L’esicasmo è una tradizione
spirituale che si è sviluppata cronologicamente dal V al XVIII secolo e ha
avuto tra i suoi esponenti monaci di tendenza contemplativa, desiderosi di
cercare e trovare la perfezione nell’unione con Dio, vivendo asceticamente, in
solitudine e in continua preghiera, secondo il comando dell’Apostolo (1 Ts 5,
17). A differenza del monachesimo basiliano e studita 1 che insiste maggiormente sulla vita
cenobitica e sulla preghiera comune, l’esicasmo privilegia la santificazione
individuale e isolata.
La parola esicasmo deriva dal termine
greco “hesychìa”, che letteralmente
significa riposo, pace spirituale, quiete. Il verbo “hesychàzo” si riferisce al monaco che vive in solitudine e in
silenzio, che conduce una vita appartata e centrata sulla preghiera, sulla
sobrietà e sull’attenzione interiore.
Gli esicasti, riprendendo alla
lettera le esortazioni di Paolo inviate ai primi cristiani di “vivere in pace” (hesychazèin) ( 1 Ts 4, 11), di condurre
“vita pacifica” (hesychìon bìon diàghein)
(1 Tm 2, 2), di “lavorare con tranquillità” (metà hesychìas ergazomenoi) (2 Ts 3, 12), intendevano condurre una
vita che fosse caratterizzata dalla pace interiore, che non fosse turbata da
elementi distraenti sia esterni che interni.
Il loro ideale viene
programmaticamente delineato in questo motto di Abba Arsenio: “Fuge, tace,
quiesce!”2 cioè: separato dal mondo, coltiva il silenzio e la pace!
Per raggiungere lo stato di pace
interiore, ricercato dagli esicasti, occorre abbandonare le distrazioni del
mondo, fuggire nel deserto e ritirarsi in un posto solitario per immergersi
nella meditazione delle cose divine. Ma
non basta la fuga dal mondo, la ricerca della solitudine e del silenzio
per raggiungere l’ “hesychìa”; il
vero monaco esicasta, deve rinunciare sia interiormente che esteriormente al
mondo: esteriormente, quanto alle cose materiali e agli affari di questo mondo;
interiormente, quanto ai pensieri che vi si riferiscono, non ammettendo alcuna
preoccupazione mondana. Il vero monaco esicasta ricerca il silenzio interiore,
quello di una mente non affollata da pensieri mondani e passionali.
Evagrio Pontico ha affermato che il solitario deve essere due volte
monaco: “uomo-monaco” e “intelletto-monaco”, cioè deve essere colui che evita
il peccato sia nella azione che nei pensieri3.
Questo significa che il vero solitario è colui che non soltanto ricerca il
silenzio esteriore, ma desidera creare nel proprio spirito un silenzio profondo
favorito dalla concentrazione sul ricordo di Dio.
Già Evagrio è stato maestro
nell’insegnare ai suoi monaci il modo di raggiungere la pace dell’anima (hesychìa). Nella sua dottrina ascetica
ha teorizzato la necessità di lottare contro i pensieri passionali che
provocano nello spirito una agitazione dannosa alla pace interiore.
Ĕ molto importante, secondo Evagrio e i Padri esicasti,
custodire il proprio cuore e vigilare con attenzione (nepsis) sulla mente, affinché i pensieri passionali non ostacolino
la contemplazione-orante e non offuschino la pace interiore dello spirito.4
La “nepsis” è un metodo
spirituale di attenzione e vigilanza interiore che aiuta l’uomo a ostacolare la penetrazione
nella mente dei pensieri passionali, i quali impediscono la preghiera. Non si
può pregare con purezza se si è immischiati in affari materiali e se si è
agitati da continue preoccupazioni, sostiene Evagrio nel suo trattato “ Sulla
Preghiera”. Evagrio insiste sulla vigilanza della mente perché lo stato di
“preghiera pura” fiorisce solo in un’atmosfera di pace interiore, che si
instaura nell’uomo, quando è riuscito ad espungere dal proprio animo i pensieri
passionali che lo ingombrano.5
Esiste uno stretto rapporto fra “hesychìa” e Preghiera del cuore; l’una
è il presupposto dell’altra, perché non si può pregare se non si ha l’anima
libera da turbamenti. D’altro canto la preghiera ripetuta incessantemente può
essere un valido mezzo di purificazione dell’anima e, quindi, uno strumento
utile a creare uno stato di quiete nello spirito.
Giovanni
Cassiano nelle sue conferenze ripete l’insegnamento dei monaci da lui
incontrati in Egitto su questo tipo di preghiera, che “ non soltanto proteggerà
dagli assalti dei demòni, ma purificherà anche da ogni vizio e da ogni macchia
terrestre; elevarà alla contemplazione delle cose celesti e invisibili;
condurrà ad un ardore ineffabile di preghiera, che pochi soltanto conoscono per
esperienza. Ĕ
un segreto che ci ès stato rivelato da quei pochi Padri appartenenti al buon
tempo antico, ma che vivono tuttora; noi lo riveliamo a nostra volta a
quel piccolo numero di anime che dimostrano una vera brama di conoscerlo”6.
Troviamo lo stesso insegnamento in
Nilo d’Ancira (+ 430). “Contro i demòni bisogna impiegare il ricordo del nostro
Salvatore, la fervente invocazione del nome notte e giorno”7.
Nella Filocalia è contenuto un
racconto di un certo Abate Filemone che può essere fatto risalire al VI – VII
secolo.
Questi interrogato da un monaco su
che cosa fosse la meditazione nascosta, risponde: “Sii sobrio nel tuo cuore e
di’ sobriamente nella tua mente, con timore e temore: Signore Gesù Cristo,
pietà di me. Il beato Diodoro, infatti, tramanda così ai principianti: Abbi
sempre questo nel tuo cuore, sia che tu mangi, sia che tu beva, sia che ti
trovi in compagnia di qualcuno, sia fuori di cella, sia per strada; non ti
scordare di fare questa preghiera con mente sobria e intelletto stabile, di
salmeggiare e meditare preghiere e salmi...Così potrai comprendere le
profondità della divina Scrittura e della potenza che vi è nascosta e dare
all’intelletto una incessante generosità per adempiere il detto apostolico che
prescrive: pregate incessantemente”8.
Nel periodo compreso tra la metà del
VII e gli inizi dell’VIII secolo, in una serie di apoftegmi copti, intitolati
“Virtù di San Macario”, è interessante constatare come quasi in ogni pagina si
parla della ripetizione del Nome di Gesù, anche con graziose esemplificazioni
come questa: “Attacca la corda al picchetto in modo da mantenere la vela e, per
la grazia del nostro Signor Gesù Cristo, la barca oltrepasserà le tempeste
diaboliche..! La barca è il tuo cuore: sorveglialo! La corda è la tua mente:
attaccala al nostro Signore Gesù! Questo è il picchetto che comanda i flutti e le
tempeste diaboliche, lottando contro i santi. Non è facile, infatti, dire a
ogni respirazione: “Mio Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, Ti benedico mio
Signore Gesù Cristo, soccorrimi...” Se noi siamo assidui a questo Nome
salvifico del nostro Signore Gesù, egli prenderà il diavolo per le narici,9
per quello che ci ha fatto e noi, che restiamo deboli, sapremo che il soccorso
viene dal nostro Signore Gesù Cristo”10.
Concludendo questa panoramica sul
monachesimo egiziano di lingua copta
ricordiamo che a questo stesso ambiente si riportano le iscrizioni
murali scoperte all’inizio di questo secolo a Baouit e le sottoscrizioni e i
colofoni di numerosi manoscritti nei quali figurano diverse formule per la
Preghiera di Gesù.11
1Gli
studiti erano monaci greci che si erano stabiliti nel monastero di Alessandria
sulla riva asiatica del Bosforo alla fine del V secolo grazie al beneplacito
del console Studios, da cui il nome di “studiti”. Erano di stampo
neo-basiliano. Il loro monachesimo era rigorosamente cenobitico, attivo,
sociale, nell’orientamento come nell’organizzazione. Diverranno la più potente
organizzazione monastica di Costantinopoli. Al monastero di Studios sarà legata
l’ultima lotta contro l’iconoclastia, come pure la riforma della Chiesa
bizantina.
Cfr. L. BOUYER, Spiritualità bizantina e ortodossa, EDS,
Bologna 1968, p. 25-27
2
Cfr. ARSENIO, in Vita e detti dei padri
del deserto, ( a cura di L. MORTARI), Città Nuova, Roma 1971, vol. I, p.
97.
3”Uomo-monaco
–scrive Evagrio – è colui che evita il peccato in azione; intelletto-monaco è
quello di colui che evita il peccato dei pensieri e può contemplare
nell’orazione la luce della Santa Trinità”.
Cfr. I.
HAUSHERR, Solitudine e vita
contemplativa, Queriniana, Brescia 1978, p. 44.
4Il
termine “nepsis” ha una preistoria prima di incontrarlo presso gli asceti
orientali. Il verbo neutro “nèpsein” significa lo stato di sobrietà in
opposizione a “methyein” che indica lo stato di ebbrezza. Da questo primo senso
materiale, il vocabolo passa ad un senso più elevato, per esprimere lo stato di
un’intelligenza padrona di sé, equilibrata, saggia, opposto a uno stato di
esaltazione incontrollata, di squilibrio, di ebbrezza mentale: la “manìa”. La
mente sobria è aperta alla contemplazione. Anche le scritture consigliano di
mantenersi in uno stato di sobrietà mentale: “Siate dunque moderati e sobri per
dedicarvi alla preghiera” (1 Pt 4, 7).
5
Cfr. EVAGRIO MONACO, Sul discernimento
delle passioni e dei desideri, in La
Filocalia,vol. I
p. 107-124.
p. 107-124.
6 G. CASSIANO, Conlatio X, 10 passim, in CSEL 13, 297-302; tr. It. A cura di
O.LARI, EP, Alba 1965, vol. I, p.
430-436.
7
Cfr. NILO D’ANCIRA, Epistolae, III,
278, PG 79, 521 b.
8
ABATE FILEMONE, Discorso utilissimo
sull’Abate Filemone, in La Filocalia,vol.
II, p. 361.
Nel testo viene
citato Diadoco, vescovo di Foticea che risale al V secolo.
Il passo in
questione si trova in La Filocalia ,vol.
I, p. 369- 370
9 Gb.
40, 25-26 “Puoi tu pescare il Leviatan con l’amo e tener ferma la sua lingua
con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un
uncino?”
10E.ALIMENAU, Histories des monastéres de la Basse Egypte, Annales
du Musée Guimet, N°25,
Paris 1894, p. 160-161.
Paris 1894, p. 160-161.
11Cfr. E. LANNE, La
Prière de Jesus dans la tradition égyptienne, Temoignages des psalies et des
inscriptions in IRĚNIKON 50 (1977) 200.
Tesi di licenza in teologia con specializzazione in spiritualità Studente:
GALLIANO Giuseppe m.s.c.
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