mercoledì 18 settembre 2013

LA PREGHIERA DI GESŬ NELLA TRADIZIONE (prima parte) - I Padri del deserto: nascita dell’esicasmo

L’esicasmo è una tradizione spirituale che si è sviluppata cronologicamente dal V al XVIII secolo e ha avuto tra i suoi esponenti monaci di tendenza contemplativa, desiderosi di cercare e trovare la perfezione nell’unione con Dio, vivendo asceticamente, in solitudine e in continua preghiera, secondo il comando dell’Apostolo (1 Ts 5, 17). A differenza del monachesimo basiliano e studita che insiste maggiormente sulla vita cenobitica e sulla preghiera comune, l’esicasmo privilegia la santificazione individuale e isolata.
La parola esicasmo deriva dal termine greco “hesychìa”, che letteralmente significa riposo, pace spirituale, quiete. Il verbo “hesychàzo” si riferisce al monaco che vive in solitudine e in silenzio, che conduce una vita appartata e centrata sulla preghiera, sulla sobrietà e sull’attenzione interiore.

Gli esicasti, riprendendo alla lettera le esortazioni di Paolo inviate ai primi cristiani  di “vivere in pace” (hesychazèin) ( 1 Ts 4, 11), di condurre “vita pacifica” (hesychìon bìon diàghein) (1 Tm 2, 2), di “lavorare con tranquillità” (metà hesychìas ergazomenoi) (2 Ts 3, 12), intendevano condurre una vita che fosse caratterizzata dalla pace interiore, che non fosse turbata da elementi distraenti sia esterni che interni.
Il loro ideale viene programmaticamente delineato in questo motto di Abba Arsenio: “Fuge, tace, quiesce!”2 cioè: separato dal mondo, coltiva il silenzio e la pace!
Per raggiungere lo stato di pace interiore, ricercato dagli esicasti, occorre abbandonare le distrazioni del mondo, fuggire nel deserto e ritirarsi in un posto solitario per immergersi nella meditazione delle cose divine. Ma  non basta la fuga dal mondo, la ricerca della solitudine e del silenzio per raggiungere l’ “hesychìa”; il vero monaco esicasta, deve rinunciare sia interiormente che esteriormente al mondo: esteriormente, quanto alle cose materiali e agli affari di questo mondo; interiormente, quanto ai pensieri che vi si riferiscono, non ammettendo alcuna preoccupazione mondana. Il vero monaco esicasta ricerca il silenzio interiore, quello di una mente non affollata da pensieri mondani e passionali.
Evagrio Pontico ha affermato che il solitario deve essere due volte monaco: “uomo-monaco” e “intelletto-monaco”, cioè deve essere colui che evita il peccato sia nella azione che nei pensieri3. Questo significa che il vero solitario è colui che non soltanto ricerca il silenzio esteriore, ma desidera creare nel proprio spirito un silenzio profondo favorito dalla concentrazione sul ricordo di Dio.
Già Evagrio è stato maestro nell’insegnare ai suoi monaci il modo di raggiungere la pace dell’anima (hesychìa). Nella sua dottrina ascetica ha teorizzato la necessità di lottare contro i pensieri passionali che provocano nello spirito una agitazione dannosa alla pace interiore.
Ĕ molto importante, secondo Evagrio e i Padri esicasti, custodire il proprio cuore e vigilare con attenzione (nepsis) sulla mente, affinché i pensieri passionali non ostacolino la contemplazione-orante e non offuschino la pace interiore dello spirito.4
La “nepsis” è un metodo spirituale di attenzione e vigilanza interiore che aiuta l’uomo a ostacolare la penetrazione nella mente dei pensieri passionali, i quali impediscono la preghiera. Non si può pregare con purezza se si è immischiati in affari materiali e se si è agitati da continue preoccupazioni, sostiene Evagrio nel suo trattato “ Sulla Preghiera”. Evagrio insiste sulla vigilanza della mente perché lo stato di “preghiera pura” fiorisce solo in un’atmosfera di pace interiore, che si instaura nell’uomo, quando è riuscito ad espungere dal proprio animo i pensieri passionali che lo ingombrano.5
Esiste uno stretto rapporto fra “hesychìa” e Preghiera del cuore; l’una è il presupposto dell’altra, perché non si può pregare se non si ha l’anima libera da turbamenti. D’altro canto la preghiera ripetuta incessantemente può essere un valido mezzo di purificazione dell’anima e, quindi, uno strumento utile a creare uno stato di quiete nello spirito.
Giovanni Cassiano nelle sue conferenze ripete l’insegnamento dei monaci da lui incontrati in Egitto su questo tipo di preghiera, che “ non soltanto proteggerà dagli assalti dei demòni, ma purificherà anche da ogni vizio e da ogni macchia terrestre; elevarà alla contemplazione delle cose celesti e invisibili; condurrà ad un ardore ineffabile di preghiera, che pochi soltanto conoscono per esperienza. Ĕ un segreto che ci ès stato rivelato da quei pochi Padri appartenenti al  buon  tempo antico, ma che vivono tuttora; noi lo riveliamo a nostra volta a quel piccolo numero di anime che dimostrano una vera brama di conoscerlo”6.
Troviamo lo stesso insegnamento in Nilo d’Ancira (+ 430). “Contro i demòni bisogna impiegare il ricordo del nostro Salvatore, la fervente invocazione del nome notte e giorno”7.
Nella Filocalia è contenuto un racconto di un certo Abate Filemone che può essere fatto risalire al VI – VII secolo.
Questi interrogato da un monaco su che cosa fosse la meditazione nascosta, risponde: “Sii sobrio nel tuo cuore e di’ sobriamente nella tua mente, con timore e temore: Signore Gesù Cristo, pietà di me. Il beato Diodoro, infatti, tramanda così ai principianti: Abbi sempre questo nel tuo cuore, sia che tu mangi, sia che tu beva, sia che ti trovi in compagnia di qualcuno, sia fuori di cella, sia per strada; non ti scordare di fare questa preghiera con mente sobria e intelletto stabile, di salmeggiare e meditare preghiere e salmi...Così potrai comprendere le profondità della divina Scrittura e della potenza che vi è nascosta e dare all’intelletto una incessante generosità per adempiere il detto apostolico che prescrive: pregate incessantemente”8.
Nel periodo compreso tra la metà del VII e gli inizi dell’VIII secolo, in una serie di apoftegmi copti, intitolati “Virtù di San Macario”, è interessante constatare come quasi in ogni pagina si parla della ripetizione del Nome di Gesù, anche con graziose esemplificazioni come questa: “Attacca la corda al picchetto in modo da mantenere la vela e, per la grazia del nostro Signor Gesù Cristo, la barca oltrepasserà le tempeste diaboliche..! La barca è il tuo cuore: sorveglialo! La corda è la tua mente: attaccala al nostro Signore Gesù! Questo è il picchetto che comanda i flutti e le tempeste diaboliche, lottando contro i santi. Non è facile, infatti, dire a ogni respirazione: “Mio Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, Ti benedico mio Signore Gesù Cristo, soccorrimi...” Se noi siamo assidui a questo Nome salvifico del nostro Signore Gesù, egli prenderà il diavolo per le narici,9 per quello che ci ha fatto e noi, che restiamo deboli, sapremo che il soccorso viene dal nostro Signore Gesù Cristo”10.
Concludendo questa panoramica sul monachesimo egiziano di lingua copta  ricordiamo che a questo stesso ambiente si riportano le iscrizioni murali scoperte all’inizio di questo secolo a Baouit e le sottoscrizioni e i colofoni di numerosi manoscritti nei quali figurano diverse formule per la Preghiera di Gesù.11






1Gli studiti erano monaci greci che si erano stabiliti nel monastero di Alessandria sulla riva asiatica del Bosforo alla fine del V secolo grazie al beneplacito del console Studios, da cui il nome di “studiti”. Erano di stampo neo-basiliano. Il loro monachesimo era rigorosamente cenobitico, attivo, sociale, nell’orientamento come nell’organizzazione. Diverranno la più potente organizzazione monastica di Costantinopoli. Al monastero di Studios sarà legata l’ultima lotta contro l’iconoclastia, come pure la riforma della Chiesa bizantina.
Cfr. L. BOUYER, Spiritualità bizantina e ortodossa, EDS, Bologna 1968, p. 25-27
2 Cfr. ARSENIO, in Vita e detti dei padri del deserto, ( a cura di L. MORTARI), Città Nuova, Roma 1971, vol. I, p. 97.
3”Uomo-monaco –scrive Evagrio – è colui che evita il peccato in azione; intelletto-monaco è quello di colui che evita il peccato dei pensieri e può contemplare nell’orazione la luce della Santa Trinità”.
Cfr. I. HAUSHERR, Solitudine e vita contemplativa, Queriniana, Brescia 1978, p. 44.
4Il termine “nepsis” ha una preistoria prima di incontrarlo presso gli asceti orientali. Il verbo neutro “nèpsein” significa lo stato di sobrietà in opposizione a “methyein” che indica lo stato di ebbrezza. Da questo primo senso materiale, il vocabolo passa ad un senso più elevato, per esprimere lo stato di un’intelligenza padrona di sé, equilibrata, saggia, opposto a uno stato di esaltazione incontrollata, di squilibrio, di ebbrezza mentale: la “manìa”. La mente sobria è aperta alla contemplazione. Anche le scritture consigliano di mantenersi in uno stato di sobrietà mentale: “Siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera”  (1 Pt 4, 7).
5 Cfr. EVAGRIO MONACO, Sul discernimento delle passioni e dei desideri, in La Filocalia,vol. I
p. 107-124.
6 G. CASSIANO, Conlatio X, 10 passim, in CSEL 13, 297-302; tr. It. A cura di O.LARI, EP, Alba 1965, vol. I, p. 430-436.
7 Cfr. NILO D’ANCIRA, Epistolae, III, 278, PG 79, 521 b.
8 ABATE FILEMONE, Discorso utilissimo sull’Abate Filemone, in La Filocalia,vol. II, p. 361.
Nel testo viene citato Diadoco, vescovo di Foticea che risale al V secolo.
Il passo in questione si trova in La Filocalia ,vol. I, p. 369- 370
9 Gb. 40, 25-26 “Puoi tu pescare il Leviatan con l’amo e tener ferma la sua lingua con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino?”
10E.ALIMENAU,  Histories des monastéres de la Basse Egypte, Annales du Musée Guimet, N°25,
Paris 1894, p. 160-161.
11Cfr. E. LANNE, La Prière de Jesus dans la tradition égyptienne, Temoignages des psalies et des inscriptions  in IRĚNIKON 50 (1977) 200.

Tesi di licenza in teologia con specializzazione in spiritualità Studente:
GALLIANO Giuseppe m.s.c. 



                                                             


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