«Padre, io ti chiedo lo Spirito Santo che
illumini la mia mente,
purifichi i miei sensi,
penetri con l’amore il mio cuore.
Prego lo Spirito Santo che apra tutto il mio essere
e mi renda capace di cogliere,
attraverso il visibile,
l’invisibile dell’Icona del Tuo Figlio.
Donami poi, o Signore,
la forza di diventare io stesso icona di Lui.
Amen».
purifichi i miei sensi,
penetri con l’amore il mio cuore.
Prego lo Spirito Santo che apra tutto il mio essere
e mi renda capace di cogliere,
attraverso il visibile,
l’invisibile dell’Icona del Tuo Figlio.
Donami poi, o Signore,
la forza di diventare io stesso icona di Lui.
Amen».
Preghiera dell’iconografo
Bello estetico e bello teologico: l’icona
luogo di Bellezza teofanica
In
un manoscritto del Monte Athos si trova espressa con forza la necessità della
«preghiera con le lacrime, affinché Dio penetri per l’anima» dell’iconografo[2]. L’icona, costituita da una tavola di
legno stagionato su cui viene stesa una tela poi ricoperta da vari strati di
gesso, non va confusa con la pittura a soggetto religioso presente in
Occidente. Non può essere vista come una semplice raffigurazione del mondo
operata in chiave spirituale dall'artista, bensì va considerata quale «luogo della
presenza di Dio e canale privilegiato di Grazia»[3], la cui essenza è fondata «nel cuore stesso della
fede cristiana, cioè nel mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio»[4]. Non si tratta dunque di un'immagine in
cui l'iconografo cerca di esprimere il proprio pathos religioso,
ma piuttosto della risposta ai quesiti esistenziali e spirituali che l'uomo è
chiamato ad affrontare nell'itinerario della vita. A chi si pone di fronte a
queste opere lignee, dai tratti coì essenziali da apparire, talvolta, grezzi e
privi di senso estetico, può rivelarsi «la visione di una pace infinita,
stabile, indistruttibile, una "pace dall'alto", dal Mondo delle
beatitudini. All'inimicizia e all'odio dovunque regnanti si offre un'unione
reciproca che fluisce in un eterno e silenzioso dialogo, nell'unità eterna
delle sfere supreme»[5].
Il bisogno dell'uomo di vivere
pienamente un cammino spirituale ed esistenziale, costellato di difficoltà e di
prove dolorose da superare, porta alla ricerca di una presenza vicina e sensibile,
al tentativo di costruire giorno dopo giorno un rapporto personale con la
divinità. La venerazione delle icone non si riduce alla contemplazione di
un'immagine sacra, anzi si fonda «non solo sul contenuto stesso delle persone o
degli avvenimenti in esse raffigurati, ma sulla fede in questa beata presenza»[6]
Per comprendere meglio le connotazioni specifiche
dell'icona, che la distinguono radicalmente da qualsiasi altro dipinto, anche
da quello legato all'ambito religioso, è forse opportuno richiamare alcune
considerazioni formulate da L. A. Uspenskij riguardo al concetto di bellezza
presente nell'arte occidentale e in quella iconografica. Nella rappresentazione
pittorica, sia che si consideri l'autore dell'opera o il fruitore di questa,
risulta evidente che ad affermarsi, in modo cosciente oppure irriflesso, è «la
personalità umana»[7].
In questo caso la capacità espressiva dell'artista e la sua abilità nel
servirsi di colori e di tecniche particolari assumono la massima importanza,
mentre il contenuto della realizzazione pittorica viene ritenuto secondario.
L'iconografia si presenta come un'arte decisamente contrapposta all'esaltazione
della libera creazione del pittore. Secondo L. A. Uspenskij, «la bellezza di
un'icona [...] è espressa dall'artista soggettivamente, secondo il rifiuto
cosciente del suo io, che si annulla di fronte alla Verità
rivelata»[8]. Se nella pittura occidentale, sia
profana sia religiosa, prevale il «culto del personale, dell'esclusivo e
dell'originale»[9],
l'iconografia può essere definita un linguaggio espressivo allusivo e simbolico
del divino, la cui intenzione «non è di provocare né di esaltare in noi un
sentimento umano naturale. [...] Il suo fine è di orientare verso la
Trasfigurazione tutti i nostri sentimenti, così come la nostra intelligenza e
tutti gli altri aspetti della nostra natura, spogliandoli di ogni esaltazione
che non potrebbe che risultare negativa e nociva»[10]. La venerazione dell'icona, ampiamente diffusa
soprattutto presso il popolo russo, non va perciò considerata quale semplice
devozione ad un'immagine votiva[11]. Attraverso la contemplazione dei colori e dei
soggetti rappresentati il fedele può cogliere una realtà diversa da quella
umana, ossia la presenza di Dio: Non venero la materia, ma venero il Creatore
della materia, che per me si è fatto materia, che ha assunto la vita nella
materia e per mezzo della materia ha realizzato la mia salvezza.[12]
L'icona non ha un valore puramente didascalico o estetico, bensì intende essere un tramite reale della Rivelazione. Secondo la Chiesa ortodossa russa, l'immagine sacra non può essere disgiunta dall'essenza stessa del cristianesimo, anzi ne costituisce «un attributo indispensabile»[13] in quanto conseguenza dell'Incarnazione: In memoria perenne della vita nella carne del nostro Signore Gesù Cristo [...] noi abbiamo ricevuto la tradizione di rappresentarlo nella sua forma umana, cioè nella sua Teofania visibile, ben sapendo che in questo modo esaltiamo l'umiliazione del Verbo di Dio.[14] La dimensione estetica si perde quasi totalmente a favore di quella teologica e l'icona viene ad essere immagine anticipatrice dell'eschaton, della piena realizzazione del progetto di Dio sull'uomo. A sua volta, l'iconografia diventa «arte ecumenica»[15], capace di generare un'unità fondata sulla fede e sulla santità.
L'icona non ha un valore puramente didascalico o estetico, bensì intende essere un tramite reale della Rivelazione. Secondo la Chiesa ortodossa russa, l'immagine sacra non può essere disgiunta dall'essenza stessa del cristianesimo, anzi ne costituisce «un attributo indispensabile»[13] in quanto conseguenza dell'Incarnazione: In memoria perenne della vita nella carne del nostro Signore Gesù Cristo [...] noi abbiamo ricevuto la tradizione di rappresentarlo nella sua forma umana, cioè nella sua Teofania visibile, ben sapendo che in questo modo esaltiamo l'umiliazione del Verbo di Dio.[14] La dimensione estetica si perde quasi totalmente a favore di quella teologica e l'icona viene ad essere immagine anticipatrice dell'eschaton, della piena realizzazione del progetto di Dio sull'uomo. A sua volta, l'iconografia diventa «arte ecumenica»[15], capace di generare un'unità fondata sulla fede e sulla santità.
L'iconografo artista liturgico
Se
l'icona custodisce un carattere rivelativo e teologico, si può ben comprendere
come la figura dell'iconografo non possa essere assimilata a quella del pittore
occidentale. Il carattere liturgico-sacrale del manufatto richiama un concetto
di bellezza molto particolare, quello della «bellezza-somiglianza divina»[16]. Non si tratta di raffigurare la
rigogliosità e l'armonia della natura, considerata quale opera di Dio, dal
momento che il Creato è stato disgregato dal peccato dell'uomo, com'è ricordato
dal libro della Genesi[17]. A
causa della caduta dell'essere umano non è più possibile «riflettere fedelmente
la bellezza divina, in quanto l'immagine divina (l'uomo) iscritta al centro di
questo universo si è offuscata»[18]. Ciò che l'artista deve perseguire è l'esatta
rappresentazione della deificazione dell'uomo e del mondo, tenendo sempre ben
presente che Dio stesso si è fatto uomo, secondo le parole dell'evangelista
Giovanni:
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto
ciò che esiste.[19]
L'icona non è la portavoce dell'equilibrata armonia
del mondo, bensì richiama una forza capace di trascenderlo e di trasformarlo
radicalmente. Quella forza che Dostoevskij ha definito come la bellezza «che
salverà il mondo»[20]. Il Deus
absconditus dell'Antico Testamento si rivela nel volto del Verbo,
nella presenza del Cristo. Il mistero dell'Incarnazione consente all'iconografo
di richiamare l'Altissimo nella raffigurazione del Messia, non dimenticando mai
che il cristiano deve andare oltre l'«uomo Gesù»[21], per riconoscere in Lui il Salvatore del mondo.
L'artista non può limitarsi a ricordare singoli episodi evangelici o a ritrarre
il Messia nella sua ordinaria esistenza. È indispensabile che l'icona illumini
sia la mente di chi la esegue sia lo sguardo di chi la contempla sulla gloria
del Signore e sull'infinito amore di Dio.
In
questa prospettiva l'esperienza taborica, narrata nei vangeli[22], assume un rilievo fondamentale. Pietro,
Giacomo e Giovanni, i discepoli che hanno potuto vedere Gesù trasfigurato sul
monte Tabor, sono anche i testimoni della Sua agonia nel Getsemani[23]. Essi partecipano dei momenti
fondamentali della vita del Maestro e diventano i custodi prescelti di questa
rivelazione:
E
mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di
questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».[24]
La
visione taborica del volto di Dio diventa il modello principale, il prototipo
dell'icona e ne sancisce il carattere rivelativo e santificante:
Come
Cristo sul monte Tabor mostrò ai discepoli la verità del secolo a venire e li
fece partecipare al mistero della Sua Trasfigurazione, così l'arte liturgica,
mettendosi di fronte questa stessa verità [...], santifica tutto il nostro
essere.[25]
L'iconografo
non dimostra il suo genio creativo o la sua abilità pittorica, bensì si pone al
servizio dell'intera comunità cristiana. Le mani ed il talento dell'artista,
guidati dalla consapevolezza di aver ricevuto un preciso compito, si devono
rivolgere alla missione di redimere il mondo. L'autore di icone ha ricevuto un
dono da Dio, ossia quello di portare la luce e la Parola di Cristo con la
propria opera tra gli uomini. Non si tratta di un mestiere o di una piacevole
attività da svolgere di quando in quando, ma di una vera e propria vocazione.
Per questo è necessario che egli obbedisca a canoni ben definiti, sanciti dalla
Chiesa quale depositaria e custode attenta dell'eredità apostolica e segua un
preciso stile di vita, consono alla missione ricevuta:
Il
pittore di icone si rivolga al padre spirituale di frequente, informandolo di
tutto, e viva secondo le prescrizioni e gli insegnamenti di lui, in digiuno,
penitenza ed astinenza, con mente umile e senza nessuno scandalo né mancanza di
decoro e con somma cura dipinga l'immagine di Nostro Signore Gesù e della Sua
Madre purissima e dei santi profeti, apostoli e martiri e delle donne
venerabili, delle guide della Chiesa e dei beati Padri, secondo l'immagine e
somiglianza e secondo sostanza.[26]
Allo
studio artistico devono unirsi la penitenza e l'ascesi spirituale. L'iconografo
deve osservare un rigoroso digiuno e dedicarsi esclusivamente alla preghiera e
alla meditazione per un mese. Solo dopo aver effettuato questa preparazione,
atta a purificare il corpo e l'anima, egli può accostarsi alla tavola di legno
da dipingere. Anche l'esecuzione dell'opera ed il soggetto di questa devono
seguire un ordine preciso ed immutabile. Il primo tocco di pennello viene dato
in ginocchio, all'alba del trentunesimo giorno, quando appare il primo raggio
di sole, e la prima icona a dover essere realizzata è quella della
Trasfigurazione, «cioè la manifestazione della presenza di Dio in tutte le
cose»[27].
L'ascesi,
la mortificazione del proprio orgoglio e la rinuncia alle vanità del mondo sono
requisiti fondamentali per chi vuole dedicarsi all'arte iconografica,
diventando così autentico e degno testimone della Parola del Signore: Il
pittore di icone deve essere pieno di umiltà, di dolcezza, di pietà, fuggire i
propositi futili, le sciocchezze. Il suo carattere sarà pacifico, ignorerà
l'invidia. Non dovrà essere ubriaco, non sarà predatore, non ruberà e
soprattutto dovrà osservare con scrupolosa cura la povertà spirituale e
corporale.[28]
L'iconografo
ricerca la luce della Verità e, nello stesso tempo, si fa portavoce di questa
nella più completa umiltà, rammentando le parole che Gesù ha rivolto ai
discepoli:
I
re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno
chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi
diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è
più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a
tavola?Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.[29]
Il legno e le dimensioni dell'icona:
richiami simbolici
Le
norme riguardanti l'iconografia, stabilite e ribadite con fermezza dalla Chiesa
ortodossa, non si limitano ai soggetti da rappresentare e all'autore di questi,
ma investono anche gli aspetti più strettamente tecnici inerenti alla
realizzazione della sacra immagine. Per creare un'autentica icona ci si deve
servire esclusivamente di una tavola di legno stagionato ed è necessario
rispettare delle misure ben precise, riguardanti le dimensioni del manufatto.Il
rigore perseguito nel determinare le operazioni più pratiche relative
all'esecuzione dell'immagine trova giustificazione nel fatto che anch'esse si
rifanno a precisi richiami biblici.
Il
legno, oltre ad essere un materiale ampiamente diffuso in Russia, richiama la
semplicità e l'essenzialità della vita del contadino e dell'asceta, nonché il
lavoro faticoso dell'uomo. La materia lignea è fonte di sopravvivenza per
l'essere umano, poiché gli fornisce il fuoco con cui riscaldarsi e cucinare i
cibi, gli dà modo di creare oggetti con le proprie mani tramite l'intaglio e la
scultura e gli ricorda il forte legame con il Creato.
Tuttavia
esiste una simbologia ancora più profonda, inerente alla sfera religiosa, che
richiama la figura del Messia e la Sua opera redentrice[30]. Agli occhi dell'uomo l'albero è legato
al ritmo delle stagioni, germoglia e produce frutto. Diventa perciò una
manifestazione di vita e il «segno tangibile della forza vitale che il Creatore
ha effuso nella natura»[31].
Nell'Antico Testamento l'albero verdeggiante diventa sovente emblema dell'uomo
retto, benedetto da Dio, e del popolo prediletto:
Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte.
Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere.[32]
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte.
Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere.[32]
All'ombra delle fronde la pianta offre rifugio e ristoro e l'altezza del tronco, profondamente radicato nella terra, è tale da raggiungere il cielo, sovrastando così gli altri esseri viventi. Una simile visione suggerisce all'uomo l'idea dell'unione tra materia (la terra) e spirito (il cielo), tra conoscenza umana ed onnipotenza divina[33].
Nella
Bibbia gli imperi umani sono spesso paragonati ad un albero straordinario, che
sale fino al cielo e costituisce riparo per tutti gli uccelli, simbolo dei
popoli della terra:
Ecco, l'Assiria era un cedro del Libano,
bello di rami e folto di fronde, alto
di tronco;
In
questo caso, però, la pianta assume un valore negativo, in quanto figura di una
grandezza fittizia, fondata sull'orgoglio dell'uomo e destinata a crollare
sotto il giudizio di Dio:
Per
ogni valle caddero i suoi rami e su ogni pendice della terra furono spezzate le
sue fronde. Tutti i popoli del paese si allontanarono dalla sua ombra e lo
abbandonarono.[35]
Al
tronco colpito dall'ira divina si contrappone il Regno dell'Altissimo, nato da
un umile seme e destinato a diventare un grande albero, dove tutti gli uccelli
verranno a nidificare:
Il
regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende
e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma, una volta
cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che
vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami.[36]
Nell'escatologia
profetica la Terra Santa è descritta come un Paradiso ritrovato, le cui piante
lussureggianti forniranno all'uomo cibo e rimedio:
In
mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trova un
albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie
dell'albero servono a guarire le nazioni.[37]
Nella
Sacra Scrittura si possono ritrovare inoltre numerosi riferimenti alla sapienza
quale albero i cui frutti ricolmeranno di gioia l'essere umano:
È un albero di vita per chi ad essa s'attiene
Nel
secondo capitolo della Genesi vengono ricordati l'«albero della vita» e quello
«della conoscenza del bene e del male»[39]. Tale distinzione potrebbe far pensare ad una netta
separazione tra esistenza e sapienza. Tuttavia bisogna tener presente che
entrambi «da un punto di vista simbolico possono essere visti anche come un
albero solo, perché non esiste vita (spirituale) senza conoscenza, né
conoscenza senza vita»[40].
Nel
Nuovo Testamento l'immagine dell'albero della vita viene ripresa da Cristo
stesso, quale fonte di ristoro e di nutrimento per chi sarà stato fedele alla
Sua Parola:
Nella
lettera di Giuda si può cogliere il paragone tra la pianta incapace di dare
frutto e l'uomo malvagio. Come il tronco rinsecchito alimenta e, nello stesso
tempo, è avvolto e consumato dal fuoco, tali sono gli empi che si nutrono di
false dottrine:
Come
nuvole senza pioggia portate via dai venti, o alberi di fine stagione senza
frutto, due volte morti, sradicati.[42]
L'immagine
della pianta assume, invece, una connotazione del tutto positiva in Giovanni
Damasceno, il quale vede in Maria la terra del Paradiso, che ha generato
l'autentico albero della vita, ossia Cristo[43]. La Madonna diviene il riferimento anche di un'altra
interpretazione simbolica, nella quale è la Madre del Salvatore ad essere
identificata con l'albero della vita. Come ha modo di rilevare M. Lurker a
questo riguardo, è probabilmente da attribuire a ciò se «le tavolette d'avorio
d'epoca protocristiana che raffigurano l'annunciazione presentano solitamente,
accanto a Maria, un albero della vita»[44].
Ma
il richiamo più importante del legno per il cristiano è senza dubbio quello
costituito dalla Croce. Gesù stesso sulla Via Dolorosa si definisce il legno
verde contrapposto a quello secco dei peccatori:
L'albero,
divenuto segno di maledizione, in quanto patibolo per i condannati a morte, si
trasforma nel legno della salvezza. La Croce diventa titolo di gloria per il
cristiano, poiché qui si può contemplare il modello del Cristo, che «sul legno
ha portato le nostre colpe nel Suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe,
viviamo per la giustizia»[46].
Solo così il vero testimone della Parola del Signore può essere trasformato
dalla sapienza del Maestro, liberandosi pienamente dal peccato[47].
I
Padri della Chiesa esortano più volte il fedele ad avere sempre nel cuore e
nella mente la Croce del Cristo, come legge e norma suprema di vita. Nella
Lettera di Barnaba (130 d. C. circa) emerge in maniera inequivocabile il
rilievo fondamentale del legno, che viene ad essere punto di riferimento
imprescindibile per il cristiano:
Secondo
la simbologia patristica, la missione redentrice della Croce ricorda un altro
strumento di salvezza, presente nell'Antico Testamento e anch'esso di legno,
ossia l'arca di Noè. Quest'ultimo non solo salva se stesso e la sua discendenza
dal diluvio, ma, grazie alla rettitudine e alla fede, ottiene la
riconciliazione tra Dio e la terra. Nel Nuovo Testamento Noè emerge quale
araldo della giustizia divina e come «tipo dell'uomo salvato in Cristo»[49]. Egli è il testimone della fede, l'uomo
che si affida completamente alla Parola di Dio:
Per
fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con
pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il
mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede.[50]
Per
quanto concerne le dimensioni ed il formato dell'icona esistono dei canoni
precisi e rigorosi, ai quali l'artista deve assolutamente attenersi. Se si
traccia idealmente una diagonale nella tavola di legno rettangolare, si
ottengono due triangoli rettangoli uguali. La forma di riferimento per
l'iconografo viene perciò ad essere il triangolo rettangolo, che ricorda il
cosiddetto "triangolo sacro" o "triangolo d'oro". Tali
definizioni risalgono alla più remota antichità, addirittura al popolo egizio,
che identificava in questa figura geometrica la triade delle maggiori divinità
Osiride, Iside e Horo. Un'altra denominazione è quella di "triangolo di
Pitagora" legata al teorema formulato da questo filosofo e matematico[51].
Caratteristica
fondamentale del triangolo sacro è quella di essere il primo della serie di
triangoli rettangoli le cui misure sono numeri interi in progressione
aritmetica crescente, ossia 3, 4, 5 e 6 (3 e 4 per i cateti, 5 per l'ipotenusa
e 6 per l'area)[52].
Tali cifre non sono casuali, dal momento che si ricollegano ad una precisa
simbologia numerica[53].
Nella
Bibbia il 3 è il numero perfetto, in quanto indica la Trinità, l'Unità divina
che si manifesta in un processo triadico[54]:
Poiché
sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito
Santo; e questi tre sono una cosa sola.[55]
Trova
così massima espressione il dogma trinitario, secondo il quale Dio è Uno in Tre
Persone (o Ipostasi se si preferisce la terminologia dei Padri Cappadoci[56]).
Un'altra
simbologia legata a questo numero è quella delle virtù teologali (Fede,
Speranza e Carità):
Ringraziamo
sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente
memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella Fede, della vostra
operosità nella Carità e della vostra costante Speranza nel Signore nostro Gesù
Cristo.[57]
Il
4 designa la totalità cosmica, l'idea dell'universalità e, di conseguenza,
tutto ciò che ha carattere di pienezza. A tale riguardo si possono ricordare i
quattro flagelli del libro di Ezechiele e le quattro beatitudini del vangelo di
Luca:
Dice
infatti il Signore Dio: Quando manderò contro Gerusalemme i miei quattro
tremendi castighi: la spada, la fame, le bestie feroci e la peste, per
estirpare da essa uomini e bestie, ecco, vi sarà in mezzo un residuo che si
metterà in salvo con i figli e le figlie.[58]
Beati voi poveri,
perché vostro è il Regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perché riderete.
perché vostro è il Regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e
quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome
come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli.[59
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli.[59
Altri
richiami a questo numero presenti nella Bibbia e, in particolare, nell'Antico
Testamento sono quelli costituiti dai quattro fiumi del Paradiso nel libro
della Genesi e dai quattro punti cardinali in Isaia:
Un
fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava
quattro corsi.[60]
Egli
alzerà un vessillo per le nazioni e raccoglierà gli espulsi di Israele;
radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli della terra.[61]
La
cifra assume un significato simbolico ancora più profondo se si considera che
quattro sono le lettere del nome di Dio in ebraico (il cosiddetto Tetragramma
YHWH) e quattro le braccia della Croce.
Il
5 può essere interpretato quale risultato sia della somma di 2+3 sia di 4+1. In
entrambi i casi il simbolo a cui ci si richiama rimane lo stesso, ossia quello
dell'unione del principio terrestre con quello celeste. Il 2 può essere visto
come il segno del dualismo maschile e femminile, che, unendosi al 3, ossia alla
Trinità, raggiunge la sintesi perfetta. Per quanto concerne la somma di 4+1 si
può osservare che in questa operazione «il numero 4, perfetto ma ancora legato
alla materia, si santifica nello sposalizio con l'1, l'Unità assoluta e
trascendente, inizio e fine di tutte le cose»[62].
Altri
riferimenti simbolici legati al numero 5 possono essere individuati nel
Pentagramma, stella a cinque punte ed emblema dell'uomo rigenerato[63], nonché nel Pentateuco, comprendente i
cinque libri della Legge.
Per
quanto riguarda il 6, l'interpretazione può essere diversa a seconda della
composizione aritmetica considerata. In senso positivo, questa cifra può essere
vista quale multiplo di 3, il numero della Trinità; in senso negativo, invece,
la si può ritenere quale simbolo della perfezione non raggiunta e della
malvagità:
Chi
ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome
d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei.[64]
Nel triangolo sacro la simbologia numerica non riguarda solamente le singole misure dei cateti e dell'ipotenusa, bensì essa viene ricavata anche sommando in maniera diversa i lati della figura geometrica e dal perimetro.
Il
numero 7, ricavato dalla somma dei due cateti, ha moltissimi richiami biblici.
Nell'Antico Testamento esso designa tradizionalmente una serie completa ed è
legato ad oggetti o a figure degne di venerazione, quali i sette angeli nel
libro di Tobia:
Io
sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla
presenza della maestà del Signore.[65]
Ma
è soprattutto la cifra che indica i giorni della settimana e, in particolare,
caratterizza il sabato, giorno santo per eccellenza:
Allora
Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel
settimo giorno da ogni suo lavoro.[66]
Il
7 viene utilizzato nelle immagini riguardanti le visioni profetiche e
apocalittiche, come quella della corte celeste di San Giovanni apostolo:
Dal
trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al
trono, simbolo dei sette spiriti di Dio.[67]
Per Agostino d'Ippona tale cifra indica la totalità biblica, in quanto risultato
dell'unione del Pentateuco e dei due Testamenti della Sacra Scrittura.
Volendo
ricavare un ulteriore significato simbolico, si può considerare con particolare
attenzione la somma di 4+3 che dà origine al 7. In questa si può cogliere
l'immagine dell'uomo perfettamente realizzato, il quale è riuscito a
raggiungere nella vita la sintesi delle tre virtù teologali e delle quattro
cardinali (Prudenza, Temperanza, Giustizia, Fortezza).
Il
numero 8, ottenuto dalla somma di un cateto con l'ipotenusa (3+5), visto quale
multiplo del quattro richiama «la perfezione materiale vivente, la giustizia
equilibrante, la realizzazione»[68].
Dalla
somma dell'altro cateto con l'ipotenusa (4+5) si ha il numero 9 di grande
rilievo simbolico dal punto di vista biblico. Tale cifra, se considerata
multiplo di tre, diventa la perfezione nella perfezione e rappresenta «la
vittoria dell'Iniziato sulle prove umane e sulla sua terrestrità tramite la
purezza morale acquisita con la trasmutazione di coscienza»[69].
Un
riferimento molto particolare al numero 9 è costituito dalle gerarchie
angeliche, che si suddividono in Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni,
Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli[70].
Dal
perimetro del triangolo sacro si ottiene la cifra di 12, considerata perfetta
nella Bibbia e presente sia nell'Antico sia nel Nuovo Testamento. Dodici sono
le tribù di Israele, che nel mondo nuovo verranno governate dai dodici apostoli
di Gesù:
In
verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il
Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su
dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele.[71]
La
Gerusalemme Celeste dell'Apocalisse presenta dodici porte, dove sono ricordate
le tribù di Israele, e dodici basamenti, che portano i nomi dei dodici
discepoli:
La
città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte
stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli
d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre
porte e ad occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici
basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.[72]
Canoni e creatività
Le
rigorose disposizioni riguardanti la realizzazione dell'icona e la condotta
morale ed esistenziale dell'artista possono apparire agli occhi dell'uomo
occidentale quasi delle norme eccessivamente rigide ed ancorate al passato. Le
regole concernenti il formato del manufatto e alle sue misure, i costanti e
continui richiami alla povertà corporale e spirituale del pittore, quale
testimone della Parola di Cristo, inducono a vedere nell'iconografia un'arte
soffocata dai canoni. In questa prospettiva l'autore di icone si troverebbe ad
essere condannato ad obbedire passivamente a regole esteriori, imposte dalla
gerarchia ecclesiastica e dalle ordinanze conciliari.
In
realtà, quando si intende operare un'analisi delle icone, sia dal punto di
vista strettamente artistico sia da quello più propriamente teologico, non
bisogna dimenticare che in questi manufatti l'estro personale del pittore cede
il passo a un altro principio di creatività, quello cattolico (inteso nel senso
etimologico del termine, ossia nel significato di universale):
Nella
Chiesa tutto viene definito non dallo "stile", ma dal canone: ogni
creazione, se è ecclesiale, viene compresa inevitabilmente all'interno del
canone.[73]
L'iconografo
si incammina spontaneamente e consapevolmente sul sentiero tracciato da Gesù.
Come ogni uomo egli ricerca un dialogo continuo e proficuo con Di0, mettendo al
servizio del Signore la propria vita e la propria opera. È una risposta al dono
divino che gli è stato fatto, un modo per ringraziare l'Altissimo del talento
ricevuto in Grazia:
La Rivelazione non è un'azione unilaterale di Dio sull'uomo; essa suppone necessariamente la cooperazione dell'uomo, lo chiama non alla passività, ma ad uno sforzo attivo di conoscenza e di penetrazione.[74] Il pittore, seguendo Gesù e memore del Suo sacrificio, non può concepire la propria realizzazione come uomo e come testimone di Cristo in una creatività solitaria ed individuale. Egli trova invece necessario porsi al servizio dell'intera comunità, per rendersi strumento della volontà divina. In questa prospettiva il canone iconografico non viene percepito come un fardello o un'imposizione, poiché, obbedendo fedelmente alle regole della Chiesa ortodossa, l'artista dà modo alla propria esistenza e al proprio talento di inserirsi all'interno della vita ecclesiale:
Nei vari ambiti della vita e della creatività ecclesiali, il canone è la forma che la Chiesa imprime al cammino dell'uomo verso la sua salvezza. È nel canone che la tradizione iconografica realizza la propria funzione come linguaggio artistico della Chiesa.[75]Il canone diventa una regola esistenziale, una norma interiore, che nasce dal bisogno di essere autentici testimoni del Messia e della Sua Verità. La partecipazione attiva e consapevole alla missione cristiana si realizza nella vita eucaristica della Chiesa, depositaria e custode dell'eredità apostolica: L'unità della verità rivelata è strettamente connessa alla molteplicità delle esperienze personali che si possono avere di questa verità. [...] Perciò l'icona canonica testimonia l'ortodossia, indipendentemente dai cedimenti dei portatori della verità [...]. Qualunque sia il livello spirituale e artistico del pittore, anche se si tratta di un artigiano di poco conto, l'icona canonica, sia antica che nuova, testimonia un'identica verità.[76] Nel grigiore della banalità e nelle tenebre delle prove della vita l'iconografo è colui che ricerca senza posa la fiamma capace di illuminare e riscaldare il cuore dell'uomo, trasformandolo in fiaccola ardente. Un fuoco sempre acceso, che offre ristoro e infinita serenità, vincendo il freddo della solitudine e dell'angoscia, come viene ribadito dall'evangelista Giovanni, memore delle parole pronunciate da Cristo stesso:
La Rivelazione non è un'azione unilaterale di Dio sull'uomo; essa suppone necessariamente la cooperazione dell'uomo, lo chiama non alla passività, ma ad uno sforzo attivo di conoscenza e di penetrazione.[74] Il pittore, seguendo Gesù e memore del Suo sacrificio, non può concepire la propria realizzazione come uomo e come testimone di Cristo in una creatività solitaria ed individuale. Egli trova invece necessario porsi al servizio dell'intera comunità, per rendersi strumento della volontà divina. In questa prospettiva il canone iconografico non viene percepito come un fardello o un'imposizione, poiché, obbedendo fedelmente alle regole della Chiesa ortodossa, l'artista dà modo alla propria esistenza e al proprio talento di inserirsi all'interno della vita ecclesiale:
Nei vari ambiti della vita e della creatività ecclesiali, il canone è la forma che la Chiesa imprime al cammino dell'uomo verso la sua salvezza. È nel canone che la tradizione iconografica realizza la propria funzione come linguaggio artistico della Chiesa.[75]Il canone diventa una regola esistenziale, una norma interiore, che nasce dal bisogno di essere autentici testimoni del Messia e della Sua Verità. La partecipazione attiva e consapevole alla missione cristiana si realizza nella vita eucaristica della Chiesa, depositaria e custode dell'eredità apostolica: L'unità della verità rivelata è strettamente connessa alla molteplicità delle esperienze personali che si possono avere di questa verità. [...] Perciò l'icona canonica testimonia l'ortodossia, indipendentemente dai cedimenti dei portatori della verità [...]. Qualunque sia il livello spirituale e artistico del pittore, anche se si tratta di un artigiano di poco conto, l'icona canonica, sia antica che nuova, testimonia un'identica verità.[76] Nel grigiore della banalità e nelle tenebre delle prove della vita l'iconografo è colui che ricerca senza posa la fiamma capace di illuminare e riscaldare il cuore dell'uomo, trasformandolo in fiaccola ardente. Un fuoco sempre acceso, che offre ristoro e infinita serenità, vincendo il freddo della solitudine e dell'angoscia, come viene ribadito dall'evangelista Giovanni, memore delle parole pronunciate da Cristo stesso:
Io
sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la
luce della vita.[77]
Bibliografia
Opere consultate
·
AA. VV., Dizionario di teologia biblica, Genova, Marietti, 1995
·
AA. VV., Guida alla Bibbia, Roma, Edizioni Paoline, 1980
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AA. VV., In un’altra forma. Percorsi di iniziazione
all’icona, Sotto il Monte (BG)-Schio (VI),
Servitium Editrice–Interlogos,1996
·
AA. VV., Presenza dell'invisibile. Bellezza e
preghiera nelle icone russe, Abbazia di Praglia,
Ed. Scritti Monastici, 1989
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J. J. Allen, La via interiore. La direzione spirituale del
cristianesimo orientale, Milano, Jaca Book,
1996
·
M. B. Artioli, M. F. Lovato, La Filocalia, Milano, Gribaudi, 2001 (4 voll.)
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A. Asnaghi (a cura di), Preghiere russe, Vicenza, La Locusta, 1990
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P. G. Bernardi, L'icona, Roma, Città Nuova, 1998
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J. Dirks, Les saintes icônes, Priorato d’Amay,
1939
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M. Eliade, Immagini e simboli, Milano, Jaca Book, 1998
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P. Evdokimov, Teologia della Bellezza. L'arte
dell'icona, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1996
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M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli
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T. Palamidessi, L'icona, i colori e l'ascesi
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Articoli consultati
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“spirituali” del monaco tra IV e V secolo,
in «Rivista di ascetica e mistica», Firenze, Ed. Nerbini, 2004, n. 2, pp.
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L.
Rossi, Il
segreto del cuore e la preghiera del cuore,
in «Rivista di ascetica e mistica», Firenze, Convento di S. Marco, 2003, n. 4,
pp. 681-686
Testi sacri
La
Bibbia di Gerusalemme
P.
Beretta (a cura di), Nuovo
Testamento Interlineare (Greco Latino Italiano), Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1999
[5]P. A. Florenskij, in AA. VV., Presenza
dell'invisibile. Bellezza e preghiera nelle icone russe, Abbazia di
Praglia, Edizioni Scritti Monastici, 1989, p. 15.
[11]krasnij ugol" (= l'angolo bello), riservato esclusivamente a
questo manufatto. Si tratta di un piccolo santuario domestico, ornato di fiori
e lampade, dove vengono esposte le icone protettrici della famiglia. Di
notevole interesse è anche il rito russo dell'ospitalità agli stranieri,
pellegrini o uomini smarritisi nella steppa, nel quale è compreso il saluto
alle sacre immagini, che dev'essere rivolto non appena si entra in casa.
Ulteriore prova del legame inscindibile tra uomo ed icona è quanto ricorda Paola Cortesi, iconografa della Scuola iconografica di Seriate, riguardo alla diffusione di queste opere dopo la lotta iconoclasta (843):«Ovunque erano viste come presenze benefiche e autorevoli, partecipi della vita umana in tutti i suoi aspetti: c'era quindi l'icona che proteggeva le partorienti, che accompagnava i pellegrini, che confortava gli ammalati o vegliava i moribondi, fino a quella che seguiva il defunto nella tomba, stretta fra le sue mani per precederlo come "avvocato" davanti al trono di Cristo nel giorno del Giudizio».P. Cortesi, in O. Popova, E. Smirnova, P. Cortesi, op. cit., p. 10.
Ulteriore prova del legame inscindibile tra uomo ed icona è quanto ricorda Paola Cortesi, iconografa della Scuola iconografica di Seriate, riguardo alla diffusione di queste opere dopo la lotta iconoclasta (843):«Ovunque erano viste come presenze benefiche e autorevoli, partecipi della vita umana in tutti i suoi aspetti: c'era quindi l'icona che proteggeva le partorienti, che accompagnava i pellegrini, che confortava gli ammalati o vegliava i moribondi, fino a quella che seguiva il defunto nella tomba, stretta fra le sue mani per precederlo come "avvocato" davanti al trono di Cristo nel giorno del Giudizio».P. Cortesi, in O. Popova, E. Smirnova, P. Cortesi, op. cit., p. 10.
[14]San Germano, patriarca di Costantinopoli, in O.
Popova, E. Smirnova, P. Cortesi, op. cit., p. 10.
[17]Cfr. Genesi 3, 23-24: «Il Signore Dio lo scacciò dal
giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò
l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della
spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita».
[23]Cfr. Vangelo secondo Marco 14, 33: «Prese con sé
Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia».
[26]Concilio dei Cento Capitoli, in AA. VV., Presenza
dell'invisibile. Bellezza e preghiera nelle icone russe, cit., p. 17.
[30]Per la simbologia biblica riguardante l'icona e i suoi
elementi cfr. AA. VV., Dizionario di teologia biblica, Genova,
Marietti, 1995; M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli
biblici, San Paolo, 1994; M. Eliade, Immagini e simboli, Milano,
Jaca Book, 1998.
[33]Anche in altre religioni, quali, ad esempio, l'egiziana
e la greca, l'albero assume un'importanza fondamentale. Esso è considerato
simile al tempio, luogo sacro ed inviolabile, fino a diventare simbolo vero e
proprio della divinità. In Egitto si venerava Hathor, dea del cielo,
rappresentata nelle tombe sotto forma di albero, mentre fornisce cibo e bevanda
al defunto o al suo uccello-anima. Nella mitologia greca si può ricordare il
giardino delle Esperidi e l'albero delle mele d'oro, capaci di donare
l'immortalità. Per ulteriori approfondimenti riguardo alla simbologia delle
piante nei culti precristiani o in altre religioni cfr. M. Eliade, op.
cit., pp. 143-154.
[47]Cfr. Lettera ai Romani 6, 6: «Sappiamo bene che il
nostro uomo vecchio è stato crocifisso con Lui, perché fosse distrutto il corpo
del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato».
[51]Cfr. T. Palamidessi, L'icona, i colori e
l'ascesi artistica, Roma, Edizioni Arkeios, 1997, p. 145.
[52]Naturalmente non è possibile realizzare un'icona che
abbia 3 centimetri di base, 4 di altezza e 5 di diagonale. Di conseguenza,
nell'esecuzione pratica è fondamentale mantenere la proporzione del 3, 4 e 5
fra le varie parti del manufatto: «A seconda della grandezza che si vuole
ottenere si stabilisce perciò una misura unitaria che si moltiplica per 3 e per
4: automaticamente la diagonale varrà cinque volte la misura unitaria
stabilita». Ibidem.
[53]Il significato simbolico di questo triangolo e delle
misure dei suoi lati era già stato rilevato da Plutarco: «Il 3 è il primo
numero dispari (non considerando l'unità come numero ma come principio di
tutto); il 4 è il quadrato del primo numero pari; il 5 è la somma di 3 e 2; il
quadrato di 5 dà il numero delle lettere dell'alfabeto egizio e quello degli
anni di vita del bue sacro Api». Plutarco, Ivi, p. 146. È chiaro
che nell'ambito di questa trattazione sulle icone si preferisce esporre
esclusivamente l'interpretazione simbolica in chiave cristica, tralasciando
quella derivante da altri culti religiosi.
[54]Per la simbologia numerica nella Sacra Scrittura cfr.
AA. VV., Dizionario di teologia biblica, cit., pp. 776-781.
TRATTO DA: SIMMETRIA
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