lunedì 29 luglio 2013

Riflessioni diverse del Metropolita Anthony Bloom (spunti tratti LA PREGHIERA GIORNO DOPO GIORNO 1988 TRADUZIONE: Riccardo Larini EDIZIONI QIQAJON COMUNITÀ DI BOSE)

Nella premessa a Vivere nella chiesa ci era parso importante sottolineare l'ecclesialità dell'agire del Metropolita Anthony Bloom, quasi un trait d'union delle molteplici forme assunte dal suo servizio alla chiesa ortodossa russa e ai tanti lettori dei suoi scritti spirituali. Una visione della chiesa come "madre di tutti degli uomini", capace di farlo amare da molti cristiani non ortodossi, e da tantissimi non credenti, per anni fedeli ascoltatori delle sue parole di speranza; ma, ed è ciò che ci ha spinto a presentare al pubblico questo lavoro, un'ecclesialità fondata su un profondo spirito di preghiera.
Anthony Bloom ha scritto soprattutto su quest' ultimo tema, e quasi tutti i suoi libri sono stati tradotti in moltissime lingue, compreso l'italiano.
Perché allora procedere a una nuova raccolta di suoi scritti sulla preghiera? Almeno per due ragioni.
La prima è che ben pochi autori mostrano come Anthony Bloom una semplicità, coniugata a una notevole profondità spirituale. E la semplicità di chi possiede una visione lucida della realtà che vuole descrivere, ma è soprattutto la semplicità di cuore che cresce e si invera a partire da una profonda vita di preghiera. Dalle righe degli scritti del nostro autore emerge con forza l'indicibile esperienza di un profondo rapporto con il Signore.
Così presi per mano, siamo condotti, passo dopo passo, giorno dopo giorno, alla scoperta di un possibile itinerario di preghiera.
Come descrive Bloom stesso quando parla della propria conversione, l'esperienza di fede è indissociabile dalla percezione di una presenza. Tutta la vita "spirituale ", allora, diventa approfondimento del rapporto con questa presenza, che ben presto ci viene svelata come presenza personale. E come ogni incontro, la preghiera comporta due libertà, una capacità di attendere e di attendersi. Come ogni incontro che sia destinato a sfociare in un'amicizia essa comporta una fedeltà, un superamento degli entusiasmi iniziali, una capacità matura di rapportarsi con un altro destinato a rimanere tale. Questo Altro con cui avviene l'incontro nella preghiera, è un partner con tutte queste caratteristiche; ma non solo. Dio è creatore, ed è anche giudice: il rapporto non può essere simmetrico. E tuttavia, per vincere questa asimmetria, Dio si mostra misericordioso. Tutto allora è compreso nella sua misericordia, anche i suoi silenzi, quando ritarda un poco a farsi vivo presso di noi, che pure lo cerchiamo, per evitarci un giudizio inevitabile.
Ai cristiani è data, a parere di Bloom, una misura dello spazio che ci separa da Dio: la Scrittura; essa può attrarci, darci gioia, ferirci, turbarci; il rapporto con la Parola è inevitabile per purificare l'immagine che ci facciamo del Dio a cui ci rivolgiamo. Guidati dallo Spirito, "misurati" dalla Parola, siamo accompagnati a percepire sempre più la presenza dalla quale eravamo partiti, fino a farla diventare la musica, l'armonia di fondo che pervade tutto il nostro agire. La vera umiltà, allora diviene il far sì che questa presenza, che pure ci pone in discussione e ci fa prendere atto del nostro peccato, diventi talmente centrale nella nostra vita da farci diventare dimentichi di noi stessi. Senza illusione di poter possedere Dio, che è e resta un mistero, ma un mistero che attira i nostri cuori affinché contemplino la sua luce ineffabile.
C'è un'altra ragione, però, non meno importante, che ci ha spinti a presentare questa raccolta. Essa è stata pensata e realizzata da un uomo che ha dato e dà tuttora molto al dialogo ecumenico.

Abbiamo conosciuto Hugh Wybrew in occasione del Colloquio ecumenico di Chevetogne del 1994, e siamo rimasti subito affascinati dalla profonda semplicità e dalla capacità di lettura delle diverse tradizioni cristiane che egli ha mostrato in tutti i suoi scritti e che testimonia nella vita, anche attraverso la partecipazione alla Fellawship af St. Alban and St. Sergius, gruppo di dialogo fra anglicani ~ ortodossi del quale è attualmente vicepresidente. E raro trovare qualcuno capace di cogliere il filo rosso che lega tradizioni differenti dalla propria; ancor più raro è trovare uomini in grado di trasmettere agli altri i frutti della propria ricerca spirituale.

Per me pregare significa mettersi in rapporto. lo non ero credente; un bel giorno, scoprii Dio ed egli mi apparve improvvisamente come valore supremo e pienezza di vita, ma al tempo stesso come persona. Credo che la preghiera non possa dire assolutamente nulla a chi non ritiene di avere un tu al quale indirizzare la propria lode. Non si può insegnare a pregare a una persona che non avverte la presenza del Dio vivente; si può insegnarle a far finta di credere ma non sarà certo la finzione a costituire quell'atteggiamento spontaneo che è la vera preghiera.
Perciò, come premessa a questo libro sulla preghiera, quel che desidero trasmettere è la mia ferma convinzione che Dio sia una realtà personale con la quale è possibile entrare in relazione. In un secondo tempo chiederò al lettore di trattare Dio come un vicino di casa, come una persona, e di stimare questa conoscenza allo stesso modo in cui si considera il rapporto con un fratello o un amico. Questo, per me, è essenziale.
Una delle ragioni per le quali sia il culto comunitario che la preghiera privata sembrano essere così privi di calore o così convenzionali sta nel fatto che la nostra azione di lode, che ha luogo in un cuore che comunica con Dio, il più delle volte è assente. Ogni espressione, verbale o gestuale, può essere d'aiuto, ma si tratta pur sempre di espressioni di ciò che è essenziale, vale a dire un profondo silenzio di comunione.
L'evangelo ci insegna che il regno di Dio si trova prima di tutto in noi. Se non siamo capaci di trovare dentro di noi il regno, se non riusciamo a incontrare Dio interiormente, nelle profondità stesse del nostro essere, le probabilità che abbiamo di incontrarlo al di fuori sono estremamente remote. Quando Gagarin fece ritorno dallo spazio e pronunciò la famosa frase: "Non ho visto Dio da nessuna parte in cielo" uno dei nostri preti a Mosca osservò: "Se non l'hai visto sulla terra, non lo vedrai mai in cielo" .
Questo vale anche per quello di cui sto parlando. Se non riusciamo a entrare in contatto con Dio sotto la nostra pelle, se così si può dire, allora le possibilità di riconoscerlo, perfino se lo si incontrasse faccia a faccia, si riducono notevolmente.
Giovanni Crisostomo diceva: "Cerca la porta del tuo cuore, scoprirai che essa è la porta che conduce al regno di Dio". Dobbiamo volgere il nostro sguardo verso l'interno, non verso l'esterno. Ma all'interno in un modo estremamente particolare. Non sto dicendo che bisogna diventare introspettivi. Non dico che si debba entrare nell'intimo come si fa in psicanalisi o in psicologia. Non si tratta di compiere un viaggio nella propria interiorità, ma di incamminarsi attraverso il nostro io, per approdare dal livello più profondo dell'io al luogo dove egli dimora, quel punto dove l'io e Dio si incontrano.

La preghiera è ricerca di Dio, incontro con Dio, e andare oltre quest'incontro nella comunione. E dunque un' attività, uno stato e anche una situazione; e si tratta di situarsi sia rispetto a Dio che riguardo al creato.
Essa sorge dalla presa d'atto che il mondo in cui viviamo non è semplicemente bidimensionale, imbrigliato in categorie come tempo e spazio, un piatto mondo nel quale si può incontrare solo la superficie delle cose, una superficie opaca che racchiude il vuoto.
La preghiera nasce dalla scoperta che il mondo possiede profondità, che non siamo circondati unicamente da realtà visibili, ma siamo immersi e penetrati dall'invisibile.
E questo mondo invisibile è al tempo stesso la presenza di Dio, realtà suprema e sublime, e la nostra verità più profonda.

L'incontro è centrale nella preghiera. È la categoria basilare della rivelazione, perché la rivelazione stessa è incontro con un Dio che ci offre una visione nuova del mondo. Ogni cosa è incontro, nella Scrittura come nella vita. Incontro personale e universale, unico ed esemplare.
C'è sempre un duplice aspetto in questo: incontro con Dio e in lui con tutto il creato, incontro con l'uomo nelle sue profondità radicate nella volontà creatrice di Dio, tesa al compimento, quando Dio sarà tutto in tutti.
Questo incontro è personale perché ciascuno di noi deve fame personalmente l'esperienza: non è possibile viverlo per interposta persona. Ci appartiene, ma al tempo stesso possiede un significato universale perché va oltre il nostro io superficiale e limitato.
Un tale incontro è unico perché per Dio, così come per ciascuno di noi (se veramente apriamo gli occhi), ogni persona è unica e insostituibile. Ogni creatura conosce Dio a modo suo. Ciascuno di noi conosce Dio in un modo che nessuno potrà intuire se non saremo noi stessi a descriverlo. Contemporaneamente, però, essendo la natura umana universale, ogni incontro diviene esemplare. È una rivelazione fatta a tutti di ciò che ognuno conosce in modo personale.

Un incontro è vero solo quando sono vere le persone che si incontrano. Da questo punto di vista, finiamo costantemente col contraffare l'incontro. Non solo in noi, ma nell'immagine stessa che abbiamo di Dio, ci è assai difficile essere autentici. Per tutto il giorno assumiamo una dopo l'altra una serie di "personalità sociali", a volte irriconoscibili per chi ci sta innanzi o perfino ai nostri stessi occhi.
Quando viene l'ora della preghiera e desideriamo presentarci a Dio, ci sentiamo spesso smarriti, perché non sappiamo quale di queste personalità sociali sia la verità della nostra persona; non siamo più capaci di distinguere la nostra autentica identità. Le diverse persone che presentiamo a Dio, una dopo 1'altra, non sono noi stessi. C'è del nostro in ciascuna di esse, ma la persona nella sua globalità rimane assente.
Ecco perché la preghiera, che pure sarebbe in grado di salire con forza dal cuore di una persona autentica, non trova la sua strada in mezzo al nugolo di marionette che offriamo a Dio. Ognuna di queste dice una parola che è vera nella sua parzialità, ma non esprime le altre personalità parziali che abbiamo assunto durante il giorno. Ritrovare la nostra unità, l'identità fondamentale, diventa oltremodo importante. Se ciò non accade, non possiamo incontrare il Signore nella verità.

Il Dio che incontriamo dev'essere vero tanto quanto lo siamo noi che andiamo alla sua ricerca. Ma Dio non è sempre vero? Non è forse sempre uguale a se stesso, immutabile? Certo che lo è!
Ma non è solo Dio in sé a essere coinvolto nelle nostre preghiere. È anche l'immagine che ci formiamo di lui, poiché il nostro atteggiamento dipende non solo da ciò che egli è in se stesso, ma anche da quello che noi crediamo che lui sia.
Se abbiamo immagini alterate di Dio, il nostro atteggiamento verso di lui e la nostra preghiera risulteranno adulterate di conseguenza. E importante imparare per tutto il corso della nostra vita, giorno dopo giorno, a conoscere Dio come egli è veramente.

Quando leggiamo con onestà le Scritture dobbiamo riconoscere che certi brani ci dicono ben poco. Siamo disposti ad acconsentire con Dio perché non abbiamo ragioni per essere in disaccordo con lui. Possiamo approvare questo o quel comando o quell'atto divino perché non ci tocca personalmente, non cogliamo ancora le domande che esso pone alla nostra persona.
Altri passi francamente non ci piacciono affatto. Se ne avessimo il coraggio, diremmo "No!" al Signore. Dovremmo prendere l'abitudine di annotare con cura questi brani. Sono la misura della distanza che ci separa da Dio, nonché della distanza fra ciò che siamo ora e quel che potremmo essere potenzialmente.
L'evangelo, infatti, non è un succedersi di comandi esteriori, ma un'intera galleria di quadri interiori. E ogni volta che diciamo di no all' evangelo, ci rifiutiamo di essere persone nel senso più pieno del termine.
Vi sono dei passi dell' evangelo che fanno ardere i nostri cuori, che illuminano la nostra intelligenza e scuotono la nostra volontà. Essi danno vita e forza a tutto il nostro essere fisico e morale. Questi brani rivelano quelle regioni del nostro intimo nelle quali Dio e la sua immagine coincidono di già; mostrano a che punto ci troviamo, anche solo fugacemente, per un attimo, nella via che conduce a quel che siamo chiamati a essere.
Dovremmo prendere nota con cura di questi passi, con attenzione ancora maggiore rispetto a quella prestata ai brani di cui parlavamo poc'anzi. Sono i punti in cui l'immagine di Dio è già realizzata in noi uomini decaduti a causa del peccato. Da questi inizi possiamo lottare per continuare a trasformarci nella persona che sentiamo di voler e dover essere. Dobbiamo sempre restare fedeli a queste rivelazioni.

Almeno in questo, la nostra fedeltà non deve venire mai meno.
Se facciamo quanto ho appena detto, i brani di questo genere aumentano di numero, gli appelli che l'evangelo ci rivolge si fanno più ricchi e circoscritti, le nebbie a poco a poco si diradano e possiamo scorgere l'immagine della persona che dovremmo essere. Allora, possiamo cominciare a presentarci a Dio nella verità.

Abbiamo tante occasioni per dedicarci ad abbondanti riflessioni; in un sacco di situazioni nella vita di tutti i giorni ci troviamo senza nulla da fare, eccetto aspettare; se siamo disciplinati - e questo fa parte della nostra educazione spirituale saremo capaci di ritrovare rapidamente la concentrazione per fissare l'attenzione repentinamente sull' oggetto dei nostri pensieri, del nostro meditare. Dobbiamo imparare a farlo obbligando i nostri pensieri ad aderire a un punto focale ben preciso, lasciando cadere ogni altra cosa.
Agli inizi, pensieri indesiderati irromperanno nella mente, ma se li allontaniamo con costanza, ogni volta che si presentano, alla fine ci lasceranno in pace. E solo quando grazie all' allenamento, all' esercizio, all' abitudine, si è divenuti capaci di concentrarsi profondamente e prontamente, che si può continuare per tutta la vita a vivere in uno stato di raccoglimento, noncuranti di quel che si sta facendo.

Spesso consideriamo al più, un paio di punti per poi passare al successivo. E un atteggiamento errato: abbiamo visto infatti che ci vuole un lungo tempo per ottenere il raccoglimento, per divenire come quelle persone che i padri chiamano "vigilanti", uomini capaci di prestare attenzione a un'idea così bene e talmente a lungo che nulla di essa viene perso per strada.
Tutti gli spirituali del passato e del tempo presente ci diranno: prendi un testo, ritorna su di esso ora dopo ora, giorno dopo giorno, fino a esaurire tutte le sue risorse per l'intelletto e la tua affettività; grazie alla lettura attenta e al costante ritornare su quel testo, sei pervenuto a un nuovo atteggiamento.
Spesso la meditazione non consiste in null' altro che nell' esaminare il testo, girando e rigirando le parole che Dio ci rivolge in modo da diventare del tutto familiari con esse, talmente imbevuti della loro essenza da essere ormai una cosa sola con quelle parole. In questo cammino, anche se non riteniamo di aver scoperto nessuna particolare ricchezza intellettuale, in realtà siamo cambiati.

Meditare è un' attività del pensiero, mentre la preghiera è rifiuto di qualsiasi pensiero. Secondo quanto insegnano i padri dell' oriente, perfino i pensieri più spirituali e le considerazioni teologiche più profonde e sublimi, se compiute nel corso dell' orazione, devono essere ritenute alla stregua di una tentazione, e perciò soppresse; perché, come dicono i padri, è da stupidi pensare a Dio e dimenticare che ci troviamo in sua presenza.
Tutte le guide spirituali dell' ortodossia ci ammoniscono di non sostituire all'incontro con Dio una riflessione su di lui. La preghiera è essenzialmente stare davanti a Dio, faccia a faccia, consapevoli di dover lottare per rimanere raccolti, assolutamente nel silenzio e attenti alla sua presenza, vale a dire serbare una mente, un cuore e una volontà indivisi al cospetto del Signore. E non è affatto facile.
Per quanto possiamo aver imparato dall' educazione ricevuta, una scorciatoia si può sempre aprire in qualsiasi momento: l'unificazione può essere raggiunta da quella persona per la quale l'amore di Dio è tutto, che ha rotto ogni legame, che si è offerta completamente a Dio; allora non c'è più lotta personale, ma solo l'opera luminosa della grazia di Dio.
Fine della meditazione non è praticare una riflessione di tipo accademico; essa non intende essere un' attività puramente intellettuale, né un mero abbozzo di pensiero privo di conseguenze. Essa vuole essere un pensare sotto la guida di Dio e "verso Dio", e per questo dovrebbe portarci a trarre conclusioni sul nostro modo di vivere. E importante rendersi conto fin da principio che una meditazione si rivela utile quando ci pone in condizione di vivere in modo più preciso e concreto le esigenze dell'evangelo.
Qualunque cosa raccogliamo, sia un versetto, o un comando, un evento della vita di Cristo, dobbiamo anzitutto pesarne il contenuto oggettivo. E estremamente importante, perché il fine per cui si medita non è la costruzione di strutture fantastiche, quanto la comprensione di una verità.
La verità sta lì, è la verità di Dio, e la meditazione si propone di costruire un ponte fra la nostra mancanza di comprensione e la verità rivelata. E un modo per educare la nostra intelligenza, per imparare gradualmente ad assumere "il pensiero di Cristo", come dice Paolo (1Cor 2,16).
La nostra stessa giornata è benedetta da Dio. Questo non significa forse che ogni cosa che essa contiene, ogni evento che accade nel corso di essa è volontà di Dio? Credere che le cose accadono solo per caso non è credere in Dio. E se accogliamo tutto quel che avviene e ogni persona con questo spirito, ci accorgeremo che siamo chiamati a compiere l'opera dei cristiani in ogni cosa.
Ogni incontro è in Dio e in vista di lui. Siamo inviati a tutti quelli che incontriamo nel nostro cammino, sia per dare che per ricevere, a volte senza neppure saperlo. Qualche volta sperimentiamo la meraviglia di dare quel che non possediamo, altre volte ci tocca pagare con il sangue quel che diamo agli altri.
Dobbiamo anche saper ricevere. Dobbiamo essere capaci di incontrare il prossimo, di guardarlo, di ascoltarlo, di tacere, di prestare attenzione; dobbiamo saper amare e rispondere con tutto il cuore a quel che ci viene offerto, che sia gioia o amarezza, una cosa triste o qualcosa di meraviglioso. Dovremmo essere del tutto ricettivi, come della creta nelle mani di Dio. Le cose che accadono nella nostra vita, accolte come doni di Dio ci daranno per questa ragione l'occasione di rinnovare incessantemente la nostra creatività, svolgendo l'opera che compete a un cristiano.
Se osservi con attenzione la tua vita scoprirai molto presto che ben difficilmente si vive "da dentro a fuori"; rispondiamo piuttosto all'incitamento, all'eccitazione. In altre parole, viviamo di riflesso, per reazione. Qualcosa accade e noi reagiamo, qualcuno parla e noi rispondiamo.
Quando però siamo lasciati senza stimoli per il pensiero, le parole e le nostre azioni, ci accorgiamo che in noi c'è ben poco che possa spingere all' azione, in qualsiasi direzione.
È una scoperta veramente drammatica. Siamo completamente vuoti, non agiamo a partire da quel che sta in noi, ma accettiamo come fosse nostra una vita che in realtà è alimentata dall' esterno; abbiamo fatto il callo ad avvenimenti che ci obbligano a compiere a nostra volta qualcosa d'altro. Come è raro riuscire a vivere semplicemente grazie alla profondità e alla ricchezza che pensiamo esistano dentro di noi.

Il nostro punto di partenza, se desideriamo pregare, è la certezza che siamo peccatori bisognosi di essere salvati, che siamo separati da Dio e non possiamo vivere senza di lui, e che tutto quel che possiamo offrirgli è il nostro desiderio disperato di essere resi tali da poter essere accolti da Dio, accolti nel pentimento, accolti con misericordia e amore.
Dunque fin dall'inizio la preghiera è davvero la nostra umile ascesa verso Dio, un momento nel quale ei voltiamo verso di lui, avvicinandoci con timidezza, poiché sappiamo che se lo incontriamo troppo presto, prima che la sua grazia abbia avuto il tempo di aiutarci a essere capaci di incontrarlo, allora avverrà il giudizio.
Tutto quel che possiamo fare è rivolgerei a lui con profondo rispetto, con tutta la venerazione, lo spirito di adorazione, il timore di Dio di cui siamo capaci, con tutta l'attenzione e la sincerità che possediamo, per chiedergli di fare per noi qualcosa che ci metta in condizione di poterlo incontrare faccia a faccia; non per il giudizio, non per la condanna, ma per la vita eterna.

Vorrei ribadire che l'incontro fra Dio e l'uomo è pericoloso. Non è senza motivo che la tradizione orientale zen chiama il luogo in cui si trova colui che cerchiamo "la tana della tigre". Cercare Dio è una cosa da temerari, a meno che non si tratti di un atto di completa umiltà. Incontrare Dio comporta sempre una crisi, e in greco krisis significa giudizio. L'incontro può avvenire nello stupore e nell'umiltà. Ma può anche aver luogo nel terrore e nella condanna.
Non c'è dunque da stupirsi se i manuali di preghiera ortodossi concedono molto poco spazio alle tecniche e ai metodi, mentre interminabili sono le raccomandazioni sulle condizioni morali e spirituali che debbono assolutamente essere presenti in essa. Richiamiamo anzitutto alla memoria il comando evangelico: "Se vieni al tempio e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta, torna da colui che hai offeso e riconciliati con lui, poi torna a presentare la tua offerta" (Mt 5,23-24).
Questo precetto è ripreso in modo eccellente da Simeone il Nuovo Teologo, il quale ci dice che se vogliamo pregare con un cuore libero, dobbiamo riconciliarci con Dio, con la nostra coscienza, con il prossimo, perfino con gli oggetti che ci circondano. Ciò significa che la condizione per una vita di preghiera è vivere secondo l'evangelo. Una vita che fa dei comandamenti e dei consigli donatici nell' evangelo una seconda natura.
Si vede dunque che non possiamo partecipare profondamente alla vita di Dio se non cambiamo in modo radicale. E dunque essenziale andare a Dio perché egli ci trasformi e ci renda diversi, e questa è la ragione per la quale, tanto per cominciare, dovremmo desiderare la conversione.Conversio in latino significa svolta, mutamento nella direzione del corso degli eventi. Il greco metanoia vuol dire cambiamento della mente.
Conversione significa che invece di passare la vita a guardare in ogni direzione, dovremmo seguire una direzione unica. E abbandonare moltissime cose che riteniamo di valore solo perché sono piacevoli o ci convengono. Il primo impatto con la conversione ci porta a modificare la percezione che abbiamo dei valori: quando Dio è al centro di tutto, ogni cosa viene ricollocata e acquista un nuovo spessore. Tutto quel che è di Dio, tutto ciò che gli appartiene, è positivo e reale. Ogni cosa, al di fuori di lui è priva di valore e di significato.
Ma non basta un cambiamento della mente perché si possa parlare di conversione. Possiamo cambiare mentalità e tuttavia non spingerci oltre; ciò che deve seguire è un atto di volontà, e se la nostra volontà non entra in azione per orientarsi verso Dio, allora non c'è conversione; al massimo c'è un inizio di cambiamento, ancora latente e inattivo.

Il pentimento non va confuso col rimorso, non consiste nel sentirsi terribilmente dispiaciuti perché le cose sono andate male in precedenza; è invece un atteggiamento attivo, positivo, che consiste nel muoversi nella direzione giusta.
Ciò è estremamente chiaro nella parabola dei due figli ( Mt 21,28 ) che avevano ricevuto dal proprio padre l'ordine di recarsi a lavorare nella vigna. Il primo disse: "Andrò", ma poi non lo fece. L'altro disse: "Non andrò", ma poi provò vergogna e si recò a lavorare.
Questo è vero pentimento, e non dovremmo mai lasciarci prendere dall'idea che lamentarsi del proprio passato sia un modo per pentirsi.
Certo, ei vuole anche questo, ma il pentimento resta sterile e irreale. Noi tendiamo a pensare che dovrebbe sfociare in belle emozioni e spesso ci accontentiamo delle emozioni, invece di cercare cambiamenti reali e profondi.
Possiamo aver capito un sacco di cose riguardo a Dio, a partire dalla nostra esperienza, da quella degli altri, dagli scritti dei santi, dall'insegnamento della chiesa, dalla testimonianza delle Scritture; possiamo sapere che egli è buono, che è umile, che è un fuoco divorante, che è il nostro giudice, che è il nostro salvatore e altro ancora, ma dobbiamo ricordarci che in ogni istante egli può rivelarsi in un modo mai sperimentato in precedenza, anche all'interno di queste categorie generali.
Dobbiamo prender posto innanzi a lui con riverenza ed esser pronti a incontrare chiunque ei capiterà di incontrare, sia il Dio col quale già siamo familiari, sia un Dio che non riusciamo a riconoscere. Egli può darei la percezione di ciò che è, e questa potrebbe essere assai diversa da quel che ci aspettiamo. Noi speriamo di incontrare Gesù, dolce, compassionevole, affettuoso, e ci viene incontro un Dio che giudica, che ci condanna e non ci lascia avvicinare a lui finché restiamo così come siamo. Oppure veniamo nel pentimento, aspettandoci di essere respinti, e incontriamo compassione.
Dio, in ogni momento, è per noi in parte noto e in parte ignoto. Egli si rivela, e dunque lo conosciamo, ma non lo conosceremo mai in pienezza, rimarrà sempre il mistero divino, il cuore di un mistero che non riusciremo mai a penetrare.

L'incontro fra Dio e noi nell'orazione continua parte sempre dal silenzio. Dobbiamo imparare a distinguere due generi di silenzio: il silenzio di Dio e il nostro silenzio interiore. Anzitutto il silenzio di Dio, spesso più difficile da sopportare del suo rifiuto, quel silenzio assente di cui già abbiamo detto. In secondo luogo, il silenzio dell'uomo, più fecondo del nostro parlare, in una comunione più stretta con Dio di quella mediata da qualsiasi parola.
Il silenzio di Dio di fronte alla nostra preghiera può durare solo per un attimo, o può sembrare che vada avanti all'infinito. Cristo restò in silenzio di fronte alle suppliche della cananea, e questo lo condusse a raccogliere tutta la propria fede, la speranza e l'amore umano per offrirli a Dio, per far sì che egli potesse estendere i confini del suo regno al di là del popolo eletto. Il si1enzio di Cristo suscitò quindi la risposta della donna, la fece crescere di qualità.
E Dio può fare lo stesso nei nostri riguardi, con silenzi di maggiore o minore durata, che chiamano a raccolta le nostre forze e la nostra fedeltà e ci conducono a un rapporto più profondo con lui rispetto a quello che si sarebbe potuto realizzare se la via fosse stata facile. Ma a volte il silenzio per noi assume il suono tetro dell' irrevocabile.










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