martedì 10 settembre 2013

Icona della Madonna della Consolazione

Dipinta a tempera su legno, gesso e lamina d'oro, l'icona raffigura la Madonna con il Bambino ed è attribuita ad autore ignoto, appartenente alla scuola siciliana di stile bizantino.
Secondo il Vaccaro ed altri studiosi risale al XVI secolo, periodo in cui gruppi di fedeli di rito greco-ortodosso provenienti dall'Albania sin dal 1448, cominciarono a stabilirsi in alcuni paesi della provincia di Palermo (Piana degli Albanesi) e nei comuni di Contessa Entellina e Palazzo Adriano, che fino al 1844 facevano parte, come Burgio, della diocesi di Agrigento.
Una seconda corrente di pensiero la ritiene ben più antica e databile all'XI-XII secolo, periodo in cui, nel territorio circostante il bosco di Rifesi, prossimo a Burgio, cominciarono a sorgere piccole comunità religiose attorno a monasteri e santuari di nuova fondazione. In tal caso potrebbe essere quasi coeva del SS. Crocifisso del Rifesi, venerato da antica data dalle popolazioni di Burgio, Villafranca, Lucca Sicula, Caltabellotta e Chiusa Sclafani.
Il bosco del Monte Rifesi è per sua natura un luogo particolarmente solitario e suggestivo, raggiungibile, fino a poco tempo fa, soltanto tramite percorsi in terra battuta e sentieri assolati: per questo suo aspetto è sempre stato il luogo ideale di eremiti e pellegrini solinghi.
Gli storici locali narrano che in epoca normanna il granconte Ruggero - fratello di Roberto il Guiscardo che, alla guida dell'esercito normanno, il 5 maggio 1072, fece ingresso nella città di Palermo, muovendo da lì alla conquista dell'intera isola - volle edificare, in quel luogo che in un lontano passato si era distinto come centro di focolai di rivolta offrendo rifugio agli schiavi ribelli durante la seconda guerra servile (104-100 a.C.), una piccola chiesa ad unica navata, a simbolo della fede cattolica e soprattutto del potere normanno. Avendo ricevuto una sacra immagine della Vergine, in occasione del Concilio di Amalfi nell'anno 1059 dal pontefice Nicolò I, come vessillo di guerra e segno di investitura e di augurio per la campagna di liberazione della Sicilia dagli infedeli Musulmani, volle dedicare la nuova Chiesa alla Vergine stessa. E' possibile che in quell'occasione Ruggero abbia riposto il vessillo ricevuto da Nicolò I nella piccola Chiesa; era forse quella l'immagine che oggi viene venerata, oppure ne costituì il modello. Successivamente, Guglielmo I il Malo, re di Sicilia dal 1154, attorno alla chiesa volle edificare un Monastero destinato ai padri benedettini: la tradizione vuole che, essendo stato salvato durante una partita di caccia dall'intervento miracoloso di contadini del luogo, su ispirazione della anta Madre di Dio decise di edificare il monastero in onore della Santissima Vergine. Il nuovo monastero costituì ben presto un centro di attrazione e stimolò la ripopolazione del luogo.
Grande fu la devozione degli abitanti verso la Vergine, malgrado il monastero fosse stato costruito in una zona ad alta concentrazione musulmana, dimostratasi in varie occasioni particolarmente ribelle. Nel 1188, previo consenso del vescovo di Agrigento, Bartolomeo, il Monastero fu occupato da una comunità di monaci provenienti dall'abbazia della Trinità di Rephet, in Siria, abbandonata in seguito alla caduta del regno di Gerusalemme in mano ai Musulmani. E' quindi abbastanza accreditata l'ipotesi che l'icona della Madonna della Consolazione sia giunta presso la Chiesa di S. Maria proprio in tale occasione.
La celebre icona miracolosa venne poi trasferita nella chiesa madre di Burgio ove rimase fino agli anni '60, quando il parroco Rocco Colletti, preoccupato da una serie di furti che si erano ripetutamente verificati nelle chiese del paese ed essendo ormai anziano e non più capace di accudire in maniera adeguata ai beni più preziosi della Chiesa (tanto più che, a seguito di una dettagliata perizia, un noto intenditore aveva valutato il dipinto alcune decine di milioni di lire), credette opportuno affidare l'icona alla cognata: Maria Sortino, che abitava nelle vicinanze della Chiesa. L'operazione avvenne in gran segreto, probabilmente nel 1962, e nessuno dei fedeli si accorse del trasferimento poiché, già da tempo, in occasione della periodica pulitura, il dipinto era stato trasportato in sagrestia. Maria Sortino possedeva nella sua abitazione diversi ripostigli segreti e all'interno di uno di essi, nella propria camera da letto, ripose con tranquillità l'icona: nessuno, a parte lei ed il sacerdote, si pensava conoscesse tale nascondiglio. Eppure, quando alle tre del pomeriggio del 10 settembre 1964, preparandosi a compiere dei lavori di ristrutturazione nella propria casa, aprì il ripostiglio per trasferire l'immagine sacra in un luogo più idoneo, ebbe la spiacevole sorpresa di non trovare più il dipinto. La notizia fu presto comunicata al parroco don Colletti, che apparve subito amareggiato e mortificato per l'accaduto: si decise di mantenere segreta la notizia per qualche tempo, sperando che il ladro pentito lo restituisse; nel frattempo avrebbe fatto ritorno in sede il vescovo di Agrigento, Mons. Giuseppe Petralia, in quel tempo impegnato a Roma nei lavori del Concilio Vaticano II, a cui era dovere comunicare la notizia prima di avviare qualsiasi provvedimento.
Il 5 ottobre del 1964, nel corso di un incontro svoltosi a Palermo, si convenne di informare la popolazione, i fedeli e le autorità competenti e da quel momento si diede inizio alle ricerche. Diffusasi la notizia del furto, cominciarono a nascere nel paese infamanti sospetti nei confronti del parroco Colletti e della cognata, soprattutto considerata l'eccezionalità delle circostanze: molti infatti si convinsero che, conoscendo il valore dell'icona, avessero preso segreti accordi per far scomparire il dipinto e poi venderlo a mercanti d'arte; altri sostenevano che invece l'arciprete fosse venuto a conoscenza del nome del ladro durante la confessione ed avesse deciso di mantenere il segreto per non venir meno agli obblighi della confessione. In ogni caso, in tutto il paese le famiglie Colletti e Sortino furono vituperate e coperte di infamia, tanto che alla morte di don Rocco Colletti, avvenuta il 7 Marzo 1965, pochi mesi dopo il furto, solo pochi burgitani sentirono il dovere di partecipare alla funzione funebre di colui che pure era stato parroco di Burgio dal 1931. I suoi familiari raccontano che, sul letto di morte, l'arciprete pregò affinché il ladro pentito restituisse finalmente l'icona della Madonna, cosicché i fedeli e compaesani potessero liberarlo da quella infamante accusa; ma questa consolazione gli fu negata. Maria Sortino fu più volte interrogata dai carabinieri e subì anche un processo. Fu assolta dai giudici per mancanza di prove che ne potessero attestare la colpevolezza, ma non dai concittadini che continuarono a ritenerla per circa trent'anni responsabile del furto dell'icona bizantina. Profondamente ferita dalle accuse, l'8 Dicembre 1964 volle scrivere a propria discolpa, appena tre mesi dopo il furto, un promemoria che costituisce quasi un testamento, invitando il nuovo parroco Giuseppe Marciante a leggerlo pubblicamente in occasione del proprio funerale: questo documento rivela tutta la storia dell'icona della Madonna della Consolazione, dal momento in cui venne riposta nella sagrestia della Chiesa Madre e poi trasferita presso la casa Sortino, e si chiude con l'invocazione ai fedeli di Burgio affinché potessero sgombrare la loro mente da tal dubbio nei confronti di due compaesani.
Il documento però, non facendo cenno dell'artefice del furto, non riuscì a placare gli animi dei burgitani, tanto più che le indagini proseguivano senza dare alcun risultato: troppa gente frequentava, per ragioni di fede o di culto, sia la casa dei Colletti che quella dei Sortino, e nessun indizio si era riusciti a trovare per orientare in qualche maniera le ricerche. Il caso venne quindi archiviato e su tutta la vicenda cadde il silenzio più assoluto. Del resto soltanto alcuni anziani, quelli un tempo impegnati nelle attività parrocchiali, avevano ancora un ricordo vivo del dipinto. Ventotto anni dopo il furto, inaspettatamente, giunse a Burgio la notizia del ritrovamento dell'icona. Teatro dell'avvenimento l'affollata Cattedrale di Catania, nella tarda mattinata del Giovedì Santo del 1992: un fedele, in confessione, confidò al sacerdote Monsignor Luigi Bommarito, arcivescovo della città etnea, già vescovo per alcuni anni della diocesi di Agrigento, di aver lasciato su un banco della stessa Chiesa un involucro avvolto nella carta di giornale. "Lo rimetta al suo posto" disse con tono perentorio, coperto dalla grata di legno. L'involucro conteneva una tavola dipinta, suddivisa in tre pezzi. Chiesto l'intervento della Sezione Rapine della questura di Catania, Monsignor Bommarito lanciò un appello ai parroci di tutta la diocesi, ma nella provincia catanese nessun furto di icone sacre era stato denunciato negli ultimi decenni.
In occasione della Pasqua dello stesso anno, l'arcivescovo comunicò la notizia al vicario episcopale della diocesi di Agrigento, Monsignor Alfonso Tortorici, il quale si ricordò vagamente di un'opera d'arte trafugata a Burgio. Una lettera indirizzata all'arciprete don Giuseppe Marciante comunicava il ritrovamento di un'immagine sacra di cui allegava anche la fotografia, ed invitava il parroco a presentarsi a Catania per il riconoscimento del dipinto: il miracolo era compiuto perché don Marciante, dopo accurate ricerche nell'archivio parrocchiale e nei documenti depositati presso la caserma dei carabinieri di Burgio, aveva trovato una vecchia fotografia ingiallita dell'icona che ne permetteva l'identificazione. Sebbene in stato di grave deterioramento, Monsignor Bommarito invitò i fedeli di Burgio ad esporre il dipinto della Madonna bizantina ad Agrigento, in occasione della visita del Papa Giovanni Paolo II: sull'altare allestito a Piano San Gregorio, il 9 Maggio 1993, l'icona ebbe la benedizione del Papa, insieme al Crocifisso di Santa Margherita Belice, a cui vengono attribuiti numerosi miracoli. Successivamente venne trasferita a Roma per il restauro, sotto la sovrintendenza della Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa. E finalmente, tornata all'antico splendore, fece ritorno il 30 Aprile 1994 nella Chiesa Madre di Burgio, dove venne collocata, all'interno di una nicchia rettangolare, quasi una cassaforte, in una cappella alla destra dell'altare maggiore, sottoposta per mesi ad accurati restauri per accogliere adeguatamente il prezioso dipinto.
Rimane tutt'oggi ignoto l'autore del furto, ma il ritrovamento della sacra icona è stato interpretato dai burgitani come un segno divino, un invito alla speranza e contemporaneamente al pentimento per aver immotivatamente coperto di calunnia il defunto don Rocco Colletti e la cognata Maria Sortino.

La ricercata simbologia che si nasconde nella sacra immagine della "Madonna della Consolazione" è stata decifrata con l'aiuto di suor Maria Donadeo, del monastero russo di Uspeski di Roma, autrice di interessanti pubblicazioni sulle icone e ricercatrice di testimonianze e preghiere bizantine. Il diffuso uso dell'oro, come è consuetudine nell'arte decorativa bizantina, vuole esprimere gloria e magnificenza celeste; la veste della Madre di Dio così come la cuffia che le raccoglie i capelli sono di colore rosso ad indicare la sua divinità, con righe blu simbolo dell'umanità. Il rosso è presente soltanto nelle parti più intime e nascoste. Il manto di colore blu è orlato di oro, con una ricca frangia, a significare che, pur nella sua umanità, Ella è rivestita di gloria e di onore; l'unico elemento che della sua umanità vuole comunicare all'uomo è la sua purezza, raffigurata dalle larghe fasce bianche che si notano sul lato destro del capo e della spalla. A simbolo ulteriore della verginità di Maria, prima e dopo il parto, vi sono le stelle luminose, solitamente in numero di tre, sul capo e sulle spalle: l'icona di Burgio ha una quarta stella che con le altre tre forma i quattro punti cardinali, a significare che il suo messaggio è rivolto al mondo intero. Il Bambino, seduto sulla mano sinistra della Madre, è raffigurato con la fronte alta e larga rispetto al viso, ad indicare la predominanza del pensiero contemplativo: Egli tiene nella mano sinistra il rotolo delle Sacre Scritture, mentre la destra è benedicente, secondo lo stile bizantino: il pollice tocca l'anulare. Gli sguardi, sia della Madonna che del Bambino sono rivolti allo spettatore, quasi ad incrociarsi, mentre il capo della Madonna è leggermente inclinato verso il Figlio a simboleggiare che è pronta ad intercedere presso di lui per l'umanità. In alto, a sinistra e a destra, in due cerchi doppiamente circoscritti a fondo rosso vi sono i nomi dei personaggi raffigurati, abbreviati in lettere greche, secondo la forma tipica: MP TY= Metér Theoú. A destra, più in basso ed in cerchi minori ma dello stesso tipo, si legge: IC XC= Iesús Christós. L'iscrizione dei nomi dei personaggi in una delle lingue liturgiche, ma generalmente in lingua greca, lingua ufficiale della chiesa antica, indica per tradizione il completamento dell'opera di "scrittura" dell'icona.





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