L'icona della Madonna delle Perle, cosiddetta per via delle numerosissime perle che, come ex voto, ne ricoprivano la sacra immagine, viene oggi esposta all'ammirazione ed alla venerazione dei fedeli presso il Museo Diocesano di Palermo. L'icona fu donata da Matteo Ajello, Gran Cancelliere di Guglielmo II e di Tancredi e fondatore, nel 1171, della chiesa e del monastero palermitano di Santa Maria de Latinis. Per secoli l'icona rimase in questa chiesa ove ricevette la venerazione dei fedeli. La splendida chiesa ed il suo monastero furono però distrutti durante l'ultima guerra, ma Dio volle che questa icona ci pervenisse in stato accettabile, grazie al provvidenziale trasferimento dell'icona giusto poco prima del fatidico 9 maggio 1943, giorno in cui gli alleati distrussero la chiesa del Gran Cancelliere, ove la sacra immagine era stata venerata per otto secoli.
Nel marzo o nel maggio del 1171 Matteo d'Ajello, vicecancelliere di Guglielmo II re di Sicilia, consegnava a Marotta, prima badessa del monastero di S. Maria de Latinis, e parente sua per parte di madre, i beni immobili e mobili dettagliatamente elencati in due documenti notarili, nei quali, su entrambi i fogli, particolare attenzione era stata riservata alla grande icona delle Madonna delle Perle:
Abbiamo donato anche un'altra icona grande, nella quale è l'immagine della Gloriosissima Vergine Maria, che tiene Cristo sulle braccia (Cristum in ulnis tenents). Essa nella corona di Cristo, nella corona della Vergine e tutt'intorno ha cinque libre ed once tre d'argento e nella corona della Vergine ci sono sette smeraldi grandi ed otto perle grandi a modo di lupini e nella corona di Cristo ci sono quattro smeraldi grandi ed altri 12 smeraldi piccoli e sedici perle della qualità di un cece, e nella corona di Cristo e della Vergine ci sono 1492 (millequattrocentonovantadue) perle.
Il titolo primitivo della Madre di Dio raffigurata in questa icona era "Madonna dell'Udienza", che conferma a pennello la secolare devozione tributata alla sacra immagine, culto che materialmente, come visto, si concretizzò nella realizzazione di così sontuosi ornamenti. La grande devozione di Matteo d'Ajello verso la Santa Madre di Dio è ben testimoniata dalla pala d'altare presente nella chiesa di Maria Santissima Ausiliatrice, già residenza di campagna delle suore del monastero del cancelliere, e dipinta nel 1781-82 da Giuseppe Crestadoro e raffigurante il sogno del Gran Cancelliere.
La tradizione, riportata in un racconto del 1654 di Ottavia Caierano, vuole che una donna "vinta da cieca cupidigia (...) involassi una delle perle più grandi della corona e nel pugno chiuso seco la portò via (...) ma ecco che non potè più aprire la mano", fintanto che, dopo essersi pentita, "di tutto cuore del commesso fallo" non tornò in chiesa a restituire la perla sottratta.
Una curiosa anomalia nella tradizione di questa icona, vuole la rivendicazione dell'opera direttamente alla committenza normanna in terra di Sicilia, a discapito di una più diffusa tradizione che attribuisce quasi sempre la fattura di questi sacri dipinti all'oriente, in modo tale da aumentarne il carisma. Fenomeno ancora più strano se si considera che la committenza normanna non ne certifica di per sè il luogo di produzione. Il dipinto, ferma restando la sua datazione entro il 1171, potrebbe essere stato importato. A offrire gli elementi di confronto più aderenti a questa ipotesi sono le opere estranee all'ambito siciliano-normanno: una icona dall'iconografia assai simile si trova presso il monastero di Santa Caterina al Monte Sinai, in Terra Santa. Il Bambino della Madonna di Andria, opera ritenuta senz'alcun dubbio orientale, costantinopolitana o almeno cipriota, è quasi gemello di questo dell'icona della Madonna delle Perle. La circolazione di maestranze e opere tra le sponde del Mediterraneo, munite di cartonage standard, rende infatti difficile stabilire se la prestigiosa opera sia stata eseguita in loco, magari dalle maestranze greche chiamate a realizzare i mosaici delle fondazioni normanne, o se piuttosto il committente di alto rango si sia rivolto ad un centro di eccellenza come Cipro.
La fronte alta di Gesù, così come il suo atteggiamento pensoso, sono i chiari simboli della divina sapienza, assieme al classico rotolo, simbolo della Suo ruolo di Maestro, mentre il colore rosso intenso della Sua tunica prefigura la Sua futura passione.
ll curioso drappo di un rosso diverso che cinge la vita del Bambino, vuole simboleggiare l'Amore della Madre che passando al figlio si sublima acquistando luce divina, cioè intensificando il tono di rosso. Questo "perfetto abbraccio d'amore" si combina in maniera singolare con i clavi della Sua tunica, di regola allusivi alla regalità, e richiama l'abbigliamento (veste con cintola e bretelle) indossato tipicamente da Gesù nelle raffigurazioni della presentazione al tempio, quando il profeta Simeone svela alla Vergine la missione del Figlio di Dio e la sua futura sofferenza di madre.
Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele.
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima».
(Luca 2,29-35).
Il forte contrasto fra la dolcissima tenerezza della Madre, unita alla sua malinconica espressione del viso, ed il volto corrucciato e imperioso di Gesù con il Suo braccio decisamente e fermamente proteso nel gesto della benedizione esprimono, come solo l'arte sa fare, il sublime mistero dell'Amore fra Madre e Figlio e Umanità intera.
Nell'icona, la Madre ancora una volta ci offre con malinconica dolcezza le sofferenze del Figlio, il Suo Amore, la Sua stessa essenza, vedi la grande ricorrenza del rosso. Il Cristo offre la sua forza e la solida certezza della Sua Fede, sicuro rifugio e salvezza per ogni essere umano.
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