sabato 9 novembre 2013

MARTIRIO DEI SANTI VITALE E AGRICOLA, PROTOMARTIRI DI BOLOGNA


Paolino di Milano, nella sua Vita di sant’Ambrogio, riferisce come il santo vescovo di Milano, probabilmente nel periodo in cui era perseguitato dall’imperatore Flavio Eugenio, si fosse recato a Bologna su invito del vescovo Eustasio, perché lo aiutasse nella traslazione dei corpi santi dei martiri Vitale e Agricola dal cimitero ebraico in cui erano stati ritrovati grazie ad una rivelazione celeste. Parte di queste reliquie furono traslate da sant’Ambrogio nel 393 a Firenze, ove era stata eretta una chiesa in onore dei martiri[1]. Fu in questa occasione, che il santo, rivolgendosi alla vedova Giuliana, la benefattrice che aveva permesso la costruzione della chiesa, narrò del miracoloso ritrovamento, accennando anche poche essenziali notizie sul martirio dei due santi Bolognesi.
La memoria dei santi martiri Vitale e Agricola è celebrata il 4 novembre.


Martirio de’ santi Vitale e Agricola
Descritto da S. Ambrogio
(Exhortatio virginitatis, cap. I-II)

I. Coloro, che a qualche grandioso banchetto furono invitati, hanno in costume, in ritornandone, di portar seco i regali a quella occasione ricevuti. Io ritorno da Bologna, ove andai invitato per una funzione troppo più a me gioconda, e in se più magnifica d’ogni qualunque più piacevole e sontuoso convito. Io andai chiamato colà a celebrarvi la traslazione d’un martire, e ritornandone, meco recai per voi un dono grande e pregevolissimo, e pieno di santità, e di celesti benedizioni. Non solamente ne’ più nobili conviti soglionsi infra i presenti distribuire doni e regali; ma molto più si ha in costume di far ciò nel celebrare i trionfi de’ vittoriosi monarchi di questo mondo. I donativi, che meco per voi qui portai, sono proprj di feste trionfali: perciocché tutte le feste, onde le palme de’ martiri si celebrano, sono feste de’ veri trionfi del Signor nostro e sovrano Gesù Cristo, con che le vittorie de’ servi suoi glorifica. Io non mi sono indiritto nel ritorno da Bologna di mia elezione a questa vostra città, ma vi sono passato inviato da voi, e richiesto di dover ciò fare: e quei venerabili doni, che io da prima aveva presi e destinati per altri, per questo vostro amore debbo qui presentarvi e donarvi. Forse voi con troppo benigna prevenzione formaste di me lontano tal vantaggioso giudizio, che troverete non convenirsi a me vicino e presente: le reliquie del martire, che vi reco, compenseranno la picciolezza di mia persona, e mi faranno parere a voi qualche cosa di più, che non sono in verità. Il nome del martire, di cui vi reco le reliquie, è Agricola: e ebbe per suo servo un cristiano, che si nomò Vitale, il quale poi gli fu collega nel martirio, ed ora in cielo gli è compagno nel possedimento beatissimo del premio de’ martiri. Nel morire per Gesù Cristo il servo precedé al padrone, come se quasi fosse andato innanzi, per preparare il luogo al signor suo: e questi gli venne dietro lieto e sicuro, quasi imaginando, che un servitore così fedele e agevolata gli avesse ogni difficoltà del camino, e buon’ albergo gli avesse acconciato al termine. In lodando questo servo, comendiamo i meriti del padrone; conciossiaché per l’ottima disciplina del padrone il servo patì, e divenne martire di Gesù Cristo. Il padrone diede gl’insegnamenti; il servo gli trasse in opera e compì. Nulla non scemò per tutto questo del merito, e della gloria del padrone? E nel vero, come potrebbe mai voler alcuno diminuire quei meriti, e quelle glorie, che a qualche suo servo compartì Gesù Cristo? il servo nel servire eccellentemente il suo signore, da questo suo signore la maniera imparò, onde piacere a Gesù Cristo: il signore in questo ben disposto suo servo si procacciò un merito, ed una gloria duplicata, insegnando prima al servo il martirio; e poi nel martirio del servo imparando per se il modo di farsi martire. Il proponimento sincero e nel padrone, e nel servo di voler essere martiri, fece conformi ed eguali il padrone e il servo: e per questa grazia conformati e pareggiati, vennero a un certo modo in una nobil gara fra loro nel beneficiarsi scambievolmente[2]. Il padrone mandò innanzi al martirio il servo; e questi chiamò dipoi, e condusse il padrone al martirio. La disugguaglianza della condizione di servo e di padrone non reca impedimento a quella uguaglianza, che passa infra due martiri di Gesù Cristo: perciocché la dignità de’ martiri punto non proviene dalla nobiltà della prosapia, ma tutta dalla fede in Gesù Cristo. O servo, o libero, che alcun si sia, tutti indistintamente siamo una cosa stessa in Gesù Cristo, e ciascheduno, quale egli sia, secondo quel bene, che avrà fatto, ne riceverà premio corrispondente dal Signore. Qui di nulla non pregiudica la servitù, di nulla non giova la libertà. Sentasi su questo punto san Paolo, e s’intenda da lui, che le diverse condizioni di servo, e di libero dinanzi agli uomini, non sono diverse dinanzi a Dio. Sei tu, dice san Paolo, chiamato servo tra gli uomini? Non te ne dar alcun pensiero… imperciocché chiunque è chiamato servo nel Signore, è un servo già fatto libero dal Signore. E similmente chiunque è chiamato libero, è servo di Gesù Cristo[3]Si consideri bene la proprietà, e la forza di queste parole dell’apostolo. Egli pare, che abbia voluto dare qualche cosa di meglio alla condizione di coloro, che sono chiamati servi dagli uomini, che di quelli, i quali si dicono liberi: conciosiache egli dica, che i servi degli uomini sono servi fatti liberi di Gesù Cristo; e i liberi degli uomini sono semplicemente servi di Gesù Cristo. Ma nel vero nulla non diede di più l’apostolo ai servi, che ai liberi; ma fece uguali i servi e i liberi nella misericordia, che ottennero da Gesù Cristo. Imperciocché nelle bilancie di Gesù Cristo pesano egualmente la servitù, e la libertà; e in queste di niente affatto preponderano per conto della diversa civil condizione i meriti del servo, e del libero; perciocché e l’uno, e l’altro per ugual maniera è servo di Gesù Cristo: e la dignità e l’onore di servire a Gesù Cristo, è il sommo, che possa essere, e in tutti è lo stesso. In fatti anche san Paolo[4] per se stesso si gloria di servire a Gesù Cristo: tanto è sublime, e gloriosissima questa divina servitù! E nel vero come non sarà gloriosissimo il servire al Figliuolo unigenito d’Iddio, se Egli, perché potessimo a Lui servire, stimò bene impiegato lo spargimento del suo sangue divino, e a se conveniente, e gloriosa una spesa sì abbondevole, e esorbitante, per riscattarci dalla tirannica servitù del demonio, e metterci e stabilirci in quella filial libertà, che ne’ servi di Gesù Cristo è richiesta, e necessaria. Ma ritorniamo a dire de nostri martiri.




Ravenna, basilica di san Vitale, particolare del catino absidale
San Vitale riceve la corona del martirio

Era san Vitale in ogni possibil maniera sollecitato e sospinto da persecutori a rinegar Gesù Cristo; ed egli con fervore e costanza sempre maggiore confessava il suo santo nome, e fermissimamente protestava, che altro Sovrano e supremo Signore divino non riconosceva, che Gesù Cristo unigenito Figliuolo dell’altissimo Iddio. I suoi nemici per questo adoperarono sopra di lui tutte le sorte di tormenti, e il martoriarono sì e per tal modo, che già in tutto il corpo del martire non v’era parte o luogo, ove non fosse lacero già e straziato. Perché il martire ricorse al Signore, e fece a Lui orazione dicendo: o Signor mio Gesù Cristo mio Salvatore e mio Dio comandante, che sia raccolto in pace il mio spirito: io già altro non desidero, che quella corona, la quale il vostro angiolo santo mi mostra, e fa vedere essermi da voi preparata. E finita questa orazione rese lo spirito.
II. Sant’Agricola era di costumi piacevolissimi, e tale si dimostrava in tutte le sue maniere, onde i suoi stessi nemici lo avevano caro e lo amavano; e però essi medesimi gli tiravano in lungo la consumazione del suo martirio. Ma perciocché  quest’umano e onorevole riguardo de persecutori gl’impediva il possesso di quella gloria, che hanno i martiri di Gesù Cristo, era per sant’Agricola viepiù spiacevole e acerbo d’ogni qualunque immanissima crudeltà. All’ultimo poi, conciosiache mai non si piegò sant’Agricola, a voler condiscendere in nulla a suoi persecutori, fu crocifisso: e da ciò dobbiamo intendere, che le cortesi maniere adoperate prima con questo martire da i ministri del demonio, non movevano in loro da sincero amore, ma da finzione e da frode. Essi col supplizio del suo servo, che uccisero prima di lui, si argomentarono d’invilire l’animo generoso del padrone: e Gesù Cristo, rivolse a bene del suo confessore il fraudolento consiglio de’ suoi nemici, e fece, che il martirio del servo già consumato fosse come un invito dolcissimo, e un sommo incitamento al padrone, di voler seguire e imitare un sì lodevole esempio. I nomi di questi martiri pare, che indicassero la grazia, a che il Signore gli avea prescelti; e l’ordinare Iddio, che fossero loro messi in fra tanti altri que’ due nomi, che portarono, sembra essere stata una dichiarazione fatta dal cielo del loro martirio.




Bologna, affresco del XVI secolo, martirio di sant’Agricola

Il primo si chiamò Vitale, che quasi viene a dire uomo  predestinato a procacciarsi la vera vita sempiterna col totale disprezzo di questa breve vita mortale: il secondo ebbe nome Agricola, come se Dio, con dargli tal nome, ci predicesse, che nell’animo di questo suo servo quasi in secondo campo E’ seminerebbe largamente le sue grazie più elette; e questo servo fedele qual’industrioso agricoltore le coltiverebbe mirabilmente e collo studio di tutte le virtù e coll’acquisto di grandi meriti, e finalmente con innaffiarle del proprio sangue condurrebbe la celeste semenza a rendere frutto centuplicato, e pienissimo.
III. Furono sepolti questi martiri in un terreno posseduto dagli ebrei, e infra i sepolcri di questi era il sepolcro de nostri eroi. Parvemi questo un capriccioso desiderio degli ebrei quasi ambissero d’aver comune il sepolcro co’ servi di Gesù Cristo. Anche ne tempi più antichi avea bramato Balaam, e avea detto: sia in morte annoverata l’anima mia insieme coll’anime de giusti[5]: contutto ciò ei non volle, vivendo, comunicare appresso la morte. Così qui gli ebrei onoravano morti i martiri di Gesù Cristo, i quali eglino stessi, quando vivevano, avevano perseguitati. Dunque in mezzo ai sepolcri degli ebrei andavamo diligentemente rintracciando, quasi rose da cogliersi d’infra le spine, le sante reliquie di questi martiri. Quando noi levammo di là que’ venerabili avvanzi lasciati dai confessori del Signore alla terra, eravamo per ogni parte intorniati dagli ebrei: e in molto numero vi era concorso il popolo della santa Chiesa cristiana, che con plauso divoto, e con allegrezza spirituale onoravano quella pia funzione. Gli ebrei, in veggendo le reliquie de’ martiri, dicevano: i fiori si sono veduti apparire nella nostra terra. I cristiani rispondevano: è venuto il tempo di coglierli. E coloro, che questi fiori raccoglievano, avevano in questo stesso un frutto ubertoso di lor fatica. Altri avevano già seminato, e noi raccoglievamo allora i frutti de’ martiri.
Gli ebrei sentendo con nuovo non più provato diletto i plausi, e le voci festevoli della Chiesa di Gesù Cristo, dicevano: la voce della tortorella si è sentita nella nostra terra[6]. A questo avvenimento ben si confanno queste parole del Salmo: il giorno comunica le sue parole al giorno; e la notte manifesta la scienza alla notte[7]. Pel “giorno, che parla al giorno”, s’intende il cristiano, che parla al cristiano; e per “la notte, che manifesta la scienza alla notte”, s’intende l’ebreo, che manifesta il suo sapere ad un altro ebreo. E gl’Ebrei usando le parole della Santa Scrittura dimostravano, che avevano la scienza de’ martiri, ma erano privi della scienza del Verbo Divino, di quella scienza cioè, che è sola bastevole e necessaria a farci conoscere, e possedere l’unico e sommo Bene, l’unico e sommo Vero: e degli ebrei, che mancano di scienza così sublime e necessaria, è scritto: che ignorando la giustizia d’Iddio, e volendosi giustificarsi per le medesimi, non riceverono la giustizia d’Iddio[8].




 Bologna, basilica dei santi Vitale e Agricola, Cristo tra i due martiri

IV. Or ritornando al dono, che io v’ho recato, e che intendo lasciarvi, questo consiste in una parte della croce del martire sant’Agricola, la quale fu il trofeo della sua vittoria; e quanta sia la grazia e la virtù riposta nella croce d’un martire, voi il ravviserete all’opere; e per certo, che fino i demonj dell’inferno ciò riconoscono, e confessano. Cerchino altri, e riponghino l’argento, e l’oro; e vadano a ripescare con travaglio immenso tali preziosi metalli fin giù nelle più cupe e riposte viscere della terra; procacci pure chi vuole, e custodisca gelosamente carissime gioje, e monili d’immenso prezzo: tutto questo non sarà più alla fine, che un tesoro temporale, e sovente dannoso al suo padrone: noi cerchi abbiamo, e raccolti, e a voi recati i chiodi, onde fu confitto il  martire sant’Agricola: questi chiodi sono molti nel vero, perciocche le trafitture in lui furono di più numero, che le membra del suo corpo. Quando noi raccoglievamo questi chiodi, onde il martire fu crocifisso, e trafitto, parevami quasi di sentirlo gridare agli ebrei, e dir loro: vedete le mie piaghe, e mettete le vostre mani nell’aperto mio costato, e non vogliate mai più per l’innanzi essere increduli, ma siate fedeli[9]. Raccogliemmo ancora il sangue trionfale di questi martiri, e il legno della croce di sant’Agricola; e questi doni, e queste sante reliquie noi non abbiamo potuto negare a quella vostra nobile, e pietosa vedova, che ce le ha richieste con grandissima istanza.
Voi dunque accettate con pio gradimento questi doni adorabili, che sono doni di salute, e che noi qui collochiamo a vostro conforto, e difesa sotto di questi sacri altari. Quella nobile, e pietosa vostra vedova, che ho di sopra indicata, è Giudea, la quale ha fabbricato, e offerto al Signore questo tempio, che oggi dedichiamo. L’offerta sia certo degna, e gradita al sommo Iddio, conciosiacche è fatta da persona tale, che già prima ne suoi figliuoli avea consacrati a Dio tanti tempj vivi di pudicizia, d’integrità, e d’ogni maniera di cristiano valore. Nel proferire il nome di questa valorosa donna la chiamai Giudea, quando dovea dire, Giuliana. Ma posso dire, che niun’errore non commisi in ciò, e col dire Giudea io venni a dire quello, che è inverso se stessa la nostra Giuliana. Perciocche Giudea significa un anima, che conosce, e confessa il vero Iddio. E però è scritto nel salmo: nella Giudea è conosciuto il sommo Iddio[10]. E per Giudea si dee qui intendere non il luogo, ove negato fu Gesù Cristo vero Iddio, ma ogni qualunque anima, che in Lui riconosca l’unica ineffabile divinità. E però quella spiritualmente è la Giudea, ove più abbondanti sono le grazie del Signore, e ove più sincera è l’intelligenza de’ divini misterj, nel che consiste la nostra salute; ed è scritto che la salute è dai giudei[11]. Dunque uno sdrucciolo inavveduto di lingua è stato in me sì felice, che è divenuto testimonio certissimo della verità. Onoriamo pertanto questa virtuosissima vedova, perciocche ci dice san Paolo: onorate quelle vedove, che veramente sono vedove[12]. Questa nel vero né cerca, né vuole le onoranze, e gli encomj delle nostre parole, imperciocche avendo adempiti a perfezione gl’insegnamenti dell’apostolo, ha nelle opere sue il testimonio, e la commendazione della sua virtù; e l’ottima educazione data da lei a suoi figliuoli, e le cristiana e santa vita, che essi menano, palesemente sono e testimonio, e dimostrazioni del sommo valore di questa madre. Quando ella perdé, rapitole da morte, il marito, per tal perdita e per tal morte chi non compatì, e non compianse la sventura e desolazione di questa vedova? Ma ella con animo magnanimo, e piucche virile non tanto si dolse e deplorò, d’avere in lui perduto per se il marito, e pe’ figliuoli il padre, quanto che colla morte di suo marito perduti avessero i sacri altari un eccellente ministro. E comecche ella bene intendesse, e amaramente sentisse la perdita fatta di tutto il conforto, e sostegno, che nel marito avea sempre esperimentato grandissimo; non pertanto in quest’anima divota prepondera troppo a qualche siasi suo privato interesse il riguardo al vantaggio della chiesa d’Iddio.  

Da: ATTI SINCERI De primi martiri della chiesa Cattolica. Raccolti dal P. RUINART e tradotti nella lingua Italiana con prenotazioni e note da F. M. LUCHINI. Tomo III, ROMA MDCCLXXVIII, 426-433.


[1] Vita Ambrosii, 29: In questa città costruì una basilica, ove depose le reliquie dei martiri Vitale e Agricola, i cui corpi aveva esumato a Bologna. Infatti i corpi dei martiri erano stati collocati in mezzo alle salme dei Giudei, e i cristiani non ne sarebbero venuti a conoscenza se i santi martiri non si fossero rivelati al vescovo di quella città. Quando i corpi furono deposti sotto l’altare che sta nella basilica, ci fu gran gioia, l’esultanza di tutta la comunità dei fedeli, e gran pena per i demoni costretti a confessare i meriti dei martiri.
[2] Efesini 6, 8.
[3] I Corinzi 7, 21-22.
[4] Romani 1, 1.
[5] Numeri 23, 10.
[6] Cantico di Salomone 2, 8.
[7] Psalmo 18, 3.
[8] Romani 10, 3.
[9] Giovanni 20, 27.
[10] Psalmo 75, 1.
[11] Giovanni 4, 22.
[12] I Timoteo 5, 3.


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