SIGNIFICATO TEOLOGICO DELLA FORMULA CLASSICA
Per penetrare in profondità il mistero di questa
preghiera, che ha edificato la vita spirituale di molti fratelli ortodossi
attraverso i secoli, esamineremo il contenuto
teologico delle dieci parole.
SIGNORE
L’invocazione liturgica della professione di fede: kyrios
Jesoùs = Gesù (è) Signore, proviene dalla chiesa paolina ed è una
delle confessioni più antiche, se non la più antica della fede cristiana. Con
questa invocazione la chiesa neotestamentaria si sottomette al suo
Signore, professando così anche il suo dominio sul mondo10.
Dio ha fatto risorgere dai morti Gesù, lo ha
glorificato a Kyrios universale e gli “ha dato il nome che è al di sopra di
ogni altro nome” (Fil 2, 9 ss; cfr. Is 45, 23 s), cioè il nome proprio di
“Signore” e la posizione che corrisponde a questo Nome.
Il Kyrios Cristo glorificato è Signore dei vivi e dei morti11;
tutte le potenze e gli esseri del cosmo devono inginocchiarsi davanti a Lui,
onorando così Dio Padre12. Cristo è dunque Signore di tutti i re
della terra, Signore dei signori e Re dei re13. In questo modo
Gesù Cristo assume gli stessi titoli di Dio14.
In 1 Cor 12, 3 Paolo insegna a distinguere quale sia
il cristiano che parla nello Spirito: può proclamare “Gesù è Signore” solo chi
è pieno di Spirito Santo. Chi appartiene alla nuova alleanza confessa Gesù come
Kyrios, fa parte della sfera dello Spirito, non appartiene più all’antica
alleanza e all’antica legge, ma gode della vera libertà: “Dove c’è lo Spirito
del Signore c’è libertà” (2 Cor 3, 17).
Il fedele che invoca il Signore nella preghiera si
dispone affinché egli possa regnare sui pensieri, sulle azioni, sui sentimenti
e addirittura sulle zone subcoscienti e incoscienti, affinché tutto il suo
essere sia pervaso dalla sua regalità e stare sotto la sua Signoria.
GESŬ CRISTO
La formula “Gesù Cristo” è composta da un nome, Gesù e
da un titolo che ne esprime la dignità, Cristo: abbinati essi formano un nome
nuovo. Così è nata una formula, nella quale ha trovato espressione la fede in
Gesù di Nazaret, loro maestro e signore, re, salvatore, liberatore da Dio
promesso al suo popolo Israele. Col passare del tempo ha acquistato una
importanza centrale e duratura per tutte le future generazioni cristiane e per
gli sforzi di dare al contenuto di fede una formulazione adeguata.
Jesoùs è la forma greca al nominativo del
veterotestamentario e giudaico nome Jeshua, nato dalla trascrizione e
dall’aggiunta di una s, che permette la declinazione del vocabolo. Secondo Mt
1, 21 e Lc 1, 31 il nome di Gesù è deciso in base a indicazioni celesti
impartite al padre Giuseppe (Matteo) o alla madre Maria (Luca). In questo
contesto Matteo contiene anche una spiegazione del nome di Gesù, ne indica il
compito futuro: “egli salverà il suo popolo dal peccato”. Questo significato si
aggancia al significato del nome di Jehoshua (composto dal nome di Dio e da
Shua), che continua anche nel greco (Jesoùs): “Jahvè è l’aiuto” oppure “Jahvè è
il Salvatore”.
Christus è la forma latina del greco Christòs, che a
sua volta nei LXX e nel NT è l’equivalente greco dell’aramaico meshikha. Questo
a sua volta corrisponde all’ebraico mashiakh e indica una persona che è stata
solennemente unta per missione. La forma grecizzata di meshika è Messìas, che
come Jesoùs è stata resa declinabile con l’aggiunta della s.
Il nome di Gesù racchiude per i cristiani le promesse
che Dio ha fatto ai Padri. Tutta la salvezza che Dio ha destinato e offerto al
mondo è collegata a Gesù in quanto Egli è il Cristo. In Gesù, come in colui che
è il Cristo “abita tutta la pienezza della divinità in forma visibile” (Col 2,
9), per la salvezza di tutti coloro che pongono in Lui tutta la loro
fiducia e si lasciano accreditare i frutti della sua morte e risurrezione15.
La parola “Cristo”, che di per sé è un titolo onorifico, è diventata parte del
nome personale di Gesù in quanto esprime il tratto costitutivo della sua
presenza nella storia e che vale come presupposto per tutta la sua opera di
mediatore della salvezza, opera che si riassume nella sua obbediente
sottomissione alla volontà di Dio, in stretto legame con il popolo di Dio,
nella realtà storica dell’autorivelazione divina. Il fedele che invoca il nome,
invoca la persona di Gesù, richiamando la sua potenza.
FIGLIO DI DIO
Questo è il titolo che può essere immediatamente
associato a Gesù Cristo, il Messia, perché nella tradizione biblica il
discendente davidico, re ideale,è colui che partecipa in modo particolare allo
statuto dell’alleanza: “io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio” (2 Sam 7, 14:
cfr. Sl 2,7; 89, 27-28; 110, 3; At 13, 33). Questo titolo esprime il contenuto
essenziale del cherigma e della professione di fede primitiva16.
Dai discepoli e da quelli che sono ad essi assimilati,
Gesù è riconosciuto come Figlio di Dio “gli si prostrarono davanti,
esclamando:”Tu sei veramente il Figlio di Dio!”
(Mt 14, 33).
(Mt 14, 33).
L’orante che invoca Gesù, riconoscendolo Figlio di
Dio, si inserisce in quel permanere in Dio assicurato a tutti coloro che ne
fanno la professione “Chi confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in
lui ed egli in Dio” (1 Gv 4, 15).
ABBI PIETĂ DI ME PECCATORE
Con questa invocazione il fedele riconosce e confessa
la propria situazione di peccato, facendosi bisognoso della grazia divina per
poter superare gli ostacoli che si frappongono alla comunione con l’Amore.
La consapevolezza di essere peccatore abitua a
strapparsi dalla personale sicurezza di sapersi salvare da se stessi, a
sradicare l’orgoglio di essere principio di bene, a liberarsi dalla convinzione
di essere in possesso di una morale orientatrice. Se i farisei furono incapaci
di aderire al Vangelo del Signore, fu proprio perché si ritenevano giusti.
Appunto contro di essi, “che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli
altri”, Gesù racconta le sue parabole di riprovazione
(Mt 6,1; 23, 28; Lc 16, 15; 18, 19).
(Mt 6,1; 23, 28; Lc 16, 15; 18, 19).
Ĕ Cristo che salva per un dono gratuito del suo
Spirito, è Cristo l’unico reale salvatore, in quanto le forze umane sono
insufficienti a liberare dal male.
L’orante sperimentando il proprio limite, invoca pietà
associandosi al grido del salmista “Corri Signore in mio aiuto, vieni presto a
salvarmi” (Sl 40, 14).
L’invocazione aiuta ad acquisire
una consapevolezza mistica del peccato,
ad averne coscienza secondo l’insegnamento che interiormente fa percepire
lo Spirito di Cristo. Quando un’anima, anche innocente, vive in partecipazione
al mistero pasquale del Signore, allora essa partecipa ed esperimenta
l’autentico senso del peccato. Questo si rivela unicamente all’interno della
misericordia di Dio in Cristo.
Ci aiuta a capire quanto detto, l’esempio della
esperienza mistica del peccato nella vita di S. Teresa di Lisieux. Pur non
avendo mai compiuto un peccato mortale, attesta: “Com’è necessaria questa
umiliazione! Mi sentivo, come il pubblicano, una grande peccatrice. Dio mi
appariva tanto misericordioso!... Com’è straordinario aver provato tutto
questo... Ma com’è davvero impossibile procurarsi da sé questi sentimenti! Ĕ lo
Spirito Santo che li dà, soffia dove vuole”17.
La santa non esprime qui una pia bugia per il fatto
che si dichiara una grande peccatrice, ma è profondamente cosciente che ogni
persona umana, per quanto grande, è estremamente piccola, situata in una
imperfezione e, in quanto tale, a cadere nel peccato.
Da qui l’invocazione costante a Colui che si è fatto
peccato per noi: “Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me
peccatore”.
Esaminando il contenuto teologico della formula, si
evince chiaramente il carattere cristologico della Preghiera del Cuore. Essa
pone l’accento sulla vita terrena del Signore incarnato “Gesù Cristo” e,
contemporaneamente, sulla sua divinità di “Figlio di Dio”. Quelli che fanno uso
di questa preghiera richiamano costantemente alla memoria il personaggio
storico, che si trova al centro della rivelazione cristiana, ed evitano così un
falso misticismo che richiederebbe di far dimenticare il valore
dell’Incarnazione. Tuttavia, benché cristologia, la Preghiera di Gesù non è una
forma di meditazione su episodi particolari della vita di Cristo. Anche qui,
come per altre forme di preghiera, è sconsigliato l’uso di immagini mentali e
di concetti intellettuali.
9 GREGORIO SINAITA, L’esichia e i due modi della preghiera in
quindici capitoli, in La Filocalia,
vol. III, p.585.
10 Kosmokràtor;
Fil 2, 11 “e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio
Padre”.
Cfr. Rm 10, 9 a;
1 Cor 12, 3.
11
Rom 14, 9 “Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per
essere il Signore dei morti e dei vivi”.
12 Ef
1, 20-22 “Che egli manifestò in Cristo quando lo risuscitò dai morti e lo fece
sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di
ogni potenza e dominazione di ogni altro nome che si possa nominare non solo
nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai
suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della chiesa”.
13 Ap
1, 15 “Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe
dei re della terra”.
14 1
Tm 6, 15-16 “Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi
rivelato al beato e unico sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori, il
solo che possiede l’immortalità, che abita la luce inaccessibile, che nessuno
fra gli uomini ha mai visto né può mai vedere. A lui onore e potenza per
sempre. Amen”.
15 Rm
4,24-25 “ma anche per noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che
crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è
stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra
giustificazione”.
16 At
9, 20 “e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio”.
Cfr. At 13, 33; 1 Ts 1, 10; Gal 2,
20.
17SANTA
TERESA DI GESŬ BAMBINO, Gli
scritti, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1979, p.358-
359.
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