabattino di Alessandria d’Egitto, sant’Antonio l’egiziano, abba Poemen, abba Sisoes e abba Macario, santa Teresa Eustochio Verzeri, santa Teresa del bambin Gesù, Adrienne von Speyr, la beata madre Teresa di Calcutta. Ma anche prima di Cristo vi furono testimoni della divina Umiltà, quali il patriarca Abramo, il profeta Mosé, il re Davide, i profeti Elia,Geremia e Daniele e Giobbe ed infine l’ultimo dei profeti san Giovanni il precursore.
Secondo san Silvano, la cosa più ardua, non è tenere il proprio spirito agli inferi, che equivale a considerarsi sinceramente degni della dannazione e immeritevoli del paradiso, bensì è sperare sempre senza venir meno, cosa che per Silvano coincide con la forza del cuore, il coraggio. Le conseguenze del pensiero rivelato da Cristo a Silvano sono tre: la conoscenza di Dio nello Spirito Santo, la memoria del proprio essere una creatura ed un peccatore, la necessità di amare i nemici. Questi tre effetti applicano l’unguento dell’umiltà di Dio alle tre relazioni costitutive della persona umana (la relazione a Dio, a sé, agli altri) che così può recuperare la somiglianza perduta con il Creatore.



Verso il 1905 egli viene richiamato in Russia come soldato della guardia imperiale. E il momento della guerra russo-giapponese. Ma, in quanto monaco, non viene mandato al fronte. Per un certo tempo vive nel suo villaggio, in una capanna che la famiglia gli ha permesso di costruire nei campi. Fa anche dei viaggi per visitare alcuni monasteri. Vive questo periodo di forzato "esilio" come preziosa occasione di manifestare la sua solidarietà con tutti gli uomini e per alimentare la sua intercessione per tutte le creature.
L'amore per il prossimo in Silvano si dilata all'umanità intera. Egli adempie in questo il precetto evangelico: "Ma io vi dico: amate i vostri nemici" (Mt 5,44). Secondo lui, chi non ha l'amore per i nemici non ha ancora conosciuto Dio nello Spirito santo. In ogni circostanza, perciò, egli manifesta la propria compassione per gli uomini: prega per i vivi, per i defunti e anche per quelli che non sono ancora nati. E di una carità piena di delicatezza. Intercede, e Dio ascolta la sua preghiera. Talora avvengono anche miracoli. E la propria esperienza che egli racconta; ma lo fa con umiltà, come se si trattasse del racconto riguardante un altro asceta.
In una notte di tenebra fitta, una tempesta squassa le barche da pesca nel porto. Gli uomini sono presi dal panico e non sanno più che cosa fare. Silvano prova una tale pena per loro che prega: "Signore, placa la tempesta, calma le onde. Abbi pietà del tuo popolo che soffre e salvalo". La tempesta cessa, il mare si calma e gli uomini rendono grazie a Dio. E Silvano testimonia: "Un tempo pensavo che il Signore compisse miracoli solamente in risposta alle preghiere dei santi, ma ora ho capito che il Signore opera miracoli anche per il peccatore, non appena la sua anima si umilia. Molti, per inesperienza, dicono che il tal santo ha fatto un miracolo, ma io ho compreso che è lo Spirito santo che dimora nell'uomo a operare i miracoli".
Passano gli anni. Dopo la prima guerra mondiale le autorità greche chiudono l'accesso al Monte Athos ai russi dell'Unione Sovietica e allora il monastero di San Panteleimon vede esaurirsi il flusso di vocazioni monastiche. Si portano alla sepoltura dai trenta ai quaranta monaci ogni anno, cosicché agli inizi degli anni trenta non sono più di seicento. Ma la vita comune continua, e con essa gli uffici, la preghiera. In quel periodo si sviluppano ancora di più, nella discrezione, i numerosi carismi dello schimamonaco (Monaco che indossa lo schima, il "grande abito") Silvano a favore di quanti si rivolgono a lui, anche per lettera: profezia, discernimento, chiaroveggenza, guarigione. Ma è soprattutto la sua immensa carità ad avvolgere tutti coloro che vengono da lui. Certo, persino tra i suoi fratelli monaci ci sono alcuni che continuano a ignorarlo; ma fra i suoi visitatori e fra quanti sono in corrispondenza con lui si contano teologi, archimandriti, monaci di altri monasteri (soprattutto serbi di Chilandari e della skit di San Saba), e anche vescovi. Molti gli renderanno testimonianza, dopo la morte serena avvenuta nell'in-fermeria del monastero, durante il mattutino, il 24 settembre 1938.

Qualche giorno prima, quando è evidente che sta soffrendo ma si rifiuta ancora di andare in infermeria, un suo discepolo gli chiede se sia vicino alla morte ed egli risponde: "Non ho ancora raggiunto l'umiltà". Viene poi portato in una stanza dell'infermeria, da solo; ogni giorno riceve la comunione, poiché tale è l'usanza del monastero per i malati gravi. In tutto questo tempo egli custodisce il silenzio. La sera del 23 settembre il suo confessore, padre Sergio, viene a leggere il "Canone della Madre di Dio", preghiera di intercessione per la dipartita dell'anima, detta anche "preghiera degli agonizzanti"; alla fine, Silvano ringrazia a bassa voce. Verso la mezzanotte chiede al padre infermiere: "Si sta celebrando il mattutino?". "Sì. Avete bisogno di qualcosa?". "No, grazie; non ho bisogno di nulla". Questo semplice dialogo e il fatto che egli oda il mattutino — appena percettibile dal luogo in cui si trova — mostrano la sua serenità e il pieno possesso delle facoltà. L'infermiere ritorna verso la fine del mattutino ed è estremamente stupito di trovarlo già morto. Sono all'in-circa le due del mattino. Silvano verrà sepolto il giorno stesso, alle quattro del pomeriggio.
Il vescovo Nicola Velimirovic — che ha dato inizio al grande movimento di rinnovamento spirituale all'interno della chiesa ortodossa serba in questo nostro secolo — nella sua rivista missionaria scrisse un necrologio dal titolo: "Un uomo dall'amore grande". Così annotava: "Di questo monaco meraviglioso si può dire una sola cosa: era un'anima piena di dolcezza. E non sono il solo ad aver sperimentato quella dolcezza: ogni pellegrino del Monte Athos che l'aveva incontrato provava la medesima sensazione. Silvano era un uomo forte, alto di statura; aveva una grande barba nera e, a prima vista, il suo aspetto esteriore non lo rendeva particolarmente attraente a chi non lo conosceva. Ma bastava una sola conversazione per amare quell'uomo ... Parlava dell'immenso amore di Dio per gli uomini e portava i peccatori a giudicare se stessi con severità ... Quell'asceta mirabile era un semplice monaco, ma pieno di amore per Dio e per il prossimo. Da ogni parte della Santa Montagna accorrevano a lui monaci in gran numero per ricevere i suoi consigli ... Tutti sono stati dolorosamente colpiti da questa sua dipartita. A lungo, molto a lungo si ricorderanno dell'amore del padre Silvano e dei suoi saggi consigli. Anche a me il padre Silvano è stato di grandissimo aiuto spirituale. Sentivo chiaramente quanto la sua preghiera mi fortificasse. Ogni volta che mi recavo alla Santa Montagna, mi affrettavo a fargli visita ... Il libro della sua vita è tutto adorno delle perle della sapienza e dell'oro dell'amore. E un libro immenso e incorruttibile".
Silvano era totalmente preso dalla visione della divinità di Cristo e dalla "dolcezza" dello Spirito santo, e faceva passare questa visione nella propria vita. Lo Spirito santo lo rese davvero somigliante al Cristo che gli era stato concesso di vedere. Di questa somiglianzà egli parlava molto spesso, citando il grande apostolo dell'amore: "Saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1 Gv 3,2).

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