La storia
Nel giugno del 1063 Cerami, piccolo paese alle spalle dell’Etna, fu teatro di una decisiva battaglia fra le truppe normanne del Gran Conte Ruggero e l’esercito d’occupazione arabo in Sicilia. La notte precedente lo scontro decisivo, narra la leggenda, l’arcangelo Michele apparve al condottiero normanno, promettendo aiuto e rassicurandolo sull’esito positivo della battaglia. Fu una vittoria schiacciante che Ruggero, visto il suo potente alleato, volle condividere con Alessandro II, all’epoca sommo pontefice romano. Parte del bottino, assieme a 4 cammelli, fu inviata a Roma. Grande fu il gradimento del papa, che vedeva con sommo interesse tutte le imprese belliche considerate vantaggiose per la causa cristiana. Il santo padre promise indulgenze plenarie al Conte e a tutti coloro che avevano combattuto al suo fianco e conferì al condottiero normanno, come Vessillo papale, un’icona bizantina dipinta su tela e raffigurante l’immagine della Beata Vergine Maria col Bambino Gesù. Nella tradizione bizantina l’icona della Vergine con il Bambino era associata ai trionfi dell’imperatore. La presenza delle Icone in battaglia veniva spesso considerata come la presenza del Prototipo rappresentato nell’Icona; una miniatura della Cronaca di Skylitzés (Biblioteca Nazionale di Madrid, fol. 172v) illustra l’ingresso trionfale di Giovanni Tzimiskès su un cavallo bianco preceduto da un’Icona della Vergine posta su una carrozza. O ancora, qualche decennio prima, dopo la sconfitta di Antiochia, l’imperatore Romano III ricevendo in dono un’Icona della Vergine detta “Generale” o “Guardiana degli eserciti”, vide mutare i suoi sentimenti di disperazione nella gioia più piena, sentendosi enormemente confortato e rassicurato dalla protezione che derivava dall’Amore della Vergine.
Allo stesso modo Ruggero, con immensa fede e pieno affidamento, accettò il dono papale e lo portò con sè in ogni battaglia. A Plutia, l’odierna Piazza Armerina, strenuamente difesa dalle truppe arabe, venne combattuta una delle battaglie cruciali per la conquista dell’isola. Palese fu su quel terreno l’aiuto della Beata Vergine, che assieme alla collaborazione dei plutiesi portò il principe normanno ad una vittoria schiacciante. La riconoscenza di Ruggero verso i plutiesi fu così grande da spingerlo a promettere che, alla fine di tutte le operazioni di conquista della Sicilia, la custodia dell’Icona miracolosa sarebbe stata conferita a questa città. Conquistata tutta la Sicilia, intorno al 1091, l’Icona venne affidata alle migliori truppe normanne, le gallo-italiche o lombarde, che come promesso la deposero per la venerazione sull’altare della chiesa di Plutia e si stabilirono nella città di Piazza Armerina.
Nell’anno 1161 i plutiesi, rei di avere cospirato all’autorità del re, per la compiacente politica filo saracena di Guglielmo il Malo (già da allora i Lumbard erano diffidenti verso gli immigrati nord africani), nell’imminenza del pericolo della distruzione della città, nascosero l'Icona. “L’onore reso a una Immagine risale al Modello originale”(San Basilio, De Spiritu Sancto);per paura che le profanazioni rese all'Immagine dalle truppe saracene consistessero in un'offesa della tutta Santa Madre di Dio, o per evitare che l’Icona venisse rubata, o cadesse in mano al Re che la voleva portare a Palermo, la rinchiusero segretamente in una cassa di legno e la seppellirono all'’interno dell'eremo di Santa Maria in contrada Piazza Vecchia. Per capire meglio l’operato dei plutiesi si consideri ciò che San Giovanni Damasceno sosteneva: “L’Icona è come riempita di energia e di grazia”, cioè l’Immagine della Santa Madre di Dio e del Bambino comunica almeno in parte la sua santità alla materia su cui è dipinta, senza però mai essere consustanziale al Prototipo. Per i due secoli a venire non si seppe più nulla dell’Icona.
Nel 1348 la Sicilia venne colpita dalla tremenda “peste nera” ed anche la città di Piazza, assieme alle altre, ne fu vittima. Il flagello arrivò dall'Oriente, pare da Caffa, sul mar Nero ove le navi genovesi, con a bordo alcuni contagiati, o semplicemente topi imbarcati nelle stive col grano destinato all'Occidente, avrebbero portato la peste prima a Costantinopoli e poi nel bacino del Mediterraneo. Nell’ottobre del 1347 l'epidemia toccò la Sicilia: Messina fu contagiata per prima, come testimonia il cronista Michele da Piazza, poi l’epidemia dilagò in tutta Europa.
Come spesso succede in questi casi, bastano le preghiere di pochi “figli”, persone pie, il cui cuore è capace di innalzare con vero amore e totale affidamento per implorare la Madre di Dio e dell’umanità ad intervenire. Ad un sacerdote, Giovanni Candilia, che aveva consacrato la propria vita alla preghiera di intercessione, apparve la Beata Vergine e gli rivelò il luogo dove 187 anni prima (1161) era stata sepolta l’Icona del conte Ruggero.
La diffidenza dei piazzesi fu però superiore alla fede di Giovanni, tant’è che dopo aver rivelato al clero locale la volontà della Vergine, questi non fu creduto e gli fu negata l'autorizzazione di andare a scavare per portare di nuovo alla luce l'Icona della Vergine Maria.
La pietà e la fede del pio sacerdote superò quest’ostacolo; il Candilia si recò a Catania dal Conte Vescovo Gerardo Odone, per riferire dell’apparizione "in sogno" della Madonna. Gerardo credette al sacerdote ed autorizzò lo scavo nel luogo indicato dalla Madre di Dio.
Il 3 maggio 1348 la sacra icona venne rinvenuta, all'interno della cassetta fu pure ritrovato un capello che si disse essere della Madonna ed è oggi ben custodito in una teca d'argento. Con grande solennità l’Immagine fu portata in città e mentre la processione si avvicinava al centro abitato, la peste miracolosamente cessava: si gridò al miracolo!
La fama della potenza taumaturgica di questa Icona si diffuse per tutta l’isola, estendendone il culto in gran parte della Sicilia, da cui tanta gente accorreva a Piazza per invocare la protezione della Vergine Maria.
Innumerevoli furono le grazie ottenute per intercessione della Madre di Dio, la cui Immagine protesse la città di Piazza Armerina da catastrofi, malattie e guerre ed ancora fino ad oggi, evitando che nella disastrosa seconda guerra mondiale la città fosse rasa al suolo dai bombardamenti.
Annualmente il 15 agosto, solennità della dormizione, Piazza Armerina festeggia solennemente la sua amata Patrona, la Madonna delle Vittorie. La festa viene preceduta dal famoso Palio dei Normanni, che si svolge il 14 agosto, mentre il 15 sera si svolge la solenne processione per le vie del paese con la sacra Icona.
Lettura dell'icona
L'icona bizantina di Maria SS. delle Vittorie è una tavola di 160 x 77 cm. ricoperta da un supporto di tela sulla quale è dipinta la Madonna col Bambino fra le braccia.
E’ alquanto difficile formulare una datazione certa di quest’opera, si può comunque asserire che l’immagine esistesse già prima del XV secolo, perché già rappresentata in un affresco della locale chiesa di San Pietro. Alcuni studiosi sostengono la non appartenenza al periodo normanno dell’Icona, per via della postura particolarmente vivace del Bambino non riscontrabile in altre icone di questo periodo. Tale ipotesi potrebbe avvalorare la veridicità della leggenda che vuole il luogo di “scrittura” dell'Icona fuori dalla Sicilia, l’icona fu infatti donata dal papa al condottiero normanno.
Fin da un primo confronto con altri modelli esistenti, si può stabilire la sua appartenenza al tipo della Theotokos Kykkotissa, una meravigliosa icona custodita nel monastero di Kykkos a Cipro, divenuta assai popolare in tutta l’Italia Meridionale nel corso del Duecento, dal Lazio alla Puglia (Madonna delle Vergini, Bitonto), ove venne interpretata secondo innumerevoli varianti.
L’iconografo si distacca però da alcuni elementi dottrinali del modello originale per proporne di altri più adeguati alla funzione specifica di questa Icona. L’Icona della Kykkotissa è essenzialmente da iscrivere al modulo della “Elousa”, caratterizzato dal contatto fra le guance di Gesù e la Santa Madre; nella nostra Icona, invece, i due volti sono distaccati. L’abbigliamento del Bambino, all’altezza della vita, punto di confluenza delle due bretelle, presenta una fascia ancora dipinta in rosso “fuoco”, che vuole pienamente simboleggiare la gloria di Dio che riveste il Bambino: “La gloria del Signore era come fuoco divorante” (Es. 24,17). La mano destra di Maria sostiene il Bambino alla vita, non più, come nel modello cipriota, sosteneva la mano destra di Gesù.
Nell’Icona si vuole raffigurare l'episodio cristologico della Presentazione al tempio, quando alla Vergine è anticipato il futuro sacrificio del Figlio, così vistosamente simboleggiato dalla colorazione rosso intensa della tunica del Bambino. Lo sguardo della Deipara è dolce ed al contempo compenetrato: Lei per prima, sorreggendo il Bambino alla vita, con fede, come porse il Bambino Gesù a Simeone, lo porge anche a noi con tanto amore e ci invita ad accoglierlo come Luce del mondo (Cfr Lc 2, 25-35)
L’iconografo reinterpretando il canone della Kykkotissa, ha infatti reso con grande efficacia, anche dal punto di vista dinamico, il gesto di una madre che porge il figlio. Le labbra della più che Santa Madre di Dio sono chiuse, ma ha appena pronunciato una precisa raccomandazione: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5). Alessandro II affidò quest’Immagine al Gran Conte proprio con questa raccomandazione: “Implete hydrias” (Gv 2, 7). Ruggero ed i suoi soldati riempirono dell’Acqua Viva della fede le "giare" dei loro cuori, “Nel contesto mariologico, come suggeriscono i testi liturgici, il simbolo della sorgente si può interpretare in due sensi. La Madre di Dio stessa è l’acqua o, al contrario, l’acqua è Cristo; la Deipara è la Fontana, la terra da dove l’acqua scaturisce, che da essa è resa fertile e fatta germogliare con ogni erba per abbellire e dare nutrimento ad ogni vivente.”(T. Spidlik, M.I. Rupnik, “la fede secondo le icone”). Il miracolo avvenne, pochi uomini riuscirono a riconquistare alla fede cristiana ed alla devozione mariana quell’isola che fin "dall’inizio" era stata così tanto legata alla santa Vergine.
L’iconografo si distacca dal modello originale anche nella postura del mophorion: nella versione cipriota la Vergine lo tiene aperto lasciando vedere il chitone, qui viene presentata tutta avvolta nel mophorion, solo sotto la vita si intravede il chitone celeste, proprio come farebbe colei che si avvolge nel suo mantello per intraprendere il cammino. La santa Madre di Dio è “Condottiera Celeste” (Τη Υπερμάχω); Ella si mette in marcia verso i nostri cuori e combatte con noi e per noi per guidarci al suo Figlio.
Nella versione originale i piedi e le gambe sono scoperti fino alle ginocchia, così come le braccia, fino al gomito o fino alle spalle. Nell’iconografia bizantina soltanto i servitori venivano rappresentati con le maniche corte perché le loro braccia, ben visibili, appartenevano al loro padrone (si veda l’Icona della Natività). Gesù offre i suoi arti, simbolo di operosità perché egli viene per servire e non per essere servito. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; chi vuol essere grande fra di voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”(Mc. 10,42-45). Nella nostra icona sia i gomiti che le ginocchia si presentano velati, sono ricoperti da una tunichetta intima trasparente che, decorata con dei fiorellini, ha indicato a molti una possibile esecuzione dell’opera almeno verso la fine del Duecento. La velatura lascia vedere gli arti, perché in effetti Cristo è venuto per Servire, ma al contempo protegge, per sottolineare la natura divina di Gesù.
Il Bambino sembra disinteressarsi della Madre ed agitandosi vivacemente guarda verso lo spettatore; con la mano destra tiene un rotolo aperto, ormai cancellatosi dall’Icona, ove la tradizione vuole sia scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio.”(Lc 4,18)
La presenza delle scritte liturgiche decorate a pastiglia, uso invalso a Cipro a partire dal XIII secolo, inducono a ritenere che probabilmente siano state apposte successivamente al rinvenimento dell’Icona (dopo il 1348).
Già nel XIV secolo, nella Chiesa romana, era invalso l’uso di rappresentare il donatore delle Icone o di affreschi. In particolare, nell’ Italia meridionale, a partire dalla Puglia, questa usanza si andò diffondendo anche con grande ostentazione: si veda l’Icona della Madonna della Madia, o a Palermo nell'Icona della Madonna dell'Ammiraglio: l’immagine in proskynesis (venerazione) del donatore è perfettamente in linea con una consuetudine tramandata dalle icone cipriote e ampiamente diffusa nei territori crociati d’oltremare. Tale uso faticò tantissimo a farsi strada nella Chiesa orientale, ne abbiamo solo qualche esempio, vedi la grande Icona di Mosè di fronte al Roveto Ardente (monastero di Santa Caterina, Monte Sinai), lasciando fuori dallo spazio sacro dell'immagine divina quella del committente. Quest’uso pone quindi una limitazione superiore alla datazione dell’opera di Piazza Armerina.
Nelle icone scritte in Italia dopo il XIII secolo è frequente trovare sullo sfondo delle decorazioni realizzate in foglia d’oro. Questa Icona presenta invece solo dei semplici racemi a rilievo sui nimbi e sul bordo della tavola.
In conclusione su questa meravigliosa opera si possono formulare due teorie, dopo il ritrovamento dell’Icona. Nel primo caso l’icona ritrovata è in effetti quella del Conte Ruggero, malgrado le scelte stilistiche che anticipano i tempi; la cosa in fondo non stupisce tanto, visto l’enorme amalgama di artisti che Ruggero concentrò alla sua corte. La seconda ipotesi ipotizza invece che nella cassa non vi fosse l’Icona originale del gran conte, bensì una copia rifatta in epoca successiva fra il XIII ed XIV secolo, ma tutto questo, fortunatamente, di fronte all’Amore della tutta Santa ed alla fede dei suoi figli è solo una questione “accademica”.
Nel giugno del 1063 Cerami, piccolo paese alle spalle dell’Etna, fu teatro di una decisiva battaglia fra le truppe normanne del Gran Conte Ruggero e l’esercito d’occupazione arabo in Sicilia. La notte precedente lo scontro decisivo, narra la leggenda, l’arcangelo Michele apparve al condottiero normanno, promettendo aiuto e rassicurandolo sull’esito positivo della battaglia. Fu una vittoria schiacciante che Ruggero, visto il suo potente alleato, volle condividere con Alessandro II, all’epoca sommo pontefice romano. Parte del bottino, assieme a 4 cammelli, fu inviata a Roma. Grande fu il gradimento del papa, che vedeva con sommo interesse tutte le imprese belliche considerate vantaggiose per la causa cristiana. Il santo padre promise indulgenze plenarie al Conte e a tutti coloro che avevano combattuto al suo fianco e conferì al condottiero normanno, come Vessillo papale, un’icona bizantina dipinta su tela e raffigurante l’immagine della Beata Vergine Maria col Bambino Gesù. Nella tradizione bizantina l’icona della Vergine con il Bambino era associata ai trionfi dell’imperatore. La presenza delle Icone in battaglia veniva spesso considerata come la presenza del Prototipo rappresentato nell’Icona; una miniatura della Cronaca di Skylitzés (Biblioteca Nazionale di Madrid, fol. 172v) illustra l’ingresso trionfale di Giovanni Tzimiskès su un cavallo bianco preceduto da un’Icona della Vergine posta su una carrozza. O ancora, qualche decennio prima, dopo la sconfitta di Antiochia, l’imperatore Romano III ricevendo in dono un’Icona della Vergine detta “Generale” o “Guardiana degli eserciti”, vide mutare i suoi sentimenti di disperazione nella gioia più piena, sentendosi enormemente confortato e rassicurato dalla protezione che derivava dall’Amore della Vergine.
Allo stesso modo Ruggero, con immensa fede e pieno affidamento, accettò il dono papale e lo portò con sè in ogni battaglia. A Plutia, l’odierna Piazza Armerina, strenuamente difesa dalle truppe arabe, venne combattuta una delle battaglie cruciali per la conquista dell’isola. Palese fu su quel terreno l’aiuto della Beata Vergine, che assieme alla collaborazione dei plutiesi portò il principe normanno ad una vittoria schiacciante. La riconoscenza di Ruggero verso i plutiesi fu così grande da spingerlo a promettere che, alla fine di tutte le operazioni di conquista della Sicilia, la custodia dell’Icona miracolosa sarebbe stata conferita a questa città. Conquistata tutta la Sicilia, intorno al 1091, l’Icona venne affidata alle migliori truppe normanne, le gallo-italiche o lombarde, che come promesso la deposero per la venerazione sull’altare della chiesa di Plutia e si stabilirono nella città di Piazza Armerina.
Nell’anno 1161 i plutiesi, rei di avere cospirato all’autorità del re, per la compiacente politica filo saracena di Guglielmo il Malo (già da allora i Lumbard erano diffidenti verso gli immigrati nord africani), nell’imminenza del pericolo della distruzione della città, nascosero l'Icona. “L’onore reso a una Immagine risale al Modello originale”(San Basilio, De Spiritu Sancto);per paura che le profanazioni rese all'Immagine dalle truppe saracene consistessero in un'offesa della tutta Santa Madre di Dio, o per evitare che l’Icona venisse rubata, o cadesse in mano al Re che la voleva portare a Palermo, la rinchiusero segretamente in una cassa di legno e la seppellirono all'’interno dell'eremo di Santa Maria in contrada Piazza Vecchia. Per capire meglio l’operato dei plutiesi si consideri ciò che San Giovanni Damasceno sosteneva: “L’Icona è come riempita di energia e di grazia”, cioè l’Immagine della Santa Madre di Dio e del Bambino comunica almeno in parte la sua santità alla materia su cui è dipinta, senza però mai essere consustanziale al Prototipo. Per i due secoli a venire non si seppe più nulla dell’Icona.
Nel 1348 la Sicilia venne colpita dalla tremenda “peste nera” ed anche la città di Piazza, assieme alle altre, ne fu vittima. Il flagello arrivò dall'Oriente, pare da Caffa, sul mar Nero ove le navi genovesi, con a bordo alcuni contagiati, o semplicemente topi imbarcati nelle stive col grano destinato all'Occidente, avrebbero portato la peste prima a Costantinopoli e poi nel bacino del Mediterraneo. Nell’ottobre del 1347 l'epidemia toccò la Sicilia: Messina fu contagiata per prima, come testimonia il cronista Michele da Piazza, poi l’epidemia dilagò in tutta Europa.
Come spesso succede in questi casi, bastano le preghiere di pochi “figli”, persone pie, il cui cuore è capace di innalzare con vero amore e totale affidamento per implorare la Madre di Dio e dell’umanità ad intervenire. Ad un sacerdote, Giovanni Candilia, che aveva consacrato la propria vita alla preghiera di intercessione, apparve la Beata Vergine e gli rivelò il luogo dove 187 anni prima (1161) era stata sepolta l’Icona del conte Ruggero.
La diffidenza dei piazzesi fu però superiore alla fede di Giovanni, tant’è che dopo aver rivelato al clero locale la volontà della Vergine, questi non fu creduto e gli fu negata l'autorizzazione di andare a scavare per portare di nuovo alla luce l'Icona della Vergine Maria.
La pietà e la fede del pio sacerdote superò quest’ostacolo; il Candilia si recò a Catania dal Conte Vescovo Gerardo Odone, per riferire dell’apparizione "in sogno" della Madonna. Gerardo credette al sacerdote ed autorizzò lo scavo nel luogo indicato dalla Madre di Dio.
Il 3 maggio 1348 la sacra icona venne rinvenuta, all'interno della cassetta fu pure ritrovato un capello che si disse essere della Madonna ed è oggi ben custodito in una teca d'argento. Con grande solennità l’Immagine fu portata in città e mentre la processione si avvicinava al centro abitato, la peste miracolosamente cessava: si gridò al miracolo!
La fama della potenza taumaturgica di questa Icona si diffuse per tutta l’isola, estendendone il culto in gran parte della Sicilia, da cui tanta gente accorreva a Piazza per invocare la protezione della Vergine Maria.
Innumerevoli furono le grazie ottenute per intercessione della Madre di Dio, la cui Immagine protesse la città di Piazza Armerina da catastrofi, malattie e guerre ed ancora fino ad oggi, evitando che nella disastrosa seconda guerra mondiale la città fosse rasa al suolo dai bombardamenti.
Annualmente il 15 agosto, solennità della dormizione, Piazza Armerina festeggia solennemente la sua amata Patrona, la Madonna delle Vittorie. La festa viene preceduta dal famoso Palio dei Normanni, che si svolge il 14 agosto, mentre il 15 sera si svolge la solenne processione per le vie del paese con la sacra Icona.
Lettura dell'icona
L'icona bizantina di Maria SS. delle Vittorie è una tavola di 160 x 77 cm. ricoperta da un supporto di tela sulla quale è dipinta la Madonna col Bambino fra le braccia.
E’ alquanto difficile formulare una datazione certa di quest’opera, si può comunque asserire che l’immagine esistesse già prima del XV secolo, perché già rappresentata in un affresco della locale chiesa di San Pietro. Alcuni studiosi sostengono la non appartenenza al periodo normanno dell’Icona, per via della postura particolarmente vivace del Bambino non riscontrabile in altre icone di questo periodo. Tale ipotesi potrebbe avvalorare la veridicità della leggenda che vuole il luogo di “scrittura” dell'Icona fuori dalla Sicilia, l’icona fu infatti donata dal papa al condottiero normanno.
Fin da un primo confronto con altri modelli esistenti, si può stabilire la sua appartenenza al tipo della Theotokos Kykkotissa, una meravigliosa icona custodita nel monastero di Kykkos a Cipro, divenuta assai popolare in tutta l’Italia Meridionale nel corso del Duecento, dal Lazio alla Puglia (Madonna delle Vergini, Bitonto), ove venne interpretata secondo innumerevoli varianti.
L’iconografo si distacca però da alcuni elementi dottrinali del modello originale per proporne di altri più adeguati alla funzione specifica di questa Icona. L’Icona della Kykkotissa è essenzialmente da iscrivere al modulo della “Elousa”, caratterizzato dal contatto fra le guance di Gesù e la Santa Madre; nella nostra Icona, invece, i due volti sono distaccati. L’abbigliamento del Bambino, all’altezza della vita, punto di confluenza delle due bretelle, presenta una fascia ancora dipinta in rosso “fuoco”, che vuole pienamente simboleggiare la gloria di Dio che riveste il Bambino: “La gloria del Signore era come fuoco divorante” (Es. 24,17). La mano destra di Maria sostiene il Bambino alla vita, non più, come nel modello cipriota, sosteneva la mano destra di Gesù.
Nell’Icona si vuole raffigurare l'episodio cristologico della Presentazione al tempio, quando alla Vergine è anticipato il futuro sacrificio del Figlio, così vistosamente simboleggiato dalla colorazione rosso intensa della tunica del Bambino. Lo sguardo della Deipara è dolce ed al contempo compenetrato: Lei per prima, sorreggendo il Bambino alla vita, con fede, come porse il Bambino Gesù a Simeone, lo porge anche a noi con tanto amore e ci invita ad accoglierlo come Luce del mondo (Cfr Lc 2, 25-35)
L’iconografo reinterpretando il canone della Kykkotissa, ha infatti reso con grande efficacia, anche dal punto di vista dinamico, il gesto di una madre che porge il figlio. Le labbra della più che Santa Madre di Dio sono chiuse, ma ha appena pronunciato una precisa raccomandazione: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5). Alessandro II affidò quest’Immagine al Gran Conte proprio con questa raccomandazione: “Implete hydrias” (Gv 2, 7). Ruggero ed i suoi soldati riempirono dell’Acqua Viva della fede le "giare" dei loro cuori, “Nel contesto mariologico, come suggeriscono i testi liturgici, il simbolo della sorgente si può interpretare in due sensi. La Madre di Dio stessa è l’acqua o, al contrario, l’acqua è Cristo; la Deipara è la Fontana, la terra da dove l’acqua scaturisce, che da essa è resa fertile e fatta germogliare con ogni erba per abbellire e dare nutrimento ad ogni vivente.”(T. Spidlik, M.I. Rupnik, “la fede secondo le icone”). Il miracolo avvenne, pochi uomini riuscirono a riconquistare alla fede cristiana ed alla devozione mariana quell’isola che fin "dall’inizio" era stata così tanto legata alla santa Vergine.
L’iconografo si distacca dal modello originale anche nella postura del mophorion: nella versione cipriota la Vergine lo tiene aperto lasciando vedere il chitone, qui viene presentata tutta avvolta nel mophorion, solo sotto la vita si intravede il chitone celeste, proprio come farebbe colei che si avvolge nel suo mantello per intraprendere il cammino. La santa Madre di Dio è “Condottiera Celeste” (Τη Υπερμάχω); Ella si mette in marcia verso i nostri cuori e combatte con noi e per noi per guidarci al suo Figlio.
Nella versione originale i piedi e le gambe sono scoperti fino alle ginocchia, così come le braccia, fino al gomito o fino alle spalle. Nell’iconografia bizantina soltanto i servitori venivano rappresentati con le maniche corte perché le loro braccia, ben visibili, appartenevano al loro padrone (si veda l’Icona della Natività). Gesù offre i suoi arti, simbolo di operosità perché egli viene per servire e non per essere servito. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; chi vuol essere grande fra di voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”(Mc. 10,42-45). Nella nostra icona sia i gomiti che le ginocchia si presentano velati, sono ricoperti da una tunichetta intima trasparente che, decorata con dei fiorellini, ha indicato a molti una possibile esecuzione dell’opera almeno verso la fine del Duecento. La velatura lascia vedere gli arti, perché in effetti Cristo è venuto per Servire, ma al contempo protegge, per sottolineare la natura divina di Gesù.
Il Bambino sembra disinteressarsi della Madre ed agitandosi vivacemente guarda verso lo spettatore; con la mano destra tiene un rotolo aperto, ormai cancellatosi dall’Icona, ove la tradizione vuole sia scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio.”(Lc 4,18)
La presenza delle scritte liturgiche decorate a pastiglia, uso invalso a Cipro a partire dal XIII secolo, inducono a ritenere che probabilmente siano state apposte successivamente al rinvenimento dell’Icona (dopo il 1348).
Già nel XIV secolo, nella Chiesa romana, era invalso l’uso di rappresentare il donatore delle Icone o di affreschi. In particolare, nell’ Italia meridionale, a partire dalla Puglia, questa usanza si andò diffondendo anche con grande ostentazione: si veda l’Icona della Madonna della Madia, o a Palermo nell'Icona della Madonna dell'Ammiraglio: l’immagine in proskynesis (venerazione) del donatore è perfettamente in linea con una consuetudine tramandata dalle icone cipriote e ampiamente diffusa nei territori crociati d’oltremare. Tale uso faticò tantissimo a farsi strada nella Chiesa orientale, ne abbiamo solo qualche esempio, vedi la grande Icona di Mosè di fronte al Roveto Ardente (monastero di Santa Caterina, Monte Sinai), lasciando fuori dallo spazio sacro dell'immagine divina quella del committente. Quest’uso pone quindi una limitazione superiore alla datazione dell’opera di Piazza Armerina.
Nelle icone scritte in Italia dopo il XIII secolo è frequente trovare sullo sfondo delle decorazioni realizzate in foglia d’oro. Questa Icona presenta invece solo dei semplici racemi a rilievo sui nimbi e sul bordo della tavola.
In conclusione su questa meravigliosa opera si possono formulare due teorie, dopo il ritrovamento dell’Icona. Nel primo caso l’icona ritrovata è in effetti quella del Conte Ruggero, malgrado le scelte stilistiche che anticipano i tempi; la cosa in fondo non stupisce tanto, visto l’enorme amalgama di artisti che Ruggero concentrò alla sua corte. La seconda ipotesi ipotizza invece che nella cassa non vi fosse l’Icona originale del gran conte, bensì una copia rifatta in epoca successiva fra il XIII ed XIV secolo, ma tutto questo, fortunatamente, di fronte all’Amore della tutta Santa ed alla fede dei suoi figli è solo una questione “accademica”.
In mezzo al giubilo della festa, a Cana, soltanto Maria si accorge che manca il vino... L'anima giunge fino ai minimi dettagli di servizio se, come Lei, vive appassionatamente intenta ai bisogni del prossimo, per il Signore.
Solco 631
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