L'icona della Madonna di Conadomini è una
tempera su tavola raffigurante da un lato la Santissima Vergine, dall'altro
Gesù che si innalza dal sepolcro, con la croce alle spalle. La datazione di
questa splendida immagine, dipinta con grande probabilità in Italia, si deve
far risalire fra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo, in pieno periodo
romanico.
Dopo la morte
dell'imperatore Enrico V (1125), che non aveva eredi diretti, le casate di
Baviera e Sassonia dei Welfen (da cui la parola guelfo), favorevoli al potere
papale e quella di Svevia degli Hohenstaufen, signori del castello di
Waiblingen, anticamente Wibeling (da cui la parola ghibellino), entrarono in
lotta per la corona imperiale. Questa rivalità coinvolse ben presto tutta
l'Europa. In particolare, nell'ambito delle città italiane, la stessa
dicotomia, superando il tradizionale significato di lotta politica tra papato e
impero, si ripropose poi nella lotta tra le fazioni guelfa e ghibellina della
popolazione, entrambe volte ad esercitare il dominio nel comune. Nella prima
metà del XIII secolo, la città di Lucca era ad ampia prevalenza ghibellina, al
punto tale da entrare, con le città di Arezzo, Siena, Pistoia e Pisa, in una
lega ghibellina toscana, volta a combattere ed arginare il potere guelfo nella
dominante Firenze. Il lunghissimo periodo di ostilità culminò con la battaglia
di Montaperti del 1260.
La prima metà del XIII
secolo vedeva la Sicilia dominata dal'imperatore svevo Federico II, che essendo
di parte ghibellina si trovava in frequente conflitto con il papa. Nel 1224
Gregorio IX scomunicò il sovrano svevo con il pretesto della mancata indizione
di una crociata che Federico aveva promesso. In questo quadro storico,
esattamente nel 1225, la nobile famiglia lucchese dei Campochiaro, essendo di
dichiarata fede Guelfa, decise di abbandonare Lucca per rifugiarsi in Sicilia,
a Caltagirone, una terra il cui signore, con una solenne scomunica sulle
spalle, non poteva fare altro che dimostrarsi tollerante verso la fazione
guelfa. Si pensi che pochi anni dopo Federico II partirà per la Terrasanta,
concludendo vittoriosamente la crociata con dei trattati col sultano d'Egitto,
recuperando ai cristiani Gerusalemme, Betlemme e Nazareth.
La preziosa icona fu
tenuta dalla famiglia Campochiaro fino agli ultimi anni del XVI secolo, periodo
in cui venne donata alla Chiesa Madre dedicata all'Assunta.
L'Icona veniva esposta in
chiesa dal lato del Cristo e collocata al centro di un polittico, detto per via
della bellezza e dell'importanza del capolavoro "cona", termine
dialettale indicante l'Icona da cui la denominazione Cona Domini). Ogni volta
che gravi calamità, siccità, pestilenze, carestie affliggevano la comunità
cittadina, l'Icona veniva girata dal lato della Santissima Vergine, per
venerarla ed implorare la sua misericordia.
I miracoli arrivavano
puntuali, tanto che la devozione, diffusasi dapprima principalmente nel mondo
agricolo, che dalla protezione della vergine otteneva grandi grazie, si estese
a tutta la popolazione, spingendo il Senato cittadino a proclamare, nel luglio
del 1664, la Madonna di Conadomini compatrona principale della città di Caltagirone.
Talmente grande è la
gratitudine degli abitanti di Caltagirone da tributare alla Vergine
l'appellativo di "Madonna del pane" e da dedicarle una grande festa
che fino alla fine di Maggio coinvolge tutta la cittadinanza. Sui balconi dei
carruggi dell'antico borgo campeggiano gli striscioni con scritto "Maggio
a Maria", mentre la chiesa viene ricolmata di profumatissimi fiori di
tutte le varietà e colori.
Sempre Madre propizia ci fosti
e nell'ora seconda o crudele;
sempre Tu rispondesti fedele
alla prece levatasi a Te.
e nell'ora seconda o crudele;
sempre Tu rispondesti fedele
alla prece levatasi a Te.
Così recita la terza strofa dell'inno a Maria Santissima di
Conadomini esprimendo fino in fondo la fiducia e l'abbandono dei suoi figli
che, tra fede e folklore, le rendono omaggio con una festa particolarmente
solenne che culmina con l'offerta dei doni della terra. Una grande processione
detta "corteo della rusedda" attraversa la città. Grandi fasci di
cisto, la "rusedda", come viene detta in dialetto questa profumata
pianta tanto ricercata un tempo dai ceramisti per i loro forni, venivano
raccolti nel vicino bosco di San Pietro e portati a dorso di animali da soma
fino alla chiesa della Conadomini. Era una manifestazione di grande
suggestione, aperta da sbandieratori, dal "triunfu", un insieme di
stendardi con l'immagine della Madre di Dio, e da suonatori di "brogne",
conchiglie particolari dal suono strano e cupo.
Per la festa della Madonna di Conadomini, la monumentale Scala di
Santa Maria del Monte unisce ai colori delle ceramiche delle alzate dei
centoquarantadue gradini i colori dell'Infiorata, solenne e devoto omaggio
della città alla Vergine e al suo Divin Figliolo.
La devozione e l'amore
verso la Theotokos del popolo di Caltagirone e siciliano in genere, è così
grande da spingerli a recitare con tutto il cuore questa bellissima preghiera.
Che in lingua siciliana così recita:
5. Non ci fu bucca a putiri spiegari
i preggi e i biddizzi ri Maria,
non ci fu 'ncegnu a putiri stampari
'u dissi u' Prufeta Geremia,
nuddu ri 'ncegnu po' raccuntari
nè Santi suri nè 'Nastasia
suru l'eternu Diu ni pò spiegari
'a roria e i splennuri ri Maria
...
7. Tutti Maria duvimu ludari,
ci avimu aviri firi e ranni amuri,
chi n'avimu bisognu universari,
comu avvocata ri piccaturi.
Gesù Cristu ni vori subissari
ù Figghiu ri l'Altissimu Signuri
chi ri Maria n'appi a fari
vurennu beni assai 'i piccatùri.
Invocazione per la siccità
Quantu è bedda Maria, lingua ri mari,
sunu vinutu ccà i piccaturi
'na ràzia ci vonu dumannarrii:
ora chi sunu àuti i lauri,
à terra senza acqua non pò fruttari,
nemmenu vanu avànti i lavùri.
Ora gridàmu cu na vuci pia:
ri Conaròmini Maria, ri Conaromini, Maria!
e lorami 'a sempre sia
ri Conaromini Maria.
Si non forra p'ù mantu ri Maria,
forramu persi tutti 'n'cumpagnia.
i preggi e i biddizzi ri Maria,
non ci fu 'ncegnu a putiri stampari
'u dissi u' Prufeta Geremia,
nuddu ri 'ncegnu po' raccuntari
nè Santi suri nè 'Nastasia
suru l'eternu Diu ni pò spiegari
'a roria e i splennuri ri Maria
...
7. Tutti Maria duvimu ludari,
ci avimu aviri firi e ranni amuri,
chi n'avimu bisognu universari,
comu avvocata ri piccaturi.
Gesù Cristu ni vori subissari
ù Figghiu ri l'Altissimu Signuri
chi ri Maria n'appi a fari
vurennu beni assai 'i piccatùri.
Invocazione per la siccità
Quantu è bedda Maria, lingua ri mari,
sunu vinutu ccà i piccaturi
'na ràzia ci vonu dumannarrii:
ora chi sunu àuti i lauri,
à terra senza acqua non pò fruttari,
nemmenu vanu avànti i lavùri.
Ora gridàmu cu na vuci pia:
ri Conaròmini Maria, ri Conaromini, Maria!
e lorami 'a sempre sia
ri Conaromini Maria.
Si non forra p'ù mantu ri Maria,
forramu persi tutti 'n'cumpagnia.
Mentre in italiano così è tradotta:
5. Non ci fu bocca capace di spiegare
i pregi e la bellezza di Maria,
Non ci fu ingegno capace di descriverla,
lo disse il profeta Geremia,
nessun ingegno lo può raccontare
ne Santi, ne potenza di Resurrezione
Solo l'Eterno Dio ci può spiegare
la gloria e gli splendori di Maria
...
7. Dobbiamo lodare tutti Maria,
dobbiamo avere grande fede e amore,
perchè ne abbiamo bisogno universale,
come avvocata dei peccatori.
Gesù Cristo non ci ha voluto abbandonare,
il Figlio dell'Altissimo Dio
che di Maria ci ha voluto fare
volendo bene assai i peccatori.
Invocazione per la siccità
Quanto è bella Maria, lingua di mare,
sono convenuti qua i peccatori
una grazia ti vogliono domandare:
ora che le lodi sono alte,
la terra senza acqua non può dar frutto,
e nemmeno vanno avanti i lavori.
Ora gridiamo con voce pia:
L'icona di Maria di Conadomini Maria, l'icona di Conadomini di Maria!
e lodata sempre sia L'icona di Maria
Se non fosse stato per il manto di Maria
saremmo stati persi tutti insieme.
i pregi e la bellezza di Maria,
Non ci fu ingegno capace di descriverla,
lo disse il profeta Geremia,
nessun ingegno lo può raccontare
ne Santi, ne potenza di Resurrezione
Solo l'Eterno Dio ci può spiegare
la gloria e gli splendori di Maria
...
7. Dobbiamo lodare tutti Maria,
dobbiamo avere grande fede e amore,
perchè ne abbiamo bisogno universale,
come avvocata dei peccatori.
Gesù Cristo non ci ha voluto abbandonare,
il Figlio dell'Altissimo Dio
che di Maria ci ha voluto fare
volendo bene assai i peccatori.
Invocazione per la siccità
Quanto è bella Maria, lingua di mare,
sono convenuti qua i peccatori
una grazia ti vogliono domandare:
ora che le lodi sono alte,
la terra senza acqua non può dar frutto,
e nemmeno vanno avanti i lavori.
Ora gridiamo con voce pia:
L'icona di Maria di Conadomini Maria, l'icona di Conadomini di Maria!
e lodata sempre sia L'icona di Maria
Se non fosse stato per il manto di Maria
saremmo stati persi tutti insieme.
L'INFIORATA DI CALTAGIRONE
L'ASPETTO ARTISTICO E TEOLOGICO DELL'ICONA
La bellissima Icona di Conadomini è una tavola dipinta su entrambe i lati. Sul fronte reca l'immagine del Cristo della Passione, "che s'innalza dal sepolcro, Christus Patiens". Sul retro, l'immagine della Santissima Vergine assisa in trono con Gesù fra le braccia. L'opera si inquadra nel panorama artistico del periodo romanico toscano.
L'immagine della santa Madre di Dio è chiaramente ispirata al cartonage della "Glycophilousa" con i volti dei personaggi sacri affiancati l'uno all'altro in un atto di immensa intimità e dolcezza. L'icona ricalca, spesso in modo approssimativo, i canoni bizantini. L'iscrizione dell'intera composizione in un triangolo isoscele, contribuisce, assieme all'orientamento delle mani della divina Madre, a stabilire un generale senso dell'armonia. In particolare si noti come la mano sinistra della Vergine sia perfettamente parallela al volto di Gesù, mentre la destra si mantiene parallela al volto della Madre. Nel pittore questo bisogno di armonia è così forte da togliere al Bambino un necessario punto d'appoggio alle spalle, in modo da dare l'impressione che il Suo corpo fluttui su quello della Madre. Gesù poggia delicatamente la punta del piede destro poco dietro il ginocchio della Vergine e con grande dolcezza abbraccia la Madre. Il braccio sinistro di Gesù cinge il collo materno creando una meravigliosa atmosfera d'intimità, mentre la mano sinistra, in un gesto teneramente infantile, si sorregge al maforion. L'abbraccio di Gesù è etereo, quasi irreale, sembra che sulla santa Madre non gravi il peso del Bambino.
Le teorie dell'illuminazione bizantina risultano quasi accantonate, non più immagini che emanano una luce propria, rappresentazione del trascendente, ma volti che assumono una notevole plasticità fisica. Le ombre attorno ai volti sacri, o meglio ancora, l'ombra comune nel punto di contatto delle due guance rende in modo sublime l'intimità e la dolcezza terrena della scena. Anche il braccio sinistro della Vergine segue la stessa illuminazione, mentre il mantello regale di Gesù sembra quasi avere luce propria. Vedremo assai bene come sapientemente e con gusto Duccio da Boninsegna o lo stesso Cimabue useranno questa tecnica.
Permane ancora nell'immagine la classica apatheia (espressione distaccata) della Vergine, smarrita in pensieri malinconici, mentre Gesù la conforta con il suo dolcissimo sguardo.
Nel valutare queste discordanze di contenuto si tenga presente la grande depressione economica che caratterizzò il periodo in cui fu dipinta l'icona. A seguito della penetrazione degli Arabi nel Mediterraneo e alla interruzione del commercio fra Oriente e Occidente, si ebbe una consistente interruzione degli scambi culturali con l'Oriente. Lo stabilirsi di una economia a scala interna determinò la nascita di uno stile pittorico "locale" che si evolverà, successivamente, nel gotico. Per gli artisti del tempo, ancora idealmente legati alla tradizione bizantina, i valori supremi sono fissi e chiusi in forme definitive: sarebbe tracotanza volerle mutare. L’arte del periodo romanico in generale risulta più semplice ed omogenea, meno eclettica e differenziata di quella dell’epoca bizantina o carolingia perché non è più arte aulica.
L'artista però, per il bisogno di creare nuovi codici di lettura, più semplici ed immediatamente fruibili, non ricorre alla sottile simbologia teologico-dogmatica delle linee, tipica della cultura bizantina, ma ad una sistematica alterazione delle proporzioni delle varie parti del corpo, in modo da presentarne le virtù. Le grandi mani della Vergine, messe ancora più in evidenza dal colore scuro, divengono quindi simbolo della sua operosità, così come il viso più piccolo rispetto al corpo vuole attribuire alla Vergine un carattere di possanza. Sproporzionato, oltre che irregolare, risulta anche il nimbo della Vergine. La posizione delle stelle indicanti la verginità della Madre di Dio, prima, durante e dopo la nascita del Figlio, risulta alterata rispetto alla classica disposizione frontale e sulle spalle.
Molto presente sul mantello di Gesù il noto e ricorrente tema del fiore della vita a sei petali. Il nimbo del Bambino invece porta inscritto in sè una stella stilizzata ad otto punte, noto simbolo mariano, cosa abbastanza inusuale per l'arte del periodo precedente.
Il lato raffigurante Gesù presenta, sul piano stilistico, un'immagine di maggiore qualità rispetto a quella della Vergine. La magrezza delle braccia di Gesù, oltre che l'evidenza del costato, simboleggiano lo stato di povertà e di essenziale spiritualità del Cristo. Le mani si presentano allungate, filiformi, quasi a voler anticipare le tematiche assai comuni del periodo gotico. Entrambi i lati dell'Icona presentano lo stesso sfondo "damascato dorato", comune nelle opere di questo periodo.
Ne risulta un'immagine di grande bellezza che "non parla più il linguaggio della passiva imitazione, ma quello di un rinnovamento religioso" (Arnold Hauser "Storia sociale dell'arte", pag.211 Einaudi).
L'immagine della santa Madre di Dio è chiaramente ispirata al cartonage della "Glycophilousa" con i volti dei personaggi sacri affiancati l'uno all'altro in un atto di immensa intimità e dolcezza. L'icona ricalca, spesso in modo approssimativo, i canoni bizantini. L'iscrizione dell'intera composizione in un triangolo isoscele, contribuisce, assieme all'orientamento delle mani della divina Madre, a stabilire un generale senso dell'armonia. In particolare si noti come la mano sinistra della Vergine sia perfettamente parallela al volto di Gesù, mentre la destra si mantiene parallela al volto della Madre. Nel pittore questo bisogno di armonia è così forte da togliere al Bambino un necessario punto d'appoggio alle spalle, in modo da dare l'impressione che il Suo corpo fluttui su quello della Madre. Gesù poggia delicatamente la punta del piede destro poco dietro il ginocchio della Vergine e con grande dolcezza abbraccia la Madre. Il braccio sinistro di Gesù cinge il collo materno creando una meravigliosa atmosfera d'intimità, mentre la mano sinistra, in un gesto teneramente infantile, si sorregge al maforion. L'abbraccio di Gesù è etereo, quasi irreale, sembra che sulla santa Madre non gravi il peso del Bambino.
Le teorie dell'illuminazione bizantina risultano quasi accantonate, non più immagini che emanano una luce propria, rappresentazione del trascendente, ma volti che assumono una notevole plasticità fisica. Le ombre attorno ai volti sacri, o meglio ancora, l'ombra comune nel punto di contatto delle due guance rende in modo sublime l'intimità e la dolcezza terrena della scena. Anche il braccio sinistro della Vergine segue la stessa illuminazione, mentre il mantello regale di Gesù sembra quasi avere luce propria. Vedremo assai bene come sapientemente e con gusto Duccio da Boninsegna o lo stesso Cimabue useranno questa tecnica.
Permane ancora nell'immagine la classica apatheia (espressione distaccata) della Vergine, smarrita in pensieri malinconici, mentre Gesù la conforta con il suo dolcissimo sguardo.
Nel valutare queste discordanze di contenuto si tenga presente la grande depressione economica che caratterizzò il periodo in cui fu dipinta l'icona. A seguito della penetrazione degli Arabi nel Mediterraneo e alla interruzione del commercio fra Oriente e Occidente, si ebbe una consistente interruzione degli scambi culturali con l'Oriente. Lo stabilirsi di una economia a scala interna determinò la nascita di uno stile pittorico "locale" che si evolverà, successivamente, nel gotico. Per gli artisti del tempo, ancora idealmente legati alla tradizione bizantina, i valori supremi sono fissi e chiusi in forme definitive: sarebbe tracotanza volerle mutare. L’arte del periodo romanico in generale risulta più semplice ed omogenea, meno eclettica e differenziata di quella dell’epoca bizantina o carolingia perché non è più arte aulica.
L'artista però, per il bisogno di creare nuovi codici di lettura, più semplici ed immediatamente fruibili, non ricorre alla sottile simbologia teologico-dogmatica delle linee, tipica della cultura bizantina, ma ad una sistematica alterazione delle proporzioni delle varie parti del corpo, in modo da presentarne le virtù. Le grandi mani della Vergine, messe ancora più in evidenza dal colore scuro, divengono quindi simbolo della sua operosità, così come il viso più piccolo rispetto al corpo vuole attribuire alla Vergine un carattere di possanza. Sproporzionato, oltre che irregolare, risulta anche il nimbo della Vergine. La posizione delle stelle indicanti la verginità della Madre di Dio, prima, durante e dopo la nascita del Figlio, risulta alterata rispetto alla classica disposizione frontale e sulle spalle.
Molto presente sul mantello di Gesù il noto e ricorrente tema del fiore della vita a sei petali. Il nimbo del Bambino invece porta inscritto in sè una stella stilizzata ad otto punte, noto simbolo mariano, cosa abbastanza inusuale per l'arte del periodo precedente.
Il lato raffigurante Gesù presenta, sul piano stilistico, un'immagine di maggiore qualità rispetto a quella della Vergine. La magrezza delle braccia di Gesù, oltre che l'evidenza del costato, simboleggiano lo stato di povertà e di essenziale spiritualità del Cristo. Le mani si presentano allungate, filiformi, quasi a voler anticipare le tematiche assai comuni del periodo gotico. Entrambi i lati dell'Icona presentano lo stesso sfondo "damascato dorato", comune nelle opere di questo periodo.
Ne risulta un'immagine di grande bellezza che "non parla più il linguaggio della passiva imitazione, ma quello di un rinnovamento religioso" (Arnold Hauser "Storia sociale dell'arte", pag.211 Einaudi).
L'INFIORATA DI GIORNO
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