venerdì 20 settembre 2013

LA PREGHIERA DI GESŬ NELLA TRADIZIONE (terza parte)

Dal secolo XV alla pubblicazione della Filocalia

Nel secolo successivo spiccano i nomi di Simeone di Tessalonica e Marco Eugenio autore di una composizione sulla Preghiera di Gesù, consistente nella ripresa letterale di scritti più antichi. Ebbe molta importanza Nil Sorskij (1433-1508), uno spirituale russo, che nel suo “Ustav” riprende gli insegnamenti degli autori bizantini, primo fra tutti Gregorio Sinaita, e parla della Preghiera di Gesù.
In questo passo la pone come rimedio per liberarsi dai pensieri malvagi: “grida: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me...
Dopo queste parole, i Padri aggiungono: peccatore. Ciò è gradito al Signore Dio e conviene particolarmente a noi peccatori. Lancia questa invocazione assiduamente, che tu sia in piedi, che tu sia seduto o sdraiato, rinchiudendo la tua mente nel cuore”28.
I secoli successivi passano quasi sotto silenzio per mancanza di figure e scritti di particolare rilevanza; certi aspetti più tecnici vengono dimenticati ma rimane l’abitudine di recitare incessantemente una breve formula contenente il nome di Gesù.
Nel XVIII secolo assistiamo a una rinascita spirituale che vede tra i primissimi artefici Paisij Velickovskij (1722-1794) con i suoi  “ Capitoli sulla preghiera mentale” dove espone anche la tecnica psicofisica insieme agli insegnamenti dei Padri più antichi e la “Lettera a Agatone, igumeno della skiti di Poiana Voronei, contro il monaco Teopempo, dispregiatore della Preghiera di Gesù”, che è una sorta di storia della Preghiera.
Un contributo notevole è dato da Nicodimo Aghiorita (1749-1809) con tutta la sua opera, in particolare La Filocalia, con il quale si conclude questa rassegna.
Pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1782 anche con l’aiuto del Vescovo Macario di Corinto (1731-1805) è una raccolta di opere patristiche sulla preghiera continua che vanno dal IV al XV secolo.
Come dice lo tesso Nicodimo nel Proemio: “...eletto modello di condotta pratica, guida sicura alla contemplazione, giardino dei Padri, catena d’oro delle virtù. Libro che è ripetizione frequente del Nome di Gesù, tromba che richiama la grazia e, per farla breve, proprio lo strumento stesso della deificazione, possesso mille volte più desiderevole di qualsiasi altro, da molti anni pensato e cercato, ma non trovato”29.
TERMINOLOGIA, FORMULE E SIGNIFICATO
CUORE E PREGHIERA
Il “cuore” è il luogo spirituale di ogni persona, dove si concentrano e si sperimentano in modo vitale tutte le dimensioni della persona stessa.
Il “cuore” è il luogo metafisico più profondo di una persona; è l’intimo di ogni uomo, dove ciascuno vive il suo essere persona, cioè il suo sussistere in sé, ma in relazione con l’Essere, da cui ha origine e in cui trova il suo fine, con gli altri uomini e con la creazione.
Il “cuore” si esprime in una psicologia. Vi è una psicologia del cuore umano e una fisiologia, perché la persona umana è anche corporea. Ma sia la psicologia dell’uomo, sia la fisiologia trovano la spiegazione ultima dei loro contenuti nella metafisica del cuore, luogo interiore in cui l’uomo avverte e vive in modo positivo o negativo le dimensioni del suo essere persona.
Nel nostro linguaggio comune il “cuore” designa in genere la fonte essenziale di una realtà. “Andare al cuore di un problema” vuol dire andare alla fonte essenziale di esso, da cui dipende la spiegazione di tutte le altre parti del problema. Il cuore di una persona indica così il luogo spirituale, dove noi possiamo contemplare la persona nella sua realtà più profonda e vera, senza veli e senza fermarci ai suoi lati marginali.
Ĕ nel cuore che avviene il giudizio di ogni persona, su ciò che porta dentro di sé e che è la fonte della sua bontà o della sua cattiveria.
Il cuore può essere pensato come l’icona, l’immagine propria di una persona, il luogo, il volto, dove una persona si manifesta, sia a se stessa, sia agli altri.
“Ti ho manifestato il mio cuore”. Con queste parole intendiamo dire: “Ti ho manifestato me stesso”.
Persona e cuore coincidono come il sole con i suoi raggi.
Di solito nell’espressione “cuore e testa” quest’ultima sarebbe l’ambito del cerebrale, del mentale, dell’intellettuale, del logico, del razionale... mentre il cuore si riduce all’ambito affettivo e sentimentale; invece è il centro della persona umana, il campo della profondità, nel quale sia l’anima che il corpo intrecciano le loro radici.
Il cuore è la sorgente vitale dell’essere. “Quanto al cuore, esso designa, nella tradizione orientale, il centro dell’essere umano, la radice delle facoltà attive dell’intelletto e della volontà, il punto da cui proviene e verso il quale converge tutta la vita spirituale. Ĕ la sorgente, oscura e profonda, da cui scaturisce tutta la vita psichica e spirituale dell’uomo, e attraverso la quale questo è vicino e comunica con la Sorgente stessa della vita”1.
Teofanè ci ricorda che il “cuore è l’intimo dell’uomo, lo spirito. In esso si trovano la consapevolezza, la coscienza, l’idea di Dio e della nostra assoluta dipendenza da Lui, e tutti i tesori eterni della vita spirituale......................     Fisicamente il cuore è un muscolo di carne, ma non è la carne che avverte i sentimenti, bensì l’anima; il cuore di carne serve solo come strumento a questi sentimenti, così come il cervello serve di strumento alla mente. Resta nel tuo cuore con la certezza che anche Dio è là... La preghiera è detta del “cuore” quando è recitata dalla mente unita al cuore, quando la mente scende fino al cuore e innalza la preghiera dal profondo”2.
Ĕ nel “cuore profondo” che l’uomo incontra Dio faccia a faccia, quindi quando l’uomo prega con la mente, continuerà ad agire unicamente con le risorse dell’intelletto umano e a questo livello non arriverà mai ad un incontro con Dio diretto e personale. Usando il cervello, al massimo, si potrà conoscere qualcosa riguardo a Dio, ma non si conoscerà Dio. Non può esserci, infatti, una conoscenza diretta di Dio senza un amore immenso, ed un simile amore deve sgorgare non dal cervello soltanto, ma dall’uomo tutto intero, cioè dal cuore.
“La testa è come un mercato pieno di gente: non è possibile pregare Dio in un posto simile”3.
Ĕ quindi necessario che l’orante scenda dalla testa nel cuore. Non gli viene richiesto di abbandonare le sue capacità intellettuali (anche la ragione è un dono di Dio), ma è chiamato a concentrare la mente nel cuore.
Come si deve intendere questa espressione?
“La mente è il luogo in cui si trova l’attenzione.
Concentrare la mente nel cuore significa stabilire l’attenzione nel cuore e vedere mentalmente davanti a sé il Dio invisibile e sempre presente; significa rivolgersi a Lui nella lode, nel ringraziamento e nella supplica, stando però attenti che nulla di estraneo penetri nel cuore”4.
Dapprima si discende nel cuore naturale e da qui nel cuore profondo, in quel “luogo interiore” del cuore che non è più di carne. Allora la preghiera diventerà veramente “del cuore”, non più preghiera di una sola facoltà umana, ma di tutto l’uomo, anima, spirito e corpo: non solo della nostra intelligenza, della nostra ragione naturale, ma dello spirito; infatti nella profondità del cuore, l’orante scopre per prima cosa lo “spirito ad immagine di Dio” che la Santa Trinità ha immesso nell’uomo alla creazione, e, attraverso questo spirito, arriva a conoscere lo Spirito di Dio, che dimora in ogni cristiano dal momento del Battesimo, anche se molti di noi di noi non hanno coscienza della sua presenza.
“Lo Spirito, infatti, scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato...l’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1 Cor 2, 10-16).
FORMULE
La preghiera è conosciuta anche con il genitivo “di Gesù” o “a Gesù”, a seconda se si intende l’invocazione del Nome o una petizione rivolta a Gesù.
Nella formula tradizionale incontriamo l’invocazione del Nome di Gesù ed anche in formule più moderne e generalmente più corte, al fine di realizzare la totale adesione a Dio attraverso la ripetizione continua del Nome Supremo.
Alcuno autori consigliano un nome diverso, come: Dio, Luce, Amore...; una parola che sappia concentrare in sé tutto il desiderio di Dio, di pace e di felicità, da conservare nel cuore come un tesoro, da usare solo in preghiera come se fosse un contrassegno segreto, come una chiave personale che ha il potere di aprire la strada a un incontro continuo con la inesprimibile realtà che il Nome rappresenta.
Un autore medioevale così si esprimeva: “...prendi una formula corta, meglio se di una sola sillaba: più è corta più si intona all’opera dello spirito. Una tale parola può essere Dio o ancora Amore. Scegli una di queste due o un’altra di tuo gradimento, purchè sia di una sola sillaba. E questa parola legala stretta al tuo cuore, così che non se ne stacchi più, qualunque cosa accada. Questa parola sarà il tuo scudo e la tua lancia, sia in pace che in guerra. Con questa parola picchierai sulla nube e sull’oscurità che ti sovrasta.
Con questa parola sopprimerai ogni pensiero sotto la nube dell’oblio”5.
Il pellegrino con semplicità dice che “Basta calarsi in silenzio nelle profondità del proprio corpo e invocare sempre più spesso il radioso Nome di Gesù Cristo. Allora tutto sarà chiaro in questa luce...”6
Come per Francesco, il poverello di Assisi: “Al sentire nominare l’Amore del Signore, subito si sentiva stimolato, colpito, infiammato: quel Nome era per lui un plettro, che gli faceva vibrare l’intimo del cuore”7.
Il guru indù Yogananda, invece, ha trovato il nome supremo nella parola “Dio” e in questa bella poesia ne canta la bellezza:


Quando dalle profondità del sonno
torno a risalire
la scala a chiocciola del risveglio,
io ripeto in un sussurro:
Dio, Dio, Dio.

Tu sei il mio cibo,
e quando interrompo il digiuno
della separazione notturna da Te,
allora ti assaporo e penso nel silenzio:
Dio, Dio, Dio.

Dovunque vedo il foro della mia mente
è sempre centrato in Te,
e nella tumultuosa lotta dell’azione
il mio silenzioso grido di guerra è sempre:
Dio, Dio, Dio.

Quando ruggiscono violente le tempeste della prova
e  le angustie mi lanciano il loro urlo,
allora io copro il loro strepito
intonando ancora più forte:
Dio, Dio, Dio.

Mentre veglio, mangio, lavoro, dormo, sogno,
servo, medito, canto e divinamente amo,
la mia anima sussurra senza stancarsi
e senza che alcuno oda:
Dio, Dio, Dio 8.

La formula classica della preghiera è : “SIGNORE GESŬ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETĂ DI ME PECCATORE” ; in lingua paleoslava è la seguente:
Ґосподи, Иисусе  χρисте, Сыне  Божкй,
помилуй  меня, ґрешноґо.
che suona così:
GOSPODI,  IESUSIE  CHRISTIE,  SYNE  BOSCIH,  POMILUI  MNIA  GRIESCNOGO.
Alcuni autori la cambiano nel periodo pasquale, evidenziando la Resurrezione, altri aggiungono l’intercessione di Maria, altri ancora usano formule diverse. Per tutti sia valido l’insegnamento di Gregorio Sinaita: “Le piante continuamente trapiantate non mettono radici”9. Infatti, la formula adottata, preferibilmente quella classica, non si deve cambiare, per fare in modo che metta radici profonde nel cuore.
Troviamo le fonti di questa formula nel Vangelo di Luca. Ĕ il grido disperato e ripetuto del cieco di Gerico: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me” (Lc 18, 38). Ĕ la preghiera umile e dimessa del pubblicano al tempio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18, 13).  Ĕ il riconoscimento in extremis della Signoria di Gesù di uno dei malfattori appeso alla Croce insieme al Cristo, il”teologo” come è chiamato dalla tradizione orientale
 “Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno” (Lc18, 42)



27UN MONACO DELLA CHIESA D’ORIENTE, La Preghiera di Gesù, Brescia, Morcelliana 1964, p. 59-61.
28 N. SORSKIJ, La vie, les ècrits, le skite d’un starets  de Trans-Volga,coll. Spiritualità Orientale, N° 32, Bellefontaine 1980, p.51-52
29 NICODIMO AGHIORITA, Proemio, in La Filocalia,  vol. I, p.51.
1 E. BEHR-SIGEL, La Priore de Jésus ou le mystere de la spiritualità monastique orthodoxe, coll. Spiritualitè Orientale, N° 14, Bellefontaine 1974, p. 106
2 CARITONE DI VALAMO, L’arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 190.193.
3 Idem, p. 186        
4 Idem, p. 187.
5 ANONIMO, La nube della conoscenza e gli altri scritti,  Ancora, Milano 1983, p. 143-144.
6RACCONTI DI UN PELEGRINO RUSSO, Rusconi, Milano 1973, p. 114.

7SAN BONAVENTURA, Legenda S. Farcisci, cap. 9, n°1; in  opera omnia, Quaracchi, Firenze 1898, vol.VIII, p. 530 a.
 8 M. BALLESTRER, Per una preghiera continua, Paoline, Roma 1984, p. 74 -75.
9 GREGORIO SINAITA, L’esichia e i due modi della preghiera in quindici capitoli, in La Filocalia, vol. III, p.585.



Tesi di licenza in teologia con specializzazione in spiritualità Studente:
GALLIANO Giuseppe m.s.c. 

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