domenica 15 settembre 2013

Sul sacramento della penitenza (Alexander Schmemann)

A ciò che è stato detto sul Battesimo è necessario aggiungere alcune parole sul sacramento della penitenza. Per quanto riguarda l’attuale modo si accostarsi ad essa ed alla sua definizione teologica, essa è considerata come un sacramento a sé stante, la cui sostanza consiste nella remissione dei peccati in base all’autorità data dal Cristo ai sacerdoti. In questa concezione è completamente assente il legame di questo sacramento con il Battesimo, mentre l’antica tradizione della Chiesa lo faceva derivare proprio dal Battesimo: “Confesso un solo Battesimo in remissione dei peccati”. Dunque la remissione dei peccati non è un atto a parte, ma essa è unita al Cristo, il quale è il perdono e la nostra pace con Dio… E così pure il peccato consiste non solo nelle infrazioni di questo o di quel comandamento o principio, ma nella decadenza da Dio, per il fatto che, invece di Dio, l’uomo ha amato e preferito qualcosa “altro”, sia il mondo o se stesso. Da questo derivano e sono da esso generati tutti i rimanenti peccati ed in esso diventano inevitabili… 
Allontanandoci e decadendo dal Cristo, con ciò stesso usciamo dalla Chiesa, tradiamo lei e la vita che essa ci dà. Ripeto, non parlo di quelle inevitabili “colpe”, che ognuno di noi compie continuamente “in questo mondo e vivendo in questo corpo” e delle quali parliamo nell’ufficio della sepoltura affermando che “non c’è uomo che viva e non pecchi”. Noi siamo chiamati sempre a pentirci di questi peccati, ma essi non portano “alla morte”. Effettivamente è mortale la nostra decadenza da Dio ed il tradimento nei suoi confronti: l’apostasia, cioè l’esplicito distacco da Cristo, l’omicidio, l’adulterio, l’odio, la calunnia, ecc… Tutti questi peccati ci allontanano dal Cristo e dalla Chiesa. L’antica Chiesa non conosceva le nostre continue confessioni di routine. Al suo inizio essa in genere respingeva la possibilità d’un ritorno nel suo ambito di coloro che s’erano staccati da essa e li raccomandava alla misericordia divina. Gradualmente, tuttavia, questa disciplina penitenziale cominciò ad essere meno rigida in primo luogo per la crescita della Chiesa e per l’inevitabile decadenza delle leggi morali. Dapprima ammetteva una sola riconciliazione con coloro che si erano staccati da essa e per di più solo in caso di morte. Poi si cominciarono ad ammettere successivi atti di penitenza e di riconciliazione con la Chiesa, tuttavia la riconciliazione era rigidamente fissata dai canoni della Chiesa ed era preceduta da lunghi periodi di preparazione. Ricordo tutto ciò non perché desideri il ristabilimento della prassi dell’antica Chiesa, infinitamente più severa e tanto diversa dalle nostre confessioni che durano cinque minuti. Il ritorno all’antica prassi è impossibile. Invece è possibile e necessaria una corretta interpretazione del sacramento della penitenza. Ed esso ha la sua radice nel sacramento del Battesimo.
Questo significa che l’originario e fondamentale significato di questo sacramento consiste nel ritorno di colui che si pente a quella vita di grazia nel Cristo e nel Santo Spirito da lui perduta nel peccato ed alla quale desidera ritornare. La condizione è la penitenza ed il completamento, è la riconciliazione con la Chiesa ed il ritorno al suo pleroma. Finché l’Oriente ortodosso non cadde sotto l’influenza dell’Occidente, esso non conosceva l’attuale formula di assoluzione: “Ed io, indegno sacerdote, per l’autorità a me data, perdono ed assolvo…”.
Unica preghiera, che completava il sacramento, consisteva nell’invocazione perché “colui a cui era rimesso il peccato, ricevesse l’unità con la Santa Chiesa in Gesù Cristo nostro Signore”. Infatti la stessa Chiesa – il Corpo del Cristo – è la “realtà” di questo perdono. Ed il peccato non è solo un reato, ma la fine dell’unità con questo corpo, con il Cristo, la nostra eterna salvezza. Per quanto riguarda il sacerdote, egli è “solo testimonio” dell’avvenuta penitenza, della ripulsa del peccato da parte di colui che si pente, ed in secondo luogo testimone dell’avvenuta riconciliazione nel Cristo con la Chiesa, del ritorno del “figlio dissoluto” nell’amore di Dio.
Tutta la Chiesa è, contemporaneamente, anche il dono del perdono, il dono della sua gioia, ma anche una continua penitenza. Poiché quanto più penetriamo nella profondità, nella pienezza e nella gioia della salvezza, cioè del perdono del peccato, tanto più acuta e più evidente diviene, o dovrebbe diventare, per noi la nostra indegnità, il nostro tradimento di questo perdono. Perciò da un punto di vista liturgico e spirituale tutta la vita della Chiesa consiste nella penitenza e nella sua realizzazione nella gioia della riconciliazione e del perdono…
Nel Cristo sono perdonati tutti i nostri peccati. Ma per ricevere questo perdono, perché esso divenga la realizzazione della nostra vita, dobbiamo vedere noi stessi e la nostra vita, pentirci e ritornare al Cristo e ricevere da lui la restituzione della grazia del Battesimo. E così ogni Eucaristia non è la “ripetizione” dell’Ultima Cena del Cristo, ma la nostra ascesa, la nostra partecipazione ad una stessa eterna festa celeste. Nello stesso modo il sacramento della penitenza non è una “ripetizione” del Battesimo, ma il nostro ritorno a quella nuova vita che il Cristo ci ha dato nella sua morte sulla Croce e nella sua Resurrezione.

Alexander Schmemann

(da Za zizn’ mira, 1983, pp. 74-76)


Nel Cristo sono perdonati tutti i nostri peccati. Ma per ricevere questo perdono, perché esso divenga la realizzazione della nostra vita, dobbiamo vedere noi stessi e la nostra vita, pentirci e ritornare al Cristo e ricevere da lui la restituzione della grazia del Battesimo.

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