Con questa prima pubblicazione iniziamo il commento a
tutti i salmi del Salterio nella speranza di poter offrire uno spunto di
meditazione e di preghiera.
Per gustare la preghiera dei Salmi è necessario
passare dalla nostra agitazione quotidiana alla quiete, come ci ricorda il
profeta Isaia: “Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza,
nell’abbandono confidente sta la vostra forza”.
E’ necessario condurre la molteplicità delle cose che
facciamo ad un centro, ad una unità per non disperderci, dobbiamo passare dalla
superficie al profondo per saper distinguere ciò che permane da ciò che è
transitorio, ciò che facciamo per dovere da ciò che dà senso a tutto quello che
facciamo.
Per fare questa operazione di sintesi è necessario
risvegliare la presenza dello Spirito Santo che è in noi e che ci aiuta a
cogliere in profondità il messaggio che ci viene dall’ascolto della Parola di
Dio.
L’ascolto non è facile: richiede attenzione con gli
orecchi, l’intelligenza della testa e soprattutto l’impegno del cuore: il tutto
immerso in un clima di silenzio.
Prima di iniziare le nostre riflessioni sul Salterio
ci facciamo due domande:
Perché preghiamo i Salmi?
A questa prima domanda potremmo rispondere: “Perché li
prega Cristo e la Chiesa e noi per essere fedeli a quello che Cristo e la
Chiesa ci propongono, seguiamo le loro orme”. Questa risposta è giusta ma non è
sufficiente, perché invoca un argomento di pura autorità:
“Dicono di fare così e noi ubbidiamo!”. Noi, invece,
dobbiamo cercare delle risposte più profonde che rivelino il perché Gesù, il
Figlio di Dio e la Chiesa, abbiano scelto proprio questa preghiera. I Salmi,
infatti, sono preghiere per noi lontane nello spazio e nel tempo. Nello spazio,
perché a noi occidentali i Salmi ci vengono da una cultura orientale. Nel
tempo, perché sono stati composti circa 2000 anni fa, provengono, infatti, da
un periodo che va dal 1000 al 300 a.C.
Cosa sono i Salmi?
A questa seconda domanda, possiamo rispondere con tre
semplici affermazioni: essi sono parola dell’uomo, Parola
di Dio, parola della Chiesa e di tutta l’umanità.
Parola dell’uomo. I Salmi sono prima di tutto parola
dell’uomo. Quando apriamo il Salterio, la prima cosa che appare evidente è il
fatto che nei Salmi spesso è l’uomo che prende la parola. Certo può capitare
qualche volta che sia Dio stesso direttamente a parlare, come per esempio nel
Salmo 49: “Parla il Signore Dio degli dèi”. Per approfondire questo
primo aspetto (i Salmi come parola dell’uomo), dobbiamo tener presente due
cose: la prima è che i Salmi sono ispirati, e quindi come tutti i libri della
sacra Scrittura essi sono Parola di Dio. La seconda è che, partendo dal Salmo
30 (“ Ti esalto Signore perché mi hai liberato”) l’orante prende la
parola per lodare e ringraziare Dio.
Il linguaggio con cui si esprime l’orante può essere
definito con tre caratteristiche fondamentali dell’espressione dell’uomo: il canto, la poesia,
la preghiera. Sono tre parole fondamentali per la vita
dell’uomo: cantando, poetando e pregando l’uomo esprime se stesso. E’ proprio
attraverso queste tre forme del linguaggio umano che noi siamo invitati a
riscoprire queste preghiere, se vogliamo veramente capire cosa sono i Salmi, e
come si pregano.
I Salmi prima di tutto sono un canto,
essi spesso si cantano nelle Liturgie, nei monasteri e nelle comunità
religiose. Noi lo riteniamo un libro scritto, ma per quel popolo che li ha prodotti,
furono anzitutto un canto.
Cos’è un canto per l’uomo? Il canto è quella parola
con cui noi dando voce più alta, più intensa e più modulata ai nostri
sentimenti di gioia, di dolore, li valorizziamo e li comunichiamo. Il canto è
la voce viva dell’uomo che reagisce alla vita, e a cantare è prima di tutto una
persona, un popolo, per i quali sono importanti le esperienze, gli avvenimenti
che vive. L’uomo canta davanti a tutti, non ha paura di essere ascoltato,
perché desidera comunicare agli altri ciò che vive, ciò che sperimenta.
Potremmo dire che chi canta prende la vita sul serio, la sente come qualcosa di
intenso, di prezioso, che pulsa dentro e che va valorizzato. I Salmi nascono da
un vissuto, la persona superficiale fa fatica anche a pregare. L’uomo che canta
desidera farsi ascoltare, comunica qualcosa, può invitare un coro a partecipare
al proprio canto, così il canto diventa anche un antidoto al ripiegamento
solitario. Anche noi siamo invitati a riscoprire il grande valore dei Salmi
come canto. Il Salmo 30 accennato prima, sottolinea proprio questo aspetto, al
versetto 13 si dice: “Perché io possa cantare senza posa”, l’orante
del Salmo, forse liberato da una malattia, esplode in un canto che vuole che
duri per tutta la sua vita “senza posa”, e invita anche i fratelli
a unirsi al suo canto: “Cantate inni al Signore, rendete grazie al suo
santo nome”.
Quindi non possiamo pregare bene i Salmi se non
riscopriamo questa esperienza del canto.
Questo è un primo aspetto dei Salmi, come parola
dell’uomo.
I Salmi poi sono anche una poesia,
oltre che canto, spesso altissima poesia. E potremmo dire che la poesia è una
“parente prossima”, una “sorella maggiore”, del canto, nel senso che, mentre il
canto è una espressione molto immediata, la poesia tenta di essere più profonda.
La poesia tende veramente ad essere un qualcosa che nasce dal profondo. Quando cantiamo
prevale il sentimento, quando scriviamo o ascoltiamo una poesia facciamo una esperienza
più profonda, quasi contemplativa. Il canto è immediato, ti tocca subito, ti fa
vibrare, può essere legato a un momento passeggero, transitorio, nella poesia
certo non viene meno l’emozione, il sentimento, ma scende più alla radice, fino
alla sostanza profonda della vita per cogliere più da vicino la verità ultima,
definitiva. Direi che la poesia di specifico è quella di essere una parola che
è stata ispirata nel profondo da chi poi l’ha pronunciata. In tutta la cultura
antica orientale, e pare anche occidentale, il poeta era qualcuno visitato da Dio,
dal suo Spirito. Il poeta, più o meno in tutte le culture, finisce per
assomigliare un po’ al profeta, a qualcuno che si lascia parlare da una verità
più grande di lui, gli presta la propria voce. Forse noi non siamo dei grandi
poeti, ma tutti conosciamo il fenomeno della ispirazione, quel suggerimento che
ci viene dal di dentro, e che ci orienta nelle scelte che si presentano in
determinate circostanze della vita.
I Salmi oltre che canto, poesia, sono anche preghiera,
dialogo che l’uomo instaura con il suo Dio. Il dialogo però presuppone una
condizione ben precisa: che Dio si sia già fatto conoscere in qualche maniera.
E qui tocchiamo il senso e il significato profondo della preghiera: “Pregare
è sempre e ovunque un rispondere”. Queste sono affermazioni importanti,
eliminano la convinzione che la preghiera nasca soltanto dalla nostra
iniziativa: è impossibile! L’iniziativa di Dio nella preghiera è valida per la
preghiera biblica. Pregare in senso autentico è sempre un riallacciare, un continuare
un contatto già avvenuto tra me e Dio; è sempre una reazione a un agire di Dio,
a una sua iniziativa verso di me, immediata o no, non ha importanza. Pensiamo
ad Abramo: è Dio che interviene per primo, Abramo risponde. E’ proprio nella
preghiera così intesa che all’uomo è data la possibilità di prendere fino in
fondo consapevolezza di se stesso, di scoprirsi un soggetto libero, una persona
che ha qualcosa da dire, da fare nella vita, nel momento in cui l’uomo si sente
interpellato dal “tu” divino, risponde ed entra in dialogo con l’Assoluto. La
preghiera, quindi, nasce nel momento in cui l’uomo risponde al “tu” assoluto di
Dio. E’ fondamentale capire la preghiera come risposta, come un’esigenza, come espressione
radicale dell’uomo; l’uomo ha bisogno di questo “tu” assoluto cui potersi rivolgere.
E la preghiera dei Salmi ci restituisce, anzitutto, questo dono, questa grazia gratuita,
il senso di un rapporto con Dio, un dialogo diretto con Lui, che qualche volta rischia
di perdersi quanto consideriamo Dio un “lui”, anziché un “tu”. Questa è la
grazia dei Salmi: accorgersi veramente che in qualsiasi situazione o
condizione, anche di peccato, abbiamo a che fare con questo “tu” divino cui
rispondere, anche se magari non sempre Lui risponde come vorremmo. L’importante
è rivolgerci a Lui sempre! In tutte le preghiere del mondo la prima cosa che
conta è l’invocazione del nome di Dio, chiamare Dio per nome è un’esperienza di
tutte le religioni, in modo particolare per quella ebraica, e quella cristiana.
La cosa più originale della nostra preghiera sta nella
certezza, e nella sicurezza con la quale l’uomo si sente legato a Dio chiamandolo: “Signore
mio Dio”. Non finiremo mai di ringraziare Dio per questo dono del
Salterio, dovremmo innamorarci di questa preghiera. La caratteristica di tutto
il Salterio sta proprio in questo: Dio non solo è vicino quando lo invochiamo
ma Lui stesso ci viene vicino tutte le volte che lo invochiamo. Questa è anche l’originalità
del popolo d’Israele di fronte agli altri popoli: “Quale Dio è così vicino a
noi come il nostro Dio al nostro popolo, quale popolo Dio ha vicino a sé come
noi? Perché il nostro Dio si avvicina tutte le volte che noi lo invochiamo” (Deut
4). Questo contatto con Dio, unito all’invocazione del suo nome, è la
condizione primaria del dialogo. Vedremo, nel commento ai Salmi, l’importanza
del nome di Dio che non è vago, ma ha un “volto” che, per noi, è Gesù Cristo: “Chi
vede me vede il Padre”. Siamo invitati dalla preghiera dei Salmi a riscoprire
il mistero del nome di Dio che abbraccia tutta quanta l’esperienza della vita.
Non è ovvio avere il nome di Dio sulle labbra, è un dono gratuito che ci fa il
Salterio. Il nome di Dio è qualcosa di vicinissimo ma anche di misterioso.
Pensiamo alla prima manifestazione di questo nome a Mosè nel roveto, e
soprattutto alla preghiera del Padre Nostro insegnataci da Gesù, quando chiama
Dio: “Abbà” = “Padre mio”. Anche noi possiamo chiamare Dio col nome di Padre
perché Gesù ce lo permette. E’ lo Spirito che fa passare questa preghiera di Gesù
nei nostri cuori, attraverso Lui otteniamo con assoluta certezza la possibilità
di invocare Dio nel modo giusto. Paolo dice: “Noi non sappiamo nemmeno
cosa dobbiamo chiedere, ma lo Spirito ci permette di fare tutto questo”. La
grandezza della preghiera dei Salmi, sta nel fatto che essa in Gesù diventa
preghiera cristiana. Questo è il primo aspetto della preghiera dei Salmi:
canto, poesia, preghiera. In tutte e tre queste esperienze siamo visitati e
interpellati: quando cantiamo siamo visitati dalla gioia, dal dolore e nel
canto diamo voce a questi sentimenti; con la poesia siamo visitati dalla
verità, dalla bellezza, dalla bontà che ci sollecita al loro servizio; nella
preghiera siamo visitati da Dio stesso, perché possiamo dialogare con lui,
possiamo diventare testimoni della sua presenza. Tutte e tre queste forme
espressive così semplici, così vive sono la sintesi della nostra preghiera a
Dio come risposta a Lui che ci interpella.
Parola di Dio. I Salmi oltre che parola dell’uomo, sono
anche parola di Dio, nel senso che nella parola dell’uomo che canta, che
poetizza e che prega è Dio stesso che, facendosi autore di questa parola umana
ne garantisce la sua veridicità, riconoscendola come sua. I Salmi, sono “parola
di Dio” in forma di risposta umana. Nella preghiera dei Salmi c’è un grande dinamismo:
Dio comunica se stesso attraverso la Sua parola, essa viene a noi e ritorna a
Lui carica della nostra umanità. Pensiamo al bellissimo testo di Isaia 55, dove
si dice che la Parola di Dio è: “Come la pioggia e la neve che
scendendo dal cielo, non ritorna indietro senza aver irrigato la terra,
fecondata e fatta germogliare, così sarà la parola uscita dalla mia bocca, non
tornerà a me senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. A Dio che parla,
l’uomo risponde con il peso della sua umanità (gioie, sofferenze, tormenti). I
Salmi sono questa parola di Dio nel movimento di ritorno a Lui, la Parola
scende dall’alto di Dio, tocca il profondo dell’uomo e ritorna di nuovo verso
l’alto, trasportando tutta l’umanità in questa risposta. In questa preghiera
dei Salmi, quindi, Dio ci presta le parole, spesso noi non sappiamo cosa dire,
perché siamo tristi, il Salmo ci aiuta, ci mette in bocca le parole giuste: sono
le parole che Dio vuol sentire da noi. In conclusione: se la Bibbia contiene
anche un libro di preghiere, questo significa che la Parola di Dio non è solo
quella che Dio ci dice, ma anche quella che egli vuole udire da noi, in quanto
Parola del Figlio che egli ama. E’ un dono di grande rilievo il fatto che Dio
ci dica come poter parlare e comunicare con lui.
Questo ci è consentito quando preghiamo nel nome di
Gesù Cristo. I Salmi ci sono dati perché impariamo a pregare nel suo nome.
Nella preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre nostro, è contenuta ogni
preghiera, quindi anche il Salterio. Per cui il Padre Nostro è la pietra di
paragone che ci permette di riconoscere se preghiamo in nome di Gesù Cristo o in
nome nostro.
Nei Salmi incontriamo contemporaneamente due realtà,
espresse al loro vertice: il massimo di Parola di Dio al mondo ma anche il
massimo di risposta dell’uomo a Dio, entrare in essi è come entrare in questo
grande movimento, che è il movimento dell’amore, del dialogo tra Dio e la sua
umanità: Dio lascia parlare l’umanità, e si riconosce nella parola umana. I
Salmi sono la manifestazione della pedagogia divina: Dio ci chiama e si china
su di noi, ci insegna a pregare, e a parlare con lui. Il bambino impara a parlare
in quanto il padre gli parla, gli insegna le parole, che prima storpia, poi
pian piano le dice giuste, e poi anche in modo originale, creativo, libero,
adulto, in definitiva, impara la lingua del padre. Allo stesso modo Dio fa con
noi attraverso la preghiera dei Salmi: ce li dona perchè impariamo a parlare e
a dialogare nel modo giusto con Lui. Sulla base del linguaggio del Padre
celeste i figli imparano a parlare con lui. Nel ripetere le parole stesse di
Dio, noi iniziamo a pregarlo. Non dobbiamo parlare a Dio, né egli vuole
ascoltare da noi il linguaggio alterato e corrotto del nostro cuore, ma il
linguaggio chiaro e puro che Dio ha rivolto a noi in Gesù Cristo, che nella
sua Incarnazione, ha preso su di sé ogni miseria, ogni gioia, ogni speranza
degli uomini e le ha portato al cospetto di Dio. Sulle labbra di Cristo, la
parola umana diventa Parola di Dio. Anche noi, unendoci alla preghiera di
Cristo, trasformiamo la nostra parola umana in Parola di Dio.
Questo linguaggio di Dio lo incontriamo solo nella
Sacra Scrittura. Se vogliamo, quindi, pregare nella certezza e nella gioia,
dobbiamo porre la parola della Scrittura come solida base della nostra
preghiera. Partendo dalle Scritture, noi siamo certi che Gesù Cristo ci insegna
a pregare.
Parola della Chiesa. Abbiamo detto che i
Salmi sono parola dell’uomo, in quanto canto, poesia, preghiera; parola di Dio
in quanto ispirata da Lui stesso, ma anche parola della Chiesa. Concretamente
questo significa che, i Salmi non sono unicamente un fatto privato, ma
universale, hanno un respiro ecclesiale, addirittura cosmico, pensiamo al Salmo
(150), dove tutta la natura entra in gioco nella lode. Non si capisce fino in fondo
cosa sono i Salmi se non si ha la coscienza che si prega per tutti. Se non ci
sentiamo coinvolti nella preghiera della Chiesa che è l’unico grande corpo del
Cristo totale, la nostra preghiera non è quella di Cristo. Se nei Salmi
cogliamo solo un sentimento personale, siamo ancora lontani dal raggiungere la
piena contemplazione che il Salterio riserva a quanti si affidano interamente
ai suoi misteri. Coloro che soffrono nei Salmi, che gridano verso Dio, e Dio li
ascolta, è il Cristo totale, Cristo associa a sé stesso tutta la famiglia umana
e ognuno partecipa a questa preghiera dell’intero Corpo. Tiriamo una
conseguenza pratica a questo discorso: bisogna imparare a pregare i Salmi non con
una immediata proiezione dei nostri stati d’animo, che si possono anche
rispecchiare nella lode, nel lamento di queste invocazioni, ma bisogna
allargare la nostra visione al Cristo totale, a tutta la Chiesa. Quando preghiamo
siamo in comunione con tutti: nessuna lode ci è estranea anche se noi siamo
nella sofferenza; nessun lamento ci è indifferente pur trovandoci nella gioia,
perché la nostra preghiera sarà in comunione con tutti gli uomini vicini e
lontani, dobbiamo vivere in quel momento di preghiera questa solidarietà
universale, questa comunione con tutto il corpo ecclesiale
Ora ritorniamo alla domanda: “Cosa sono i Salmi? Essi
nascono da un’esperienza quotidiana di un popolo e, con grande semplicità,
passione, descrivono l’amicizia tra Dio e l’uomo. I Salmi non sono solo parole
recitate con le labbra, ma preghiere, elevazioni a Dio, cantate dal popolo.
Sono preghiere nelle quali tutto l’uomo è coinvolto, nella sua emotività, nella
sua fantasia, nella sua immaginazione. I Salmi vanno cantati interiormente, per
poter intendere il loro messaggio, in essi amici e nemici, vita e morte, salute
e malattia, dolore e gioia, vengono passati al setaccio. Noi li preghiamo
perché nei Salmi Dio ci parla, ci fa parlare, ci insegna a parlare con Lui, e
nella tradizione cristiana Gesù Cristo stesso parla al Padre e mette in bocca
alla sua Chiesa le parole vere che Dio stesso ha ispirato. I Salmi sono
preghiere del cuore fatte a Dio, che conosce il cuore dell’uomo. Questo in
fondo è il salterio (151 salmi), un libretto molto piccolo, ma ci sono tutti
gli aspetti culturali, religiosi, civili, sociali di Israele.
Cosa dicono i Salmi a noi oggi? Essi contengono almeno
3 segreti:
• La capacità di leggere l’opera di Dio nel
mondo, nella storia come espressione della sua vicinanza, della sua amicizia
con le sue creature.
• La capacità di leggere in profondità il cuore
dell’uomo per ricondurre ogni gioia, ogni difficoltà alla fiducia, alla
speranza in Dio.
• La capacità di leggere in trasparenza la storia
di un popolo per scoprirvi la realizzazione del progetto di Dio che chiama alla
salvezza e alla felicità tutti gli uomini.
I Salmi sono una voce di preghiera che riassume tutto
il grido dell’uomo, da quello del neonato, quando esce dal grembo materno fino
all’ultimo flebile respiro dell’uomo che ritorna al seno della terra. Nel libro
dei Salmi, pertanto, c’è la storia di tutto l’uomo, di ogni sua età e di ogni
sua vicenda. Nella Bibbia, i Salmi sono collocati nel cuore del mistero della
salvezza, cioè al centro di tutta la Bibbia (tra i racconti storici, profetici
e sapienziali), perché sono la sintesi dell’avventura storica tra Dio con
l’uomo, espressa nella sublimità della poesia e della preghiera. Prima di
entrare nella Liturgia come forma portante per l’animazione del culto (prima
ebraica e poi cristiana), questi Salmi, brandelli di vita, sono stati
raccontati a Dio, nei toni più diversi. E attraverso la liturgia hanno
continuato a raccontare la vita dinanzi a Dio con le parole di sempre, con i
sentimenti e le connotazioni storiche degli avvenimenti del momento.
Non tutti i Salmi sono di immediata comprensione,
alcuni sono un po’ elaborati, però tutti ci danno qualcosa, ognuno ha una sua
grazia. Accontentiamoci quindi di prendere qualche contenuto che ci colpisce, o
qualche frase in modo da masticarla lentamente. In fondo la vita spirituale
matura, cresce anche attraverso l’assimilazione di questi contenuti, senza
accorgercene, un po’ alla volta si cresce. Se uno quotidianamente dà spazio
alla Parola e cerca di assimilare questi contenuti, lentamente si forma una
specie di spessore interiore, che diventa punto di discernimento, per gli eventi
esteriori, buoni o cattivi, felici o tristi. Senza questa guida interiore della
Parola noi siamo in balia del quotidiano senza alcun punto di riferimento
interiore: “Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”, diceva
Paolo. Questo cammino avviene gradualmente.
Alla base di ogni Salmo, quindi, sta l’esperienza
dell’incontro con la Parola di Dio, come evento assoluto, intervento misericordioso
di Dio nella Storia. D’altra parte coloro che hanno scritto i Salmi sono figli
di Israele, conoscono il Signore, il Dio dei Padri, il Dio dell’Alleanza, il
Salvatore di Israele. Essi fanno parte di una Storia di salvezza, che prima di
loro ha visto coinvolti molti altri.
Questa Parola che raggiunge il cuore del credente è
una parola creatrice. La lettera agli Ebrei ci ricorda che: “La parola
di Dio è viva, efficace, più tagliente di una spada a doppio taglio, essa penetra
fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito”. Queste cose
sono reali, non un vago sentimento. Il cuore dell’uomo entra in sintonia
gradualmente con questa Parola, lo nutre, gli fa gustare il sapore, fino al
punto che la Parola prende stabile dimora del suo cuore e il cuore giunge a dimorare
stabilmente nella Parola. Da questa lenta assimilazione della Parola, da questa
reciproca compenetrazione del cuore dell’uomo con la parola di Dio, un giorno
sono nati i Salmi.
Bisogna però tener presente che i Salmi si radicano in
una esperienza vitale, originale, che è il punto di partenza e di arrivo di
ogni vera preghiera: se non si vive seriamente non c’è neanche bisogno di pregare.
E qual è l’esperienza più elementare che l’uomo fa della vita, del suo mistero?
Io credo che lo stupore e l’angoscia sono i due sentimenti correnti dell’uomo
di fronte al dono misterioso della vita: non bisogna mai dimenticare che la
vita è anche un mistero, per tutti.
Lo stupore è il momento in cui l’uomo si apre
ammirato, affascinato dal dono gratuito della vita, che gli è partecipato in
modo assolutamente libero, inaspettato, da Qualcuno da cui tutto amorosamente
dipende. Nello stesso tempo, assieme allo stupore, siamo catturati anche dall’esperienza
dell’angoscia, che ci afferra in momenti particolarmente duri: quando
siamo colpiti dal dolore, dal male (morale e fisico); quando prendiamo
coscienza del nostro limite; e soprattutto quando siamo posti di fronte al limite
più grande e invalicabile che è la morte. Abbiamo bisogno di
riscoprire l’inesauribile carica spirituale contenuta
in questa duplice esperienza fondamentale, che poi è un’unica, grande
esperienza. Oggi siamo tentati di ridurre l’esistenza a qualcosa di molto epidermico,
la vita non è più stupore ma diventa qualcosa da manipolare, qualcosa che mi
serve, qualcosa che io uso, addirittura qualcosa da sciupare. Così lo stupore
si spegne e questo evidentemente elimina la possibilità di sorprendermi di fronte
alla grandezza di questo dono, di fronte alla presenza nascosta di Colui che mi
dona la vita. Anche l’angoscia, che nella sua serietà viene qualche volta
rifiutata, noi la sostituiamo con l’ansia; al peccato il cosiddetto senso di
colpa; anche il dolore lo facciamo diventare un disagio fastidioso, cui è
preferibile non pensare; la morte poi è cosa da censurare con il massimo
rigore. Ma, così facendo, perdiamo il nostro essere uomini, non viviamo la vita
con tutto il suo spessore di contrasti, e non vivendo così non riusciamo
neanche
a pregare, perché la preghiera si innesta
necessariamente sulla vita con questi due aspetti. Prima ancora che preghiera,
i Salmi ci restituiscono la sostanza della vita, i Salmi sono pieni di queste emozioni,
di queste esperienze originali. I Salmi ci insegnano a stupirci di fronte alla
vita che ci è data, a interrogarci pensosi di fronte alla vita che tante volte
è minacciata, pone interrogativi drammatici. Pregandoli, possiamo vedere come
lo stupore e l’angoscia, di fronte alla vita, si sviluppino spontaneamente in
preghiera di supplica, di lamento. Questo ci fa capire come l’esperienza dei
Salmi non ha nulla di estraneo di fronte all’esperienza umana più originaria,
la fa maturare, la porta ad un livello più profondo, ci consente di affrontarla
in modo più completo.
E’ possibile trovare nel
nostro cuore una unità tra i momenti di gioia e i momenti di disperazione?
Cioè tra questi contrasti della vita, questi due poli
estremi? E’ difficile che noi riusciamo a coordinarli, il nostro dramma è
proprio quello di essere tesi tra questi due poli di cui non riusciamo a
ritrovare il filo conduttore unificante. La grandezza dei Salmi sta proprio nel
fatto che questi due poli contrastanti (stupore e angoscia, gioia e sofferenza)
trovano unità nell’unica preghiera a Dio, che è lo stesso in entrambi i
momenti. Nella lode e nel lamento, lo stupore e l’angoscia vengono investiti,
trasformati dal contatto con la presenza del Signore, che si realizza proprio
nell’invocarne il nome, in ogni circostanza. Dio, pertanto, diventa il minimo
comune denominatore, la parte comune del lamento e della lode. Tutta la vita
dell’uomo, investita dall’invocazione di lode o dalla richiesta di aiuto al
Signore, viene trasfigurata, diventa una grande liturgia, l’espressione di una
vita veramente filiale. I Salmi sono la vita dell’uomo che nell’invocazione,
nel lamento, nella lode, prende consapevolezza della sua dignità di figlio di Dio
e impara con Cristo a riconoscere ovunque e sempre, in ogni situazione della
storia, il volto del Padre. Proprio la preghiera preferita da Gesù, quella che
Lui stesso ci ha insegnato, il Padre nostro (“Abbà”), è la chiave di lettura
ultima, unificante del Salterio, dal punto di vista cristiano. Anche Gesù ha
pregato i Salmi dell’angoscia, come pure i Salmi di esultanza e di lode (“Ti
benedico Padre, Signore del cielo e della terra”). Sarà proprio questa
invocazione (“Abbà” = “Papà”), che unificherà tutta la sua vita, la sua
missione, la sua preghiera, (l’angoscia del Gestèmani e l’esultanza dello
Spirito). Dio rimane Padre nei momenti di gioia e nei momenti di dolore, la
paternità di Dio sarà il nostro punto di forza nei momenti di crisi, questo
sentimento filiale ci darà serenità e coraggio.
Il mondo dei sentimenti,perciò, ha nei Salmi un posto
di primo piano, e non si potrà comprendere il contenuto di queste preghiere,
senza misurarsi, in qualche modo, con questo vivo desiderio di comunicare ciò
che noi meditiamo. Non basta spiegare, bisogna assimilare questi contenuti. Per
comprendere un Salmo non lo si dovrà intendere semplicemente come un documento
insolito, singolare di una cultura antica. Il senso originario di un Salmo si
comprende ogni volta che un credente lo pronuncia come sua preghiera a Dio. C’è
una dimensione spirituale del Salmo (i Salmi, infatti, come tutta la Scrittura
sono ispirati) che è inseparabile da quella poetica. Entrare nella preghiera
dei Salmi significa essere raggiunti, coinvolti dal movimento spirituale,
poetico, creativo che si sprigiona dal Salmo. E questo movimento è dovuto
principalmente allo Spirito di Dio: è lo Spirito che prega in noi e, quando noi
preghiamo, diamo voce allo Spirito. Non a caso Paolo dice che noi siamo
“tempio, dimora dello Spirito”. Lo spirito di un uomo, fosse anche profeta,
conosce solo le profondità dell’uomo, lo Spirito di Dio scruta tutto, perfino
le profondità di Dio. Così, attraverso la parola del Salmo, noi siamo afferrati
dallo Spirito di Dio, veniamo introdotti in quella preghiera che è risposta
alla rivelazione di Dio.
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