lunedì 30 settembre 2013

LA PREGHIERA DI GESŬ NELLA TRADIZIONE (quarta parte)

SIGNIFICATO TEOLOGICO DELLA FORMULA CLASSICA
Per penetrare in profondità il mistero di questa preghiera, che ha edificato la vita spirituale di molti fratelli ortodossi attraverso i secoli, esamineremo il contenuto
teologico delle dieci parole.

SIGNORE
L’invocazione liturgica della professione di fede: kyrios Jesoùs = Gesù (è) Signore, proviene dalla chiesa paolina ed è una delle confessioni più antiche, se non la più antica della fede cristiana. Con questa invocazione la chiesa  neotestamentaria si sottomette al suo Signore, professando così anche il suo dominio sul mondo10.
Dio ha fatto risorgere dai morti Gesù, lo ha glorificato a Kyrios universale e gli “ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2, 9 ss; cfr. Is 45, 23 s), cioè il nome proprio di “Signore” e la posizione che corrisponde a questo Nome.
Il Kyrios Cristo glorificato è Signore dei vivi e dei morti11; tutte le potenze e gli esseri del cosmo devono inginocchiarsi davanti a Lui, onorando così Dio Padre12. Cristo è dunque Signore di tutti i re della terra, Signore dei signori e Re dei re13. In questo modo Gesù Cristo assume gli stessi titoli di Dio14.
In 1 Cor 12, 3 Paolo insegna a distinguere quale sia il cristiano che parla nello Spirito: può proclamare “Gesù è Signore” solo chi è pieno di Spirito Santo. Chi appartiene alla nuova alleanza confessa Gesù come Kyrios, fa parte della sfera dello Spirito, non appartiene più all’antica alleanza e all’antica legge, ma gode della vera libertà: “Dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2 Cor 3, 17).
Il fedele che invoca il Signore nella preghiera si dispone affinché egli possa regnare sui pensieri, sulle azioni, sui sentimenti e addirittura sulle zone subcoscienti e incoscienti, affinché tutto il suo essere sia pervaso dalla sua regalità e stare sotto la sua Signoria.

GESŬ CRISTO
La formula “Gesù Cristo” è composta da un nome, Gesù e da un titolo che ne esprime la dignità, Cristo: abbinati essi formano un nome nuovo. Così è nata una formula, nella quale ha trovato espressione la fede in Gesù di Nazaret, loro maestro e signore, re, salvatore, liberatore da Dio promesso al suo popolo Israele. Col passare del tempo ha acquistato una importanza centrale e duratura per tutte le future generazioni cristiane e per gli sforzi di dare al contenuto di fede una formulazione adeguata.
Jesoùs è la forma greca al nominativo del veterotestamentario e giudaico nome Jeshua, nato dalla trascrizione e dall’aggiunta di una s, che permette la declinazione del vocabolo. Secondo Mt 1, 21 e Lc 1, 31 il nome di Gesù è deciso in base a indicazioni celesti impartite al padre Giuseppe (Matteo) o alla madre Maria (Luca). In questo contesto Matteo contiene anche una spiegazione del nome di Gesù, ne indica il compito futuro: “egli salverà il suo popolo dal peccato”. Questo significato si aggancia al significato del nome di Jehoshua (composto dal nome di Dio e da Shua), che continua anche nel greco (Jesoùs): “Jahvè è l’aiuto” oppure “Jahvè è il Salvatore”.
Christus è la forma latina del greco Christòs, che a sua volta nei LXX e nel NT è l’equivalente greco dell’aramaico meshikha. Questo a sua volta corrisponde all’ebraico mashiakh e indica una persona che è stata solennemente unta per missione. La forma grecizzata di meshika è Messìas, che come Jesoùs è stata resa declinabile con l’aggiunta della s.
Il nome di Gesù racchiude per i cristiani le promesse che Dio ha fatto ai Padri. Tutta la salvezza che Dio ha destinato e offerto al mondo è collegata a Gesù in quanto Egli è il Cristo. In Gesù, come in colui che è il Cristo “abita tutta la pienezza della divinità in forma visibile” (Col 2, 9), per la salvezza di tutti coloro che pongono in Lui tutta la loro fiducia e si lasciano accreditare i frutti della sua morte e risurrezione15. La parola “Cristo”, che di per sé è un titolo onorifico, è diventata parte del nome personale di Gesù in quanto esprime il tratto costitutivo della sua presenza nella storia e che vale come presupposto per tutta la sua opera di mediatore della salvezza, opera che si riassume nella sua obbediente sottomissione alla volontà di Dio, in stretto legame con il popolo di Dio, nella realtà storica dell’autorivelazione divina. Il fedele che invoca il nome, invoca la persona di Gesù, richiamando la sua potenza.

FIGLIO DI DIO
Questo è il titolo che può essere immediatamente associato a Gesù Cristo, il Messia, perché nella tradizione biblica il discendente davidico, re ideale,è colui che partecipa in modo particolare allo statuto dell’alleanza: “io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio” (2 Sam 7, 14: cfr. Sl 2,7; 89, 27-28; 110, 3; At 13, 33). Questo titolo esprime il contenuto essenziale del cherigma e della professione di fede primitiva16.
Dai discepoli e da quelli che sono ad essi assimilati, Gesù è riconosciuto come Figlio di Dio “gli si prostrarono davanti, esclamando:”Tu sei veramente il Figlio di Dio!”
(Mt 14, 33).
L’orante che invoca Gesù, riconoscendolo Figlio di Dio, si inserisce in quel permanere in Dio assicurato a tutti coloro che ne fanno la professione “Chi confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio” (1 Gv 4, 15).


ABBI PIETĂ DI ME PECCATORE
Con questa invocazione il fedele riconosce e confessa la propria situazione di peccato, facendosi bisognoso della grazia divina per poter superare gli ostacoli che si frappongono alla comunione con l’Amore.
La consapevolezza di essere peccatore abitua a strapparsi dalla personale sicurezza di sapersi salvare da se stessi, a sradicare l’orgoglio di essere principio di bene, a liberarsi dalla convinzione di essere in possesso di una morale orientatrice. Se i farisei furono incapaci di aderire al Vangelo del Signore, fu proprio perché si ritenevano giusti. Appunto contro di essi, “che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri”, Gesù racconta le sue parabole di riprovazione
(Mt 6,1; 23, 28; Lc 16, 15; 18, 19).
Ĕ Cristo che salva per un dono gratuito del suo Spirito, è Cristo l’unico reale salvatore, in quanto le forze umane sono insufficienti a liberare dal male.
L’orante sperimentando il proprio limite, invoca pietà associandosi al grido del salmista “Corri Signore in mio aiuto, vieni presto a salvarmi” (Sl 40, 14).
L’invocazione  aiuta   ad   acquisire una  consapevolezza   mistica   del   peccato,   ad averne coscienza secondo l’insegnamento che interiormente fa percepire lo Spirito di Cristo. Quando un’anima, anche innocente, vive in partecipazione al mistero pasquale del Signore, allora essa partecipa ed esperimenta l’autentico senso del peccato. Questo si rivela unicamente all’interno della misericordia di Dio in Cristo.
Ci aiuta a capire quanto detto, l’esempio della esperienza mistica del peccato nella vita di S. Teresa di Lisieux. Pur non avendo mai compiuto un peccato mortale, attesta: “Com’è necessaria questa umiliazione! Mi sentivo, come il pubblicano, una grande peccatrice. Dio mi appariva tanto misericordioso!... Com’è straordinario aver provato tutto questo... Ma com’è davvero impossibile procurarsi da sé questi sentimenti! Ĕ lo Spirito Santo che li dà, soffia dove vuole”17.
La santa non esprime qui una pia bugia per il fatto che si dichiara una grande peccatrice, ma è profondamente cosciente che ogni persona umana, per quanto grande, è estremamente piccola, situata in una imperfezione e, in quanto tale, a cadere nel peccato.
Da qui l’invocazione costante a Colui che si è fatto peccato per noi: “Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Esaminando il contenuto teologico della formula, si evince chiaramente il carattere cristologico della Preghiera del Cuore. Essa pone l’accento sulla vita terrena del Signore incarnato “Gesù Cristo” e, contemporaneamente, sulla sua divinità di “Figlio di Dio”. Quelli che fanno uso di questa preghiera richiamano costantemente alla memoria il personaggio storico, che si trova al centro della rivelazione cristiana, ed evitano così un falso misticismo che richiederebbe di far dimenticare il valore dell’Incarnazione. Tuttavia, benché cristologia, la Preghiera di Gesù non è una forma di meditazione su episodi particolari della vita di Cristo. Anche qui, come per altre forme di preghiera, è sconsigliato l’uso di immagini mentali e di concetti intellettuali.



 9 GREGORIO SINAITA, L’esichia e i due modi della preghiera in quindici capitoli, in La Filocalia, vol. III, p.585.
10 Kosmokràtor; Fil 2, 11 “e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”.
Cfr. Rm 10, 9 a; 1 Cor 12, 3.
11 Rom 14, 9 “Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi”.
12 Ef 1, 20-22 “Che egli manifestò in Cristo quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della chiesa”.
13 Ap 1, 15 “Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.
14 1 Tm 6, 15-16 “Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi rivelato al beato e unico sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita la luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può mai vedere. A lui onore e potenza per sempre. Amen”.
15 Rm 4,24-25 “ma anche per noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione”.
16 At 9, 20 “e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio”.
Cfr. At 13, 33; 1 Ts 1, 10; Gal 2, 20.
17SANTA TERESA DI GESŬ BAMBINO, Gli scritti, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1979, p.358- 359.




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