Fino al 451 la Chiesa Universale si
componeva essenzialmente di cinque grandi Chiese Madri: Gerusalemme,
Alessandria, Roma, Antiochia e, dalla fine del IV sec., Costantinopoli
(Bisanzio). Al concilio di Calcedonia (451 d.C.), un conflitto di natura politico-religiosa
accompagnato da dispute teologiche e incomprensioni di terminologia oppose la
Chiesa di Alessandria a quelle di Roma e di Bisanzio. Volendo scrollarsi
il giogo bizantino e rifiutando allo stesso tempo che la Chiesa di Roma si
attribuisse la supremazia sul resto della cristianità, la Chiesa di Alessandria
rifiutò gli “accordi” politici romano-bizantini e le loro conclusioni
teologiche.
L’aspetto religioso del conflitto si
cristallizzò su di una definizione cristologica:
- durante il Concilio, Roma e Bisanzio
definirono il Cristo come avente due nature: quella divina e quella umana,
riunite in una sola persona;
- la Chiesa di Alessandria rifiutò
questa definizione ed insistette sull’unità del Cristo seguendo la formula di S.Cirillo
d’Alessandria; quindi essa proclamò che il Cristo non ha che una sola natura e
che essa è allo stesso tempo pienamente divina e umana, “senza mescolamento e
senza confusione”. I Copti definiscono “natura” ciò che le Chiese romana e
bizantina chiamano “persona”.
Inoltre le due Chiese “occidentali”
iniziavano piano piano a non occuparsi solamente di temi
ecclesiastico-filosofici e della guida spirituale dei fedeli, ma si dedicavano
sempre di più ad affari di stato e alla politica, cosa che non corrispondeva
affatto, secondo gli “orientali”, alla missione affidata da Cristo agli
apostoli.
La conseguenza di tutte queste
differenze, dissidi e anche sospetti, fu la separazione, o scisma, delle Chiese
di Alessandria, apostolica Armena, ortodossa di Siria, ortodossa d’Etiopia e
ortodossa d’India da Bisanzio e Roma. In seguito a ciò, le suddette Chiese sono
anche conosciute come “Chiese ortodosse precalcedonesi” o “Chiese dei tre
concili”. Ad esse va aggiunta la Chiesa ortodossa d’Eritrea, istituita da S.S. Papa
Shenouda III nel 1994.
La Chiesa copta ortodossa di
Alessandria, unitamente alle altre Chiese “precalcedonesi”, professa la
dottrina di S.Cirillo d’Alessandria “una sola natura incarnata di Dio il Verbo”
approvata durante il terzo concilio ecumenico di Efeso (431), che significa che
il Logos è carne. “E il Verbo si è fatto carne e ha abitato tra noi” (Giov.
1,14).
I Copti non hanno mai accettato la
definizione calcedonese “delle due nature in Cristo” considerandola in
contrasto con la professione di fede del concilio di Efeso nella quale si era
definita “un’unione perfetta della divinità e dell’umanità di Cristo”; la
divinità di Cristo e la sua umanità dimorano in lui in un’unità perfetta
formando una natura unita, un’essenza, una sostanza ed un’esistenza
indissolubile. Questa natura unica non è la divinità sola, né l’umanità sola,
ma la natura del Verbo (logos) incarnato. La Chiesa copta ortodossa crede che
mai, nemmeno per un momento, la natura umana del Signore sia esistita separata
dalla sua natura divina. La separazione tra l’umanità e la divinità di Cristo è
contro la teologia della Redenzione esigendo la deificazione della sua natura
di uomo.
Le conseguenze di questa separazione,
avvenuta nel V sec., furono molto gravi per la Chiesa universale e per la
Chiesa d’Egitto. Infatti, a partire da Calcedonia, i Copti conobbero, in
relazione al mondo occidentale, un isolamento che sarebbe durato praticamente
fino all’epoca contemporanea; essi subirono inoltre numerose persecuzioni da
parte dei Bizantini.
Il termine “monofisismo”
La sua affermazione di una fede in una
sola natura del Cristo le valse ad essere classificata come una Chiesa
“monofisita”; ma questo termine ricopre in occidente un significato del tutto
diverso: esso significa la negazione dell’umanità o della divinità di Gesù. Per
quindici secoli gli storici e i teologi occidentali hanno dunque affermato che
la Chiesa copta “monofisita” negasse l’umanità del Figlio di Dio; i Copti
venivano considerati eretici dall’occidente cattolico. Tuttavia, la fede
nell’incarnazione è costantemente affermata e attestata nella Chiesa d’Egitto,
così come nei testi liturgici, nell’insegnamento dei padri e nell’uso del
Credo, comune alle Chiese d’oriente e d’occidente, che è il Credo di Nicea e
Costantinopoli.
La tradizione iconografica costituisce
un’altra prova, qualora fosse necessaria, dell’Ortodossia della fede dei Copti
nell’incarnazione. Si è perfino colpiti, nello studiare la spiritualità copta,
di vedere a qual punto essa è “incarnata”; è sufficiente per convincersene,
leggere alcune opere contemporanee, come gli scritti di S.S. Papa Shenouda III
o del Padre Tadros Malaty. D’altronde sarebbe quanto meno sorprendente che la
Chiesa che ha formato un S.Atanasio, campione dell’ortodossia e autore di
un’opera fondamentale intitolata “L’incarnazione”, abbia potuto in pochi
decenni deviare verso un’eresia che nega un mistero così fondamentale quale è
quello dell’Incarnazione divina.
Dopo il disaccordo sulla supremazia
della Chiesa di Roma e il fraintendimento sulla natura del Cristo, la rottura
tra, da una parte, le Chiese romana e bizantina con le loro comunità
occidentali e, dall’altra, le Chiese d’Egitto e d’Antiochia con le comunità
armene, etiopi e dell’India, dà origine ad uno scisma in cui ciascuna parte
nega di essere scismatica.
La Chiesa copta, per insistere
sull’autenticità della sua fede, prese il titolo di Chiesa “ortodossa”
conservando allo stesso tempo la proclamazione preziosa della sua universalità
espressa con il termine “catholicon” (cattolico) che figura in tutti i suoi
atti liturgici in lingua copta.
Oggi, dopo quindici secoli, S.S. il Papa
di Roma Paolo VI e S.S. Shenouda III, Papa di Alessandria, hanno riconosciuto
l’identità della loro fede nel mistero del Verbo incarnato, espressa con i
termini del Concilio di Nicea, in una dichiarazione comune datata dal Vaticano
il 10 maggio 1973
Oggi
Gli ultimi quarant’anni sono stati
segnati da un’intensa e dinamica attività ecumenica. Questa politica di
apertura, iniziata dal Papa Cirillo VI e continuata e intensificata
dall’attuale Papa Shenouda III, ha portato a un notevole miglioramento delle relazioni,
alla comprensione e all’avvicinamento tra le varie Chiese. Sono state stilate
delle dichiarazioni comuni con la Chiesa anglicana (1988), con le Chiese
ortodosse calcedonesi (1987, 1989, 1990) con la Chiesa cattolica (1973, 1988,
1990), con la Chiesa evangelica tedesca (1988) e con la Chiesa protestante
olandese (1992).
Di spirito ecumenico, S.S. Shenouda III
è stato, nei tempi moderni, il primo Patriarca di Alessandria a far visita al
Papa di Roma, S.S. Paolo VI, come pure ai principali capi delle Chiese
ortodosse. La dichiarazione comune firmata nel 1973 da S.S. Paolo VI e da S.S.
Shenouda III in Vaticano è stato un grande progresso verso l’unità. Questa
dichiarazione è stata riconfermata nel 1979 da S.S. Giovanni Paolo II.
Dichiarazione comune di S.S. Paolo
VI e S.S Shenouda II
S.S. Shenuda
III e S.S. Paolo VI nel 1973 nella Basilica di San Pietro a Roma
Paolo VI, Vescovo di Roma e Papa della
Chiesa Cattolica, e Shenouda III, Papa di Alessandria e Patriarca della Sede di
SanMarco, rendono grazie nello Spirito Santo a Dio per aver concesso, dopo il
grande evento del ritorno delle reliquie di SanMarco in Egitto, un ulteriore
sviluppo delle relazioni tra le Chiese di Roma e di Alessandria, cosicchè ora
essi hanno potuto incontrarsi. Al termine dei loro incontri e dei loro
colloquidesiderano dichiarare insieme quanto segue:
“Ci siamo incontrati nel desiderio di
approfondire le relazioni tra le nostre Chiese e per trovare strade concrete
per superare gli ostacoli nel cammino della nostra reale cooperazione nel
servizio di nostro Signore Gesù Cristo, il quale ci ha dato il ministero della
riconciliazione, al fine di riconciliare il mondo con Lui (2 Cor., 18-20). In
linea con le nostre tradizioni apostoliche trasmesse alle nostre Chiese ed in
esse conservate ed in conformità con i primi tre concilii ecumenici,
confessiamo un’unica fede in un solo Dio, Uno e Trino, divinità dell’Unico
Figlio Incarnato di Dio, la Seconda Persona della Santissima Trinità, la Parola
di Dio, il fulgore della Sua gloria e l’immagine manifesta della Sua sostanza,
che per noi si incarnò assumendo per Se stesso un corpo reale con un’anima
razionale e che condivise con noi la nostra umanità, ma senza peccato. Confessiamo
che nostro Signore, Dio, Salvatore e Re di tutti noi, Gesù Cristo, è Dio
perfetto riguardo alla Sua Divinità, e perfetto uomo riguardo alla Sua umanità.
In Lui la Sua divinità è unita alla Sua umanità in una reale, perfetta unione
senza mescolanza, senza commistione, senza confusione, senza alterazione, senza
divisione, senza separazione. La Sua divinità non si separò dalla Sua umanità
neanche per un solo istante, neanche per il tempo di un batter d’occhio. Egli,
che è Dio eterno ed invisibile, divenne visibile nella carne e prese su di sé
la forma di un servo. In Lui sono conservate tutte le proprietà della divinità
e tutte le proprietà dell’umanità, insieme fuse in un’unione reale, perfetta,
indivisibile ed inseparabile.
La vita divina ci viene data ed
alimentata attraverso i sette sacramenti di Cristo nella Sua Chiesa: Battesimo,
Cresima (Confermazione), Santa Eucaristia, Penitenza, Unzione degli Infermi,
Matrimonio e Ordini Sacri. Noi veneriamo la Vergine Maria, Madre della Vera
Luce, e confessiamo che Ella, sempre Vergine, è la genitrice di Dio. Ella
intercede per noi e, come la “Theotokos”, eccelle nella Sua dignità fra le
moltitudini degli angeli. Noi abbiamo, in ampia misura, la medesima concezione
della Chiesa, fondata sugli Apostoli e nell’importante ruolo dei concilii
ecumenici e locali. La nostra spiritualità è espressa adeguatamente e
profondamente nei nostri riti e nella Liturgia della Messa, che comprende il
centro della nostra preghiera pubblica ed il culmine della nostra
incorporazione in Cristo nella Sua Chiesa. Noi osserviamo i digiuni e le feste
della nostra fede. Veneriamo le reliquie dei santi e chiediamo l’intercessione
degli angeli e dei santi, quelli viventi e quelli già defunti. Questi
compongono una schiera di testimoni nella Chiesa. Con essi noi attendiamo,
nella speranza, la Seconda Venuta di nostro Signore allorquando la Sua gloria
si rivelerà per giudicare i vivi e i morti.
Umilmente riconosciamo che le nostre
Chiese non sono in grado di rendere una testimonianza più perfetta a questa
nuova vita in Cristo a causa delle divisioni esistenti, che hanno dietro di sè
secoli di storia difficile. Infatti, a partire dall’anno 451 dopo Cristo, si
sono manifestate differenze teologiche alimentate ed accentuate da fattori di
carattere non teologico. Tali differenze non possono essere ignorate. Tuttavia,
nonostante siffatte differenze, ci stiamo riscoprendo come Chiese che hanno
un’eredità comune e stiamo cercando, con decisione e con fiducia nel Signore,
di raggiungere la pienezza e la perfezione di quell’unità che è il Suo dono.
Come un contributo al perseguimento di questo scopo, istituiamo una commissione
congiunta, che rappresenta le nostre Chiese e che ha la funzione di guidare lo
studio comune nei campi della tradizione della Chiesa, della Patristica, della
liturgia, della teologia, della storia e dei problemi pratici; in modo che
attraverso la cooperazione si possa cercare di risolvere, in uno spirito di
reciproco rispetto, le differenze esistenti tra le nostre Chiese e si riesca a
proclamare insieme il Vangelo in modo confacente al messaggio autentico del
Signore e alle esigenze ed alle speranze del mondo contemporaneo. Allo stesso
tempo, esprimiamo la nostra gratitudine ed il nostro incoraggiamento agli altri
gruppi di studiosi e di pastori
Cattolici ed Ortodossi che dedicano i
loro sforzi ad attività comuni in questi settori ed in altri ad essi collegati.
Con sincerità e con insistenza ricordiamo che la vera carità, fondata sulla
completa fedeltà all’unico Signore Gesù Cristo e sul reciproco rispetto per le
tradizioni di ciascuno, è un elemento essenziale di questa ricerca della
perfetta comunione. Nel nome di questa carità, respingiamo tutte le forme di
proselitismo, inteso nel senso di azioni medianti le quali alcune persone
cercano di disturbare le altre comunità al fine di reclutare nuovi membri da
esse servendosi di metodi o assumendo atteggiamenti che sono in antitesi con le
esigenze dell’amore cristiano o con ciò che dovrebbe caratterizzare le
relazioni fra le Chiese. Abbandoniamo questi sistemi, laddove essi esistono.
Cattolici ed Ortodossi devono sforzarsi di approfondire la carità e di
sviluppare le consultazioni reciproche, la riflessione e la cooperazione nei
campi sociale ed intellettuale, e debbono umiliarsi davanti a Dio,
supplicandoLo affinchè, come ha cominciato la Sua opera in noi, così la porti a
compimento.
Mentre ci rallegriamo nel Signore che ci
ha concesso le benedizioni di questo incontro, il nostro pensiero va alle
migliaia di palestinesi sofferenti e senza dimora. Deploriamo gli abusi di
argomenti religiosi per scopi politici in questo campo. Desideriamo
ardentemente e cerchiamo una giusta soluzione per la crisi in Medio Oriente
affinchè prevalga la vera pace nelle giustizia, in modo particolare in quella
terra che fu santificata dalla predicazione, dalla morte e dalla risurrezione
del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e dalla vita della Beata Vergine
Maria, che insieme veneriamo come la “Theotokos”.
Possa Iddio, donatore di ogni nostro
bene, ascoltare le nostre preghiere e benedire i nostri sforzi.”
In Vaticano, li 10 Maggio 1973
( tratto da Cenni storici sulla
Chiesa Copta Ortodossa di Alessandria a cura di A. Balbis )
È impossibile
citare tutti i testi della liturgia, dei patriarchi e dei teologi copti che
provano come, in realtà, la Chiesa copta professi la stessa fede delle Chiese
calcedonesi. Gesù Cristo, il Verbo di Dio incarnato, è consustanziale al Padre
e consustanziale all’uomo, perfettamente uomo e perfettamente Dio, in una
perfetta unione senza confusione. La liturgia di san Basilio lo proclama
solennemente nella confessione preparatoria alla comunione: «Io credo, io
credo, io credo e proclamerò fino all’ultimo respiro che questo è il Corpo
vivificante che il tuo unico Figlio, nostro Signore, nostro Dio e Salvatore
Gesù Cristo ha preso dalla nostra Signore e Regina, la santa e pura Maria,
Madre di Dio. Egli l’ha unito alla propria divinità senza commistione, senza
mescolanza e senza cambiamento. Egli l’ha proclamato pubblicamente davanti a
Ponzio Pilato. Egli ha sacrificato per propria volontà questo Corpo per noi
tutti sulla santa Croce. In verità, io credo che la sua divinità non si è mai
separata dalla sua umanità nemmeno per lo spazio di un attimo o di un battito
di ciglio»1.
Quest’ultima immagine, di grande forza, è stata ripresa nella dichiarazione
dogmatica comune approvata dai papi Shenuda III di Alessandria e Paolo VI di
Roma nel loro incontro fraterno del 10 maggio 1973: «Ci siamo incontrati nel
desiderio di approfondire le relazioni tra le nostre Chiese e per trovare
strade concrete per superare gli ostacoli nel cammino della nostra reale
cooperazione nel servizio di nostro Signore Gesù Cristo, il quale ci ha dato il
ministero della riconciliazione, al fine di riconciliare il mondo con Lui (2 Cor.,
18-20). In linea con le nostre tradizioni apostoliche trasmesse alle nostre
Chiese ed in esse conservate ed in conformità con i primi tre concilii
ecumenici, confessiamo un’unica fede in un solo Dio, Uno e Trino, divinità
dell’Unico Figlio Incarnato di Dio, la Seconda Persona della Santissima
Trinità, la Parola di Dio, il fulgore della Sua gloria e l’immagine manifesta
della Sua sostanza, che per noi si incarnò assumendo per Se stesso un corpo
reale con un’anima razionale e che condivise con noi la nostra umanità, ma
senza peccato. Confessiamo che nostro Signore, Dio, Salvatore e Re di tutti
noi, Gesù Cristo, è Dio perfetto riguardo alla Sua Divinità, e perfetto uomo
riguardo alla Sua umanità. In Lui la Sua divinità è unita alla Sua umanità in
una reale, perfetta unione senza mescolanza, senza commistione, senza
confusione, senza alterazione, senza divisione, senza separazione. La Sua
divinità non si separò dalla Sua umanità neanche per un solo istante, neanche
per il tempo di un batter d’occhio. Egli, che è Dio eterno ed invisibile,
divenne visibile nella carne e prese su di sé la forma di un servo. In Lui sono
conservate tutte le proprietà della divinità e tutte le proprietà dell’umanità,
insieme fuse in un’unione reale, perfetta, indivisibile ed inseparabile»2.
Testo capitale che bisognava citare, perché respinge contemporaneamente il
nestorianesimo (separazione dell’umanità e della divinità in Cristo) e il
monofisismo reale eutichiano (commistione di umanità e divinità di Cristo). E’
soprattutto per una ragione terminologica – lo si è visto: l’impiego della
parola physis per designare la doppia «natura» umana e divina di Cristo – che
la Chiesa di Alessandria ha rifiutato la definizione di Calcedonia, che le
sembrava contraddire la formula di san Cirillo: «Una sola physis (unità
d’essere – persona) del Verbo incarnato». Recentemente, nel giugno 1989,
nell’ambito della seconda riunione plenaria della Commissione mista di dialogo
teologico tra la Chiesa ortodossa e le Chiese non-calcedonesi, tenutasi nel
monastero di Amba Bishoy (Wādī el-Natrūn), il papa Shenuda III ha spiegato in
termini particolarmente chiari e semplici la posizione della sua Chiesa: «Il
termine “monofisita” è una falsa interpretazione che ha causato molte
difficoltà per generazioni. Noi crediamo in nostro Signore Dio e Salvatore Gesù
Cristo, perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità. Egli ha riunito la sua
divinità e la sua umanità in un tutto senza confusione, né alterazione, né
separazione; non parliamo di due nature (physis) dopo questa unione misteriosa
di nostro Signore. Da sempre le nostre Chiese credono nella divinità e nell’umanità
di nostro Signore. Lo si vede, ad esempio, quando affermiamo che sant’Atanasio
di Alessandria è stato il campione della fede per aver difeso la divinità di
nostro Signore contro l’arianesimo; e quando, nel contempo, aggiungiamo che gli
ha chiaramente spiegato l’umanità di nostro Signore nella sua celebre opera
L’incarnazione del Verbo. Questo Padre della Chiesa, in tal modo, ha parlato
sia della divinità che dell’umanità del Signore. Quando parliamo di una natura
(physis), non intendiamo la sola divinità, né tanto meno la sola umanità.
Quando parliamo della sua unica natura (monē physis), nella nostra mente ciò
significa la natura (nota dell’autore: “unità d’essere, persona”) del Logos
incarnato. Come affermava il nostro Padre comune san Cirillo di Alessandria: Mia
physis tou Theou Logou sesarkōmenē. Sosteniamo che nell’uomo, in ogni uomo,
ci sono due nature unite insieme in una sola natura, spirito e carne. Ma quando
parliamo di due nature degli esseri umani, non intendiamo solo lo spirito o solo
la carne, intendiamo la natura umana3.
Anatematizziamo la dottrina e gli insegnamenti tanto di Nestorio quanto di
Eutiche. Se crediamo che nostro Signore è perfetto nella sua divinità e
perfetto nella sua umanità, ciò significa che crediamo in lui quale Dio Uomo, o
Dio manifestato nella carne, come è scritto nella Prima lettera di san Paolo a
Timoteo, capitolo 3, 16».
La seconda
riunione plenaria della commissione mista di dialogo teologico tra la Chiesa
ortodossa e le Chiese orientali non-calcedonesi – che è stata l’occasione per
il pronunciamento appena citato di papa Shenuda – approvava, al termine dei
lavori, una Dichiarazione di accordo, da cui stralciamo un passo basilare:
«Questa stessa ipostasi della Seconda Persona della Trinità, generata da tutta
l’eternità dal Padre, in questi ultimi giorni è divenuta un essere umano e
nacque dalla beata Vergine santa. In questo consiste il mistero dell’unione
ipostatica che noi confessiamo in un’umile adorazione – l’unione reale del
divino con l’umano, con tutti i tratti propri e tutte le funzioni della divina
natura increata, ivi compresa la volontà naturale e l’energia naturale. Unite
inseparabilmente e senza confusione alla natura umana creata con tutti i suoi
tratti propri e tutte le sue funzioni, anche la volontà naturale e l’energia
naturale. Il Logos incarnato è il soggetto di ogni “volere” e di ogni azione di
Gesù Cristo»4. La
rivista Irénikon (n. 2, 1989 [LXII], p. 217) giudicò tale scritto «uno dei più
completi e precisi che sia stato firmato in simili contesti. Esso segna un
progresso decisivo, menzionando non solo le “proprietà” o i “tratti propri”
(idiotētai) e “funzioni” (leitourghiai), ma anche e soprattutto la volontà
naturale e l’energia naturale dell’umanità a fianco della volontà ed energia
naturali della divinità».
Il grado
raggiunto di intesa tra le due famiglie ortodosse di Chiese si è manifestato in
tutta la sua profondità nel corso della terza riunione plenaria della stessa Commissione
mista, tenutasi, questa volta, a Chambésy (Ginevra), presso il Centro del
Patriarcato di Costantinopoli, dal 23 al 28 settembre 1990. La Commissione,
presieduta dal metropolita Damaskinos di Svizzera (per le Chiese ortodosse
bizantine) e dal metropolita Bishoy di Damietta, segretario del Santo Sinodo
della Chiesa copta (per le Chiese ortodosse non-calcedonesi), ha sottoscritto
un accordo cristologico che evidenzia la piena unità di fede tra i due gruppi
di Chiese e getta le basi per il superamento della secolare divisione. Data
l’importanza di tale Dichiarazione – alla cui stesura o discussione hanno
partecipato, per parte copta, oltre al metropolita Bishoy di Damietta, il
vescovo Serapione, il padre Tadros Y. Malaty e il dott. Joseph Moris Faltas –
ne riportiamo per esteso i punti salienti:
«1. Entrambe le
famiglie concordano nel condannare l'eresia di Eutiche Entrambe le famiglie
professano che il Logos, seconda Persona della Santa Trinità, unigenito del
Padre prima di tutti i secoli e a Lui consustanziale, si è incarnato ed è nato
dalla Vergine Maria, Madre di Dio (Theotokos); pienamente consustanziale a noi,
pienamente uomo dotato di anima, corpo e ragione (nous) [...].
2. Entrambe le
famiglie condannano l'eresia nestoriana […] Esse concordano nel sostenere che
non è sufficiente affermare che Cristo è consustanziale sia con il Padre sia
con noi, Dio per natura e Uomo per natura; è necessario affermare anche che il
Logos, che è Dio per natura, divenne per natura Uomo, mediante la sua
incarnazione nella pienezza dei tempi.
3. Entrambe le
famiglie riconoscono concordemente che l’Ipostasi del Logos divenne composta
(synthetos) grazie all’unione della sua natura divina increata (con la sua
propria naturale volontà ed energia), che ha in comune con il Padre e lo
Spirito Santo, con la natura umana creata, che ha assunto al momento
dell’incarnazione e ha fatto propria (con la sua propria naturale volontà ed
energia).
4. Entrambe le
famiglie riconoscono concordemente che le nature, con le loro proprie energie e
volontà, sono unite ipostaticamente e naturalmente, senza confusione, senza
mutazione, senza separazione e senza divisione, e che esse sono distinte
soltanto nel pensiero (tē theōria monē) [...]
7. La Chiesa
ortodossa è d'accordo che le Chiese orientali ortodosse continuino a mantenere
la propria terminologia tradizionale cirilliana di unica natura del Logos
incarnato (Mia physis tou Theou Logou sesarkōmenē), poiché esse riconoscono la
doppia consustanzialità del Logos negata da Eutiche. Anche la Chiesa ortodossa
usa questa terminologia. Gli ortodossi orientali riconoscono giustificato l'uso
che gli ortodossi fanno della formula delle due nature, poiché questi riconoscono
che la distinzione è soltanto nel pensiero (tē theōria monē) [...]
9. Alla luce
della nostra Dichiarazione di accordo sulla cristologia e delle osservazioni
comuni di cui sopra, abbiamo ora compreso chiaramente che entrambe le famiglie
hanno sempre mantenuto fedelmente la stessa e autentica fede cristologica
ortodossa e l'ininterrotta continuità della tradizione apostolica, benché
possano aver usato termini cristologici in modi differenti. Sono questa comune
fede e fedeltà continua alla tradizione apostolica che possono costituire le
basi della nostra unità e comunione»5.
( Tratto da Christian Cannuyer, I Copti, Libreria Editrice Vaticana, pp.
74-80 )
1. Il sacro messale, pp. 75-76.
Il lettore troverà la redazione greca dell’anafora alessandrina di san Baislio
– testo arricchito da una breve analisi – in: C. GIRAUDIO, Eucaristia per la
Chiesa. Prospettive teologiche sull’eucaristia a partire dalla «lex orandi».
Editrice Pontificia Università Gregoriana-Morcelliana, Roma-Brescia, 1989, pp.
430-443 (Aloisiana 22). Ricordiamo che l’anafora copta di san Basilio e quella
greca non differiscono che in minima parte (n.e..i.)
2. Il testo originale inglese
della citata dichiarazione (con a fianco la traduzione italiana) è reperibile
in: Enchiridion vaticanum. IV: Documenti ufficiali della Santa Sede 1971-1973,
EDB, Bologna 1985, pp. 1614-1619. Nel contro dell’incontro tra il papa di Roma
e quello di Alessandria si decise di creare una commissione mista internazionale
di dialogo tra le due Chiese […]
3. Troviamo gli stessi concetti
in una pagina del libro del papa Shenuda tradotta in italiano nel 1993 – la
stampa è dell’Opera don Calabria di Roma -, dal titolo “La natura di Cristo”:
«Noi ci domandiamo stupiti: quale delle due nature ha rinnegato la Chiesa di
Alessandria? La natura divina? Sicuramente no, perché la nostra Chiesa, fra
tutte, fu la più zelante contro l’eresia di Ario nel concilio di Nicea […] Si
tratta forse della natura umana del Signore che la Chiesa di Alessandria ha
negato? S. Atanasio di Alessandria risolse questo punto compiutamente nel suo
libro “L’incarnazione del Verbo”. L’affermazione “una natura” non indica solo
la natura divina, né soltanto la natura umana, bensì indica l’unità di quelle
due nature in una sola natura che è la natura del Verbo incarnato! Esattamente
come quando noi parliamo della nostra natura umana, che comprende l’unità di
due nature (l’anima e il corpo): la natura dell’uomo non è solo la sua anima né
soltanto il suo corpo. Ma la loro unità, congiunta insieme in una sola natura,
viene chiamata natura umana» (p. 11) (n.e.i.)
5. Il testo italiano è apparso ne Il
Regno/Documenti, n. 654, 1 febbraio 1991 [XXXVI], pp. 105-108; esso riprende
l’originale francese, riportato in Episkepsis, n .446, 1 octobre 1990 [XXI],
pp. 17-22). La Dichiarazione si chiude con tutta una serie di proposte concrete
che dovrebbero facilitare la ricomposizione dell’unità tra ortodossi bizantini
e pre-calcedonesi (per es.: scambi di visite tra i rispettivi Primati,
professori e studenti di teologia; scambi di visite tra i fedeli, specie nei
giorni di festa, con partecipazione ai rispettivi culti eucaristici;
pubblicazioni di ordine storico e teologico realizzate in comune; mutuo
riconoscimento del battesimo…). Una concretizzazione di tali “raccomandazioni”
si è prodotta l’anno successivo all’accordo: dal 20 al 26 maggio 1991, nel
monastero copto di Amba Bishoy in Egitto, si è svolta la prima consultazione
tra Syndesmos, federazione mondiale della gioventù ortodossa, e i
rappresentanti dei movimenti giovanili delle Chiese ortodosse non-calcedonesi.
Fine assegnato all’incontro: «Conoscersi meglio, imparare ad amarsi e a
testimoniare la fede comune». Una breve cronaca di quei colloqui – che hanno
visto la presenza anche del metropolita George Khodr, vescovo ortodosso del
Monte Libano, e del vescovo Moussa, responsabile della pastorale giovanile
delle Chiesa copta – si può leggere in Service Orthodoxe de presse, n. 159,
juin 1991, pp. 8-9. Quanto allo scambio di visite tra i Primati delle due
famiglie di Chiese, segnaliamo, in particolare, l’incontro che Bartolomeo I ha
avuto al Cairo con il papa copto Shenuda III, in occasione di un viaggio che ha
portato il patriarca ecumenico, dal 24 aprile al 5 maggio 1993, in Egitto,
Siria e Libano; nel corso di quell’incontro veniva riaffermata la volontà di
entrambe le Chiese di rendere una comune testimonianza di fede e rimuovere
tutti gli ostacoli creati da secoli di divisione (cf. il quindicinale ateniese
Ἐκκλησιαστικὴ Ἀλἠθεια del 16/06/1993, p.5). Tale volontà si è ulteriormente
concretizzata nella quarta riunione plenaria della Commisione mista di dialogo
tra le due famiglie di Chiese, tenutasi sempre a Chambésy (Ginevra), dal 1 al 6
novembre 1993 […]
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